Il lascito di Marta Cartabia alla Corte Costituzionale
di Oreste Pollicino
“To be the faithful guardian of the Constitution in this multicultural context, requires the ability to listen to a number of subjects, speaking with different voices and to develop a mindset oriented toward the search for harmony among them through the integration of the multiple factor in play”
Queste quattro righe, contenute nell’ultima pagina del volume pubblicato qualche anno fa da Oxford University Press[1], che Marta Cartabia, nella sua veste accademica, ha firmato insieme a Vittoria Barsotti, Paolo Carozza e Andrea Simoncini, possono a mio avviso rappresentare, se non un manifesto, certamente un distillato della visione che ha caratterizzato il suo essere prima giudice e poi presidente della Corte costituzionale.
Più precisamente, il passaggio prima ricordato è emblematico perché in grado di sintetizzare alcuni degli elementi distintivi della formazione accademica e culturale della prof.ssa Cartabia che non possono non riconoscersi, poi, nelle modalità con cui la Corte, durante il suo mandato presidenziale, ha, da una parte, proseguito il processo di evoluzione e, dall’altra, ha innovato strutturalmente rispetto allo status quo, anche a causa della necessità di assicurare la continuità delle sue funzione essenziali durante la stagione pandemica.
Quali questi elementi?
In primo luogo, la fiducia che Marta Cartabia ha sempre riposto tanto nella dimensione relazionale che lega la Corte ai suoi differenti interlocutori, non solo istituzionali, quanto nella capacità di adattamento della giustizia costituzionale ad un assetto giuridico, sociale ed economico in continua evoluzione, in cui il pluralismo diffuso richiede una sintesi armonica e corale di unità nella diversità.
Si tratta di una visione della giustizia costituzionale e, prima ancora del ruolo della Corte, in una società complessa e sempre più interconnessa, che non dovrebbe stupire chi conosce Marta Cartabia ed il suo essere studiosa, docente e intellettuale impegnata nel dibattito culturale italiano ed europeo.
Il principio di leale collaborazione tra le istituzioni repubblicane, l’attenzione alla tutela dei diritti fondamentali cercando sempre l’equilibrio, assai mobile, tra tensione all’universale della protezione e il rispetto del relativismo culturale e un pluralismo assiologico allergico a qualsiasi apodittica tirannia dei valori sono elementi portanti della carta di identità scientifica, intellettuale e culturale della Presidente uscente.
Come tale dimensione relazionale, che caratterizza, come si è visto, tutto il percorso culturale e scientifico di Marta Cartabia, in cui interconnessione, dialogo e coralità sono le parole chiavi, si è poi concretizzato nei tratti distintivi del suo mandato presidenziale?
Qui è necessario operare una distinzione, a proposito di detto mandato, tra il suo primissimo periodo di fisiologia pre-pandemica e il secondo in cui la Corte costituzionale ha dovuto invece operare in un contesto del tutto nuovo legato all’esplodere della stagione dell’emergenza sanitaria.
A gennaio, la decisione di aprire la Corte alla società civile, e quindi, per un verso, all’ascolto, in linea con la prassi di molte Corti supreme e costituzionali di altri paesi, ai cosiddetti amici curiae e, dall’altra, la possibilità di convocare degli esperti in caso si ritenesse necessario acquisire pareri o informazioni aggiuntive su particolari discipline, ha, a ben vedere, una doppia valenza.
In primo luogo, quella di proseguire lungo il percorso, avviato durante la presidenza di Giorgio Lattanzi, in cui vi era stata l’apertura dei portoni delle carceri ai giudici della Corte, di “umanizzazione” della Consulta.
In secondo luogo, tale umanizzazione si colora anche di profonda umiltà. I giudici costituzionali, pur rappresentando il meglio del patrimonio giuridico italiano, non sono omniscienti. Spesso le questioni in ballo hanno implicazioni scientifiche e tecnologiche assai complesse. In questi casi, il momento della scrittura è preceduto da quello dell’ascolto degli esperti.
L’avvio della stagione pandemica ha richiesto una certa dose di creatività e di adattamento per la Consulta. Capacità che non sono mancate durante la presidenza di Marta Cartabia e che, come si osserva nel volume richiamato in apertura in cui lei è co-autrice, è, a ben vedere, un segno distintivo dell’intero atteggiarsi della Corte costituzionale. Sin dalla sua prima udienza pubblica di una Corte sconosciuta ai più, il 24 aprile del 1956, in cui, a detta del primo presidente Enrico de Nicola, non vi erano neanche le sedie. Una Corte che, cosi come allora ha fatto delle difficoltà uno stimolo per affinare la sua capacità relazionale, anche a marzo scorso, con l’esplodere della pandemia e il necessario distanziamento fisico, sotto la guida della Prof.ssa Cartabia, ha dato prova di grande capacità di adattamento.
Si è deciso di proseguire da remoto i lavori di deliberazione in camera di consiglio, le letture di sentenze e, per un periodo, anche le udienze pubbliche. Lo stesso si dica per tante altre attività interne della Corte, senza dimenticare la firma digitale apportata alle sentenze, i podcast a cura dei differenti giudici costituzionali su temi assai attuali e l’applicazione mobile che consente di avere la giurisprudenza costituzionale nel proprio smarhphone.
Qui si è in presenza di una grande discontinuità rispetto allo status quo. La Corte ha saputo utilizzare, e non era scontato, visto il contesto in cui opera, lo strumento digitale (nell’ambito di un processo di digitalizzazione amplificato dalla pandemia) per garantire, come la stessa Marta Cartabia ha fatto notare, qualche giorno fa, in occasione dei suoi saluti di commiato, il pieno funzionamento della giustizia costituzionale. Molte di queste novità possono a mio avviso e devono essere interiorizzate come fisiologiche nella futura attività della Corte. La dematerializzazione dei flussi documentali è un grande obiettivo raggiunto, a prescindere da qualsiasi pandemia. E si sta lavorando alla realizzazione di un processo costituzionale interamente telematico.
“La piena attuazione della Costituzione richiede un impegno corale, con l’attiva, leale collaborazione di tutte le Istituzioni, compresi Parlamento, Governo, Regioni, Giudici. Questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l’emergenza. La Costituzione, infatti, non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per “navigare per l’alto mare aperto” nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini”.
Mi piace chiudere con queste parole con cui la Presidente Cartabia, in occasione dell’ultima relazione annuale, ha messo in chiaro, attingendo a quei principi che si è visto essere geneticamente legati alla sua formazione, come, tanto nel mare in tempesta quanto nei tempi di bonaccia, la bussola da seguire rimane unica: la nostra Carta costituzionale.
Credo che questo possa essere un grande insegnamento anche per gli studenti dell’Università Bocconi che avranno la fortuna, dal prossimo anno accademico, di partecipare al suo corso di diritto costituzionale italiano ed europeo.
[1] V. Barsotti, P. G. Carozza, M. Cartabia, A. Simoncini, Italian Constitutional Justice in Global Context , OUP, 2016.