Il difficile, ma necessario, sforzo per perseguire in concreto il superiore interesse del minore: un’ipotesi di adozione aperta di Ettore Battelli
Sommario: 1. La fattispecie concreta e la decisione - 2. La tutela del minore oltre l’alternativa fra affidamento e adozione legittimante - 3. Le soluzioni sviluppatesi dalla prassi: l’adozione mite… - 4. …e l’adozione aperta.
1. La fattispecie concreta e la decisione
La sentenza n. 1/2022 della Sezione Minorile della Corte d’Appello di Roma rappresenta un’ipotesi emblematica di ricerca ed individuazione della soluzione maggiormente idonea, fra quelle astrattamente contemplate dall’ordinamento, a garantire pienamente tutela al best interest of the child[1].
A fronte di una situazione di partenza caratterizzata da un grave disagio familiare, che malgrado gli aiuti e il sostegno costantemente offerti non ha dato luogo ad alcun apprezzabile miglioramento, finendo per rilevarsi gravemente pregiudizievole per una sana crescita della minore S.C., il Tribunale per i Minorenni di Roma era giunto a dichiararne lo stato di adottabilità e, tra l’altro, a disporne il divieto di contatto con i genitori e con i familiari.
La madre S.B. e la nonna materna S.S. proponevano separatamente appello, chiedendo ciascuna la revoca della dichiarazione di adottabilità e, conseguentemente, che fosse disposto l’affidamento della bambina presso di sé ovvero, in subordine, che si procedesse ad un’adozione mite, ossia all’adozione in casi particolari ex art. 44, L. 184/1983, con mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine[2].
La Corte d’Appello, dopo aver preliminarmente disatteso una serie di eccezioni di rito[3], ha condiviso pressoché totalmente le valutazioni compiute dal primo giudice circa l’irrecuperabilità in tempi ragionevoli delle capacità genitoriali (come da ultimo prescritto dall’art. 15, co. 1, lett. c, L. 184/1983, così come modificato dall’art. 100, co. 1, lett. l, d.lgs. 154/2013)[4], alla luce delle reiterate opportunità non sfruttate e del radicale distacco dalla madre indotto nella minore; la pronuncia di primo grado è stata riformata esclusivamente nella parte in cui aveva disposto il divieto di contatto (anche con la nonna materna), disponendo invece che «i servizi territoriali competenti in relazione al luogo di residenza della minore [S.], in collaborazione con la famiglia adottiva, con i tempi e le modalità meglio rispondenti agli interessi della minore, predispongano ed attuino la ripresa degli incontri della minore con la nonna [S.S.], mediante contatti telefonici, via internet e di videochiamata, con la frequenza adeguata al mantenimento del rapporto ed alla risposta di [S.], valutando in seguito e secondo l’interesse della minore la possibilità di effettuare annualmente eventuali incontri in presenza, facendo salva l’esigenza di mantenere riservata l’identità dei genitori adottanti ed il collocamento della minore»[5].
La Corte si mostra espressamente consapevole «dello sforzo aggiuntivo che tale generosa apertura richiede alla coppia adottante», ma aggiunge che «proprio il perseguimento, oltre il proprio, dell’interesse superiore di [S.], che dalla nonna ha ricevuto, nei limiti delle possibilità concrete concesse a questa, affetto e accudimento, è la finalità dell’adozione»[6].
2. La tutela del minore oltre l’alternativa fra affidamento e adozione legittimante
La vicenda giudiziaria, che ha trovato il proprio epilogo definitivo (a meno di un eventuale ricorso per cassazione nei termini di rito) nella sentenza in commento, conferma l’opinione ormai ampiamente condivisa in dottrina secondo cui la L. 184/1983 è stata sì una “buona legge”, che – soprattutto a seguito delle riforme apportate dalla L. 149/2001 – ha posto il nostro ordinamento all’avanguardia nel panorama europeo[7], ma non risulta più pienamente adeguata ad offrire sempre e comunque una risposta soddisfacente, nell’ottica della tutela del best interest of the child[8], a tutte le situazioni di criticità in cui i minori possono venire a trovarsi nel nucleo familiare di origine[9].
Nello specifico, la L. 184/1983 prevede tre diversi percorsi a seconda del grado di criticità della situazione familiare in cui versi il minore. In particolare, se le difficoltà sono abbastanza modeste, e soprattutto se i genitori hanno l’intenzione e la capacità di collaborare, o almeno non si oppongono, è previsto l’intervento diretto dei servizi sociali, al fine di aiutare in vari modi la famiglia intera, a beneficio del minore, affinché́ possa proseguire a vivere presso di essa[10].
Nel caso in cui, invece, le difficoltà siano gravi, ma temporanee, e cioè appaiano superabili in tempi sufficientemente rapidi, è possibile ricorrere allo strumento dell’affidamento familiare (titolo I bis, L. 184/1983). Infine, solo qualora le difficoltà siano molto gravi o si traducano in maltrattamenti rilevanti, o ancora si determini una situazione di abbandono del minore non superabile in tempi sufficientemente rapidi, si potrà procedere alla dichiarazione di adottabilità del bambino e all’affidamento preadottivo[11] (art. 27, L. 184/1983).
L’alternativa “secca” tra affidamento familiare e adozione legittimante[12], a seconda della temporaneità o meno dell’inidoneità dell’ambiente familiare di origine, non ha offerto un’adeguata tutela al diritto del minore a crescere (non semplicemente “in famiglia”, ma) “nella propria famiglia”[13]; talvolta questo diritto può infatti ricevere una declinazione diversa, ma comunque funzionale a garantire pienamente il superiore interesse del minore nella massima misura possibile nel caso concreto: qualora non sia possibile crescere “nella propria famiglia” (perché irreversibilmente inadeguata a svolgere le proprie funzioni educative), dev’essergli riconosciuta la possibilità “con la propria famiglia”, mantenendo una relazione affettiva con tutti o alcuni familiari che rappresentino per lui delle figure significative[14].
A livello legislativo sono stati, insomma, trascurati i pur frequenti casi in cui la famiglia non sia in grado di rispondere alle esigenze educative del minore “in modo parziale ma definitivo”: trattasi del c.d. “semi-abbandono permanente”[15]. In questi casi, l’affidamento familiare “non era abbastanza”, perché si lasciava il minore in una situazione di limbo, senza assicurargli relazioni familiari connotate da quella stabilità necessaria per un sano percorso di vita e di crescita (dando altresì vita al fenomeno degli affidamenti sine die[16], divenendo il periodo massimo di ventiquattro mesi di cui all’art. 4, co. 4, L. 184/1983, com’è stato efficacemente affermato, «più un auspicio del legislatore che una realtà»[17]). Per converso, l’adozione legittimante “era troppo”, perché caratterizzata dalla recisione dei legami con la famiglia di origine, che potevano comportare un ulteriore trauma affettivo per il minore che passava da una situazione di semi-abbandono a una di abbandono (il più delle volte) senza riuscire a comprenderne fino in fondo le ragioni (e finendo, magari, inconsciamente per attribuirne a sé stesso la responsabilità).
3. Le soluzioni elaborata dalla prassi: l’adozione mite…
La giurisprudenza minorile si è fatta carico di offrire una risposta soddisfacente anche alle situazioni di semi-abbandono permanente, sfruttando le potenzialità applicative degli istituti esistenti nell’ordinamento.
In particolare, è stato elaborato – significativa l’esperienza del Tribunale per i Minorenni di Bari – il modello della c.d. “adozione mite”[18], frutto di un’interpretazione estensiva della c.d. adozione in casi particolari (o semplice) disciplinata dall’art. 44, co. 1, lett. d), L. 184/1983, che consente l’adozione «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Secondo tale indirizzo interpretativo, sarebbe possibile fare ricorso all’adozione semplice non solo nei casi di “impossibilità fattuale” di procedere a un’adozione legittimante, ma anche in quelli di “impossibilità giuridica”, ossia quando manchi lo stato giuridico di abbandono e non ricorrano, comunque, le condizioni per la dichiarazione dello stato di adottabilità, o ancora nei casi di minori abbandonati in affidamento familiare da oltre due anni, con conseguente consolidamento affettivo con gli affidatari, e che si trovino nella impossibilità di tornare nella famiglia di origine, per il perdurare della situazione di grave difficoltà e disagio che aveva portato all’affidamento[19].
Malgrado l’istituto non sia stato esente da forti critiche in merito alla sua effettiva idoneità a perseguire il best interest of the child[20], esso risulta sostanzialmente imposto (per lo meno sino a quando, a livello legislativo, non verrà individuata una soluzione parimenti adeguata) alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[21], che in più di un’occasione ha condannato l’Italia per violazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU) allorquando fossero stati interrotti i rapporti fra genitore e figlio, procedendo alla dichiarazione di adottabilità di quest’ultimo, senza aver preventivamente messo in atto adeguate misure volte a favorire il mantenimento dei rapporti medesimi.
In particolare, nella nota pronuncia Zhou c. Italia del 21 gennaio 2014[22] è stato evidenziato «che la necessità fondamentale di preservare per quanto possibile il legame tra la ricorrente – che si trovava peraltro in situazione di vulnerabilità – e il figlio non [era] stata debitamente presa in considerazione. Le autorità non [avevano] messo in atto misure volte a preservare il legame familiare tra la ricorrente e il figlio e di favorirne lo sviluppo. Le autorità giudiziarie si [erano] limitate a prendere in considerazione alcune difficoltà, che avrebbero potuto essere superate per mezzo di un’assistenza sociale mirata. La ricorrente non [aveva] avuto alcuna possibilità di riallacciare dei legami con il figlio: di fatto, i periti non [avevano] valutato le possibilità effettive di un miglioramento delle capacità della ricorrente di occuparsi del figlio, tenuto conto anche del suo stato di salute». La Corte di Strasburgo non ha mancato di far presente che essa fosse «ben consapevole del fatto che il rifiuto da parte dei tribunali di pronunciare un’adozione semplice risulta dall’assenza nella legislazione italiana di disposizioni che permettano di procedere a questo tipo di adozione», ma che ciononostante «alcuni tribunali italiani avevano pronunciato, per mezzo di una interpretazione estensiva dell’articolo 44 d), l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era abbandono» (§ 60)[23].
Le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza sovranazionale hanno indotto anche la Suprema Corte di Cassazione, dopo un atteggiamento di iniziale chiusura nei confronti dell’adozione mite, a riconoscere piena dignità all’istituto nel nostro ordinamento; in particolare, con due recenti pronunce ha censurato le decisioni delle Corti d’Appello che avevano, in un caso, «omesso di prendere in esame il profilo espressamente affrontato dalla consulenza tecnica d’ufficio, riguardante il rilievo per la costruzione dell’identità delle minori, riguardante la conservazione del “profondo” legame con la madre instaurato e conservato nel tempo»[24], nell’altro, proceduto ad un «approfondimento della peculiare situazione concreta di una madre biologica che non intende abbandonare del tutto la figlia, pur sentendo di non essere ancora pienamente in grado di accudirla, mediante il ricorso ai mezzi istruttori necessari, se del caso anche mediante una consulenza psicologica»[25]
Con quest’ultima pronuncia (richiamata nella sentenza in commento), è stato affermato il principio di diritto secondo cui «l’adozione cd. ‘legittimante’, che determina, oltre all’acquisto dello stato di figlio degli adottanti in capo all’adottato, ai sensi dell’art. 27, comma 1. L. 4 maggio 1983, n. 184, la cessazione di ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine, ai sensi del comma 3, coesiste nell’ordinamento con la diversa disciplina dell’‘adozione in casi particolari’, prevista dall’art. 44, L. n. 184 del 1983, che non comporta l’esclusione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine; in applicazione dell’art. 8 CEDU, 30 Cost., 1, L. n. 184 del 1983, e 315 bis c.c., comma 2, nonché delle sentenze in materia della Corte EDU, il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità̀, deve accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l’adozione legittimante una extrema ratio cui può̀ pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse; il modello di adozione in casi particolari, e segnatamente la previsione di cui all’art. 44, lett. d), L. n. 184 del 1983, può, nei singoli casi concreti e previo compimento delle opportune indagini istruttorie, costituire un idoneo strumento giuridico per il ricorso alla cd. ‘adozione mite’, al fine di non recidere del tutto, nell’accertato interesse del minore, il rapporto tra quest’ultimo e la famiglia di origine».
La Sezione Minorile della Corte d’Appello di Roma ha fatto applicazione del più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, giungendo tuttavia, nel caso di specie, ad escludere la sussistenza di quel legame affettivo il cui mantenimento l’adozione mite persegue: dopo aver rilevato – tra l’altro ma emblematicamente – che la bambina «della mamma dice di volerle “ancora” bene ma di “non pensarci più”», ritiene che il richiamato istituto non appare «adeguato alla vicenda di [S.], che al momento della dichiarazione di adottabilità aveva trascorso gran parte della sua vita in un contesto di istituzionalizzazione, nel quale si collocano i suoi ricordi di vita con la madre, e che ha strutturato un modello di attaccamento invertito, nel quale la bambina si è assunta il peso di tutelare la madre dalle conseguenze delle sue azioni impulsive»[26].
4. …e l’adozione aperta
Per offrire la massima tutela possibile al superiore interesse del minore, la Corte romana ritiene di poter applicare – in ciò riformando la sentenza di primo grado, per il resto integralmente confermata – un diverso istituto elaborato nella prassi giurisprudenziale minorile, ossia la c.d. “adozione aperta”[27]: trattasi di una forma peculiare di adozione piena, con caratteri però meno rigorosi, connotata dalla possibilità di mantenimento di rapporti tra il minore e la famiglia d’origine[28]. Tale forma di adozione consentirebbe, da un lato, di applicare in modo evolutivo l’istituto dell’adozione legittimante e, dall’altro, eviterebbe un’applicazione estensiva dell’adozione in casi particolari con il rischio che essa divenga sostitutiva della prima.
Questo modello è frutto di una lettura evolutiva dell’art. 27, ultimo comma, L. 184/1983, volta a ritenere che l’inciso «con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali» debba essere inteso in senso “meramente giuridico”, e non sia pertanto tale da ricomprendere anche relazioni affettive di fatto prive di rilevanza giuridica.
Si tratta di un modello che recepisce ancor più a fondo l’insegnamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo la quale la “cancellazione” della famiglia di origine dalla storia personale del minore può avvenire soltanto in casi effettivamente eccezionali ed estremi, quali quelli a) dei bambini non riconosciuti dalla nascita, b) dei bambini gravemente maltrattati da genitori inguaribilmente violenti e c) dei bambini totalmente trascurati da genitori radicalmente inesistenti sul piano educativo e affettivo[29].
Espressamente affermando di voler aderire a tale lettura ermeneutica, la sentenza in commento ha ritenuto opportuno che venisse conservata la relazione con la nonna materna[30] (nelle modalità individuate nel dispositivo), «che la nipote, anche dopo il significativo tempo trascorso dalla interruzione degli incontri, continua a ricordare e vedere come una figura positiva (“è una persona spettacolare”), e che ha mostrato stabilità caratteriale ed emotiva e senso di responsabilità non da ultimo seguendo, dal marzo 2019, una psicoterapia che la ha aiutata a sostenere adeguatamente il carico emotivo della ricostruzione, e poi interruzione, della relazione con la nipote, nel corso del procedimento»[31].
Era stato molto recentemente osservato che non sembravano «aver avuto un seguito giurisprudenziale i tentativi di configurare un’adozione legittimante aperta al mantenimento dei rapporti affettivi e di fatto con la famiglia biologica esperiti proprio al fine di non disperdere la storia di vita personale e il patrimonio emotivo del minore»[32].
La decisione della Corte d’Appello di Roma parrebbe allora rappresentare un’apprezzabile inversione di tendenza, in attesa di quell’auspicabile «meditato intervento legislativo che aggiorni e incrementi gli strumenti giuridici di protezione, delineandone in modo puntuale le condizioni e gli effetti»[33] e che, in fin dei conti, consenta alla L. 184/1983 di tornare ad essere una “buona legge”, che offra adeguata protezione al superiore interesse del minore.
[1] Da ultimo si vedano gli studi raccolti da M. Bianca (a cura di), The best interest of the child, Roma, 2021; ivi riferimenti bibliografici a tutta la dottrina precedente e ai più rilevanti precedenti giurisprudenziali.
[2] Per un’introduzione generale al tema dell’adozione “mite” si segnala F. Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009.
[3] Fra le quali risulta di particolare interesse quella di mancata audizione della minore, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto che «l’ascolto diretto nella sede giudiziaria, per l’età infantile della bambina ed il contesto di assoluta estraneità rispetto all’interlocutore nel quale esso si realizza, non costituisca un setting propizio alla emersione e rappresentazione delle esigenze di S. nel processo, fine a cui è volto l’ascolto». D’altra parte, ha pure rilevato – mostrando così di non disinteressarsi affatto della prospettiva del minore interessato – che «nel contesto della CTU la minore ha invero potuto esprimere adeguatamente i propri desideri e le proprie aspettative, in particolare nell’incontro con l’ausiliario del Collegio, che ha più facilmente instaurato con lei un rapporto empatico giovandosi della precedente consuetudine della minore con la figura dello “psicologo” […], in un ambiente specificamente attrezzato». Sull’istituto del diritto all’ascolto si vedano F.R. Fantetti, La facoltà dell’ascolto del minore e la Convenzione di Strasburgo, in Fam. pers. succ., 2010, 353 ss., F. Tommaseo, Per una giustizia “a misura del minore”: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in Fam. dir., 2012, 37 ss., F. Astiggiano, Ascolto del minore (infra)dodicenne nel procedimento di adozione in appello, in Fam. dir., 2012, 888 ss., L.A. Antonucci, R. Cassibba, G. Castoro, La mitezza: saper parlare con un bambino, in Minorigiust., 2015, 166 ss. e, più recentemente, E. Italia (a cura di), L’ascolto del minore, in Fam. dir., 2020, 713 ss.
[4] Cfr. A. Finessi, Adozione legittimante e adozione c.d. mite tra proporzionalità dell’intervento statale e best interests of the child, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 1351, ove vengono altresì richiamate delle perplessità per quest’innovazione legislativa manifestate da una parte autorevole della dottrina.
[5] Così testualmente nel dispositivo.
[6] Così testualmente in motivazione.
[7] Condivisibilmente in tal senso, per tutti: E. Quadri, Verso una riforma dell’adozione?, in GiustiziaCivile.com, Editoriale del 3 ottobre 2016.
[8] Sul quale, ex plurimis, E. Quadri, Una riflessione sull’interesse del minore e la dimensione familiare della sua tutela, in Nuova giur. civ. comm., 2020, 1330 ss.; S. Sonelli, L’interesse superiore del minore. Ulteriori «tessere» per la ricostruzione di una nozione poliedrica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 1373 ss.; M. Velletti, Interesse del minore e genitorialità, in Libro dell’anno del diritto 2018, Roma, 2018, 3 ss.; G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del minore, in Dir. succ. fam., 2017, 777 ss.; L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 86 ss.; E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016.
[9] Sia consentito rinviare, per maggiori approfondimenti, a E. Battelli, L’adozione mite come diritto del minore: tra opportunità e identità, in M. Bianca (a cura di), The best interest of the child, cit., p. 285 ss.; Id., Il diritto del minore alla famiglia tra adottabilità e adozione alla luce della giurisprudenza CEDU, in Dir. fam. pers., 2021, 838 ss., ivi ampia bibliografia.
[10] In tema, la giurisprudenza più recente è oggetto di analisi da parte di C.M. Bianca, Quando possiamo togliere legittimamente un bambino alla sua famiglia?, nota a Cass., 14 febbraio 2018 n. 3594, e Cass., 19 gennaio 2018 n. 1431, in Foro it., 2018, 817 ss.
[11] Il diritto del minore ad una famiglia “sostitutiva” emerge così in caso di inidoneità irreversibile di quella d’origine, non secondo indici meramente presuntivi di detta inidoneità, ma attraverso una lettura complessiva delle circostanze concrete: non deve trattarsi di situazioni dettate da forza maggiore o da mera indigenza, bensì accertate come non temporanee e irrecuperabili, caratterizzate dall’assenza di legami positivi per il minore. Cfr. Cass., 31 marzo 2010 n. 7961, in Giur. it., 2011, 297 ss. In dottrina, per tutti, L. Fadiga, L’adozione legittimante dei minori, in G. Collura, L. Lenti, M. Mantovani (a cura di), Filiazione, in Trattato dir. fam., diretto da P. Zatti, II, Milano, 2002, 625 ss., che ricostruisce lo sviluppo del concetto di abbandono secondo la giurisprudenza. In tema si veda L. Rossi Carleo, L’affidamento e le adozioni, in Trattato Rescigno, 4, III, Torino, 1997, 354 ss.
[12] Sul punto A. Finessi, Adozione legittimante, cit., 1349 s., osserva che «la pluralità di modelli familiari e l’affermazione, anche legislativa, di nuove relazioni affettive non appaiono più conciliabili con il rigido sistema del “doppio binario” che è alla base di tale disciplina, incentrato sulla netta alternativa tra l’adozione piena per tutelare il bambino privo di famiglia – perché orfano, non riconosciuto alla nascita o perché la famiglia, pur presente, è gravemente ed irreversibilmente inidonea ad occuparsi del minore – e l’affidamento, finalizzato a sopperire alla mancanza di un ambiente familiare idoneo per un periodo transitorio, operando come intervento integrativo temporaneo del rapporto familiare in crisi. Una bipartizione che non è (più) in grado di rispondere in modo opportuno e convincente a quelle situazioni in cui il minore è coinvolto in una pluralità di legami affettivi tutti egualmente meritevoli di essere salvaguardati, in quanto solo una loro equilibrata coesistenza consente di tutelare il suo diritto inviolabile alla vita privata e familiare e al conseguente pieno sviluppo della sua personalità».
[13] Per tutti si richiamano le riflessioni di C.M. Bianca, Una nuova pagina della Cassazione sul diritto fondamentale del minore di crescere nella sua famiglia, in commento a Cass., SS.UU., 30 giugno 2016, n. 13435, in Foro It., 2017, 3171 s.
[14] Cfr., ancora, A. Finessi, Adozione legittimante, cit., 1350, che evidenzia come si sia per queste ragioni sviluppata l’esigenza «di sperimentare modelli di adozione diversi da quella legittimante in tutte quelle situazioni – sempre più frequenti nella prassi – in cui l’interruzione definitiva della relazione affettiva con i genitori biologici non appare coerente con l’interesse preminente del minore: ci riferiamo cioè a quelle situazioni in cui, a fronte di una valutazione necessariamente oggettiva del rapporto familiare, all’accertamento di una situazione di inadeguatezza, ancorché parziale, ma comunque irreversibile, della famiglia d’origine, inidonea a garantire una crescita equilibrata ed armonica, si accompagna un legame affettivo con il bambino la cui interruzione sarebbe indubbiamente dannosa per quest’ultimo».
[15] Sul concetto di semiabbandono permanente e, più in particolare, sull’adozione mite cfr.: F. Occhiogrosso, L’adozione mite due anni dopo, in Minorigiust., 2005, 149 ss.; L. Gigante, Le funzioni positive dell’adozione mite, in Minorigiust., 2007, 143 ss.; L. Laera, «Chi ha paura dell’adozione mite?», in Minorigiust., 2007, 151 ss.; Aa.Vv., L’Adozione mite: giudici professionali e giudici onorari a confronto, in Minorigiust., 2009, 112 ss.; S. Caffarena, L’adozione “mite” e il “semiabbandono”: problemi e prospettive, in Fam. dir., 2009, 398 ss. Più recentemente M. Renna, Forme dell’abbandono, adozione e tutela del minore, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1361 ss., spec. 1370 ss.
[16] Più di recente e con riferimento anche alla riforma della filiazione, si veda T, Montecchiari, Adozione «mite»: una forma diversa di adozione dei minori o un affido senza termine?, in Dir. fam. pers., 2013, 1381 ss.
[17] In questi termini A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, 5° ed., Bologna, 2014, 238, il quale segnala che: «Da una ricerca sull’affidamento familiare emerge che la durata media di un affidamento è di quattro anni per l’affidamento eterofamiliare e di cinque anni per l’affidamento ai parenti» (corsivo aggiunto).
[18] Sull’esperienza barese cfr. S. Caffarena, L’adozione «mite» e il «semiabbandono», cit., 393 ss.; M. Fiorini, Corsia preferenziale all’esigenza di garantire la continuità negli affetti, in Fam. dir., 2008, 19 ss.; F. Occhiogrosso, I percorsi comuni alle due adozioni: adozione aperte e conoscenza delle origini, in Minorigiust., 2003, 244 ss.; Id., Circolare del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bari ai servizi territoriali, in Minorigiust., 2003, 278 ss.; Id., L’adozione mite due anni dopo, cit., 149 ss.
[19] E. Battelli, L’adozione in Aa. Vv., I diritti del minore e la tutela giurisdizionale, Rimini, 2015, p. 249 ss.
[20] Per l’esame di tali critiche sia consentito rimandare a E. Battelli, L’adozione mite come diritto del minore, cit., 293 ss.
[21] Che, secondo, J. Long, Il diritto italiano della famiglia e minorile alla prova della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Eur. dir. priv., 2016, 1096 ss., rappresenta oggi la via maestra per l’ingresso dei diritti fondamentali nel diritto familiare e minorile italiano. In tema cfr. G. Ferrando, Genitori e figli nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Fam. dir., 2009, 1049 ss.; Ead., Matrimonio e famiglia: la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed i suoi riflessi sul diritto interno, in G. Iudica, G. Alpa (a cura di), Costituzione europea e interpretazione della Costituzione italiana, Napoli, 2006, 131 ss.; Ead., Il contributo della Corte europea dei diritti dell’uomo all’evoluzione del diritto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 263 ss.; F. Pesce, La tutela dei diritti fondamentali in materia familiare: recenti sviluppi, in Dir. umani e dir. int., 2016, 5 ss.; S. Praduroux, L’attualità del contributo della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nell’evoluzione del diritto privato italiano e francese, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 705 ss.; P. Rescigno, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto privato (famiglia, proprietà, lavoro), in Riv. dir. civ., 2002, 325 ss.; F. Uccella, La filiazione nel diritto italiano e internazionale, Padova, 2001; Id., La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo su alcune tematiche del diritto di famiglia e suo rilievo per la disciplina interna, in Giur. it., 1997, 125 ss.
[22] Sulla quale si veda A. Pasqualetto, L’adozione mite al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo tra precedenti giurisprudenziali e prospettive de jure condendo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 155 ss.; F. Occhiogrosso, Con la sentenza Cedu Zhou contro l’Italia l’adozione mite sbarca in Europa, in Minorigiust., 2014, 268 ss.;
[23] Per maggiore approfondimento sulla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sia consentito il rinvio a E. Battelli, Il diritto del minore alla famiglia tra adottabilità e adozione, cit., 850 ss.
[24] Cass. ord., 13 febbraio 2020, n. 3643, in Fam. dir., 2020, 1063 ss., con nota di A. Thiene, Semiabbandono, adozione mite, identità del minore. I legami familiari narrati con lessico europeo, e in Nuova giur. civ. comm., 2020, 837 ss., con commento di P. Morozzo della Rocca, Abbandono e semiabbandono del minore nel dialogo tra CEDU e corti nazionali.
[25] Cass. ord., 25 gennaio 2021, n. 1476, in Fam. dir., 2021, 586 ss., con nota di F. Zanovello, Semiabbandono e interesse del minore alla conservazione dei legami familiari. La Cassazione ribadisce il ricorso all’adozione “mite”, e in Corr. giur., 2021, 1066 ss., con nota di U. Salanitro, L’adozione mite tra vincoli internazionali e formanti interni.
[26] Così testualmente in motivazione.
[27] Avverte U. Salanitro, L’adozione mite, cit., 1073, nt. 8, che, con il termine “adozione aperta”, parte della dottrina intende invece l’adozione in casi particolari.
[28] Cfr. Trib. min. Bologna, 9 settembre 2000, in Fam. dir., 2001, 79 ss.; Trib. min. Roma ,16 gennaio 1999, in Dir. fam. pers., 2000, 144 ss.; Trib. min. Torino, 12 marzo 2008, in Min. giust., 2008, 335 ss.; App. Roma, 28 maggio 1998, in Dir. fam. pers., 2001, 1463 ss.; Trib. min. Milano, 15 novembre 2004, in Fam. dir., 2005, 653 ss.; Trib. min. Emilia Romagna, 28 novembre 2002, in Min. giust., 2003, 275 ss.
[29] Così testualmente L. Lenti, L’adozione e la Corte europea dei diritti dell’uomo. A proposito di Cass. 20954/2018, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 64.
[30] Per tutti, si richiamano le riflessioni di M. Bianca, Il diritto del minore all’«amore» dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, 155 ss., e in Scritti in onore di C.M. Bianca, Milano, 2006, 117 ss.
[31] Così testualmente in motivazione, cui significativamente si aggiungere che «il CTU, nel suo caso, ha raccomandato il mantenimento della relazione con la nipote, sottolineando che S. “ha e avrà bisogno di un riferimento storico collegato ai primi 8/9 anni della sua vita”». In relazione a quest’ultimo profilo, si rinvia a M.G. Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015.
[32] A. Thiene, Semiabbandono, cit., 1072.
[33] F. Zanovello, Semiabbandono, cit., 597.