L’immigrazione irregolare via mare e la triade soggettiva “soccorritori-trafficanti -migranti”[1]
La recente fenomenologia dell’immigrazione irregolare via mare, caratterizzata da una deliberata segmentazione dell’iter di ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato italiano, pone questioni giuridiche indubbiamente complesse, che attengono ai profili di rilevanza penale della condotta dei soccorritori e, soprattutto, dei trafficanti e dei migranti. Le pronunce che “rispolverano” lo schema dogmatico dell’autore mediato per ritenere sussistente la giurisdizione italiana in riferimento alle condotte poste in essere dai trafficanti, nonché quelle sentenze che, in direzione per certi aspetti speculare, precisano come l’intervento dei soccorritori impedisca di ipotizzare una responsabilità per ingresso irregolare dei migranti trasportati sulle coste italiane, sono un chiaro indice delle difficoltà della giurisprudenza, chiamata a orientarsi tra le maglie di un tessuto normativo indubbiamente disorganico e, per certi aspetti, “sovrabbondante” (almeno) sul versante del diritto penale.
Sommario: La distinzione tra trafficking of human beings e smuggling of migrants. Criteri generali e rilevanza penale delle condotte poste in essere dal migrante. – 2. Il quadro normativo offerto dall’ordinamento giuridico italiano: la tratta di esseri umani (art. 601 c.p.) e il favoreggiamento all’immigrazione irregolare (art. 12 TU imm.) – 3. Il traffico di migranti via mare. La triade soggettiva “soccorritori-trafficanti-migranti”. – 3.1. Possibili profili di rilevanza penale dell’attività dei soccorritori – 3.2. Profili di rilevanza penale dell’attività dei trafficanti: il nodo pregiudiziale della giurisdizione e la “rinascita” dell’autore mediato – 3.3. Profili di rilevanza penale della condotta dei migranti: il migrante “scafista” e il migrante “passeggero”.
1.La distinzione tra trafficking of human beings e smuggling of migrants. Criteri generali e rilevanza penale delle condotte poste in essere dal migrante
Il tradizionale punto di partenza nelle indagini relative alla risposta penale in materia di immigrazione irregolare è rappresentato dalla distinzione tra trafficking e smuggling. Il trafficking of human beings, in particolare, si riferirebbe al fenomeno della “tratta di esseri umani”, mentre allo smuggling of migrants andrebbe ricondotta l’eterogenea fenomenologia di quelle condotte compendiate sotto l’etichetta del “traffico di migranti”.
La distinzione tra trafficking e smuggling è stata individuata essenzialmente sulla base di tre elementi, che il più delle volte sono chiamati a operare congiuntamente ai fini di un’actio finium regundorum indubbiamente complessa e che attengono, rispettivamente, alla direzione finalistica dell’attività posta in essere dai trafficanti o dagli sfruttatori, al ruolo svolto dal migrante e al bene giuridico tutelato.
- La “direzione finalistica” dell’attività posta in essere. Nel trafficking la condotta posta in essere sarebbe finalizzata allo sfruttamento finale del migrante, che a sua volta può realizzarsi in una pluralità di forme: sfruttamento sessuale, lavoro illegale, accattonaggio, trapianto di organi umani, arruolamento di bambini-soldato[2]. Nello smuggling, invece, la condotta del trafficante sarebbe diretta al mero ingresso irregolare del migrante in uno Stato estero, senza che le successive sorti del soggetto assumano rilevanza alcuna.
- Il ruolo del migrante. Nel trafficking l’ingresso del migrante nel territorio italiano avverrebbe mediante costrizione o inganno dello stesso, che quindi non aderisce “volontariamente” alla condotta posta in essere dagli sfruttatori-trasportatori: si registrerebbe quindi un rapporto di completa sottomissione di una persona rispetto ad un’altra. Lo smuggling, per contro, si fonderebbe su un consenso da parte dei migranti, che “volontariamente” richiedono l’intervento dei trafficanti e/o accettano la proposta degli stessi, secondo una logica vicina a quella dell’incontro tra domanda e offerta.
- Il bene giuridico tutelato. Nel trafficking il bene giuridico tutelato assumerebbe una dimensione tipicamente individuale e, in definitiva, sarebbe riconducibile alla dignità umana del soggetto sfruttato. Potrebbe trattarsi di stranieri, ma anche, per esempio, di cittadini europei. Nello smuggling il fuoco della tutela si concentrerebbe invece su un bene superindividuale, consistente nell’interesse dello Stato a regolare liberamente gli accessi sul proprio territorio da parte di soggetti stranieri.
Inutile precisare come spesso il traffico di migranti funzioni da anticamera per vere e proprie forme di sfruttamento di soggetti che, in cerca di condizioni di vita migliori rispetto a quelle del Paese di origine, finiscano per trovarsi coinvolti in situazioni a volte prossime alla riduzione in schiavitù[3].
Il più evidente elemento di criticità mostrato da questo criterio di distinzione è indubbiamente quello relativo alla particolare condizione di vulnerabilità in cui, di regola, si trovano i migranti non solo quando gli stessi siano vittime di tratta, ma anche quando “accettino” di prendere parte a viaggi finalizzati al loro ingresso irregolare nel territorio di uno Stato estero. Si tratta, altrimenti detto, della riproposizione di un quesito “tradizionale”: fino a che punto sia possibile individuare una manifestazione di volontà libera e consapevole in una “scelta” proveniente da “soggetti vulnerabili”.
Da questa premessa potrebbe derivare come conseguenza quella di ispirare le scelte di intervento penale in materia di smuggling non tanto alle esigenze di tutela della persona umana quanto a non meglio precisate logiche di “sicurezza”[4].
Al di là della effettiva validità dei criteri in questione e al netto dei loro rapporti reciproci, la conseguenza di immediato ed evidente interesse sul versante del diritto penale è il ruolo attribuito al migrante. Se, infatti, nel trafficking il migrante è vittima del reato (premessa da cui deriva come necessaria conseguenza la irrilevanza penale delle condotte poste in essere dallo stesso), nello smuggling l’ordinamento dei singoli Stati membri ben potrebbe decidere di criminalizzare non solo l’attività dei trafficanti, ma anche quella dei migranti “trasportati” che facciano ingresso irregolare nel territorio degli Stati stessi.
La distinzione tra trafficking e smuggling, con particolare riferimento proprio alle conseguenze che ne derivano in termini di rilevanza penale della condotta del migrante, trova riscontro tanto nella normativa internazionale ed europea quanto sul piano del diritto interno. Sul versante “non nazionale” il riferimento obbligato (al quale, per ragioni di economicità espositiva ci si limiterà in questa sede) è alla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata del 2000 (c.d. Convenzione di Palermo) e, in particolare, ai relativi protocolli addizionali, relativi, rispettivamente al trafficking (Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children) e allo smuggling (Protocol aganist the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air)[5].
Le definizioni offerte dai protocolli in questione sono le seguenti:
“Smuggling of migrants” shall mean the procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident.
“Trafficking in persons” shall mean the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall include, at a minimum, the exploitation of the prostitution of others or other forms of sexual exploitation, forced labour or services, slavery or practices similar to slavery, servitude or the removal of organs.
L’art. 5 del c.d. Protocollo smuggling prevede che i migranti oggetto di una delle condotte descritte al successivo art. 6 non debbano considerarsi penalmente rilevanti. L’opinione più diffusa, tuttavia, è quella per cui mentre dagli strumenti internazionali si ricavi inequivocabilmente l’obbligo di punire coloro che sfruttano o favoriscono l’immigrazione irregolare e, all’opposto, il divieto di punire il migrante vittima di tratta, i singoli Stati conservino un “margine di apprezzamento” relativo alla scelta di punire o meno il “migrante volontario”, sia pur nel rispetto delle norme internazionali a tutela dei diritti umani (a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951)[6].
2.Il quadro normativo offerto dall’ordinamento giuridico italiano: la tratta di esseri umani (art.601 c.p.) e il favoreggiamento all’immigrazione irregolare (art. 12 TU imm.)
Per quanto riguarda le scelte compiute dal legislatore nazionale, le fattispecie che vengono in considerazione sul versante, rispettivamente, del trafficking e dello smuggling, sono la tratta di esseri umani di cui all’art. 601 c.p. e il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, previsto extra codicem dall’art. 12 TU imm.
L’evanescente linea di confine che, già a livello “definitorio”, è dato rinvenire tra il trafficking e lo smuggling si è tradotta (anche) in alcune incertezze applicative relative ai rapporti tra la tratta e il favoreggiamento all’immigrazione irregolare e, in particolare, a un possibile concorso apparente di norme tra l’art. 601 c.p. e l’art. 12 TU imm.
Posto che tanto il primo quanto il terzo comma dell’art. 12 TU imm. si aprono con la clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, parte della giurisprudenza ha ritenuto che il reato di favoreggiamento dovesse ritenersi assorbito in quello di tratta di persone, con conseguente applicazione del solo art. 601 c.p. a fronte di condotte che fossero riconducili ad entrambe le fattispecie: l’ipotesi sarebbe, in particolare, quella in cui l’agevolazione all’ingresso in Italia di uno straniero costituisca al tempo stesso un mezzo per realizzare la tratta del migrante[7].
In senso contrario, tuttavia, valorizzando il profilo attinente al diverso bene giuridico tutelato, si è osservato che l’operatività della clausola di riserva sarebbe condizionata alla circostanza per cui il reato più grave sia posto a tutela del medesimo bene giuridico di quello che si rinviene nella fattispecie “da assorbire”: poiché, per contro, il favoreggiamento all’immigrazione irregolare mira a tutelare l’interesse dello Stato al controllo dei flussi migratori, mentre quello di tratta è posto a presidio della personalità umana, mancherebbero i presupposti per ipotizzare un concorso apparente di norme, imponendosi dunque la soluzione del concorso di reati[8].
Quanto invece alla rilevanza penale delle condotte poste in essere dal migrante trasportato, a venire in considerazione è anzitutto il discusso art. 10-bis TU imm., anche noto alle cronache come il reato di immigrazione clandestina. Tralasciando le perplessità relative al ricorso alla sanzione penale e le ragioni portate a favore di una depenalizzazione delle ipotesi in questione, il primo comma dell’art. 10-bis TU imm. punisce (anche) l’ingresso irregolare dello straniero nel territorio dello Stato: si tratta dunque di una disposizione almeno potenzialmente applicabile ai migranti volontari, che fanno ingresso nel territorio italiano attraverso condotte di “traffico” poste in essere da altri.
Posto che le questioni più problematiche sul piano applicativo sono indubbiamente quelle poste dall’immigrazione irregolare e, dunque, dal fenomeno dello smuggling, sembra opportuno fare riferimento agli orientamenti giurisprudenziali registratisi al riguardo, prendendo in considerazione, più in particolare, il quadro emerso in materia di traffico di migranti via mare.
3.Il traffico di migranti via mare. La triade soggettiva “soccorritori-trafficanti-migranti”
Il dato più significativo, da un punto di vista non solo “politico” ma anche più strettamente “giuridico”, è quello relativo alle differenti modalità del trasporto di migranti irregolari e al conseguente sbarco degli stessi sulle coste italiane.
Il modus operandi più risalente, in effetti, era quello dello “sbarco diretto”: il natante con a bordo i migranti giungeva direttamente e autonomamente sulle coste italiane, rendendo sufficientemente agevole l’individuazione dei profili di rilevanza penale delle condotte poste in essere dai diversi “attori” del traffico di migranti. Più di recente, invece, i trafficanti ricorrono a modalità di trasporto basate su una deliberata segmentazione dell’iter che, dal Paese di partenza (nei casi più recenti, i Paesi nordafricani) conduce fino alle coste italiane: il tutto minimizzando il rischio per i trafficanti e aumentando quello per i migranti. Solitamente, infatti, il “viaggio” si divide in due parti. Nella prima parte i migranti sono trasportati a bordo di navi robuste e capienti, mentre nella seconda parte gli stessi sono traferiti su imbarcazioni più piccole, inadeguate a raggiungere la riva perché prive di carburante, viveri e strumenti di sicurezza, spesso affidate alla guida di uno dei migranti che abbia competenze minime relative alla conduzione di un’imbarcazione. L’obiettivo è quello di provocare “ad arte” le condizioni che legittimano (e, anzi, rendono doveroso) l’intervento da parte dei soccorritori, in conseguenza del quale i migranti raggiungono infine il nostro Paese[9].
Nella complessa vicenda che si viene a determinare si intravede dunque una triade soggettiva, costituita dai soccorritori, dai trafficanti e dai migranti trasportati, che diviene il crocevia di una serie di questioni problematiche, a mezza via tra diritto e processo penale.
3.1 Possibili profili di rilevanza penale dell’attività dei soccorritori
L’inquadramento giuridico delle condotte poste in essere dai soccorritori, almeno fino alle più recenti e note vicende che hanno visto coinvolte le imbarcazioni di alcune ONG, sembrava sufficientemente chiaro.
Il “popolo dei soccorritori” presenta un volto particolarmente eterogeneo, nel quale confluiscono l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex, le Guardie Costiere Nazionali e le ONG, solo per restare alle ipotesi più ricorrenti. Le attività sono coordinate dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia Costiera, con sede a Roma. Anche l’imbarcazione di una ONG, dunque, deve comunicare l’esistenza di una situazione di pericolo in mare al Comando generale, che procederà a coordinare le attività di soccorso: queste ultime potranno considerarsi concluse solo con lo sbarco nel porto sicuro indicato a livello “centrale”. Dalle fonti di riferimento (codice della navigazione, Convenzioni delle Nazioni unite sul Diritto del mare, Convenzione di Londra del 1989 sul salvataggio in mare) si ricava la sussistenza di un vero e proprio obbligo di soccorso in mare per tutti coloro che vengano a conoscenza di una situazione di pericolo in mare: quest’ultima potrebbe sussistere anche in presenza di oggettive situazioni di difficoltà del natante, quali la difficoltà a galleggiare, il suo sovraffollamento, l’assenza di equipaggio professionale a bordo e/o di un’adeguata strumentazione di sicurezza[10].
L’art. 12 TU imm., al primo comma e al terzo, richiede che le condotte di chi promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato siano poste in essere in violazione delle disposizioni del testo unico, estendendo altresì l’incriminazione agli altri atti diretti a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato. Se, dunque, la condotta di soccorso risulta conforme alla normativa di settore, i requisiti di antigiuridicità speciale contenuti nell’art. 12 TU imm. non possono certo ritenersi integrati in presenza di un’attività di soccorso in mare che, tra l’altro, è coordinata dallo Stato[11].
In riferimento ad alcune delle più recenti operazioni di soccorso, tuttavia, si è ipotizzato da parte dell’autorità giudiziaria che le operazioni di soccorso si fossero svolte al di là dei “limiti di liceità” delineati dall’ordinamento: si pensi, in particolare, al caso che ha riguardato la nave Iuventa della ONG Jugend Rettet. I membri dell’equipaggio sono stati accusati di aver posto in essere una serie di condotte, antecedenti e successive al salvataggio, finalizzate a consentire l’ingresso in Italia del più elevato numero possibile di migranti, sebbene lo scopo restasse di carattere umanitario. I “soccorritori”, più esattamente, avrebbero tenuto un incontro in alto mare con i trafficanti libici, a seguito del quale quest’ultimi avrebbero provveduto a scortare un barcone carico di migranti, prontamente traferiti a bordo della Iuventa; concluse le operazioni, gli stessi soccorritori avrebbero restituito ai trafficanti le navi usate per il trasporto, provvedendo altresì alla distruzione di video e foto che avrebbero consentito una loro identificazione[12].
In ipotesi di questo tipo, che rappresentano in ogni caso la patologia (e non la fisiologia) delle operazioni di soccorso, potrebbe ipotizzarsi una responsabilità dei soccorritori per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Più esattamente, si tratterebbe di un concorso nel delitto previsto dall’art. 12 TU imm., secondo lo schema della c.d. coautoria. Meno convincente sembrerebbe l’ipotesi per cui i soccorritori che “restano in attesa” di migranti da soccorrere al largo delle coste libiche rafforzerebbero il proposito criminoso dei trafficanti, nella forma almeno dell’istigazione (concorso morale).
3.2 Profili di rilevanza penale dell’attività dei trafficanti: il nodo pregiudiziale della giurisdizione e la “rinascita” dell’autore mediato
Nessun particolare dubbio sussiste sull’applicazione dell’art. 12 TU imm. ai trafficanti. Trattandosi di un reato di pericolo, si ritiene comunemente che lo stesso possa ritenersi consumato indipendentemente dal fatto che l’ingresso illegale avvenga o meno; quindi, potrebbe dirsi, indipendentemente dal fatto che la condotta posta in essere dai trafficanti giunga fino alle coste italiane oppure si arresti in alto mare.
Le diverse modalità dell’iter attraverso cui si realizza lo smuggling, tuttavia, non risultano del tutto indifferenti, rappresentando anzi la ragione di quella che per il traffico via mare assume la veste di vera e propria questione pregiudiziale: si tratta infatti di verificare se, nel caso in cui il soccorso dei migranti avvenga fuori dalle acque territoriali italiane, sia possibile o meno ritenere sussistente la giurisdizione del nostro Paese.
Proprio al fine di sciogliere questo interrogativo la giurisprudenza di legittimità, in maniera per certi versi inaspettata, ha rispolverato dagli scaffali dell’antiquariato dogmatico la figura del c.d. autore mediato: nelle pronunce più recenti, in effetti, lo schema in questione si trova utilizzato, con intenti che sostanzialmente non vanno al di là del piano descrittivo-classificatorio, soprattutto in riferimento all’errore determinato dall’altrui inganno ex art. 48 c.p.[13]. In questo caso, invece, dall’espediente dogmatico dell’autoria mediata derivano conseguenze indubbiamente decisive sul piano della giurisdizione.
L’intervento dei soccorritori, ad avviso della giurisprudenza, sarebbe solo l’ultimo segmento di un’attività ab initio pianificata da parte dei trafficanti. I soccorritori, dunque, agirebbero in qualità di autore mediato, ex art. 54, comma terzo c.p., in quanto gli stessi si sono trovati a operare in uno stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti e quindi a loro riconducibile[14].
Neppure, precisano i giudici di legittimità, potrebbe invocarsi la scriminante dell’adempimento del dovere in riferimento alla condotta dei soccorritori: «anche ad ammettere che l’intervento di salvataggio fosse doveroso, ai sensi delle convenzioni internazionali sul diritto del mare, nulla ciò toglierebbe al fatto che l'antecedente condotta illecita - posta in essere da chi, salpando dalle antistanti coste mediterranee, trasporta e abbandona i clandestini in acque extraterritoriali, facendo sì che le condotte ulteriori, incluso lo sbarco finale in Italia, siano riconducibili agli esiti del salvataggio medesimo - debba essere intesa come pianificazione complessiva, unitaria ed organica, che si caratterizza per l'elevato rischio fatto correre ai trasportati, opportunamente strumentalizzato al fine di provocare l'intervento dei servizi di soccorso in mare; intervento da ritenere pertanto un tassello essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di atti, che non può essere interrotta o spezzata nella sua continuità, ponendosi in diretta derivazione causale rispetto all'azione criminale di abbandonare in mare le persone in attesa dei soccorsi»[15].
La conseguenza è duplice: i soccorritori non rispondono del reato di favoreggiamento (ovviamente il presupposto è che non siano ravvisabili quelle situazioni “patologiche” cui si è fatto cenno nel paragrafo precedente), mentre il fatto dei trafficanti può considerarsi commesso nel territorio italiano ex art. 6 c.p.
Si tratta di una soluzione che non ha mancato di suscitare delle perplessità, non solo e non tanto per la “tenuta dogmatica” dell’autoria mediata: quest’ultima, infatti, è stata elaborata nell’esperienza giuridica tedesca per colmare alcune lacune che sembravano derivare dalla teoria dell’accessorietà e che, soprattutto, sono legate alle peculiarità di un quadro normativo molto diverso da quello italiano.
Anche a voler ritenere che lo schema in questione, specie se usato in riferimento a fattispecie specifiche, quale, appunto quella del terzo comma dell’art. 54 c.p., abbia un qualche diritto di cittadinanza anche nel nostro ordinamento, resterebbero pur sempre due nodi da sciogliere.
Anzitutto, è sufficientemente consolidata l’opinione per cui 12 TU imm. individui un reato di pericolo a consumazione anticipata e non un reato di evento, non rendendosi dunque necessario, ai fini del suo perfezionamento, l’ingresso illegale nel territorio dello Stato; le Sezioni unite, anzi, hanno di recente ritenuto che la medesima premessa valga per anche per il terzo comma dello stesso articolo 12 TU imm[16]. L’opinione rapidamente riassunta, secondo alcuni, rischierebbe invece di veicolare una surrettizia trasformazione del favoreggiamento all’immigrazione irregolare in reato di evento: la “prosecuzione” dell’attività dei trafficanti, in effetti, si apprezza solo in riferimento all’esito finale, rappresentato dallo sbarco sulle coste italiane[17].
La disposizione di cui all’art. 54, terzo comma c.p., inoltre, non si rivela né utile né necessaria per rendere lecita la condotta dei soccorritori. Non è utile, perché ricondurre la condotta dei trafficanti a una “minaccia” sembra per la verità un’operazione piuttosto ardita dal punto di vista interpretativo[18].
Non è necessaria, perché, come già precisato, l’irrilevanza penale della condotta dei soccorritori non si fonda sull’operatività di una causa di giustificazione, ma, a monte, sul difetto di tipicità per carenza del requisito di illiceità speciale previsto dall’art. 12 TU imm.
Analoghe questioni “pregiudiziali” relative alla giurisdizione si sono poste in riferimento alle associazioni per delinquere (art. 416 c.p.) “con sede” in Africa, ma dirette a produrre effetti in Italia. In proposito, più esattamente, si è affermato che, trattandosi di associazione transnazionale, potrebbe trovare applicazione l’art. 7, n. 5 c.p., secondo cui si applica la legge italiana per ogni reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana. In questo caso a venire in considerazione sarebbe l'art. 15, comma 2, lett. c), ii) della Convenzione di Palermo: la disposizione de qua afferma che lo Stato può determinare la propria giurisdizione in riferimento a quei reati di particolare gravità commessi al di fuori del proprio territorio[19].
Si è efficacemente rilevato come l’art. 7, n. 5 c.p. sembrerebbe riferirsi a quelle norme internazionali che direttamente stabiliscono la giurisdizione di un certo Stato (come i Patti Lateranensi), non già a quelle che, come l’art. 15 della Convenzione di Palermo, prevedono per lo Stato la possibilità di introdurre un nuovo criterio per l’applicazione della propria legge penale, possibilità cui l’Italia non sembra in effetti aver dato seguito alcuno[20].
3.3 Profili di rilevanza penale della condotta dei migranti: il migrante “scafista” e il migrante “passeggero”
Quanto alla responsabilità penale dei migranti trasportati a bordo delle imbarcazioni, si rende necessaria una distinzione preliminare tra i migranti che, nell’ambito della segmentazione dell’iter criminis cui già si è fatto riferimento, si vedono affidata la guida del natante, e i “passeggeri semplici”.
Per il migrante “capitano”, l’ipotesi di reato sarebbe quella di cui all’art. 12 TU imm. Trattandosi di un reato di pericolo, è indifferente (tranne a fini di giurisdizione) che l’imbarcazione guidata dal migrante giunga sulle coste o che lo sbarco avvenga a seguito dell’intervento dei soccorritori.
Nel caso in cui, ovviamente, sia dato ravvisare gli estremi dello stato di necessità, la sua condotta potrà ritenersi scriminata ex art. 54 c.p.: si pensi al caso del migrante che, minacciato dai trafficanti, assuma il controllo dell’imbarcazione, soprattutto dopo aver assistito all’omicidio di un altro migrante, che si era rifiutato di dar seguito alla medesima richiesta[21].
Per il migrante “passeggero semplice”, l’ipotesi di reato sarebbe quella di cui all’art. 10-bis TU imm. Anche in questo caso un eventuale intervento dei soccorritori non risulta indifferente, segnando anzi il confine tra penalmente rilevante e penalmente irrilevante.
Secondo un primo orientamento, qualora l’imbarcazione fosse stata soccorsa in acque internazionali e quindi trasportata, per motivi di soccorso pubblico, fino alla costa italiana, l’art. 10-bis TU imm. sarebbe integrato solo a livello di tentativo, che però, trattandosi di una contravvenzione risulterebbe penalmente irrilevante. Solo nel caso in cui il migrante giunga sulle coste italiane al di fuori di un’operazione di legittimo soccorso, potrebbe ipotizzarsi una responsabilità dello stesso per ingresso irregolare[22].
Si tratta di una questione che produce conseguenze di evidente rilievo sul piano processuale, con particolare riguardo alla veste giuridica da attribuire al migrante: si tratta cioè di chiarire se, una volta giunti sul territorio italiano, i migranti debbano essere sentiti dall’autorità giudiziaria come persone informate sui fatti-testimoni o come indagati.
L’opinione prevalente è quella per cui, qualora sia dato ravvisare una intermediazione da parte soccorritori, la veste giuridica sarebbe quella di persone informate sui fatti prima e di testimoni poi.
A questo risultato si perviene valorizzando giuridicamente l’opera dei soccorritori in una direzione esattamente speculare rispetto a quella che, in riferimento dei trafficanti, ruota attorno al concetto di autore mediato. In questo caso, infatti, si ritiene che, a seguito dell’intervento dei soccorritori, l’ingresso nel territorio italiano, lungi dal potersi considerare volontario, sarebbe addirittura da ritenere coatto, imposto dall’autorità competente[23]: l’opera dei soccorritori, altrimenti detto, interromperebbe naturalisticamente e giuridicamente la condotta dei migranti, impedendo di considerarla unitariamente sul piano di una possibile rilevanza penale.
L’impressione che ne deriva è quella di una coperta troppo corta per coprire, in maniera sistematicamente coerente, le diverse ipotesi riassunte dalla triade “soccorritori-trafficanti-migranti”, le cui componenti, pur distinte, sono tenute insieme da una fitta trama di relazioni reciproche.
A prevalere sono le esigenze di tutela che di volta in volta si considerano prevalenti. Nel caso dei trafficanti, la priorità è quella di radicare la giurisdizione in Italia, anche perché, in caso contrario, avrebbe gli effetti sperati quella “segmentazione del viaggio” che sempre più spesso rappresenta lo strumento per raggiungere le nostre coste. Nel caso dei migranti, l’esigenza è piuttosto quella di contenere al massimo i costi che deriverebbero da una generalizzata estensione della qualità di indagati ai migranti trasportati a bordo delle imbarcazioni. Costi che, come evidenziato, non sono solo economici e di sistema (assistenza del difensore nelle varie fasi delle audizioni fino alla conclusione del procedimento; iscrizione nel registro degli indagati di tutti i migranti giunti via mare in Italia), ma anche umani: trattare come indagati anche coloro che giungono in Italia a seguito di viaggi disperati o di naufragi mortali per alcuni dei loro compagni di viaggio, prima ancora di conoscere la loro posizione in termini “umanitari”, vorrebbe dire “mancare di rispetto” a delle persone che versano in una condizione di estrema vulnerabilità[24].
La sfida, in questo momento storico, è probabilmente tutta qui: incrociare lo sguardo di chi ha occhi che, per citare Manzoni, non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante. Si tratta solo di verificare se e fino a che punto il diritto penale sia dotato di spalle sufficientemente solide per sopportare il peso dell’arduo fardello di cui si trova caricato.
[1] Il presente contributo costituisce il testo, rivisto e corredato di note essenziali, della relazione tenuta in occasione del Convegno Disciplina penale dell’immigrazione e dello sfruttamento lavorativo, svoltosi presso il Palazzo di Giustizia di Firenze il 4 febbraio 2019.
[2] V. Militello, La tratta di esseri umani: la politica criminale multilivello e la problematica distinzione con il traffico dei migranti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2018, 90, al quale si rinvia fin da ora anche per più ampie indicazioni bibliografiche.
[3] V. Militello, La tratta di esseri umani, cit., 104.
[4] V. Militello, La tratta di esseri umani, cit., 91 ss. evidenzia l’opportunità di una visione integrata, che tenga conto tanto della tutela dei diritti umani quanto di logiche più strettamente securitarie.
[5] V. sul punto L. Goisis, L’immigrazione clandestina e il delitto di tratta di esseri umani. Smuggling of migrants e Trafficking in persons. La disciplina italiana, in Dir. pen. cont., 18 novembre 2016.
[6] R. Barberini, La rilevanza penale del fenomeno migratorio, in Quest. giust., 30 ottobre 2015, § 1.
[7] Cass., Sez. V pen., 25 marzo 2010, n. 20740.
[8] Cass., Sez. III pen., 8 ottobre 2015, n. 50561. Cfr. Cass., Sez. IV pen., 28 febbraio 2017, n. 13849, che, in ragione della clausola di riserva contenuta nell’art. 323 c.p., ha escluso il concorso formale di reati tra l’abuso d’ufficio e il falso in atto pubblico, osservando anche come l’omogeneità del bene giuridico tutelato non rappresenti un presupposto necessario all’operatività della clausola e che, anzi, ridurrebbe il meccanismo in questione a mero duplicato del principio di specialità.
[9] A. Giliberto, Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e soccorso in acque internazionali: il problema della veste processuale da attribuire ai migranti trasportati, in Dir. pen. cont., 3/2017, 326-327.
[10] Per più ampie indicazioni, in una prospettiva penalistica, S. Bernardi, I (possibili) profili penalistici delle attività di ricerca e soccorso in mare, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2018, 137-138.
[11] S. Bernardi, I (possibili) profili penalistici, cit., 138, che, condivisibilmente, ritiene superfluo il riferimento all’art. 51 c.p. registratosi nella giurisprudenza più risalente.
[12] Amplius R. Barberini, Il sequestro della Iuventa: ong e soccorso in mare, in Quest. giust., 18 settembre 2017. Sui “casi” Open Arms e See Watch v. A. Natale, Open Arms: l’avviso di conclusione indagini. Se la disobbedienza diventa violenza…, in Quest. giust., 18 dicembre 2018; S. Greco, Le ong in acque agitate tra Sicilia orientale e Sicilia occidentale, ivi, 18 luglio 2018; G. Licastro, Una breve e mirata notazione. Contra la criminalizzazione delle ONG: una rilevante apertura all’osservanza degli obblighi discendenti dalle convenzioni internazionali, in Giurisprudenza penale Web, 10/2018. Più in generale v. anche L. Masera, L’incriminazione dei soccorsi in mare: dobbiamo rassegnarci al disumano?, in Quest. giust., 2/2018; S. Manacorda, Il contrasto penalistico della tratta e del traffico di migranti nella stagione di chiusura delle frontiere, in Dir. pen. proc., 11/2018.
[13] V. per esempio Cass., Sez. II pen., 23 gennaio 2013, n. 9226; Cass., Sez. V pen., 15 novembre 2012, n. 6388. Sui rapporti tra autoria mediata e concorso di persone nel reato Cass., Sez. II pen., 26 ottobre 2016, n. 3644 e, ovviamente, T. Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Giuffrè, 1973.
[14] Tra le più recenti Cass., Sez. I pen., 16 marzo 2018, n. 29832: «In punto di giurisdizione questa Corte ha ripetutamente affermato (da ultimo, Sez. 1, n. 20503 del 08/04/2015, Iben Massaoud, Rv. 263670) che sussiste quella del giudice italiano relativamente al delitto di trasporto e procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extra-comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall'estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l'intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità - espressamente richiamata nell'incipit del D. Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 2 - è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 54 c.p., comma 3, in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale (causa causae est causa causati: v. anche Sez. 1, n. 14510 del 28/02/2014, Haji Hassan)». In termini analoghi Cass., Sez. I pen., 10 dicembre 2014, n. 3345; Cass., Sez. I pen., 28 febbraio 2014, n. 14510. Cfr. Cass., Sez. I pen., 8 aprile 2015, n. 20503: «Ne discende che l'azione dei soccorritori, che consente ai migranti di giungere nel nostro territorio, è riconducibile alla figura dell'autore mediato di cui all'art. 48 c.p., conseguente allo stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti, che è sanzionabile nel nostro Stato, ancorché materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale».
[15] V. ancora Cass., Sez. I pen., 16 marzo 2018, n. 29832.
[16] Cass., Sez. un. pen., 21 giugno 2018, n. 40982.
[17] M.T. Trapasso, Il richiamo giurisprudenziale all’“autoria mediata” in materia di favoreggiamento all’immigrazione clandestina: tra necessità e opportunità, in Arch. pen., 2/2017, 585.
[18] Neppure potrebbe farsi riferimento alla c.d. scriminante umanitaria prevista dall’art. 12, comma 2 TU imm., che può trovare applicazione per le attività di soccorso e assistenza prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti sul territorio dello Stato.
[19] Cass., Sez. I pen., 8 aprile 2015, n. 20503.
[20] R. Barberini, La rilevanza penale del fenomeno migratorio, cit., § 2.
[21] GUP Trapani, 9 novembre 2016, Abdallah.
[22] Cass., Sez. I pen., 18 dicembre 2017, n. 15849; Cass., Sez. un. pen. 28 aprile 2016, n. 40517. Contra, A. Giliberto, Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, cit., 330, ad avviso del quale, sul piano oggettivo, non sussisterebbe ostacolo alcuno a ritenere integrato l’art. 10-bis imm. dalla condotta del migrante il quale, soccorso in mare, faccia ingresso su territorio nazionale: la fattispecie, infatti, non attribuisce alcun rilievo alle concrete modalità attraverso cui avvenga l’ingresso irregolare. Anche sul piano dell’elemento soggettivo non sussisterebbero particolari difficoltà ad accertare almeno la colpa del migrante.
[23] Cass., Sez. I pen., 21 settembre 2011, n. 44016.
[24] R. Barberini, La rilevanza penale del fenomeno migratorio, cit., § 5.