Sommario: 1. Premessa. I multiformi interventi normativi in materia di sicurezza nazionale. – 2. Legittimità e (il)legalità nel quadro operativo dei Servizi di informazione. – 3. Lo statuto penale della “speciale” causa di giustificazione per gli agenti dei Servizi di informazione. Cenni ricostruttivi. – 4. Il nuovo confine applicativo della scriminante speciale nel D.d.l. “Sicurezza”. – 5. La ratio della nuova “domanda di giustificazione”. – 6. Conclusioni interlocutorie. Sulla ragionevolezza delle proposte di modifica.
1. Premessa. I multiformi interventi normativi in materia di sicurezza nazionale
Le riflessioni di seguito sviluppate sono volte ad analizzare in chiave critica una disposizione di ordine penalistico che è stata del tutto marginalizzata nel dibattito sorto fin dalle prime fasi della presentazione parlamentare del D.d.l. A.C. 1660 recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario» (d’ora in avanti D.d.l. “Sicurezza”)[1], attualmente in discussione al Senato (A.S. 1236)[2].
Nell’ambito del D.d.l. “Sicurezza”, ormai noto come uno “zibaldone” che raccoglie, nei suoi trentotto articoli, un eterogeneo novero di previsioni anche penali, in particolare il disposto dell’art. 31 («potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza») reca un nutrito ventaglio di interventi normativi, tutti finalizzati alla tutela della sicurezza nazionale, e che qui di seguito si richiameranno, salvo soffermarsi criticamente solo su uno di essi di sicuro rilievo penalistico.
Per accostarsi al tema è bene ricordare che la previsione citata, anzitutto, rende permanenti talune disposizioni per il potenziamento dell’attività dei Servizi di informazione, introdotte, in via temporanea, dall’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7[3] e dall’art. 4, co. 2-bis, D.l. 27 luglio 2005, n. 144[4] e poi successivamente prorogate fino al 30 giugno 2025.
Le disposizioni destinate a diventare permanenti interessano, peraltro, diversi settori dell’ordinamento e non poche sono le previsioni innovative nei contenuti.
In primo luogo, si amplia il novero di condotte di reato scriminabili che gli operatori dei Servizi di informazione per finalità istituzionali possono compiere su autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, oltre a quelle già “giustificate” dal D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, “accedono” alla previsione di liceità anche l’organizzazione e la direzione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, nonché la detenzione di materiale con finalità di terrorismo[5] e la fabbricazione o detenzione di materie esplodenti[6]. A tal fine, si novella l’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124, ampliandone il perimetro operativo.
Si prevede poi l’attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione, al personale militare impiegato nella tutela delle strutture e del personale del Dipartimento per le informazioni per la sicurezza (DIS) o dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI) (si introduce, in proposito, un apposito comma 1-bis nell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7)[7].
Si stabilizza, inoltre, la tutela processuale in favore degli operatori dei Servizi di informazione, attraverso l’utilizzo di identità di copertura[8] negli atti dei procedimenti penali avviati per le condotte-reato degli operatori medesimi realizzate nell’ambito delle attività istituzionali, previa comunicazione, con modalità riservate, all’Autorità giudiziaria procedente contestualmente all’opposizione della “speciale” causa di giustificazione (art. 19, L. 3 agosto 2007, n. 124; anche tale nuova previsione è affidata a un nuovo comma 1-ter dell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7).
Ancora, in base al nuovo comma 1-quater dell’art. 8, D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, viene messa a regime la misura che consente all’Autorità giudiziaria, su richiesta del direttore generale del DIS, dell’AISE e dell’AISI, di autorizzare gli addetti dei Servizi di informazione a deporre in ogni stato e grado del procedimento con identità di copertura, ove sia necessario mantenere segrete le loro vere generalità nell’interesse della sicurezza della Repubblica o per tutelarne l’incolumità.
Infine, si introduce in modo permanente la possibilità che i direttori dell’AISE e dell’AISI, o altro personale espressamente delegato, siano autorizzati dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma, previa richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, a condurre colloqui investigativi con detenuti e internati, per finalità di acquisizione informativa per la prevenzione di delitti con finalità terroristica di matrice internazionale. Si interviene, in questo caso, nell’ambito dell’art. 4, co. 2-bis, D.l. 27 luglio 2005, n. 144.
In aggiunta, si modificano disposizioni preesistenti e se ne introducono di nuove, sempre riguardanti l’attività di intelligence.
In primis viene previsto, in maniera cogente, che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati siano tenuti a prestare agli organi del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica – DIS, AISE e AISI – la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale; si estende poi tale potere nei confronti di società partecipate e a controllo pubblico. In tal senso, si modifica quindi l’art. 13, co. 1, L. 3 agosto 2007, n. 124 e la sua rubrica.
Inoltre, si prevede la possibilità per l’AISE e l’AISI di richiedere alle autorità nazionali competenti di cui all’art. 5 del citato decreto legislativo (ossia il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza e la Direzione investigativa antimafia), secondo modalità definite d’intesa, le informazioni e le analisi finanziarie connesse al terrorismo (nuovo comma 1-bis inserito nell’art. 14, D.lgs. 8 novembre 2021, n. 186[9]). Ciò, al fine di prevenire ogni forma di aggressione terroristica di matrice internazionale. Viene così integrata la previsione secondo cui le Forze di polizia devono condividere tempestivamente, secondo modalità definite d’intesa, le informazioni finanziarie e le analisi finanziarie (art. 14, co. 1, D.lgs. 8 novembre 2021, n. 186).
Tracciata questa sommaria sequenza di modifiche normative che il Legislatore intende approvare in via definitiva, nel prosieguo del lavoro ci si concentrerà esclusivamente sui nuovi ambiti di operatività della “speciale” causa di giustificazione delineata per la tutela del personale dei Servizi di informazione nell’art. 31, co. 1, lett. b), D.d.l. “Sicurezza”, il cui contenuto è destinato a transitare nel vigente art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124[10].
2. Legittimità e (il)legalità nel quadro operativo dei Servizi di informazione
Prima di procedere oltre, ancora qualche ulteriore precisazione preliminare.
Lo statuto penale della “speciale” causa di giustificazione tipizzata nell’art 17, L. 3 agosto 2003, n. 124 – su cui si ritornerà meglio di qui a poco – che consente agli agenti dei Servizi di informazione di compiere condotte che fuoriescano dall’alveo della legalità per finalità operativo-istituzionali riflette una logica di bilanciamento tra fini perseguiti e mezzi impiegati riconducibile alla tradizione filosofico-politica di matrice machiavellica.
In questo quadro, il tema della legittimità e (il)legalità dell’operato dei Servizi di informazione assume particolare rilievo, poiché le condotte realizzate, pur integrando formalmente fattispecie di reato, sono ritenute legittime in quanto finalizzate al perseguimento di un’utilità generale espressamente sancita da una norma primaria.
A tal proposito, Francesco Cossiga osservava nel suo Abecedario – con specifico riferimento all’attività dei Servizi di informazione, condotta attraverso modalità e strumenti non convenzionali – che «la “legittimità dei fini” viene a prevalere sulla “legalità dei mezzi”»[11].
La peculiare missione assegnata a tali apparati dello Stato quindi presuppone, in determinati contesti, l’impiego di mezzi non convenzionali, talvolta al di fuori dei confini della legalità ordinaria, in funzione del preminente e supremo interesse della sicurezza dello Stato, bene istituzionale che legittima «il superamento della frontiera della legge comune»[12]. Ne consegue che gli operatori d’intelligence devono essere consapevoli della condizione di “illegalità tollerata” in cui si inscrive la loro azione, la cui ammissibilità risulta rigorosamente circoscritta e vincolata all’obiettivo superiore della salvaguardia dello Stato.
La richiamata prevalenza del fine ultimo da perseguire rispetto al mezzo impiegato acquista particolare rilievo nei contesti in cui si trovano in bilanciamento due beni sovraindividuali antagonisti, come la sicurezza dello Stato e l’interesse alla repressione dei reati. L’ammissione di tale prevalenza implica, quindi, l’accettazione che, in determinate circostanze, la salvaguardia di un interesse avente ancoraggio costituzionale – quale la tutela della sicurezza dello Stato (cfr. artt. 1, 5, 52, 87, 126 Cost.) – possa legittimare significative deroghe al corretto esercizio della giurisdizione, interesse anch’esso sovraindividuale e dotato, di certo, di investitura costituzionale (cfr. artt. 101-110 Cost.).
Peraltro, di fronte al problema di stabilire come la Costituzione affronti il bilanciamento tra l’interesse alla sicurezza dello Stato e quello della funzione giurisdizionale nei casi in cui tali interessi vengano a confliggere, la Corte costituzionale, nel leading case in tema di segreto politico-militare, ha perentoriamente stabilito che «la sicurezza dello Stato costituisce interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca, […], la esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione»[13]. Come a dire che innanzi a un interesse super-primario quale è la sicurezza dello Stato, altri beni giuridici facenti capo dallo Stato, quali l’esercizio della giurisdizione, sono destinati a soccombere in forza della necessità di presidiare la salus rei publicae. Il ragionamento della Corte sembra allora essere guidato da una rigida scala gerarchica di beni giuridici, nella quale l’interesse alla sicurezza statuale detiene una prevalenza automatica, predeterminata e assoluta rispetto a tutti gli altri beni costituzionalmente protetti.
Tali affermazioni giurisprudenziali, a quasi cinquant’anni di distanza, non appaiono tuttavia del tutto allineate col diritto vivente della Corte europea dei diritti dell’uomo, in cui, pur riconoscendosi a ciascuno Stato un ampio margine di apprezzamento nella definizione delle misure da attuare nel diritto domestico in materia di sicurezza nazionale, si ribadisce fermamente che taluni diritti fondamentali facenti capo alla persona umana, di rango convenzionale e qualificati come inderogabili, non possono essere sacrificati in nome di esigenze securitarie[14].
E di tale limite è consapevole – almeno sulla carta – il Legislatore nel congegnare la “speciale” causa di giustificazione, su cui occorre ora porre attenzione.
3. Lo statuto penale della “speciale” causa di giustificazione per gli agenti dei Servizi di informazione. Cenni ricostruttivi
Si rende necessario, a questo punto, tratteggiare a grandi linee alcuni aspetti ricostruttivi della “speciale” causa di giustificazione, la quale prende forma, tanto su un piano sostanziale quanto processuale[15], negli artt. 17-20 della L. 3 agosto 2007, n. 124[16], da affiancarsi alla previsione generale di cui all’art. 51 c.p.[17].
La legge di riforma del 2007 ha implementato, anzitutto, sul piano istituzionale, un apposito e articolato Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, comprendente gli organi e le autorità che, nell’ordinamento italiano, sono incaricati di valutare le minacce provenienti sia dall’interno che dall’esterno del territorio nazionale, in modo da consentire l’adozione, da parte del circuito politico-democratico, delle decisioni ritenute più opportune per la salvaguardia della sicurezza della Repubblica.
Contestualmente, è stata elaborata una nuova disciplina del segreto di Stato, anche di chiaro rilievo penale, in quanto destinata a fungere da elemento integrativo delle fattispecie codicistiche in materia di delitti contro il segreto di Stato (artt. 256-263 c.p.).
Ai fini dell’analisi delle modifiche introdotte dal D.d.l. “Sicurezza”, per quanto qui di interesse ci si soffermerà esclusivamente sulla dinamica operativa dell’art. 17 («ambito di applicazione delle garanzie funzionali»), in cui si è delineato il perimetro di liceità penale delle attività dei dipendenti dei Servizi di informazione (AISE e AISI) impegnati nelle funzioni istituzionali di tutela del supremo interesse della sicurezza dello Stato.
La «speciale causa di giustificazione»[18] – così normativamente identificata dallo stesso art. 17, co. 2, L. 3 agosto 2007, n. 124 – si distingue per una struttura tutta particolare, non solo in ragione della sua natura di scriminante “speciale”, in quanto riservata a una ristretta categoria di soggetti, ma anche per le sue intrinseche caratteristiche e peculiari modalità operative.
In base al successivo art. 18, co. 1-2 sono difatti normate le «procedure di autorizzazione delle condotte previste dalla legge come reato»: la fattispecie giustificativa si perfeziona, in questo modo, con un concreto atto autorizzativo motivato, emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, ove istituita, dall’Autorità delegata, sulla base di una circostanziata richiesta del direttore del Servizio di informazione interessato, tempestivamente trasmessa informandone il DIS.
In questo senso, dunque, il bilanciamento fra interessi confliggenti non è interamente pre-determinato in astratto dalla Legge, ma è rimesso, in concreto, di volta in volta alla valutazione dell’Autorità politica[19].
La formulazione del testo dell’art. 17, almeno nella sua versione attualmente nota, mette in evidenza come il Legislatore della riforma intenda disciplinare i presupposti fattuali e i criteri di ponderazione degli interessi che la citata Autorità deve osservare nella concessione dell’autorizzazione a compiere condotte costituenti reato. Tuttavia, non si specificano né i reati a cui si riferisce la scriminante, se non indicando in negativo quelli (molto gravi) che sono sicuramente esclusi dall’ambito attuativo dell’art. 17, né le condotte che possano essere legittimamente compiute. Il Legislatore non ha quindi individuato “in chiaro” il numerus clausus di delitti suscettibili di giustificazione, optando invece per un diverso approccio, fondato sull’individuazione di beni giuridici intangibili[20].
In particolare, gli agenti dei Servizi di informazione, nell’ambito di operazioni «legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali» svolte (art. 17, co. 1), potranno realizzare un numero indeterminato di delitti, eccettuati quelli «diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone» (art. 17, co. 2).
Si tratta, all’evidenza, di una selezione di interessi assolutamente prevalenti e non comparabili con l’interesse al perseguimento delle finalità istituzionali dei Servizi, ritagliata secondo un criterio di stretta inerenza personale dell’interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice, in modo da salvaguardare la dignità umana e vietare la strumentalizzazione della persona in ossequio all’art. 2 Cost.[21].
Non si indagano in questa sede i risvolti critici di tale approccio metodologico in relazione ai reati suscettibili di giustificazione. È sufficiente rilevare come i vantaggi derivanti dalla mancata predeterminazione siano evidenti: si evita di precludere agli appartenenti ai Servizi di informazione l’accesso a strumenti operativi che, per loro natura, potrebbero non essere facilmente individuabili in via preventiva.
Accanto al primo limite di condotta, relativo ai beni non comprimibili di cui all’art. 17, co. 2, il Legislatore ha aggiunto il «rispetto rigoroso» di ulteriori specifiche esclusioni, indicate nei successivi commi e che si richiamano sinteticamente di seguito.
In particolare, nel comma 3 sono oggettivamente esclusi, fra i reati autorizzabili, i delitti puniti dagli artt. 255, 289, 294 e i reati in materia di prostituzione[22]. Sono parimenti esclusi i «»>span class="arttextincomma">, fatte salve le condotte di favoreggiamento personale o reale strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali dei Servizi di informazione e attuate nel rigoroso rispetto delle procedure previste dall’art. 18. Resta fermo, tuttavia, che tali condotte non possono consistere in false dichiarazioni rese all’Autorità giudiziaria, nell’occultamento della prova di un delitto o in attività volte a sviare le indagini disposte dall’Autorità medesima.
Ancora, il comma 4 della norma introduce ulteriori esclusioni oggettive, stabilendo che non possono essere autorizzate – e, conseguentemente, non rientrano nel raggio “liberatorio” della scriminante – le «condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell’articolo 39, comma 11, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270-bis, secondo comma, e 416-bis, primo comma, del codice penale»[23]. Pertanto, al di là delle fattispecie di partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo e di partecipazione ad associazioni di tipo mafioso anche straniere, le ulteriori fattispecie incriminatrici tipiche dei fenomeni terroristici, non possono essere autorizzate – e quindi neppure scriminate – a causa della non opponibilità del segreto di Stato. Tuttavia, si vedrà subito a seguire che il dato normativo qui oggetto di attenzione deve essere coordinato con la disposizione provvisoria dell’art. 8, co. 2, lett. a), D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, che si pone in deroga all’art. 17, co. 4.
Il comma 5, in aggiunta, amplia le ipotesi di reato escluse dalla scriminante, dando rilievo a dei limiti sia ratione loci che intuitu personae. Vengono in particolare vietate in modo assoluto le condotte «effettuate nelle sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in un’assemblea o consiglio regionale, nelle sedi di organizzazioni sindacali ovvero nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all’albo». Si tratta – com’è evidente – di contesti, tanto oggettivi quanto soggettivi, in cui entrano in gioco principi costituzionali posti a tutela, in particolare, della libertà sindacale, del diritto di associazione in partiti politici, della libertà di stampa, etc.
Al comma 6 sono infine precisate le particolari condizioni, forse di non facile determinazione ex ante, per l’applicabilità della scriminante.
Il primo criterio stabilisce che le condotte-reato devono essere realizzare «nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi di informazione per la sicurezza, in attuazione di un’operazione autorizzata e documentata ai sensi dell’articolo 18 e secondo le norme organizzative del Sistema di informazione per la sicurezza» (art. 17, co. 6, lett. a). Al tal riguardo, alla condizione “formale” della previa autorizzazione da parte dell’Autorità politica e della relativa documentazione, si affianca un requisito “finalistico” secondo cui le condotte devono essere realizzate nell’ambito dello svolgimento delle funzioni istituzionali normativamente attribuite ai Servizi, in conformità a quanto disposto dagli artt. 6 e 7, L. 3 agosto 2007, n. 124.
In secondo luogo, quale ulteriore presupposto per l’invocabilità della scriminante, è prescritta la condizione di “proporzionalità” rispetto allo scopo dell’attività autorizzata, che ne restringe l’ambito di operatività. Tale requisito compendia una serie di esigenze concorrenti, tutte finalizzate a ribadire il necessario equilibrio che deve intercorrere fra obiettivi perseguiti e violazione della legge penale. Le condotte integrative delle fattispecie di reato devono dunque essere «indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione non altrimenti perseguibili» (lett. b)), devono essere «il frutto di una obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti» (lett. c)) e devono essere «effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli interessi lesi» (lett. d))[24].
Se questa è la cornice della progettata disciplina di riferimento, l’indagine deve ora rivolgersi ai profili contenutistici di dettaglio della materia.
4. Il nuovo confine applicativo della scriminante speciale nel D.d.l. “Sicurezza”
Come in parte già evidenziato, l’art. 31, co. 1, lett. b), D.d.l. “Sicurezza” pone a regime la disposizione in materia di garanzie funzionali che era stata introdotta in via transitoria – sotto impellenti esigenze di contrasto al terrorismo internazionale di matrice islamico-radicale – dall’art. 8, co. 2, lett. a), D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, e successivamente prorogata più volte[25].
A tal fine, contestualmente alla stabilizzazione della norma provvisoria anti-terrorismo del 2015, il Legislatore intende trasfonderne il contenuto nel “corpo” dell’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124, pur ampliandone maggiormente la portata applicativa “scriminante”: in specie, ne estende lo “scudo protettivo” anche rispetto a ulteriori e gravi delitti con finalità di terrorismo.
In sintesi, quindi, si possono riscontrare tre differenti discipline in tema di garanzie funzionali per il personale dei Servizi di informazione, che seguono un percorso di progressivo ampliamento delle stesse: a) la disciplina “ordinaria” introdotta con l’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124, attualmente vigente in maniera permanente; b) la disciplina “anti-terrorismo” introdotta con l’art. 8, co. 2, lett. a), D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, attualmente vigente in maniera temporanea fino al 30 giugno 2025 e che deroga a quanto previsto dalla normativa del 2007[26]; c) la disciplina di nuovo conio di cui al D.d.l. “Sicurezza” da rendere permanente e ordinaria ai sensi dell’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124.
Secondo la progettata riforma, quindi, non possono essere autorizzate, ai sensi dell’art. 18, L. 3 agosto 2007, n. 124, le condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell’art. 39, co. 11, «ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270, secondo comma, 270-bis, primo comma, limitatamente alle ipotesi di direzione e organizzazione dell’associazione, nonché secondo comma, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 270-quinquies.3, 302, 306, secondo comma, 414, quarto comma, 416-bis, primo comma, e 435 del codice penale»[27].
È facile evidenziare che, rispetto alle formulazioni del 2007 e del 2015, quella attualmente in fase di discussione parlamentare amplia significativamente lo spettro operativo della scriminante speciale, estendendola non solo a nuovi delitti con finalità di terrorismo, ma anche ad altri reati, pur di particolare gravità.
Rimangono allora attratti nelle maglie della “giustificazione” i seguenti reati: a) partecipazione ad «associazioni sovversive» (art. 270, co. 2, c.p.); b) direzione e organizzazione di «associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico» (art. 270-bis, co. 1, c.p.); c) partecipazione ad «associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico» (art. 270-bis, co. 2, c.p.); d) «assistenza agli associati» rispetto alle associazioni indicate agli artt. 270 e 270-bis c.p. (art. 270-ter c.p.); e) «arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quater c.p.); f) «organizzazione di trasferimento per finalità di terrorismo» (art. 270-quater.1 c.p.); g) «addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale» (art. 270-quinquies c.p.); h) «finanziamento di condotte con finalità di terrorismo» (art. 270-quinquies.1 c.p.); i) «detenzione di materiale con finalità di terrorismo» (art. 270-quinquies.3 c.p.); l) istigazione a commettere alcuno dei delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato (art. 302 c.p.); m) partecipazione a «banda armata» (art. 306, co. 2, c.p.); n) istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità o apologia degli stessi delitti (art. 414, co. 4, c.p.); o) partecipazione ad «associazioni di tipo mafioso anche straniere» (art. 416-bis, co. 1, c.p.); p) «fabbricazione o detenzione di materie esplodenti» (art. 435 c.p.).
5. La ratio della nuova “domanda di giustificazione”
Nell’intento di indagare, in una prospettiva teleologico-funzionale, le ragioni sottese all’ampliamento della scriminabilità delle condotte costituenti reato, si può ritenere che queste trovino fondamento nella recrudescenza della minaccia terroristica “post-Charlie Hebdo” e nel connesso fenomeno del terrorismo “mobile”[28], tipico dei foreign terrorist fighters. Si ricorderà, peraltro, che già nel biennio 2015-2016, il Legislatore “dell’emergenza” era stato indotto a intervenire, con lo strumento della decretazione d’urgenza, sulla complessa stratificazione normativa del codice Rocco in materia di anti-terrorismo, apportando significative modifiche alle fattispecie esistenti e introducendone di nuove, anche di natura contravvenzionale[29].
In primo luogo, come può notarsi dall’articolata griglia di figure di reato ricomprese nell’area della scriminante speciale, mentre per le associazioni sovversive la scriminante si applica esclusivamente alla condotta di partecipazione all’associazione prevista dall’art. 270, co. 2, c.p. – prevedendosi al comma 1 della medesima disposizione la punibilità della promozione, costituzione, organizzazione o direzione –, nel caso delle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, essa si estende non solo alla condotta del partecipe (art. 270-bis, co. 2, c.p.), ma anche a quelle più gravi di organizzazione e direzione (art. 270-bis, co. 1, c.p.).
In quest’ultimo senso, nelle scelte del Legislatore del D.d.l. “Sicurezza” può avere pesato la circostanza che talune informazioni di natura operativa – quali, ad esempio, la pianificazione di azioni violente o elementi cognitivi inerenti al patrimonio e alla logistica dell’organizzazione – risultano accessibili esclusivamente a coloro che ricoprono ruoli apicali, organizzativi e direttivi, all’interno del consorzio terroristico oggetto di attività di intelligence.
Conseguentemente, la buona riuscita di un’attività di infiltrazione dei Servizi di informazione all’interno di cellule terroristiche è strettamente connessa alla possibilità di scalare le gerarchie dell’organizzazione. Interrompere la raccolta informativa proprio nel momento in cui si aprirebbe l’opportunità di acquisire informazioni più rilevanti – grazie alla promozione sul campo, all’interno dell’organizzazione, di fonti o operatori dei Servizi stessi – rischierebbe di compromettere l’intera attività di intelligence. L’assenza di un adeguato sostegno normativo che legittimi la «“scalata al vertice”» degli infiltrati potrebbe infatti determinare un «un “depauperamento” del patrimonio informativo sotto molteplici profili ed il mancato successo dell’operazione»[30].
Nella configurazione delle operazioni informative finalizzate all’acquisizione di informazioni relative alla minaccia terroristica, emerge, poi, in una prospettiva prasseologica, come lo svolgimento concreto di tali attività possa condurre il personale dei Servizi di informazione a porre in essere condotte configurabili come reato, talvolta contigue alla partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale.
Si faccia quindi riferimento ai casi in cui l’organizzazione oggetto di interesse informativo assuma le caratteristiche di una banda armata, integrando così la fattispecie delittuosa prevista dall’art. 306 c.p., ovvero, in alternativa, quella meno grave dell’associazione sovversiva di cui all’art. 270 c.p. In tali circostanze, gli agenti coinvolti nella raccolta informativa potrebbero quindi incorrere nei reati di partecipazione ad associazioni sovversive (art. 270, co. 2, c.p.) e di partecipazione a banda armata, ex art. 306, co. 2, c.p.
L’apposita indicazione dei reati codificati negli artt. 270-bis c.p. e 306 c.p. evidentemente trova fondamento nell’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità che ravvisa la possibilità del concorso fra il reato di banda armata e quello di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale[31].
Quanto invece alla relazione qualificata fra le figure criminose di cui agli artt. 270 e 270-bis c.p. la giurisprudenza prevalente è dell’opinione che fra le due fattispecie non sia configurabile un concorso di reati[32]. In ogni caso, la scelta del Legislatore sembra quella di conferire una più certa base normativa alle operazioni dei Servizi di informazione realizzabili mediante autorizzazione di condotte di reato, dando riconoscimento alle diverse ipotesi criminose cui può dare luogo lo svolgimento delle specifiche attività informative[33].
Si consideri, inoltre, che, con particolare riferimento al fenomeno delle attività finalizzate a favorire il reclutamento di membri per formazioni terroristiche di matrice jihadista nei Paesi occidentali, spesso avvalendosi sapientemente di strumenti informatici e telematici, le operazioni dei Servizi possono rendere necessaria la commissione di ulteriori condotte oltre a quelle riconducibili alla partecipazione ad associazioni sovversivo-terroristiche. In tale prospettiva, sembra giustificarsi la scelta del Legislatore di rendere non punibili le condotte costituenti i reati di cui agli artt. 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 302 e 414, co. 4, c.p.
La causa di giustificazione prevista dall’art. 17, L. 3 agosto 2007, n. 124, in questi termini, assicurerebbe una maggiore flessibilità operativa, consentendo un’azione informativa quanto più possibile conforme alle nuove dinamiche con cui si manifesta e si sviluppa la minaccia terroristica[34].
Del tutto inedito risulta l’inserimento, fra i reati oggetto di “giustificazione”, del nuovo art. 270-quinquies.3 c.p., in base al quale è punito, con la reclusione da due a sei anni, chiunque – al di fuori dei casi di cui agli artt. 270-bis e 270-quinquies – consapevolmente si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di congegni bellici micidiali di cui all’art. 1, co. 1, L. 18 aprile 1975, n. 110, di armi da fuoco o di altre armi o di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché su ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale[35].
Parimenti inedita risulta la scriminabilità del reato di cui all’art. 435 c.p., il cui campo applicativo è al contempo ampliato dal D.d.l. “Sicurezza” tramite l’introduzione di un nuovo comma 2. La progettata disposizione punisce, con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chiunque – fuori dei casi di concorso nel reato di cui al primo comma – con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso delle materie o sostanze indicate al medesimo comma, o su qualunque altra tecnica o metodo per il compimento di taluno dei delitti non colposi contro la personalità dello Stato di cui al Titolo I, Libro II, c.p. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni[36]. Per la necessaria omogeneità di materia, la scriminante è estesa anche al comma 1 dell’art. 435 c.p.
La ratio dell’inclusione delle ultime due ipotesi criminose nell’alveo della scriminante risiede, secondo chi scrive, nella necessità di abilitare i Servizi di informazione a infiltrare canali telematici criptati e ad accesso ristretto, al fine di monitorare le modalità di approvvigionamento di munizioni da parte delle organizzazioni terroristiche. È noto, infatti, che tali canali costituiscono un terreno privilegiato per la diffusione di materiale didattico e propagandistico, guide operative, tecniche di sabotaggio e ogni genere di know-how tecnologico, inclusa la fabbricazione di home-made explosives e l’utilizzo di materiali dual-use di facile reperibilità sul mercato.
6. Conclusioni interlocutorie. Sulla ragionevolezza delle proposte di modifica
Raggiunta questa fase dell’indagine, si possono ora valutare le scelte politico-criminali del Legislatore del D.d.l. “Sicurezza”, le quali già ad una prima riflessione suscitano qualche perplessità in considerazione dell’articolato ventaglio di (gravi) delitti eccettuati dal rimprovero penale.
Si è già evidenziato come sia stata la prassi operativa delle attività anti-terrorismo a suggerire ai compilatori la “giustificazione” delle gravi condotte di cui all’art. 270-bis, co. 1, c.p., vietate dall’art. 18 Cost., prima non contemplate nella disciplina provvisoria di cui al D.l. 18 febbraio 2015, n. 7. Difatti, per infiltrare e successivamente smantellare l’associazione politica criminosa potrebbe rivelarsi cruciale, oltre alla mera partecipazione, l’assunzione di un ruolo apicale, come quello di organizzatore o di direttore del sodalizio, data la rilevanza strategica delle funzioni da essi svolte.
Analogamente, l’autorizzazione presidenziale delle condotte di assistenza agli associati, nonché di arruolamento, organizzazione di trasferimenti, addestramento ad attività e finanziamento, tutte finalizzate al terrorismo – unitamente all’istigazione a commettere atti di terrorismo, anche tramite strumenti informatici o telematici –, ha lo scopo di garantire un’azione informativa che sia il più possibile aderente alle dinamiche proteiformi della minaccia terroristica.
Si consideri, infine, che l’incriminazione delle condotte di detenzione di materiale con finalità di terrorismo e di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti risponde all’esigenza di monitorare il flusso di informazioni relative alla produzione di ordigni esplosivi.
A tal riguardo, tuttavia, l’estensione della scriminante ai gravi delitti politici richiamati potrebbe suscitare perplessità, poiché la società civile potrebbe percepire tali misure come una legittimazione di pratiche incompatibili con lo Stato di diritto, con conseguenti ripercussioni sulla credibilità delle istituzioni. Le diverse condotte di “adesione” al terrorismo potrebbero, infatti, alimentare il sospetto che, in determinate circostanze, esse finiscano per favorire il terrorismo stesso, qualora si verifichino pericolose deviazioni istituzionali, evocando i rischi legati a un passato storico-politico – quello della c.d. “strategia della tensione” – in cui agenti dei Servizi contribuirono, talvolta, a favorire gruppi criminali ed eversivi.
La questione della ragionevolezza, o meno, della scriminabilità dei gravi reati qui esaminati non può tuttavia essere risolta unicamente sulla base di tali pur significative considerazioni di natura extra-giuridica.
È certamente vero, sotto il profilo costituzionale, che la previsione della specifica causa di giustificazione per determinati reati di cui all’art. 17, L. 3 agosto 2007, n. 124, qualora commessi dagli operatori dei Servizi di informazione, potrebbe astrattamente determinare una distorsione strutturale e apparire in contrasto con il dettato costituzionale. L’impostazione legislativa, difatti, sembrerebbe introdurre un doppio standard, generando una disparità di trattamento rispetto ai comuni cittadini e ponendosi in tensione con il principio di uguaglianza dinanzi alla legge (art. 3 Cost.) – nonché con quello di responsabilità penale personale (art. 27, co. 1, Cost.) –, rischiando di determinare l’emergere di zone grigie di impunità istituzionalizzata e sistemica.
Tuttavia, essa non risulta irragionevole se applicata in modo rigoroso e circoscritto quale rimedio estremo e residuale per garantire l’adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria (art. 52 Cost.). Peraltro, già la sentenza della Corte costituzionale del 24 maggio 1977, n. 86 – qui già menzionata – ha ritenuto legittimo che lo Stato assuma il compito istituzionale di individuare atti, fatti e notizie necessari alla salvaguardia della sua sicurezza, in funzione della tutela dell’unità e indivisibilità della Repubblica e della protezione dell’intero ordine costituzionale.
Nel compiere tali azioni, i Servizi di informazione potrebbero realizzare condotte penalmente rilevanti, alla duplice condizione che sussista un rapporto di indispensabilità e ragionevolezza tra mezzo e fine e che vi sia una proporzionalità – almeno di equivalenza, se non di prevalenza – tra i diversi beni costituzionalmente tutelati coinvolti nella singola situazione concreta.
Si badi, però, che, come per altre scriminanti, la giustificazione non deve essere qui intesa come uno scopo in sé, ma come un effetto derivante dalla comparazione degli interessi coinvolti. In altre parole, la giustificazione scaturisce dalla necessità di bilanciare i diversi beni costituzionalmente protetti, piuttosto che dall’intento di giustificare preventivamente un comportamento illecito[37].
A questo punto, nel vagliare l’opportunità della proposta di ampliamento dei reati giustificati di cui al D.d.l. “Sicurezza”, lungi dal considerare pienamente ragionevole la riformulazione dell’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124, si può suggerire una soluzione che il Legislatore dovrebbe auspicabilmente prendere in adeguata considerazione nell’ambito dell’esame della proposta legislativa in sede referente.
Si è già evidenziato che nel pieno dell’emergenza terroristica, il Legislatore del 2015 ha ritenuto necessario ampliare l’elenco dei reati “coperti” dalla scriminante speciale. Tuttavia, ha relegato la disciplina derogatoria dell’art. 17, co. 4 citato al regime di “diritto provvisorio”. In questo modo, adottando una normativa emergenziale a termine, si è posto un limite temporale alla compressione dei diritti individuali e alla “deroga alla legalità”, tenendo conto di un disallineamento tra costi e benefici, parzialmente compensato proprio dalla temporaneità della deroga.
Tuttavia, nei dieci anni successivi al varo del D.l. “Anti-terrorismo”, si è consolidata la prassi di rinnovare annualmente i termini di vigenza della norma, facendo sì che la sua temporaneità mascherasse, di fatto, una sorta di definitività dell’efficacia scriminante per le gravi condotte-reato autorizzate. Si potrebbe dunque affermare che ciò abbia portato alla sostituzione della legalità generale e garantista con una legalità “speciale”.
Si è pure sottolineato che, a partire da tale disciplina a termine, il Legislatore del D.d.l. “Sicurezza” intende adesso stabilizzare una norma originariamente introdotta per l’emergenza, ampliandone nel contempo il raggio di azione: come detto, si prevede di estendere l’esclusione dalla punibilità di cui al citato art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124 anche ai reati di organizzazione e di direzione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270-bis, co. 1, c.p.), di detenzione di materiale con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.3 c.p.) e di fabbricazione o detenzione di materie esplodenti (art. 435 c.p.).
In proposito, è bene ribadire che va certo riconosciuto l’importante contributo dei Servizi di informazione per tutelare la sicurezza interna ed esterna dello Stato da multiformi e complesse minacce provenienti sia da attori statuali che da non-State actors. A tal riguardo, prima facie, risulta poi comprensibile la richiesta di “giustificazione” avanzata nel contesto anti-terrorismo, tanto da rendersi necessaria l’autorizzazione alla commissione delle suddette condotte di organizzazione e di direzione.
Cionondimeno, rendere permanente l’impianto normativo del 2015, implementando ulteriori fattispecie nel perimetro scriminante, sembra implicare un’allarmante eventuale lesione di rilevanti beni giuridici di pertinenza interna.
In questo senso, allora, la soluzione accolta nel D.d.l. “Sicurezza” non appare pienamente conforme al canone di ragionevolezza, nella misura in cui propone di rendere non punibili le condotte tipizzate nell’art. 270-bis, co. 1, c.p., segnatamente nelle ipotesi di organizzazione e di direzione dell’associazione con finalità di terrorismo.
Limitando la disamina a un breve schizzo ricostruttivo, l’associazione delineata dall’art. 270-bis c.p.[38] si caratterizza per una struttura organizzata, con una chiara divisione dei ruoli e una diversificazione dei compiti tra i membri. Il Legislatore, nel reprimere qualsiasi condotta di adesione che possa incidere sull’operatività della struttura, ha quindi adottato una tecnica incriminatrice imperniata sulla distinzione tra attività di rango superiore[39] e mera partecipazione[40].
Per quanto qui di interesse[41], in tale contesto associativo, fra i ruoli di rango superiore, la condotta di organizzazione consta nel fornire una struttura operativa al sodalizio criminoso, agendo con autonomo potere decisionale. L’organizzatore è dunque colui che si occupa dell’efficienza del sodalizio, cura la logistica, procaccia i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso ed assegna compiti e funzioni agli associati, svolgendo attività basilari per assicurare la vita e l’efficienza della societas sceleris, in relazione alle finalità che questa persegue e alla sua concreta struttura. Si richiede quindi che l’attività del soggetto organizzatore abbia i requisiti della «essenzialità» e della «infungibilità»[42].
Sempre nell’ambito dei ruoli di rango primario, la direzione si ha poi nel fatto di chi assuma una posizione di vertice, detti quindi le regole comportamentali e coordini le azioni degli altri associati, fornendo loro uno statuto operativo per l’esplicazione dell’attività criminosa. Il direttore, in ultima analisi, svolge «funzioni più o meno late di superiorità»[43], è dotato anch’esso di autonomia e discrezionalità decisionale e si occupa primariamente del lavoro di altri nell’ambito di un inquadramento complesso[44].
Diversamente, nell’organigramma criminale, quanto alla condotta di partecipazione devono richiamarsi i principi “Mannino”, elaborati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nel contesto del lungo travaglio ermeneutico afferente al reato dell’art. 416-bis c.p. Dunque, partecipa all’associazione colui che, «risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione […], non solo “è” ma “fa parte” della (meglio ancora: “prende parte” alla) stessa». Tale ultima locuzione è «da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima»[45].
Tale condotta si concretizza quindi nella realizzazione di qualsivoglia attività concreta anche temporanea, esteriormente percepibile, «non essenziale, fungibile e tipicamente esecutiva, sempre prestata all’assistenza con continuità e consapevolezza»[46].
In ogni caso, si ammette che la rilevanza pratica delle distinzioni concettuali predette è tuttavia relativa, sia per la fluidità dei confini tra le diverse figure, sia perché, in particolare, il trattamento penale rimane invariato anche quando uno stesso soggetto ricopra più ruoli di supremazia. La distinzione davvero rilevante, invece, è quella tra condotte principali e condotte di mera partecipazione, poiché in tal caso cambia la fattispecie di reato e il conseguente trattamento sanzionatorio[47].
Dopo aver brevemente tracciato le linee ricostruttive delle diverse condotte tipizzate nell’art. 270-bis c.p., che variano quindi per gravità e trattamento penale, si può notare che la possibilità di abilitare legislativamente gli agenti dei Servizi di informazione a commettere le gravi ipotesi di reato previste dal comma 1 presenta un aspetto che non può che destare preoccupazioni.
Considerato che l’organizzazione e la direzione ex art. 270-bis, co. 1 c.p. comportano l’adozione consapevole di atti di essenza per l’associazione e implicano l’esercizio di un potere decisionale e operativo finalizzato alla pianificazione e realizzazione di operazioni materialmente violente, con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, nonché alla commissione di atti di violenza contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale[48], il rischio è che la deroga alla punibilità possa essere strumentalizzata per legittimare condotte che travalicano l’obiettivo dell’infiltrazione, ponendo le basi per manovre opache se non addirittura favorire vere e proprie derive anti-statuali.
In tal modo, l’operazione di intelligence, volta a tutelare gli elementi essenziali della Repubblica – quali l’integrità dello Stato, la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, l’indipendenza nelle relazioni con gli altri Stati e la preparazione per la difesa militare – si porrebbe in insanabile contrasto con gli stessi interessi istituzionali che intende proteggere.
Si è dunque del parere, pertanto, che il Legislatore della riforma debba adottare un approccio più ponderato nell’uso di una “giustificazione” tanto estesa, specialmente quando questa sia idonea a neutralizzare la punibilità di reati di particolare gravità, posti a presidio di beni istituzionali di rango primario – quali l’ordine costituzionale, l’ordine pubblico e l’incolumità pubblica –, e potenzialmente lesivi di valori di fondo della Repubblica. Appare più ragionevole, in conclusione, limitare allora la scriminante alla sola condotta di mera partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo, rilevante ai sensi dell’art. 270-bis, co. 2, c.p., purché questa sia finalizzata esclusivamente all’infiltrazione del tessuto terroristico.
In ogni caso, resta ferma la circostanza che il momento autorizzativo, di competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, debba rivestire un ruolo di assoluto rilievo e debba operare in modo particolarmente rigoroso e stringente, onde evitare che questo si riduca a una mera formalità, come del resto indica il citato art. 17, co. 6, L. 3 agosto 2007, n. 124.
Le condotte costituenti reato dovranno quindi essere attuate esclusivamente nell’esercizio o a causa dei compiti istituzionali dei Servizi di informazione, nell’ambito di un’operazione preventivamente autorizzata, scrupolosamente documentata e conforme alle norme organizzative del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Quanto alla situazione necessitante, l’azione contraria alle norme penali dovrà, inoltre, risultare indispensabile e proporzionata al conseguimento degli obiettivi dell’operazione, non altrimenti perseguibili, nonché essere il risultato di un’accurata e obiettiva comparazione fra gli interessi pubblici e privati coinvolti, garantendo, in ogni caso, il minor pregiudizio possibile per gli interessi eventualmente lesi.
In questo modo, si ridurrebbe il rischio di giustificare ex post attività illecite che invadano la sfera individuale, e che non siano quindi finalizzate al presidio della sicurezza dello Stato, evitando così che un simile approccio distorto comporti una sorta di immunità penale per ragioni di servizio, in violazione dell’art. 28 Cost.
[1] Per un resoconto complessivo dell’articolato qui oggetto di attenzione si veda Cosa c’è nel “Pacchetto sicurezza”: indice ragionato, testo del ddl e dossier, in Sist. pen., 14 ottobre 2024. In chiave critica, il disegno di legge risulta già oggetto di approfonditi contributi di taglio penalistico, criminologico e costituzionalistico. Si rimanda, inter alia, a M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, in Sist. pen., 27 maggio 2024; R. Cornelli, Il Ddl Sicurezza alla prova della ricerca criminologica: prime annotazioni critiche, in Sist. pen., 2024, p. 113 ss.; M. Ruotolo, Su alcune criticità costituzionali del c.d. pacchetto sicurezza (A.S. 1236), in Sist. pen., 9 ottobre 2024; G.L. Gatta, Il pacchetto sicurezza e gli insegnamenti, dimenticati, di Cesare Beccaria, in Sist. pen., 2024, p. 63 ss.; C. Pasini, L’impatto del c.d. pacchetto sicurezza sulle persone straniere in Italia e sul fenomeno dell’immigrazione, in Sist. pen., 2024, p. 107 ss. Posizioni critiche sono state espresse anche dal mondo forense, oltre che da quello accademico. Si vedano, a tal proposito, Pacchetto sicurezza: l’Unione delle Camere Penali Italiane delibera lo stato di agitazione, in Sist. pen., 2 ottobre 2024; Pacchetto sicurezza: il comunicato del Consiglio direttivo dell’Associazione italiana dei Professori di Diritto penale, in Sist. pen., 3 ottobre 2024. Forti preoccupazioni per il potenziale impatto del D.d.l. su alcune libertà garantite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono state espresse anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa in una lettera inviata al Presidente del Senato il 16 dicembre 2024 (Il Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani chiede al Senato di modificare il “pacchetto sicurezza” per salvaguardare le libertà di associazione e di manifestazione del pensiero, in Sist. pen., 23 dicembre 2024).
[2] D.d.l. presentato in data 22 gennaio 2024 per iniziativa governativa del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministero della Giustizia e col Ministero della Difesa. Proprio in queste settimane le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia in sede referente, terminate le audizioni, stanno procedendo alla valutazione dei numerosi emendamenti proposti al testo approvato alla Camera lo scorso 18 settembre 2024.
[3] Conv. con mod. dalla L. 17 aprile 2015, n. 43 («Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione»).
[4] Conv. con mod. dalla L. 31 luglio 2005, n. 155 («Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale»).
[5] Nuova fattispecie delineata dall’art. 1, co. 1, lett. a), D.d.l. “Sicurezza” da inserire, fra i «Delitti contro la personalità internazionale dello Stato», nell’art. 270-quinquies.3 c.p.
[6] Fattispecie dell’art. 435 c.p., oggetto di modifica, mediante l’introduzione di un nuovo comma 2, da parte dell’art. 1, co. 1, lett. b).
[7] Si richiamano in particolare le modalità previste dall’art. 23, co. 2, L. 3 agosto 2007, n. 124, in virtù del quale, in relazione allo svolgimento di attività strettamente necessarie a una specifica operazione dei Servizi di informazione o volte alla tutela delle strutture e del personale del DIS o dei citati Servizi, la qualifica di ufficiale o di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione, può essere attribuita a taluno dei soggetti appartenenti al contingente speciale di cui all’art. 21, L. 3 agosto 2007, n. 124, per non oltre un anno, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del direttore generale del DIS.
[8] Di cui all’art. 24, co. 1, L. 3 agosto 2007, n. 124, in forza del quale il direttore generale del DIS, previa comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri o all’Autorità delegata (se istituita), può autorizzare, su proposta dei direttori dell’AISE e dell’AISI, l’uso di documenti di identificazione con dati personali diversi da quelli reali da parte degli addetti ai Servizi di informazione. Con la stessa procedura, può inoltre essere disposta o autorizzata l’utilizzazione temporanea di documenti e certificati di copertura.
[9] Recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/1153 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che reca disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati, e che abroga la decisione 2000/642/GAI».
[10] Per maggiori ragguagli sulle altre proposte legislative qui non approfondite si rimanda al Dossier n. 240/2, XIX Legislatura, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario - A.S. n. 1236, 30 settembre 2024, consultabile su www.senato.it.
[11] F. Cossiga, I servizi e le attività di informazione e di controinformazione. Abecedario per principianti, politici e militari, civili e gente comune, Soveria Mannelli, 2002, p. 11 (corsivi originali).
[12] L’espressione è di A. Sandulli, Note minime in tema di segreto di Stato, in Giur. cost., 1977, p. 1202.
[13] Così si espresse, a suo tempo, Corte cost., sent. 24 maggio 1977, n. 86, cons. in dir. n. 8.
[14] Si pensi al diritto alla vita (art. 2), al divieto di tortura (art. 3), al diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 5), al diritto a un equo processo (art. 6), alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9). Sulla prassi internazionale formatasi in relazione a tali diritti v. European Court of Human Rights/Research Division, National security and European case-law, 2013, § 65 ss., consultabile su www.echr.coe.int.
[15] Per una esaustiva rappresentazione della disciplina sostanziale e processuale v., su tutti, C. Mosca, Le garanzie funzionali, in C. Mosca, G. Scandone, S. Gambacurta, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto di Stato. (Legge 3 agosto 2007, n. 124), Milano, 2008, p. 243 ss. Più di recente, v. anche l’ampia indagine di G. Amato, Le garanzie funzionali dell’operatore dei servizi di informazione, in Sist. pen., 2024, p. 5 ss.
[16] Recante «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto».
[17] In chiave di interpretazione sistematica, deve sottolinearsi la connotazione di espressa sussidiarietà della norma di cui all’art. 17, rispetto a quella contenuta nell’art. 51 c.p. Si interrogano, fra gli altri, sui rapporti fra la “speciale” causa di giustificazione in parola e la previsione generale dell’art. 51 c.p. F. Marenghi, Sub art. 17, L. 3.8.2007 n. 124 (sicurezza e segreto di Stato), in Leg. pen., 2007, p. 719 s.; C. Fiore, Dommatica della giustificazione e tutela dei diritti fondamentali, in W. Hassemer, E. Kempf, S. Moccia (Hrsg.), In dubio pro libertate. Festschrift für Klaus Volk zum 65. Geburtstag, München, 2009, p. 176; T. Padovani, Diritto penale13, Milano, 2023, p. 205 s.
[18] Un dato senz’altro rilevante è costituito dal fatto che, per la prima volta, il Legislatore ha scelto di adoperare, littera legis, la locuzione «speciale causa di giustificazione», del tutto usuale nel linguaggio della dottrina, ma finora estraneo alla terminologia del Legislatore stesso, che ha sempre preferito servirsi di un più generico riferimento alla “non punibilità” del fatto. Si precisa poi che tale causa di giustificazione è “speciale” in quanto riservata a una specifica categoria di autori; al contempo, si configura come “generale” poiché, in linea teorica, può applicarsi a qualsiasi tipo di reato, sebbene con le eccezioni che verranno illustrate a breve
[19] Il meccanismo operativo di questa scriminante è oggetto di fondati rilievi critici in F. Palazzo, Costituzione e scriminanti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009. p. 1054 ss. Sull’atto autorizzativo come elemento negativo del fatto o come causa di giustificazione si rinvia alle ricostruzioni di M. Mantovani, L’esercizio di un’attività non autorizzata. Profili penali, Torino, 2003, p. 35 ss.
[20] In relazione ai beni giuridici menzionati dalla disposizione, ricostruisce i relativi reati P. Pisa, Le garanzie funzionali per gli appartenenti ai servizi segreti, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1432 ss. Segnala l’indeterminatezza della norma su tale versante F. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione: necessità e limiti, Torino, 2018, p. 158 s.
[21] Viene quindi esclusa ogni ipotesi di bilanciamento fra l’interesse alla sicurezza dello Stato e la lesione dei diritti fondamentali della persona umana. La Legge del 2007 non accorda difatti alcuna “licenza di uccidere”, né abilita il personale dei Servizi di informazione a compiere renditions, e quindi forme di tortura psico-fisica dirette a estorcere informazioni rilevanti la tutela della sicurezza statuale.
[22] Di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75 («Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui»).
[23] Secondo la prescrizione dell’art. 39, co. 11, L. 3 agosto 2007, n. 124, in tema di segreto costituzionalmente illegittimo, «[i]n nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale o a fatti costituenti i delitti di cui agli articoli 285, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale».
[24] Sulla vaghezza della norma in proposito si esprime, ancora, F. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., p. 159. Contra, ritiene, invece, ragionevole la disciplina G. Amarelli, Le operazioni sotto copertura, in V. Maiello, La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, in F. Palazzo, C.E. Paliero (diretto da), Trattato teorico-pratico di diritto penale, Torino, 2015, p. 170.
[25] Da ultimo fino al 30 giugno 2025 dall’art. 18, co. 1, D.l. 27 dicembre 2024, n. 202 («Disposizioni urgenti in materia di termini normativi»), meglio noto come “Decreto Milleproroghe”.
[26] Ai sensi della quale «[n]on possono essere autorizzate, ai sensi dell’articolo 18 della legge 3 agosto 2007, n. 124, condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato a norma dell’articolo 39, comma 11, della medesima legge n. 124 del 2007, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 270, secondo comma, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 302, 306, secondo comma, e 414, quarto comma, del codice penale».
[27] Il grassetto impiegato si riferisce alle nuove previsioni incriminatrici programmate.
[28] Si riprende qui l’efficace espressione «terrorista “mobile”» di V. Militello, Terrorismo e sistema penale: realtà, prospettive, limiti - Presentazione del corso, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2017, p. 7 s.
[29] In tema, per alcune critiche “a tutto campo” su tali innesti normativi, si vedano, ex multis, A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al d.l. antiterrorismo n. 7 del 18 febbraio 2015, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2015, p. 226 ss.; F. Fasani, Il Decreto antiterrorismo. Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2015, p. 926 ss.; Id, Un nuovo intervento di contrasto al terrorismo internazionale, in Dir. pen. proc., 2016, p. 1555 ss.
[30] Lo ritiene A. Milone, La responsabilità penale degli operatori d’intelligence e la speciale causa di giustificazione: le novità sostanziali in tema di garanzie funzionali contenute nel d.l. “Milleproroghe” e nel d.d.l. Sicurezza approvati dal Governo Meloni, in Arch. pen., 2024, p. 70, il quale evidenzia come la modifica dell’art. 17, co. 4, L. 3 agosto 2007, n. 124 permetta di superare il limite dell’attuale normativa.
[31] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 27 giugno 2007, n. 37199, in Riv. pen., 2008, p. 809 e, conformemente, Cass. pen., Sez. I, 1° febbraio 2010, n. 4086, in C.E.D. Cass., n. 245985-01.
[32] Cfr., esemplificativamente, Cass. pen., Sez. II, 4 giugno 2004, n. 25282, in Riv. pen, 2005, p. 165; Cass. pen., Sez. I, 2 aprile 2012, in C.E.D. Cass., n. 251919-01; Cass. pen., Sez. V, 27 settembre 2013, n. 40111, in Riv. pen., 2013, p. 1118 ss. Si rinvia, comunque, per più accurati approfondimenti giurisprudenziali sui criteri differenziali delle due ipotesi di delitto, a A. Balsamo, Le nuove disposizioni sulla tutela processuale, sulle garanzie funzionali e sulle attività di informazione del personale dei servizi segreti, in R.E. Kostoris, F. Viganò, Il nuovo ‘pacchetto terrorismo’, Torino, 2016, p. 123 ss.
[33] Si esprimeva in questi termini già la Relazione illustrativa sul D.d.l. “Anti-terrorismo”, poi divenuto D.l. 18 febbraio 2015, n. 7, consultabile su www.giustizia.it.
[34] L’osservazione dei fenomeni terroristici di matrice islamico-radicale più recenti ha comportato la necessità di “elasticizzare” i connotati della struttura associativa, per potervi ricomprendere tutte quelle consorterie di tipo “cellulare” e a “rete” che operano con membri dislocati in più Stati, spesso in piccoli gruppi. L’attuale modello “polverizzato” delle articolazioni terroristiche, caratterizzato da un’adesione aperta, sebbene non indiscriminata, si avvale di modalità informatizzate su scala planetaria per promuovere la diffusione del credo politico-religioso. Attraverso cellule “figlie” che aderiscono al programma, queste organizzazioni svolgono, nonostante un rapporto del tutto smaterializzato con l’organizzazione “madre”, un ruolo strumentale nella realizzazione del fine criminoso. Tale approccio consente da un lato una forma più efficace di proselitismo e dall’altro consente una più proficua disseminazione di supporti didattici e operativi per conseguire le finalità criminose dell’organizzazione. Questa nuova morfologia del terrorismo è ben argomentata, ad es., in Cass. pen., Sez. I, 30 giugno 2022, n. 24940, in Quot. giur., 2022.
[35] Gli svariati profili di criticità che solleva la nuova ipotesi delittuosa sono già stati scandagliati nella dottrina. Si rinvia, sul punto, a M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, cit.
[36] Secondo il comma 1 «[c]hiunque, al fine di attentare alla pubblica incolumità, fabbrica, acquista o detiene dinamite o altre materie esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche o infiammabili, ovvero sostanze che servano alla composizione o alla fabbricazione di esse è punito con la reclusione da uno a cinque anni».
[37] Cfr., per una lettura costituzionale della disciplina dell’art. 17, L. 3 agosto 2007, n. 124, P. Bonetti, Profili costituzionali delle garanzie funzionali per gli agenti dei Servizi di informazione per la sicurezza, in Perc. cost., 2008, p. 48 ss.
[38] E il medesimo ragionamento può effettuarsi con riguardo alle «associazioni sovversive» incriminate nell’art. 270 c.p.
[39] Dette attività, secondo il dettato normativo, si concretano nel fatto di promuovere, di costituire, di organizzare, di dirigere l’associazione, con una pena da sette a quindici anni di reclusione.
[40] In questo caso, per tale incriminazione la pena prevista è della reclusione da cinque a dieci anni.
[41] Si prescinde dalla ricostruzione delle ulteriori condotte di promozione e costituzione in quanto non rientranti, ai sensi del D.d.l. “Sicurezza”, nell’alveo operativo della scriminante “speciale” qui oggetto di attenzione. Per una esaustiva ricostruzione delle caratteristiche dell’associazione e delle singole condotte degli associati, qui solo accennate, v. S. Dambruoso, Delitti di associazione politica, in A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Diritto penale, tomo I, Milano, 2022, p. 1456, cui si rinvia necessariamente anche per cospicui riferimenti giurisprudenziali.
[42] Il contributo è essenziale quando esso sia volto ad assicurare la vita e l’efficienza del consorzio criminoso in relazione alle finalità che l’organizzazione persegue e alla struttura che ha assunto in concreto. L’infungibilità è intesa poi, nella giurisprudenza di legittimità, «in senso relativo, e cioè come non facile intercambiabilità e non come assoluta insostituibilità». Coglie questo profilo Cass. pen., Sez. I, 11 dicembre 1993, n. 11344, in Cass. pen., 1995, p. 44.
[43] Qui valgono sempre le considerazioni di V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano5, vol. IV, P. Nuvolone (a cura di), Torino, 1981, p. 368 s.
[44] Cfr. Cass. pen. Sez. I, 4 ottobre 1988, in Giust. pen., 1990, p. 267 ss.
[45] I passaggi argomentativi richiamati sono contenuti in Cass. pen., SS.UU., 12 luglio 2005, n. 33748, in Riv. pen., 2006, p. 743. Più di recente, cfr. Cass. pen., Sez. II, 22 maggio 2017, n. 25452, in C.E.D. Cass., n. 270171-01.
[46] Testualmente, Cass. pen., Sez. I, 11 luglio 1987, in Riv. pen., 1988, p. 892. È evidente, tuttavia, che anche una simile definizione possa prestarsi ad applicazioni più o meno elastiche, a seconda delle esigenze repressive sottese ai singoli reati politici di associazione.
[47] Segnalano questo profilo funzionale G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale6, vol. I, Bologna, 2021, p. 39.
[48] Giusta la lettera, in tale ultimo caso, dell’art. 270-bis, co. 3, c.p.