Misure di prevenzione contro il dissenso: no grazie (nota a decreto Tribunale di Milano 10-19.1.2023, sez. misure di prevenzione, F.)
di Vittorio Gaeta
“Lo sforzo di tutti i poteri costituiti, dopo le esperienze della Rivoluzione francese, per accrescere i mezzi di mantenimento dell'ordine nelle strade, culmina finalmente con la soppressione delle strade stesse”
Guy Debord, La società dello spettacolo
Sommario: 1. Il caso e la sua soluzione - 2. Il foglio di via per gli antagonisti o presunti tali - 3. L'uso antidemocratico dell'art. 1 lett. c) d.lgs. 159/11 - 4. Le misure di prevenzione e il neofascismo: conseguenze per l'oggi - 5. Conclusione: per la libertà delle strade.
1. Il caso e la sua soluzione
Ha destato un certo scalpore, all'inizio di questo 2023, il gesto di alcuni attivisti del gruppo ambientalista “Ultima generazione” che hanno gettato vernice lavabile rossa sul portone di Palazzo Madama per sensibilizzare l'opinione pubblica. L'episodio, ultimo di vari analoghi anche internazionali, ha finito per sovrapporsi alla trattazione da parte della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano di una richiesta di sorveglianza speciale, formulata dal Questore di Pavia nei confronti di S.F., noto attivista di quel gruppo.
All'esito dell'udienza del 10 gennaio, con il provvedimento che si commenta il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta del Questore, condivisa dalla Procura, di ritenere la pericolosità sociale del proposto ai sensi dell'art. 1 lett. c) d.lgs 159/11.
Il decreto del Tribunale di Milano richiama diffusamente gli episodi per i quali l'attivista è stato denunciato, quasi tutti consistenti in assembramenti improvvisi in luoghi pubblici di varie città, realizzati per lo più sedendosi per terra e bloccando il traffico per brevi periodi di tempo.
Il Tribunale evidenzia che nessuno degli episodi sembra avere implicato l'uso di violenza, tanto che dalle numerosissime denunce sono finora scaturiti soltanto un decreto penale di condanna per violazione di foglio di via obbligatorio (FVO) e un'iscrizione sul registro degli indagati per un'ipotesi di danneggiamento aggravato consistente nell'avere incollato uno striscione con la dicitura “Ultima generazione” al basamento di una statua posta in un museo. Di conseguenza, il giudice della prevenzione ha ritenuto che un giudizio di pericolosità non potesse fondarsi su gravi fatti accertati di rilievo penale e che in ogni caso fossero sufficienti le misure in corso, e cioè i FVO notificati all'attivista da ben sei Questure e l'avviso orale del Questore di Pavia.
La decisione, sicuramente condivisibile nel risultato finale, non elimina i motivi di inquietudine che sussistono per lo stato delle libertà civili riconosciute dal nostro Paese agli attivisti di orientamento politico, ambientale o sindacale non convenzionale – o, come suol dirsi, antagonista[1].
2. Il foglio di via per gli antagonisti o presunti tali
A un lettore non specialistico del decreto balza subito agli occhi la sproporzione tra la quantità di denunce e di iniziative di prevenzione e l'evanescenza dei fatti che ne sono oggetto.
In passato, il ricorso massiccio al foglio di via obbligatorio era contestato da gran parte della dottrina ed era oggetto di interpretazioni giurisprudenziali che lo legittimavano per le sole persone per le quali fosse possibile, in caso di reiterazione delle condotte, la sorveglianza speciale per “traffici delittuosi” (poi dichiarata illegittima da Corte Cost. nr. 24/19) o per vivenza con proventi di delitti: non quindi, ad es., per le persone dedite alla prostituzione in assenza di pubblico adescamento.
Ben diversa è la realtà attuale, nella quale il FVO è diventato uno strumento ordinario di gestione dell'ordine pubblico nei confronti di attivisti sindacali[2] e ambientalisti[3] non conformisti, insieme o in alternativa alla sorveglianza speciale di P.S. Come nel noto caso Marcucci, oggetto di Cass. pen. nr. 32903/21, la cui massima ufficiale è: “In tema di misure di prevenzione, può ritenersi socialmente pericoloso per la sicurezza e la tranquillità pubblica, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il soggetto che risulti dedito, in maniera non occasionale, alla commissione di fatti criminosi la cui offensività sia proiettata verso beni giuridici non meramente individuali, ma connessi alla preservazione dell'ordine e della sicurezza della collettività, quali condizioni materiali necessarie alla convivenza sociale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto indicativi di pericolosità fatti di reato di cui agli artt. 336 e 337 cod. pen.)”.
Di fatto, si è creata una sorta di senso comune di normalità e correttezza del ricorso a misure di prevenzione per i problemi di ordine pubblico che possano derivare dal dissenso politico. La stessa apprezzabile remora ad adottare la più gravosa e stigmatizzante sorveglianza speciale c.d. non qualificata (che viene iscritta sul casellario giudiziale), percepibile nel provvedimento in esame, non tocca la prassi dei FVO, la cui applicazione pure è ancorata agli stessi presupposti normativi (art. 1 lett. b)-c) d.lgs. 159/11). Anche se non appare casuale l'accenno del Tribunale di Milano a possibili future assoluzioni dal reato di contravvenzione al FVO che si fondino su un giudizio di illegittimità del provvedimento amministrativo.
Non è sempre stato così. Manifestazioni di tipo politico che creassero disagi e fastidi ai non partecipanti vi sono sempre state nella storia repubblicana, e in tempi passati in forme ben più disturbanti (per usare un eufemismo) degli eventi-happening degli ambientalisti di oggi. Ma i pubblici poteri non credevano di poterle e doverle affrontare con fogli di via o sorveglianze speciali, misure che richiamavano periodi poco luminosi della nostra storia.
Per quanto democratica possa autodefinirsi e per quanto sia legittimata da un giudice, infatti, una sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per attivisti politici non è sostanzialmente diversa dal confino di polizia che veniva somministrato a certi oppositori durante la monarchia e anche prima del fascismo, specie ai tempi di Francesco Crispi.
Sin dalla seminale sentenza nr. 2/56 della Corte Costituzionale, per la quale “la pericolosità in riguardo all'ordine pubblico non può consistere in semplici manifestazioni di natura sociale o politica, le quali trovano disciplina in altre norme di legge”, l'ordinamento repubblicano ha dato per assodata la possibilità di colpire il dissenso radicale verso gli orientamenti politici dominanti solo con il diritto penale, se si concretizza in reati, e non con misure di prevenzione fondate su un giudizio di pericolosità.
Al contrario, oggi si tende a dare per scontato che la contestazione radicale del sistema si giustifichi solo nei confronti di regimi autoritari, mentre sarebbe intrinsecamente antigiuridica nell'ambito di uno Stato democratico che garantisce i diritti fondamentali.
Sia sul piano concettuale che su quello storico, tuttavia, il discrimine tra dittatura e democrazia non è sempre netto ed evidente, e viene ridefinito ogni giorno nella vita pubblica: si pensi alla democratura turca, nella quale pesanti misure repressive della minoranza curda e di certe opposizioni coesistono con l'amministrazione delle principali città da parte di sindaci avversi al presidente Erdoğan.
Che lo si voglia o no, un sistema politico che espella preventivamente tutte le forme radicali di contestazione si trasforma inevitabilmente in una più o meno soave dittatura.
3. L'uso antidemocratico dell'art. 1 lett. c) d.lgs. 159/11
Lo strumento normativo con il quale si attua la distorsione antidemocratica delle misure di prevenzione è costituito dall'art. 1 lett. c) d.lgs. 159/11, norma alla quale - dopo che Corte Cost. nr. 24/19 ha dichiarato l'illegittimità della prevenzione per i soggetti dediti a “traffici illeciti” - si fa crescente ricorso. E' netta la sensazione che parte delle Questure e della magistratura vogliano tenersi le mani libere per applicare restrizioni della libertà personale e di circolazione in assenza di rigorosi presupposti normativi.
Di per sé, il testo dell'art. 1 lett. c) non sembrerebbe autorizzare prassi disinvolte: esso si riferisce a “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
Non si ha tuttavia notizia di misure di prevenzione applicate a imprenditori o faccendieri dediti alla commissione di reati contro l'ambiente, che pure offendono la sanità pubblica, mentre è sempre più frequente la tutela di “sicurezza o tranquillità pubblica” mediante l'applicazione di tali misure a persone denunciate o condannate per reati di violenza privata, lesioni, resistenza/minaccia a pubblico ufficiale, anche quando espressivi di un dissenso politico e sociale.
Eppure la norma non richiama l'offesa o messa in pericolo dell'ordine pubblico, e questo dovrebbe far pensare: il testo dell'art. 1 lett. c) si preoccupa di garantire solo i beni giuridici ben meno pregnanti della “sicurezza o tranquillità pubblica”. Difficile pensare che si sia trattato di un'omissione, anziché di una precisa scelta di un legislatore repubblicano che riteneva di poter colpire con misure di prevenzione non il dissenso radicale politico-sociale, ma solo manifestazioni di antisocialità extrapolitica.
Ancora nel recente passato la dottrina[4] segnalava il rischio della dilatazione della fattispecie dell'art. 1 lett. c) mediante l'applicazione “nei confronti di persone che esprimono il dissenso o il disagio sociale”, facendo l'esempio di richieste di sorveglianza speciale, poi rigettate, per disoccupati organizzati napoletani o anarchici bolognesi.
Sull'involuzione attuale, invece, sembra calato il silenzio. Ma non per questo si può rinunciare all'analisi critica di questi temi mediante il metodo dell'interpretazione sistematica, che pure oggi sembra soppiantato dalla mimesi rassegnata dei pulviscoli normativi. Rassegnazione della quale la realtà si vendica: la previsione ad opera del secondo comma dell'art. 5 del D.L. nr. 162/22 (c.d. anti-rave, in realtà anti-raduni) di una specifica figura di sorveglianza speciale per gli indiziati della nuova figura criminosa è stata soppressa solo a seguito del confronto parlamentare che ha saputo eliminare l'obbrobrio, senza alcun significativo contributo della scienza giuridica.
4. Le misure di prevenzione e il neofascismo: conseguenze per l'oggi
Per il legislatore repubblicano, il tabù del ricorso alle misure di prevenzione per la gestione dell'ordine pubblico e il controllo del dissenso politico-sociale era così forte che, per contenere determinati gravi fenomeni di violenza politica degli anni Settanta (di certo più allarmanti delle resistenze passive delle quali si è dovuto occupare adesso il Tribunale di Milano)[5], fu istituita con l'art. 18 co. 1° nr. 3 legge c.d. Reale nr. 152/75 una figura qualificata di pericolosità riguardante “coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito fascista (…), in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza“. Norma poi trasfusa nel vigente art. 4 lett. f) d.lgs. 159/11, che ha aggiunto l'ipotesi degli atti “esecutivi” diretti alla ricostituzione del partito fascista.
Pur disponendo di una norma analoga all'attuale art. 1 lett. c) d.lgs. 159/11, quindi, il legislatore repubblicano degli anni della guerra civile strisciante non la considerava applicabile agli estremisti neofascisti (e, evidentemente, agli estremisti di opposto orientamento), sì da ritenere necessaria, per il contenimento dei soggetti più pericolosi, l'introduzione di una specifica ipotesi di sorveglianza speciale, peraltro riguardante coloro che, senza limitarsi ad atti pur gravi di violenza politica, intendessero addirittura preparare la ricostituzione del partito fascista vietata dalla XII disposizione transitoria della Costituzione.
In proposito, occorre tener conto della non estraneità del principio di specialità sancito dall'art. 15 del codice penale, espressione di quello che Mantovani chiamava il ne bis in idem sostanziale, alla materia comunque collegata della prevenzione.
La sorveglianza speciale “antifascista”, prevista oggi dall'art. 4 lett. f) d.lgs. 159/11, non è di certo una species di quella generica prevista dall'art. 1 lett. c), per il semplice fatto che pur riguardando condotte all'evidenza più gravi non è maggiormente afflittiva: ha la medesima durata “edittale”, comporta le medesima possibilità di misure patrimoniali e può essere seguita da riabilitazione per buona condotta dopo il trascorrere del medesimo tempo. Anzi, l'attività preparatoria della ricostituzione del partito fascista non consente neppure l'applicazione del foglio di via obbligatorio o dell'avviso orale che invece sono possibili per le persone indicate dall'art. 1 lett. c).
Doveroso è infatti il distinguere i due casi di fatto possibili:
a) se all'estremista di destra che prepari la ricostituzione del partito fascista potesse applicarsi, in alternativa, sia la misura specifica prevista dall'art. 4 lett. f) che quella generica prevista dall'art. 1 lett. c), si rischierebbe un'ingiustificata duplicazione (bis in idem), rispetto alla quale l'estremista avrebbe anzi convenienza a dedurre l'attività preparatoria di ricostituzione del partito fascista, che essa sola non gli farebbe rischiare il FVO o l'avviso orale, ma “solo” la sorveglianza speciale;
b) se all'estremista di destra che pratichi la violenza senza progettare la ricostituzione del partito fascista si applicasse la misura generica dell'art. 1 lett. c), si rischierebbe di praticargli un trattamento identico se non più deteriore - attesa la possibilità di applicazione di FVO e di avviso orale - rispetto agli estremisti più pericolosi, portatori di quel progetto.
Bisogna ricordare che la ricostituzione del partito fascista è l'unica attività politica che nel nostro Paese è vietata anche se non esercitata con metodi terroristici o apertamente eversivi, perché pone in pericolo il sistema democratico configurato dalla Costituzione. L'esaltazione e la pratica sistematica della violenza che la caratterizzano consentono quindi di prevenirla con specifiche misure, che invece – come affermato da Corte Cost. nr. 2/56 - sono precluse per ogni altra espressione sociale o politica, nessuna delle quali è oggetto di divieto o di prevenzione, fatta salva la punizione degli autori di singoli reati.
E, sia bene evidenziarlo, neppure l'attività politica di ispirazione neofascista come tale è vietata - al di là di eventuali reati dei quali rispondono gli autori secondo le regole del diritto penale - se non si traduce in quella ricostituzione del partito fascista. Come del resto comprovato dal fatto che nessuna iniziativa giudiziaria per l'ipotesi di ricostituzione formulata in passato contro il MSI è mai pervenuta neppure alla fase del dibattimento.
La stessa attività preparatoria, poi, è soggetta a prevenzione solo se svolta con l'esaltazione o la pratica della violenza che risultino obiettivamente rilevanti: non bastano quindi condotte apologetiche o violente non finalistiche, né tanto meno manifestazioni nostalgiche come saluti romani e simili. La prassi applicativa della sorveglianza speciale “antifascista” è stata del resto saggiamente misurata e ha riguardato soprattutto soggetti attivi tra gli hooligan del calcio; di recente, si è parlato di sorvegliati speciali neofascisti in occasione dell'assalto squadristico romano dell'ottobre 2021 alla CGIL.
Ora, se è lo stesso sistema normativo formatosi negli anni Settanta e tuttora vigente a dimostrare che, in omaggio a quanto sancito da Corte Cost. nr. 2/56, i problemi di ordine pubblico creati dal dissenso politico di orientamento neofascista possono essere oggetto di misure di prevenzione solo se sfociano in atti preparatori di ricostituzione del partito fascista, e non soltanto in reati violenti come tali, non si vede perché a diversa conclusione si possa o si debba arrivare per i problemi di ordine pubblico creati dal dissenso politico di diverso orientamento, che all'evidenza non potrebbe mai sfociare in ricostituzione del partito fascista.
Quando è in gioco la libertà personale, infatti, la logica giuridica non può cedere a esigenze puramente sostanziali, magari perché ispirata - per stare al caso esaminato dal decreto in commento - al comprensibile fastidio degli automobilisti per gli eventi ambientalisti. Non sembra il caso di somministrare FVO e sorveglianze speciali a chi rallenta il traffico delle strade urbane di scorrimento, non è questo che vuole la Costituzione.
5. Conclusione: per la libertà delle strade
Il decreto in commento pone un punto fermo sull'uso delle misure di prevenzione contro il dissenso politico e sociale ma, anche a causa del suo oggetto delimitato, lascia aperti una serie di interrogativi. Il testo dell'art. 1 lett. c) d.lgs. 159/11 non menziona l'ordine pubblico, che nella logica della Costituzione è estraneo alle valutazioni di pericolosità quando riguarda conflitti sociali e politici, con l'unica eccezione della preparazione della ricostituzione del partito fascista, e ovviamente del terrorismo e dell'aperta eversione. I reati vanno perseguiti, ma le strade dovrebbero tornare occupabili senza rischio di foglio di via obbligatorio anche per la dimensione pubblica, e non per il solo scorrimento delle merci e dei loro portatori. Come avevano immaginato, alla fine del periodo più confuso e vivace della storia repubblicana, gli inni di cantanti popolari come Baglioni e Gaber.
[1] Di questo e di altri temi collegati mi sono occupato nel saggio Il ritorno del diritto di classe, reperibile in https://www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/93-diritto-ed-economia/2453-il-ritorno-del-diritto-di-classe
[2] Attivi nei sindacati c.d. conflittuali come ad es. i Cobas
[3] Si veda ad es. la sua applicazione (in parte poi revocata dalla stessa Questura) ad attivisti ambientalisti che il 25.7.2022 scalarono il palazzo della Regione Piemonte per esporre uno striscione e incatenarsi, perché dediti a reati che mettono in pericolo la sicurezza/tranquillità pubbliche. A seguire tali criteri, chissà quali misure si sarebbero prese nei confronti degli attivisti guidati dalla cantante Gianna Nannini che nel 1995 scalarono l'ambasciata di Francia a Roma per protestare contro degli esperimenti nucleari.
Un vivido ritratto della peculiare situazione torinese è fornito dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sul Fatto quotidiano del 7.2.2023, nell'articolo La sindrome Pd: lotta per Cospito e ignora i ragazzi coi megafoni.
[4] Menditto, Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, vol. I, pagg. 133-134, ed. Giuffré, 2019.
[5] Anche se il Questore di Pavia è giunto a parlare, per la protesta davanti all'ingresso del teatro alla Scala di Milano (cfr. pag. 9 del decreto), nientemeno che di “sacralità del luogo”.