Il controllo giudiziario a richiesta dell'impresa e il compito del giudice ordinario
di Vittorio Gaeta
L'introduzione nel nostro ordinamento dell'interdittiva antimafia e, nel 2017, dell'amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario dell'impresa a rischio di condizionamento mafioso ha cambiato profondamente il volto delle misure di prevenzione, ridimensionando la netta alternativa confisca sì/confisca no. Le potenzialità contenute nell'apertura del sistema alla collaborazione dell'impresa al recupero all'economia sana, tuttavia, non sembrano finora esser state sfruttate appieno dalla prassi giudiziaria e forense, anche e soprattutto a causa del mancato approfondimento del rapporto tra la cognizione del giudice amministrativo e quella del giudice della prevenzione.
Sommario: 1. Economia sana e misure di prevenzione patrimoniali - 2. L'amministrazione e il controllo giudiziario: in generale - 3. L'interdittiva antimafia - 3.1. L'interdittiva come massima anticipazione della tutela - 4. Il controllo giudiziario a richiesta dell'impresa - 5. Sulla natura giuridica del controllo a richiesta - 6. Effetti del controllo a richiesta - 7. L'occasionalità e la sua ambivalenza - 8. “Situazione di condizionamento che può essere data per scontata” - 9. Lo stato della giurisprudenza di prevenzione: in generale - 10. Un caso di fraintendimento - 11. Un caso di fraintendimento: segue.
1. Economia sana e misure di prevenzione patrimoniali
Gli articoli 20 e 24 del d.lgs. 159/11 prevedono, ove ne ricorrano i presupposti e in alternativa al sequestro e alla confisca dei beni del soggetto proposto, l'applicazione delle misure di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, oppure del controllo giudiziario delle aziende.
Raramente adottate dal giudice che decide sul sequestro o sulla confisca, e raramente invocate dai difensori in via subordinata rispetto alle richieste di rigetto/revoca del sequestro o della confisca, tali misure costituiscono “modalità di intervento potenzialmente alternativo rispetto all'ordinario binomio sequestro/confisca dei beni del soggetto portatore di pericolosità”, come le definisce la recente Cass. pen. nr. 24678/21, delle quali - come aggiunge Cass. pen. nr. 21412/21 - “il legislatore, ricorrendone i presupposti, ha inteso privilegiare l'applicazione in attuazione del principio di proporzionalità e in vista del possibile recupero dell'impresa alle fisiologiche regole del mercato, una volta ridotta l'ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità”.
Esse presuppongono non l'illecita accumulazione patrimoniale, che dà luogo all'ablazione, ma la contaminazione dell'impresa da parte della criminalità organizzata, che dà luogo al tentativo di recupero. Si può istituire un parallelo tra la rieducazione del condannato, cui tende la pena secondo l'articolo 27 della Costituzione, e il recupero dell'impresa all'economia sana, cui tendono le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca - modo di acquisto a titolo originario di un bene, che lo Stato rivendica con l'azione di prevenzione.
Come ricorda l'ultima relazione al Parlamento della DIA[1], tali misure di prevenzione (pag. 486) realizzano un'anticipazione della soglia di intervento sui patrimoni sospetti. Esse, diversamente dalle ipotesi di anticipazione della punibilità di un delitto, non accrescono ma attenuano l'invasività dell'ordinamento, utilizzando il criterio della proporzionalità.
2. L'amministrazione e il controllo giudiziario: in generale
Con l'amministrazione giudiziaria delle aziende e dei beni del proposto, prevista dall'art. 34 d.lgs. 159/11 se l'impresa risulti sottoposta a intimidazione, oppure assoggettata o comunque in grado di agevolare la criminalità organizzata, l'intera attività di impresa viene svolta per un certo periodo dall'amministratore giudiziario sotto il controllo del giudice delegato: l'esito finale sarà la confisca dei beni che si rivelino oggetto di illecita accumulazione, o al contrario la revoca dell'amministrazione, eventualmente accompagnata dall'applicazione del controllo giudiziario.
Con il controllo giudiziario (che chiameremo ordinario per distinguerlo da quello su richiesta di cui si dirà in seguito), previsto dall'art. 34-bis d.lgs. 159/11 nell'ipotesi di agevolazione solo occasionale della criminalità organizzata accompagnata dal pericolo di infiltrazione e condizionamento, l'impresa è tenuta per un certo periodo a comunicare una serie di attività anche minute al Questore e alla polizia tributaria (art. 34-bis co. 2° lett. a), mentre a riferire periodicamente al giudice delegato e al Pm è un amministratore che ha compiti di controllo - svolti anche avvalendosi dell'adempimento di obblighi informativi e organizzativi da parte dell'impresa -, e non di gestione come nel caso di amministrazione giudiziaria (art. 34-bis co. 2°, lett. b) e co. 3°).
3. L'interdittiva antimafia
Una situazione diversa si ha con l'informazione antimafia interdittiva prevista dagli artt. 84 co. 3°-4° e 94 d.lgs. 159/11, emessa dal Prefetto e impugnabile davanti al giudice amministrativo, che presuppone non la contaminazione ma il mero pericolo di infiltrazione mafiosa, e ha come effetto essenziale di precludere all'impresa di contrattare con la P.A.
Può dubitarsi che si tratti di misura di prevenzione in senso proprio, perché non limita per un tempo determinato le libertà personali, né colpisce il patrimonio per impedire (come la confisca) che sia strumento della pericolosità del proposto oppure per ostacolare (come l'amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario) quella pericolosità per un tempo determinato. L'interdittiva, invece, intende conformare, tendenzialmente in via permanente, l'attività di impresa ai precetti degli articoli 41 secondo comma e 97 della Costituzione[2], impedendo che possa derivarne l'inquinamento o il condizionamento dell'attività della pubblica amministrazione – così come, ad es., le prescrizioni di un piano regolatore hanno effetto conformativo del diritto di proprietà e dello ius aedificandi.
3.1. L'interdittiva come massima anticipazione della tutela
Per la citata relazione della DIA (pag. 480), il provvedimento interdittivo ha natura amministrativa e rappresenta “la massima anticipazione della tutela preventiva dello Stato dal crimine organizzato (...) in quanto comporta l'esclusione di un soggetto, ritenuto potenzialmente infiltrato dalla criminalità organizzata, dalla possibilità di intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni”. Essa è il frutto di una specifica istruttoria relativa a “condizioni che non costituiscono un numero chiuso e non consistono solo in circostanze desumibili dalle sentenze di condanna per particolari delitti e dalle misure di prevenzione antimafia”, nella quale possono rilevare anche le “motivazioni che lumeggino situazioni di infiltrazione mafiosa da provvedimenti giudiziari non ancora definitivi”, oppure i “rapporti di parentela, amicizia e collaborazione con soggetti controindicati e che indichino un verosimile pericolo di condizionamento criminale per intensità e durata“, o ancora gli “aspetti anomali nella composizione e gestione dell’impresa sintomatici di cointeressenza dell’azienda e dei soci con il fenomeno mafioso”.
Avvalendosi dell'esame della giurisprudenza amministrativa in tema di interdittiva effettuato dall’Osservatorio previsto dall'art. 91 co. 7-bis d.lgs. 159/11, la DIA ha elaborato (pag. 484) specifiche “linee guida” - apprentemente non reperibili in rete, né poste a disposizione dei decisori - per l'individuazione degli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
La “massima anticipazione della tutela preventiva” avviene mediante l'esercizio della discrezionalità amministrativa: le ipotesi più frequenti riguardano casi di grande risonanza sociale, oppure sono concomitanti con operazioni antimafia di vasto respiro, sì da colpire imprese a rischio di infiltrazione da parte di persone raggiunte da provvedimenti cautelari del giudice penale. Rischio che ad es. può dipendere anche da fattori come i rapporti di parentela amicizia o collaborazione indicati dalla DIA, oppure (cfr. art. 84 co.4° lett. c) d.lgs. 159/11) l'omessa denuncia di fatti di concussione o estorsione commessi da soggetto attingibile da misura di prevenzione.
E' coerente con il sistema l'impugnabilità dell'interdittiva prefettizia davanti al giudice amministrativo, giudice dell'atto e non del rapporto, il quale già in altri casi si occupa di materie collegate, come l'impugnazione dello scioglimento degli organi elettivi degli enti locali per infiltrazione della criminalità organizzata.
4. Il controllo giudiziario a richiesta dell'impresa
L'impresa che abbia impugnato davanti al giudice amministrativo l'interdittiva prefettizia può richiedere ex art. 34-bis co. 6° al Tribunale di prevenzione il controllo giudiziario nella forma attenuata della lettera b) dell'art. 34-bis, con sottoposizione al solo controllo dell'amministratore giudiziario e non anche agli obblighi di comunicazione indicati alla lettera a).
Da subito i commentatori hanno indicato la finalità del controllo a richiesta nella “messa alla prova” dell'impresa a rischio di infiltrazione, con la quale è coerente il presupposto dell'impugnazione. In assenza del quale, gli effetti dell'interdittiva diventerebbero inoppugnabili, sì che l'impresa potrebbe dedurre l'eliminazione dei fattori di rischio solo richiedendo al Prefetto la revoca dell'interdittiva, previa una nuova complessa istruttoria. Una volta proposta l'impugnazione, invece, e in attesa dell'esito, l'impresa può farsi mettere alla prova per dimostrare l'eliminazione del rischio.
Certo, può accadere che dopo l'ammissione al controllo a richiesta sopravvenga l'annullamento da parte del G.A. dell'interdittiva: in tal caso, il venir meno del presupposto del controllo può essere dedotto dall'impresa con istanza al Tribunale di prevenzione per la revoca della misura, ex art. 34-bis co. 5° cod. antimafia.
5. Sulla natura giuridica del controllo a richiesta
Il dubbio sulla natura dell'interdittiva prefettizia, se di misura di prevenzione in senso proprio o meno, va esteso al controllo a richiesta che ne sospende gli effetti, che col controllo ordinario ha in comune soltanto il nome e la nomina di un amministratore giudiziario.
Sul piano strutturale, va sottolineata l'assenza nel controllo a richiesta degli obblighi di comunicazione di ogni minuta attività al Questore e alla polizia tributaria, previsti per il controllo ordinario. Sul piano funzionale, poi, non è indifferente che il recupero all'economia sana sia chiesto dall'interessato (e poi ammesso dal giudice) anziché a lui imposto: in tal modo, l'atto conformativo della libertà di impresa costituito dall'interdittiva viene attenuato dal controllo giudiziario chiesto da quell'impresa – la quale quindi risulta, al di là del nomen juris, più beneficiaria di un progetto di recupero delle sue piene funzioni che destinataria di una misura di prevenzione della pericolosità.
A tale proposito, si discute se il controllo a richiesta costituisca o meno un beneficio. Rispetto all'affermazione prevalente, che si tratti solo di un'alternativa rispetto all'inibizione di attività economiche derivante dall'interdittiva, si tratta di intendersi sulle parole.
Si consideri l'ipotesi della messa alla prova in senso proprio, prevista per l'imputato minorenne[3] dall'art. 28 D.P.R. 448/88 sulla base del progetto elaborato ai sensi dell'art. 27 d.lgs. 272/89, il cui esito positivo comporta l'estinzione di qualunque reato, anche se astrattamente punibile con l'ergastolo. Un minore accusato ad es. di omicidio premeditato, che si faccia mettere alla prova, sceglie certamente un'alternativa rispetto alla possibilità di condanna a una lunga pena detentiva: ma davvero si può dire che l'eventuale estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova non costituisca un beneficio, in vista del quale l'imputato attiva la procedura o vi acconsente?
6. Effetti del controllo a richiesta
L'art. 34-bis co. 7° d.lgs. 159/11 prevede che il controllo giudiziario a richiesta sospenda gli effetti dell'interdittiva prefettizia, e quindi il divieto di contrarre con la P.A[4]. L'impresa richiedente, poi, può coltivare la speranza di far valere in una sede amministrativa l'eventuale ammissione al controllo come elemento favorevole.
Sul punto, la sentenza nr. 319/21 del Consiglio di Stato ha affermato che “il controllo giudiziario presuppone l’adozione dell’informativa, rispetto alla quale rappresenta un post factum” (…) perché inevitabilmente diversi sono gli elementi fattuali considerati anche sul piano diacronico nelle due diverse sedi (…) la valutazione finale del giudice della prevenzione penale si riferisce dunque alla funzione tipica di tale istituto, che è un controllo successivo all’adozione dell’interdittiva, ed ha riguardo alle sopravvenienze rispetto a tale provvedimento”, per concludere che l'esito favorevole del controllo a richiesta e l'eliminazione del rischio di infiltrazione non rilevano nel giudizio amministrativo, che riguarda gli elementi esistenti al momento dell'interdittiva.
Quella sopravvenienza potrebbe però giustificare una richiesta al Prefetto di revoca dell'interdittiva, e se del caso l'impugnazione del relativo diniego davanti al giudice amministrativo.
7. L'occasionalità e la sua ambivalenza
Il punto critico nella ricostruzione dell'istituto è dato indubbiamente dal requisito dell'occasionalità dell'agevolazione della criminalità organizzata.
Nel linguaggio comune, “occasionale” è sinonimo di contingente, non strutturale. La contingenza, tuttavia, si atteggia in modo diverso nel controllo ordinario oppure a richiesta dell'impresa:
a) nel controllo ordinario su richiesta dell'organo proponente o di ufficio, l'occasionalità si riferisce al passato, perché è la pregressa attività di impresa, valutata nel suo insieme dal Tribunale di prevenzione come giudice del rapporto, a risultare a rischio di agevolazione occasionale;
b) nel controllo a richiesta dell'impresa - come ormai pacifico dopo la sentenza delle SU penali nr. 46898/19, Ricchiuto -, l'occasionalità non riguarda esclusivamente o prevalentemente la pregressa attività di impresa (momento diagnostico) ma si riferisce anche alle prospettive di recupero all'economia sana (momento prognostico), guardando alle quali può valutarsi in modo concreto la contingenza o meno del fenomeno di agevolazione.
Di per sé, la sussistenza del pericolo di infiltrazione della criminalità mafiosa è valutata dal Prefetto al momento dell'interdittiva ed è contestabile davanti al giudice amministrativo. E' impensabile che questo giudice dell'atto, che per la citata Cons. St. nr. 319/21 non tiene conto delle sopravvenienze, possa fare, con un giudizio riferibile all'intero rapporto tra l'impresa e le regole del mercato sano, una valutazione di occasionalità. Valutazione che non a caso è svolta dal Tribunale di prevenzione, unico giudice in grado di esaminare quel rapporto.
Sul punto, Cass. 21412/21 ha giustamente affermato (pagg. 7-8) che “con la richiesta ex art. 34-bis comma 6 d.lgs. 159/2011, che l'azienda destinataria dell'interdittiva sceglie di proporre, l'istante è chiamata a (necessariamente) dedurre solo quegli elementi, favorevoli, utili a giudicare recuperabile una situazione di condizionamento che può essere data per scontata, in quanto ritenuta in un diverso provvedimento (amministrativo), che la presuppone. Situazione di condizionamento che dunque, pur potendo essere apprezzata (specie nella sua intensità) dal giudice ordinario, non entra nel fuoco dell'accertamento necessario ai fini dell'ammissione all'istituto in esame (cfr. S.U. Ricchiuto, sopra richiamate), volto piuttosto alla disamina del profilo della recuperabilità dell'azienda all'economia sana”.
8. “Situazione di condizionamento che può essere data per scontata”
Contrariamente a quanto ci si attenderebbe alla luce di quanto detto fin qui, gran parte delle richieste di controllo giudiziario formulate da imprese destinatarie di interdittiva prefettizia si risolvono, in tutto o in gran parte, nella contestazione anche minuta degli elementi sfavorevoli già valutati dal Prefetto, di volta in volta indicati come insussistenti o irrilevanti. Lungi dall'accantonare la contestazione di quegli elementi per indicare la possibilità di superarli mediante un progetto di self-cleaning, tali richieste finiscono per “raddoppiare” l'impugnazione proposta al TAR, laddove tale accantonamento[5] sarebbe il passaggio necessario per rivalutare la situazione dell'impresa sospetta e per giustificare il concorso di giurisdizioni.
In effetti, come l'imputato che risulti innocente non va messo alla prova ma va prosciolto, perché in presenza di elementi a carico rivelatisi insussistenti o irrilevanti il ravvedimento sarebbe privo di oggetto, così l'impresa raggiunta da elementi sintomatici di infiltrazione mafiosa rivelatisi insussistenti o irrilevanti ha diritto di vedersi annullare l'interdittiva e di operare senza limiti, e non di sottoporsi a un self-cleaning privo di oggetto.
Del resto, il concorso di giurisdizioni, amministrativa sull'atto di interdittiva e ordinaria sul rapporto tra impresa a rischio ed economia sana, ha ragion d'essere solo se l'oggetto dei due giudizi è diverso e tale da non comportare un rischio sistemico di contrasto di pronunce, in un ordinamento policentrico che, pur limitando l'efficacia diretta del giudicato in altri giudizi, persegue pur sempre l'obiettivo della tendenziale coerenza e complementarietà degli accertamenti di giudici diversi[6].
9. Lo stato della giurisprudenza di prevenzione: in generale
L'insufficiente comprensione delle finalità dell'istituto non sembra un'esclusiva delle imprese che richiedono il controllo e dei loro difensori. Buona parte della giurisprudenza di prevenzione, infatti, tende a riesaminare la sussistenza e rilevanza degli elementi di infiltrazione, già apprezzati con l'interdittiva e sindacabili dal giudice amministrativo, e, di fatto, in caso di accoglimento risolve il giudizio sull'occasionalità dell'agevolazione in unagenerica valutazione di “non gravità” – a volte affermata in motivazioni che neppure sminuiscono quegli elementi sintomatici, ma radicalmente li negano proprio.
Merita di rilevare come un tale fraintendimento, oltre a frustrare le finalità del controllo a richiesta, rischi di provocare effetti fortemente diseducativi.
Si consideri ad es. il caso ricorrente dell'indice di infiltrazione costituito dal rapporto di parentela tra il titolare dell'impresa interdetta dal Prefetto e l'imputato di reati di mafia, possibile fonte di “influenza reciproca” di comportamenti[7]. In verità, il/la figlio/a del mafioso che nulla abbia a che fare con le attività criminali del padre e abbia creato un'impresa con le sue sole forze ha diritto di vedere rimossa ogni ombra dalla sua attività, senza impetrare il recupero ad un'economia sana a cui già appartiene e senza subire il condizionamento di un nome dalla cui caratura criminale ha preso le distanze; così come quel figlio/a, se ha accettato il condizionamento paterno, non ha diritto di lamentare un inesistente pregiudizio a suo carico per poi accomodarsi, con indubbio vantaggio, nella simulazione di un'attività di self-cleaning neppure indicata nei suoi lineamenti.
La scarsa abitudine del giudice penale al confronto con la giurisprudenza amministrativa[8] non può costituire una giustificazione di tale fraintendimento del rapporto tra giurisdizioni. A meno di non voler accettare soluzioni regressive come quella, ipotizzata nella citata relazione della DIA (pag. 486), di attribuire al Prefetto la valutazione di occasionalità onde emanare in sede amministrativa misure analoghe al controllo a richiesta – che, basato sul complessivo rapporto dell'impresa con l'economia sana, verrebbe sindacato dal giudice amministrativo, che pure è giudice dell'atto –, il giudice della prevenzione deve accettare la sfida per la riqualificazione della propria attività[9].
10. Un caso di fraintendimento
Un esempio di inadeguata individuazione degli ambiti della cognizione è costituito dalla recente pronuncia nr. 24678-21 della Cass. penale.
Dalla sua narrativa si apprende che la Corte d'Appello di Roma aveva negato il controllo giudiziario chiesto da una s.p.a. destinataria di interdittiva prefettizia. Sulla premessa che il giudice della prevenzione deve valutare solo la situazione di fatto esistente al momento dell'interdittiva e non gli accadimenti posteriori, aveva con riferimento a quel momento valorizzato il legame di diversi dipendenti con la “sacra corona unita”, la posteriorità del licenziamento di sei dipendenti pregiudicati rispetto a un accesso ispettivo della Prefettura, la gestione di fatto da parte del padre dell'amministratrice, coinvolto in procedimenti per corruzione collegata alla criminalità politico-mafiosa, e invece non aveva considerato l'assoggettamento a concordato preventivo al momento dell'interdittiva e il successivo totale rinnovamento del consiglio di amministrazione (CdA).
Il giudice di legittimità, investito del ricorso della società, condividendo di fatto la premessa sulla valutabilità della sola situazione esistente al momento dell'interdittiva, ha cassato la decisione richiedendo una più adeguata motivazione sull'effettiva incidenza degli episodi corruttivi sugli assetti aziendali, sulla rilevanza dei licenziamenti comunque anteriori all'interdittiva, sulla compatibilità tra ammissione a concordato preventivo con nomina di apposito commissario e il rischio di infiltrazioni ritenuto dal Prefetto, mentre ha ritenuto corretta la valutazione di irrilevanza del mutamento del CdA posteriore all'interdittiva, precisando che gli elementi da rivalutare riguardano la “prognosi circa l'effettiva volontà dell'impresa di affrancarsi da forme di condizionamento illecito” (pag. 11).
11. Un caso di fraintendimento: segue
La decisione della Cassazione in esame suscita grandi perplessità. All'evidenza, tutti gli elementi che il giudice del rinvio dovrà rivalutare attengono non alla prognosi di futuro affrancamento dal condizionamento criminale, ma alla diagnosi di sussistenza del rischio al momento dell'interdittiva: così l'incidenza degli episodi corruttivi sugli assetti aziendali, come la rilevanza dei licenziamenti pregressi o la possibilità per un'impresa in concordato preventivo di agevolare la mafia. Elementi tutti che verosimilmente l'impresa avrà dedotto davanti al TAR competente, e che alla stregua di questa sentenza possono essere dedotti nuovamente, senza alcun ostacolo, davanti al Tribunale di prevenzione. Il quale invece non dovrebbe valutare proprio l'unico elemento tipizzante della sua cognizione, e cioè il radicale mutamento del CdA dopo l'interdittiva, che sul piano astratto è sicuramente un indice (non si sa quanto veridico e sufficiente in concreto) del self-cleaning tipico del controllo a richiesta.
L'inversione di prospettiva rispetto alla giurisprudenza amministrativa e alla dottrina più avvertita è evidente. Lo sforzo della citata Cons. St. nr. 319/21, di considerare il controllo giudiziario come un post factum rispetto all'interdittiva, basato su elementi fattuali “inevitabilmente diversi” che per loro natura costituiscono sopravvenienze rispetto all'atto prefettizio, viene radicalmente vanificato, senza peraltro essere oggetto di considerazione e confutazione specifica.
Di fatto, seguendo la prospettiva di Cass. pen. nr. 24678/21, la sostanziale identità di oggetto tra impugnativa dell'interdittiva davanti al TAR e richiesta di controllo giudiziario davanti al Tribunale di prevenzione finirebbe per giustificare ampiamente l'idoneità dell'esito favorevole del controllo a richiesta a fondare l'annullamento dell'interdittiva: proprio ciò che la giurisprudenza amministrativa vuole impedire, in uno sforzo di delimitazione degli ambiti delle giurisdizioni che non è foriero di alcuna deminutio per il giudice ordinario.
È certamente tempo per un dialogo più efficace tra le giurisdizioni che si occupano di questa delicata materia. Ma, sia detto sommessamente, è al giudice ordinario che tocca di “recuperare”.
[1] Cfr. https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/semestrali/sem/2020/1sem2020.pdf
[2] Afferma sul punto la sentenza nr. 565/2017 del Consiglio di Stato: “Lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose. Questa valutazione (…) costituisce un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio della proprietà privata. Il metodo mafioso è e resta tale, per un essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica”.
[3] Analogo discorso si potrebbe fare per la più limitata messa alla prova introdotta per l'imputato maggiorenne dagli artt. 168-bis ss. c.p. e 141-bis ss. c.p.p.
[4] Analogo effetto si ha nel caso di amministrazione giudiziaria prevista dall'art. 34 d.lgs. 159/11, perché la presenza di un amministratore con poteri anche gestionali rende superfluo l'intervento prefettizio.
[5] Abitualmente richiesto dalla giurisprudenza penale in tema di messa alla prova: ad es. Cass. Pen. 32125/14: “In sede di giudizio minorile, l'ammissione alla messa alla prova dell'imputato, previa sospensione del processo, richiede da parte dell'interessato la rimeditazione critica del passato e la disponibilità ad un costruttivo reinserimento, le quali, pur non esigendo la confessione degli addebiti, risultano incompatibili con la frontale negazione di ogni responsabilità per gli stessi”. Oppure a contrario Cass. Pen. 43810/17: “ai fini della concedibilità del beneficio della sospensione del processo e messa alla prova, la non contestazione da parte del minore dei fatti oggetto di imputazione, così come la confessione, non rappresenta un elemento sintomatico da cui desumere automaticamente il ravvedimento, necessario per formulare un giudizio prognostico positivo sulla sua rieducazione e sull'evoluzione della personalità verso un costruttivo reinserimento sociale, se accompagnata da altri elementi di fatto che evidenziano come la rimeditazione e la resipiscenza rispetto ai fatti non si siano verificate. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che ha escluso la concessione della messa alla prova in un caso in cui l'imputato, pur non contestando i fatti storici in sé, nel corso di tutto il procedimento aveva sempre rifiutato i colloqui con i servizi sociali, con la motivazione che riteneva infondate le accuse mossegli)”.
[6] Sul punto, cfr. Rolli e Maggiolini, in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1728-interdittiva-antimafia-e-giudicato-penale-nota-a-consiglio-di-stato-sez-iii-4-febbraio-2021-n-1049
[7] Sul punto, Cons. St. nr. 2855/19 ha affermato che “una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti”.
[8] A differenza, ad es., dell'attenzione abituale del giudice di lavoro alla distinzione tra costituzione e svolgimento del rapporto di pubblico impiego privatizzato, oppure del giudice delle espropriazioni per pubblica utilità al rapporto con l'occupazione appropriativa.
[9] Sulla sfida posta in generale dal concorso di giurisdizioni, cfr. il fascicolo nr. 1/2021 di Questione giustizia, in https://www.questionegiustizia.it/rivista/la-giurisdizione-plurale-giudici-e-potere-amministrativo