Sommario: 1. Introduzione con ricette per affrontare la crisi e sfondo - 2. I metodi per analizzare la decisione fra Simon e Luhmann - 3. Ancora sulla debolezza del potere pubblico - 4. La prospettiva delle costituzioni civili: resta una domanda - 5. Il funzionamento del sistema sociale ed il ruolo della politica - 6. I tentativi della politica di tornare forte rinunciando alla razionalità.
1. Introduzione con ricette per affrontare la crisi e sfondo
Non c’è dubbio che in Italia vi sia una crisi della decisione pubblica.
Tale crisi appare un aspetto della crisi del potere occidentale ormai chiara sul piano geopolitico senza bisogno – per la sua evidenza - di particolari commenti o approfondimenti.
Ovviamente la crisi del processo decisionale pubblico in Italia ha i suoi aspetti specifici ma essi vanno considerati nell’ambito di un quadro generale che abbia aspetti di solidità.
Il potere pubblico è in crisi perché – a dispetto delle apparenze – è debole.
Il potere pubblico è quindi debole. Ma il potere debole, nella storia, spesso di fa arrogante e spesso, nella storia, le crisi interne vengono esportate e la forza prende il posto della ragione o della ragionevolezza, con l’illusione così di colmare un vuoto.
Debolezza del potere ed arroganza del potere tendono a coincidere.
Il potere pubblico spesso è arrogante perché è debole o meglio perché non sa accettare la sua debolezza; l’arroganza è un segno della incapacità oggettiva di svolgere la tradizionale funzione assegnata ossia di decidere.
Chiediamoci infatti come è forte il potere ? Quando è forte il potere ?
Il potere è forte quando decide.
Decidere significa scegliere.
La scelta ragionevole, non basata sulla forza è non violenta.
La scelta autorevole è mutilante (perché ci sottrae una possibilità) ma sempre non basata sulla forza, non violenta quindi.
Quando una scelta è non violenta?
Una scelta la diremo non violenta a queste condizioni:
- Quando riconosce lo sguardo del terzo (nozione che secondo Kojève identifica l’essenza del diritto ossia la giurisdizione), quando è giuridica, quando tiene conto degli spazi di mediazione (allargando lo sguardo al diritto internazionale e costituzionale quando rispetta l’Onu, quando segue a procedure parlamentari ed a controlli);
- Quando ha il senso del limite (giuridico, condividendo le basi di una costituzione materiale, ma anche naturale e tecnico-scientifico);
- Quando accetta le pretese di verità e non si muove su una base solo autoritaria (ossia quando il potere ha un corretto rapporto con il sapere);
- Quando segue ad un conflitto allo scopo di chiuderlo mediante un compromesso che riconosce le ragion altrui (conflitto inclusivo, dialettica hegeliana);
Ma la decisione è autorevole quando – cosa più importante di tutte – usa l’immaginazione à la Castoriadis e non si limita alla mera gestione amministrativa dell’esistente.
Quando è politica che delinea nuovi orizzonti umani.
Sullo sfondo di questa crisi della decisione vi sono altre faglie di crisi che meriterebbero separate e distinte analisi.
Proviamo ad elencarle:
- La crisi del diritto internazionale post-war (crisi che sta conducendo e condurrà inevitabilmente ad un nuovo ordine multipolare non più a guida occidentale);
- La crisi del costituzionalismo multilivello evidente in UE (la struttura dell’UE andrebbe rovesciata secondo Tremonti Pace o guerra mediante un accentramento delle competenze in materia di esteri e difesa e mediante una liberalizzazione e deregolazione dell’economia che confidi maggiormente nel principio di sussidiarietà);
- La crisi del costituzionalismo nazionale (dovuta al Titolo V ed all’eccesso di nomodotti per usare il termine varato da Irti);
- La crisi del capitalismo ultraliberista che divora ormai lo Stato sociale creando una società a due livelli che segna un passo indietro dall’homo equalis all’homo hierarchius;
- La crisi delle visioni ideologiche intermedie e della legalità repubblicana e liberalsocialista (consumate da ideologie che oscillano fra il ritorno alla società tradizionale ed una sorta di anarchismo economico: ideologie che vengono denominate paleolibertarie);
- La crisi dell’unità della società occidentale (la questione dei dazi intrecciata quella di chi debba pagare il costo della crisi economica americana);
- La crisi del Soggetto moderno che conduce ad una nuova oggettività tecno-sociale legata all’affermazione dell’economia delle piattaforme;
- La crisi della globalizzazione fra spinte per il mantenimento del libero commercio a livello mondiale (di cui si fa interprete la Cina) e istanze de-globalizzanti di cui si fanno interpreti i nuovi nazionalismi;
Sullo sfondo il greed universale, che conduce a nuove forme di asservimento o servitù volontarie e ad una sola mitologia quella dell’impresa che però non è più connotata dal legame rischio -profitto ma solo dall’esistenza di una organizzazione che tende a mantenere se stessa viva oltre ogni necessità.
Ne risultano travolte le dialettiche emancipative che hanno costituito la modernità (secondo l’hegeliana dialettica servo-padrone di asservimento ed inclusione).
2. I metodi per analizzare la decisione fra Simon e Luhmann
Rintracceremo i metodi per analizzare la decisione pubblica sul terreno e nel campo disciplinare della sociologia giuridica.
Il diritto positivo ci offrirebbe infatti solo scenari procedurali che si ritengono asfittici.
Si può partire da Herbert Simon autore de Il comportamento amministrativo.
Il suo pensiero è il paradigma dell’età ordoliberale.
La scelta del soggetto agente è connotata da razionalità, ma limitata.
Il compito dello scienziato sociale è indagarne le condizioni mediante il ricorso ad una panoplia di discipline, fra cui psicologia, economia e management.
La teoria ha consentito importanti progressi nell’aumentate l’efficienza delle decisioni e nel migliorare le perfomance aziendali ma rivela dei limiti.
I limiti sono i seguenti:
- Eccesso di individualismo cognitivo, al centro dell’indagine sono sempre i singoli soggetti agenti (sul presupposto che la società non esista ma esistano solo gli individui c.d. individualismo metodologico; la società è il frutto della somma delle decisioni individuali).
- Le decisioni non vengono considerate nella loro dimensione collettiva, esse infatti possono considerarsi non solo il prodotto dell’agere di un insieme di individui ma anche di dimensioni collettive, sistemiche e comunicative che li trascendono;
- Nell’individualismo metodologico si finisce per dare molta importanza alle procedure necessarie per esercitare la razionalità limitata dei singoli;
- Si presta scarsa attenzione ai fenomeni storico culturali ed al soggetto concreto che decide cercandosi la definizione di standards ottimali e massimizzandosi l’implementazione delle politiche pubbliche mediante meccanismi di paternalismo liberale del tipo nudge (la c.d. spinta gentile) con l’emergere del mito della regolazione tecnica ed il deperire dell’attenzione alla dimensione simbolica dell’agere pubblico.
- L’organizzazione pubblica viene vista come mezzo e non come organismo vivente, la conseguenza è la sottovalutazione delle dinamiche reali dei gruppi e delle loro realtà umane.
Si può considerare più articolata la prospettiva struttural – funzionalista che si incontra analizzando il pensiero di Niclas Luhmann.[1]
Al centro della ricostruzione di Luhmann vi è il concetto di organizzazione, intesa come sistema autopoietico, sul modello dei sistemi biologici o cibernetici.
Il sistema sociale autopoietico è costituito da comunicazioni (differenziate).
Esso si produce e riproduce mediante meccanismi di adattamento che producono decisioni.
Ne deriva la conseguenza che se non si decide si muore, perché nessun organismo vivente e nessuna società che lo replica può vivere senza adattarsi ai cambiamenti necessari non fosse altro che per le interazioni di un sistema con l’ambiente circostante , con altri sistemi e per l’effetto dello scorrere del tempo.
La decisione è una forma comunicativa.
Ha una struttura: una premessa che esamina le condizioni date e le alternative che si pongono ed un contenuto ossia la scelta.
La struttura organizzativa è impersonale.
Il poema (ossia il linguaggio e la struttura collettiva che lo costituisce e lo ospita) viene prima del poeta (ossia il soggetto che deve decidere).
La decisione ha delle funzioni che si replicano nei diversi sistemi e sottosistemi sociali:
- Ridurre la complessità;
- Rendere prevedibili i comportamenti;
- Lasciare tracce e memoria collettiva.
Il potere (l’attribuzione del potere) è la forma che assume la decisione assunta per decidere chi decide.
Anche l’approccio di Luhmann ha dei limiti.
La disumanizzazione della società che è vista come un meccanismo che sovrasta l’individuo.
Il rischio massimo è quello della scomparsa della persona.
Si provoca e si induce una certa passività ed un certo pessimismo.
L’oggettività sociale anche in questo caso ignora o rischia di ignorare il vissuto, i conflitti e le emozioni.
Una visione del genere rende difficile normare al fine di modificare l’oggettività socio economica e rende scettici sulla presa della politica sulla società.
Abbassa le aspettative circa la capacità della democrazia di rispondere ai bisogni delle persone cambiando le cose.
Coglie il declino della politica per effetto della complessità sociale.
Ferme queste consapevolezze critiche (che possono correggersi leggendo e prendendo sul serio l’immaginario di Castoriadis) resta che:
- La teorica di Luhmann fornisce un chiaro quadro interpretativo della c.d. nuova oggettività ossia la portata delle grandi trasformazioni in corso nella società e nell’amministrazione che determinano la scomparsa del Soggetto moderno (cartesiano- smithiano- lockeano).
- La teorica in esame è uno schema che possiamo utilizzare per comprendere senza prescrivere.
- Essa parte dal presupposto che l’uomo è solo un elemento nel sistema ambientale (in consonanza piena con l’approccio dei libri del Metodo di Edgar Morin).
- L’autopoiesi è un meccanismo di sopravvivenza riscontrabile nel vivente.
- La teorica spiega i fallimenti dei cambiamenti (quando soggettivistici e velleitari).
- La teorica si presenta come analisi di meccanismi impersonali ma può essere rovesciata mettendo o rimettendo al centro i corpi, le emozioni l’immaginario (Castoriadis).
3. Ancora sulla debolezza del potere pubblico
Fatte queste sommarie premesse generali, vediamo ora come la teoria dei sistemi può aiutarci – come metodo – a leggere il presente.
Il presente nel quale si vive – giova ricordarlo – è un presente di secolarizzazione estrema che - in relazione al potere pubblico – pone il tema dell’assenza di fondamento (o della radice nichilistica) di ogni scelta puramente umana.
Emerge il tema del fondamento nell’età della secolarizzazione, travolte le culture religiose e tradizionali, consumata l’etica grande borghese, si vive nel dominio del mercato e della società consumistica di massa.
In questo quadro si affaccia la domanda sulle basi del diritto: quale fondamento ha l’esperienza giuridica, quali basi occorre riconoscerle per evitare che diventi un mero strumento nelle mani di chi si avvicenda al potere?
Su questo terreno – o anche su questo terreno – si consuma la crisi del costituzionalismo e la conseguente complessità della vita amministrativa.
Le fila del cammino nel diritto della crisi possono riprendersi, forse, a partire da un corretto rapporto sapere- potere, a partire dall’einaudiano “conoscere per deliberare”.
Per conoscere occorre utilizzare l’analisi sistemica e questo per stabilire dei punti di partenza condivisi dai quali avviarsi alla individuazione dei problemi e dei conseguenti nodi decisionali da sciogliere che possano restituirci un società capace di evolversi decidendo.
Il punto di partenza è la chiara percezione che si vive in una società complessa, multi-centrica, differenziata e policontestuale (in cui si intrecciano dinamiche di sottosistemi che fra loro interferiscono variamente).
Il sistema sociale complessivo è composto di sfere separate, dotate di autonomia sistemica.
Naturalmente la complessità che per un verso è un problema per altro verso è una ricchezza.
In passato – nell’epoca pre-moderna - la dominanza religiosa garantiva uniformità ed abbiamo avuto il processo a Galileo Galilei, paradigma del rifiuto religioso della complessità scientifica.
Nell’epoca moderna abbiamo avuto la dominanza della politica assoluta e della tecnica posta al suo servizio ed abbiamo attraversato l’epoca di totalitarismi (con l’Olocausto).
Il costituzionalismo è l’argine costruito in Occidente per evitare questi pericoli.
Un argine scricchiolante.
Vediamone le ragioni.
La complessità sociale è fatta di sfere separate esaminiamone alcune in relazione al loro scopo: l’economia persegue l’utile, la scienza il vero, l’arte il bello, la giustizia il giusto, l’ etica il buono, la religione la salvezza.
E si potrebbe continuare: nella famiglia si coltivano affetti ed amore, a scuola (secondo il codice promosso/non promosso; hai appreso / non hai appreso) il merito; nel sindacato l’uguaglianza nei luoghi di lavoro; in ogni (trasversale) attività estetica (bello/brutto) si persegue armonia , nelle (trasversali) attività etiche (secondo logiche trascendenti od immanenti) si persegue il perfezionamento umano.
E la politica quale scopo ha? Quale codice segue?
Essa è costituita come luogo del comando della sfera pubblica. Ad essa è riconosciuto un primato dalle Costituzioni rispetto ad ogni altra attività.
Essa è definita – da un allievo di Luhmann [2]- come dominio di tutti i domini.
Ma sprofonda nella vacuità della ricerca del consenso o dell’autoritarismo due gravi patologie della politica post-hitleriana.
Non è più – gramscianamente – il centro privilegiato della società.
Cruciale è il rapporto economia/politica, un rapporto ormai squilibrato in cui l’economia domina la politica.[3]
Scontato il riferimento alle Big Tech, ai colossi della finanza o della industria farmaceutica.[4]
Ma il tema, forse, è più profondo: la società mondo (studiata da Wallerstein. Arrighi. Braudel) non è territorialmente delimitata o delimitabile.
Essa si sviluppa e scorre invisibile al di sopra ed al di sotto delle società politiche.
La società mondo è ormai una società di aspettative cognitive senza confini, già instaurata a livello globale.
Si tratta di una società la cui cittadinanza è essenzialmente una cittadinanza digitale.
Una unitas multiplex fatta di connessione di ambiti comunicativi; di flussi di merci, di uomini di culture che si vanno fondendo.
Non è solo la globalizzazione portata dai grandi soggetti dell’imprenditoria multinazionale, né il diritto globale (che molti internazionalisti negano esista) né la lex mercatoria (studiata dai giuscommercialisti), ma è una società che si afferma dal basso, come società economica, con la forza delle abitudini delle masse, nel segno della prevalenza dell’economico sul politico (con tutti i riflessi che ciò comporta sulla decisione).
Vediamone alcune manifestazioni che hanno una matrice sociale e non solo capitalistica:
- L’overtourism con il fenomeno connesso della degradazione ambientale e della trasformazione del paesaggio in un selfie;
- La gentrificazione e privatizzazione delle città per eventi privati (ad es. matrimoni) di esponenti della upper class globale.
- La privatizzazione delle reti (satellitari e di cavi sottomarini) avvenuta per effetto di dinamiche tecnologiche e di mercato spontanee affermatesi in luogo dei monopoli pubblici che la normazione avrebbe dovuto istituire;
- Il fenomeno dei concerti globali e delle manifestazioni museali globali.
In tutti questi casi ci troviamo di fronte a nuovi costumi sociali che si affermano in società di tutto il mondo e che vengono condivisi mediante i social, usati spontaneamente da esseri umani di tutto il pianeta fra i quali stanno saltando le barriere linguistiche.
Piaccia o non piaccia questo fenomeno esso è una realtà.
I sotto- sistemi alla Luhmann prevalenti in questo quadro sono due: l’economia ed i mass media.
Soffermiamoci sul sapere dei media e consideriamo il suo rapporto (cruciale essendo la questione foucaultiana del rapporto sapere-potere) con i saperi specialistici, ad es. tecno-scientifici.
Qui si deve registrare la tendenza al riduzionismo . ciò che le masse conoscono dei saperi tecno-scientifici è sempre solo ciò che viene selezionato dai media e nel modo in cui viene selezionato.
Naturalmente nascono reazioni critiche: contro le assurdità e le ipersemplificazioni dei media.
Fra queste reazioni v’è il sorgere (o ri-sorgere) di quelle visioni della politica (invero risalenti alla Repubblica di Platone criticata da K. Popper nella Società aperta ed i suoi nemici) che sostengono ormai la necessità dell’avvento dell’epistocrazia.
Si assiste insomma variamente al ritorno di teorie antidemocratiche di tipo elitistico (nella scienza politica italiana mai sopite se si considera il filo rosso che lega la scienza politica nazionale da Machiavelli a Gramsci, fino a Mosca, Pareto, Michels e Giovanni Sartori).
Si deve constatare il fallimento dell’educazione democratica dal tono predicatorio alla Dewey (esitante nella nostra cultura di massa nella retorica della Costituzione più bella del mondo senza indicare i modi per farla funzionare bene) e ciò senza nulla togliere alla necessità profonda di una vera paideia costituzionale.
Ma una paideia costituzionale all’altezza dei tempi deve saper relativizzare lo Stato nazionale.
Vederne i limiti per rafforzarlo , in attesa del suo (inevitabile) superamento.
Economia, scienza, tecnica, media non conoscono ormai segmentazioni territoriali.
La politica (nazionale) come sfera di interconnessione generale di tutte le sfere non è in grado di svolgere la sua funzione perché è segmentata territorialmente ed ossessionata da problemi identitari.
Lo stato è nel contesto socio economico dei nostri tempi un vero e proprio soggetto debole.
Le costituzioni del Novecento lo pensano come un soggetto forte, esse infatti erano figlie dell’esperienza degenerata dei totalitarismi.
Va ripensato il rapporto fra economia e politica perché la politica possa ritrovare il ruolo decisionale che le compete.
Una qualche forma di costituzionalismo globale o per sfere imperiali potrebbe essere l’esito della ricerca (speriamo in un parto senza travaglio o con travaglio non troppo doloroso) di un nuovo ordine economico mondiale.
Il filo della ricostruzione passa nel rapporto fra politica internazionale, politica europea e politica nazionale, all’insegna di un nuovo transcostituzionalismo, che implica la necessaria rifondazione delle costituzioni nazionali ed un complessivo ridisegno del diritto pubblico che prenda atto della dominanza dell’economia disciplinando i poteri privati globali (i poteri selvaggi dice Ferrajoli) nel segno della loro conformazione a finalità di interesse generale e della mitigazione del nuovo “capitalismo estrattivo”.
Occorre riflettere sul condizionamento della statualità non per superarla ma per ridisegnarla.
E la cornice istituzionale europea è un passaggio cruciale.
Il Consiglio di Stato è un luogo emblematico per testare la crucialità del diritto europeo in formazione e la giurisprudenza amministrativa contiene – nel dialogo con la Corte UE - i germi leggibili di un ripensamento del ruolo dello Stato perché lo Stato possa sopravvivere senza adottare logiche della pura forza.
Mancano certo realistiche prospettive per fare a meno dello Stato e del suo ruolo securitario (più volte evidenziato da Massimo Luciani).
Nel lungo periodo - o più o meno lungo chissà – dobbiamo fare però i conti con la permanenza e convivenza di reti pubbliche e di attori statali e di reti private ed attori globali.
4. La prospettiva delle costituzioni civili: resta una domanda
Una lettura della possibile evoluzione del costituzionalismo a fronte della globalizzazione è stata da Teubner[5] per il quale sotto la società mondo crescono le costituzioni civili .
La “depoliticizzazione” della vita ha fatto pensare a questo: un fenomeno spontaneo di aggiustamento pacifico.
La storia – attualmente - non sembra più andare in questo senso. Ma resta aperta una possibilità di addomesticamento spontaneo dei poteri selvaggi.
All’epoca della teorica di Teubner il “government” declinava, la “governance” si affermava, ad es. nel fenomeno delle amministrazioni tecno-scientifiche indipendenti dalla politica.
Oggi le amministrazioni indipendenti hanno fallito e lo si è visto con la duplice crisi finanziaria e sanitaria.
Ora torna l’esigenza securitaria, hobbesiana, che fu all’origine del costituirsi degli Stati nazionali all’esito delle guerre di religione.
E si cercano nuovi più ampi confini in un quadro problematico ed in perenne movimento.
Lo Stato rimane centrale ma cerca dimensioni più vaste di quelle nazionali.
Nel contempo si vede – secondo Donati - “crollare la distinzione fra pubblico e privato, fra il diritto pubblico e il diritto privato, che è alla base delle costituzioni politiche degli stati nazionali moderni. La brillantezza dell’analisi sta nel fatto che nella teorica di Teubner non ci si limita semplicemente a descrivere il venir meno di questa distinzione, ma si fornisce una teoria sul perché la distinzione moderna pubblico/privato sia destinata a diventare secondaria nel futuro, e ad essere rimpiazzata da altre distinzioni a livello locale e sistemico”.
La moderna distinzione fra sfere pubbliche e private crolla non solo perché in ciascuna di tali sfere vengono operate le distinzioni di re-entry, ma anche perché c’è unione intima fra tali sfere.
Tale unione o confusione sorge principalmente dal fatto che la contrattazione (privata) deve necessariamente includere i problemi pubblici (societari) che essa stessa provoca.
Le nuove distinzioni non annullano la distinzione pubblico/privato, ma cambiano la semantica di ciò che è pubblico e ciò che è privato. Con la semantica, mutano anche le istituzioni sociali e normative fondamentali in cui l’uno e l’altro possono concretizzarsi “costitutivamente”.
La questione paradigmatica per la teorica delle costituzioni civili di nuovo conio è quella del cyberspazio.
Essa pone il problema dell’ accesso politico universale alla comunicazione digitale: viene infatti sollevato, in ultima analisi, il problema dell’esclusione dai processi comunicativi globali, questione che eccede la dimensione tecnica e scientifica per attingere il livello politico ma senza trovare un potere dimensionato in modo tale da poterla risolvere.
Se le soluzioni pacificanti di Teubner appaiono ormai fuori fuoco (per il ritorno della storia e della sua tragica conflittualità) resta la cruciale domanda da lui posta: è possibile mettere a frutto la tradizione costituzionale dello Stato-nazione trasformandola in modo da rendere simultaneamente giustizia ai nuovi fenomeni della digitalizzazione, privatizzazione e globalizzazione?
In attesa del nuovo ordine politico in fieri le amministrazioni devono attrezzarsi, il potere pubblico dovrebbe cambiare pelle divenire – sin da ora - un mero conformatore di poteri privati esercenti – nella crisi fiscale degli Stati - vere e proprie funzioni pubbliche o servizi pubblici a seconda dei casi.
5. Il funzionamento del sistema sociale ed il ruolo della politica
Come funzionano le società complesse ?
Luhmann ce lo dice attraverso due concetti: la “razionalità trasversale” e l’”accoppiamento strutturale”.
Le società complesse funzionano attraverso flussi di senso fra sistemi che restano indipendenti ed autopoietici. La politica ed il linguaggio ne sono i collanti fluidi.
Vi sono molti mediatori parziali ed un mediatore generale: il linguaggio.
L’uso del linguaggio non comporta alcuna accettazione del messaggio.
La politica è il dominio dei domini.
“Tutti i media generalizzati di comunicazione simbolica – osserva Luhmann - hanno a che fare col problema dell’improbabilità dell’accettazione di qualcosa. Tuttavia nelle società sviluppate vi sono diverse varianti di questo problema generale. Un bisogno di potere si sviluppa soltanto allorché le azioni vengono comunicate come decisioni, ossia come selezioni che potrebbero anche presentarsi diversamente, e allorché ci si riferisce alle azioni di un altro per il quale vale la stessa cosa. Il potere sorge soltanto nel presupposto della doppia contingenza. Detto diversamente, il problema è come e perché si dovrebbe indurre qualcuno ad accettare una decisione sulle sue decisioni, sebbene il mondo offra anche altre possibilità”.
Il diritto – strumento della politica - è un mediatore di livello generale importante per ottenere accettazione sociale. Il linguaggio è il mediatore per eccellenza, anche in ambiti non vincolanti.
Il linguaggio media fra tutti i sistemi, che sia alfabetico o informatico, matematico o simbolico.
Il diritto – come strumento della politica - media ove sia necessaria certezza.
Nel campo giuridico ad es. la proprietà ed il contratto mediano fra economia ed esigenze di giustizia e di attribuzione certa dei beni (fino a quando non verrà rivalutato il dono).
La costituzione media fra politica e diritto.
Gli accoppiamenti strutturali sono il massimo della connessione possibile fra sistemi che restano chiusi.
C’è un “accoppiamento strutturale” tra i sistemi, dice Luhmann, ma non c’è connessione tra le loro operazioni, che restano chiuse l’una per l’altra.
Gli accoppiamenti strutturali usano dei medium linguistici , dei codici, degli elementi di razionalità trasversale.
La comunicazione – quindi - è il medium per eccellenza ma essa non stabilisce reali interconnessioni fra i sistemi o sottosistemi indipendenti.[6]
Ogni sottosistema del sistema sociale ha un «medium di comunicazione simbolicamente generalizzato»: il denaro per il sistema economico, il potere per il sistema politico, la verità per il sistema scientifico, la fede per la religione e così via.
Ma essi sono parte di una totalità complessa che si struttura secondo una serie complessa di atti comunicativi.
Facciamo alcuni esempi:
Una consulenza tecnica media fra scienza e diritto , fra parti e giudice terzo nel giudizio.
La ricetta di un medico media fra scienza e amministrazione sanitaria e malati.
Il sistema di uso e circolazione dei beni culturali giuridicamente media fra arte e società.
I mass media mediano (senza eccessivi vincoli che non siano quelli che regolano il diritto delle comunicazioni) fra politica ed opinione pubblica.
Gli atti di comunicazione non devono sempre essere accettati per produrre effetti.
Il potere politico decide qualcosa imponendolo al sistema sociale, ma in una situazione di doppia contingenza dove all’incertezza che vive l’autore dell’atto di comunicazione (o decisione) politica si accoppia l’incertezza che vive il destinatario dell’atto medesimo .
C’è qualcosa che cambia radicalmente: il potere diventa un concetto sempre più fluido, sempre più consapevole della propria contingenza, quindi sempre più «riflessivo», sempre più orientato alle selezioni compiute dai partner coinvolti nelle relazioni di potere, i quali, per quanto in modo asimmetrico, dispongono ciascuno di un potere da utilizzare reciprocamente.
Tutto dipende da ciò che la società politicizza per adottare una decisione vincolante.
“A differenza di quanto avviene nella discussione relativa alla questione della legittimità, per me il problema non consiste né in una motivazione sufficiente (o persino logicamente inconfutabile) del codice del potere, né in una sua accettazione di fatto in base a un’azione combinata di consenso e di violenza. Il problema sta, invece, nelle strutture e nei processi capaci di rendere possibile e di controllare la trasformazione del codice in qualcosa di contingente”[7].
Leggiamo ancora un passo:
“Si tratta di comunicazioni che si rappresentano come decisioni, e quindi come contingenti. Vincolante vuol dire che una decisione funge da premessa non discutibile per ulteriori decisioni; ma con ciò non si vuol dire che vengono irrigiditi certi stati sistemici futuri. Il vincolo deve presentarsi effettivamente, indipendentemente dalla razionalità della decisione, dalla sua utilità, dalla sua validità normativa. In tutte queste questioni che possono dare adito a conflitti e controversie, ciò che in definitiva conta politicamente è l’attuazione della decisione sulle premesse delle decisioni. Inoltre si tratta di vincolo collettivo, quindi di una referenza sistemica che include anche il decisore; non si tratta quindi di un modello gerarchico dove il vertice potrebbe governare come dall’esterno. Tutte le operazioni politiche sono operazioni nel sistema politico, qualunque sia la situazione di potere e qualunque sia la posizione organizzativa che ne è responsabile. Anche il decisore è vincolato. Ciò non esclude la possibilità che si cambino le decisioni, ma queste debbono comunque ripresentarsi come nuove decisioni; non derivano semplicemente dalla continua indipendenza di un «sovrano». Il che implica che il sistema dispone della possibilità di distinguere tra indipendenza (arbitrio) e cambiamento delle decisioni. A questo serve l’istituzione della procedura, che deve essere rispettata, se si vuole che una modifica della decisione abbia un effetto collettivamente vincolante.”[8]
Si tratta di una descrizione che mira ad ingabbiare la contingenza nel vincolo procedurale e nell’effettività della decisione, senza dare spazio a giudizi di valore.[9]
Pura oggettività. La più probabile forma del mondo che viene.
La situazione a questo riguardo può essere rappresentata nel modo seguente:
- la politica non politicizza stabilmente ed efficacemente i bisogni sociali (avremo il caos ed il ritorno della forza);
- la politica esprime un ordine stabile (abbiamo un ordinamento giuridico stabile);
- la politica risulta dominata da altre sfere (avremo una situazione disfunzionale di squilibrio).
Nella fase storica i codici economici prevalgono sui codici politici.
Si verificano – quindi luhmannianamente - sabotaggi dell’autonomia dei codici della politica negli accoppiamenti strutturali, che sostituiscono ad es. il danaro all’interesse generale che va cercato proceduralmente (ad es. con la logica della crescita ossessiva anche a discapito dell’ambiente).
Ciò determina la fine dell’autopoiesi del sistema politico.
All’autopoiesi si sostituisce l’allopoiesi ossia la decisione imposta per logiche fatte prevalere da un altro pezzo del sistema sociale (ossia il sistema economico che da sempre è dominante ma non dovrebbe divenirlo in modo esclusivo).
L’economia domina la politica.
Altra forma di disfunzione sistemica si ha quando la burocrazia assume valore non servente la politica ma si autonomizza, magari collegandosi ad interessi economici come avviene nella burocrazia Ue: potremmo chiamare questo fenomeno autismo sottosistemico.
6. I tentativi della politica di tornare forte rinunciando alla razionalità
Alla complessità il sistema politico dovrebbe rispondere per Luhmann differenziandosi, aprendosi alle possibilità contingenti, usando una razionalità sempre più raffinata.
La differenziazione moderna appare tuttavia invecchiata perchè riconduce i conflitti «a uno schema puramente politico», quello fra destra e sinistra nato con la Rivoluzione francese, «che non ha correlati di sorta nell’ambiente sociale» e che verrà poi «rinforzato e ideologicamente depotenziato tramite il codice governo/opposizione».
Il codice maggioranza/opposizione mette la politica di fronte «a un futuro che essa non può controllare».
E questo non tanto per via dell’imponderabile fortuna, quanto perché la stessa molteplicità dei temi e degli interessi in gioco non garantisce in alcun modo che chi detiene il potere possa conservarlo, né che chi lo contesta possa conquistarlo.
In secondo luogo, l’istituzionalizzazione delle elezioni politiche garantisce al sistema «un’incertezza che il sistema stesso produce al proprio interno». Il sistema si fonda insomma su decisioni che esso stesso ha istituzionalizzato, creando così le condizioni affinché si producano ulteriori decisioni da parte dei rappresentanti eletti, senza sapere chi saranno. In questo modo il sistema, garantendosi incertezza rispetto al proprio futuro, pone le condizioni affinché le operazioni politiche, anziché essere calcolate, si configurino piuttosto come decisioni da prendere.
E siccome ogni decisione esprime l’inizio di una storia imprevedibile che prelude ad altre decisioni in un futuro sconosciuto, si chiarisce anche il senso in cui Luhmann dice che «la democrazia ha nello sfruttamento dell’ignoranza una delle sue più importanti e ineludibili condizioni di possibilità».
Ne derivano aspettative modeste sulla democrazia e la sua tenuta nel futuro.
Meglio tuttavia attrezzarsi a convivere con un’incertezza «controllabile» che tener dietro a sicurezze impossibili o consegnarsi a forme di servitù volontaria.
Quella di Luhmann risulta una lezione di modestia.
Ma il senso di impotenza della politica sta determinando tentativi di tornare dominante secondo la logica della forza (anche militare) e non secondo il ricorso alla razionalità trasversale.
Ciò -lo si nota per inciso- anche rispetto al sottosistema giudiziario che tende a sua volta, nella crisi della politica, a divenire a sua volta dominante (O.Marquard ha analizzato il fenomeno di tribunalizzazione del mondo e della storia , visibile nella parabola della giustizia internazionale e nella sua mancanza di effettività).
Si tratta del globale attacco allo Stato di diritto al quale stiamo assistendo.
Se tale prospettiva verrà coltivata in modo troppo radicale o radicato sarà eliminato lo sguardo del terzo e quindi la principale condizione della complessità con un effetto regressivo sulla civilizzazione.
Abbiamo bisogno di ponti e non di mezzi.
E di codici di razionalità trasversali equilibrati.
Evitando forme di autopoiesi, autismo, imperialismo, a favore di una complessità armonica.
Per realizzare ciò occorre il gesto perenne dell’equilibrista girovago di Rilke.[10]
[1] Al tempo in cui ero studente andava di moda lo struttural – funzionalismo.
Luhmann ne era un esponente di spicco.
Egli è stato un sociologo e filosofo tedesco che ha ripreso l'orientamento struttural-funzionalista di T. Parsons, elaborando una teoria della società concepita come un insieme di sistemi logici e sociali integrati, autoreferenziale in quanto costituisce da sé gli elementi di cui è composto, e autopoietico, cioè in grado di riflettere sui propri scopi ed eventualmente modificarli, dando luogo a processi di differenziazione strutturale.
La nuova oggettività in corso (su cui cfr. Foà –Montedoro Dialogo sulla nuova oggettività , Napoli 2024) - ossia la trasformazione del mondo che mette al suo centro la tecnica (e non l’uomo) e l’impresa (e non l’imprenditore) e la sopravvivenza dell’organizzazione (e non i benefici che essa può produrre come il profitto o il benessere sociale) – impone un confronto con il suo pensiero , per più aspetti anticipatore .
La teoria sociale di Luhmann è – per certi aspetti – una delle migliori descrizioni disponibili della società contemporanea, non è solo la teoria di un oscuro professore di sociologia che ha operato nel mondo accademico tedesco.
Egli tuttavia è stato sostanzialmente ignorato dal pensiero liberale americano (le ragioni di tale rifiuto o di tale mancato recepimento sono analizzate da Moeller Per comprendere Luhmann Milano 2016) e risiedono in gran parte nel carattere radicale della sua concezione della società.
Egli ha pensato la sua teoria come una forma di radicale antisoggettivismo che tuttavia l’anima liberale fa fatica ad accettare ma che rischia di calzare a pennello al tempo che viene.
La sua finalità non era produrre l’ennesima critica al capitalismo (dopo quella freudiana – francofortese e quella del marxismo) ma di deantropologizzare gli studi sociali adottando una prospettiva di analisi della società radicalmente antiumanistica.
La filosofia politica dell’Occidente è stata connotata da visioni incentrate sull’uomo, come individuo e come collettività, sulla sua volontà o sul contratto dagli uomini stabilito, per edificare istituzioni sociali.
Luhmann depone le aspirazioni alla verità, adotta un atteggiamento ironico, invita a guardare alla società come è, rifiuta la costruzione di filosofie onnicomprensive, si sottrae alla ricerca di una clavis universalis.
Mette al centro dell’analisi sociali i fenomeni di comunicazione, superando in un tradismo il tradizionale dualismo cartesiano corpo-mente.
La società è un insieme di sistemi chiusi, autopoietici, capaci di produrre e riprodurre se stessi, emergendo da una situazione caotica sottostante, e tuttavia soggetti a modificazione per effetto della complessa interazione fra sistema ed ambiente circostante.
Una teorica chiaramente debitrice di paradigmi derivati dalle scienze contemporanee ed in particolare dalle scienze biologiche.
Il sistema chiuso autoreferenziale non è un sistema immobile esso è infatti aperto nei confronti dell’ambiente.
Ciò perché i diversi sistemi (ad es. l’economia e la politica, l’università e la scuola ed il mondo del lavoro, lo spettacolo e la cultura ed il turismo, l’informazione ed altri mondi vitali dall’editoria allo sport) interagiscono fra loro e quindi si modificano dando vita ad una sorta di ecologismo delle istituzioni sociali ossia ad un loro adattamento reciproco.
I sistemi sociali però – in questa ottica- non possono progettare alcunché su loro stessi.
L’ecosistema è senza centro. La società è un ecosistema senza centro.
Ogni creazionismo è bandito, come ogni soggettivismo.
Non esiste un Dio creatore, una giustizia a sua misura, l’evoluzione biologica è autogenerata dal fondo misterioso della Natura, autogenerazione costruttiva della vita, la società è parte del meccanismo autogenerativo della vita, di cui costituisce lo sviluppo sul piano comunicativo.
La società si costruisce attraverso la comunicazione nei sistemi che la compongono e nell’interazione fra detti sistemi che produce i diversi effetti di volta in volta di “risonanza”, “perturbazione” ed “irritazione”.
Diverse frizioni fra sistemi sociali producono effetti evolutivi.
Giustizia, libertà e dignità umana non sono realtà ontologiche di tipo teologico ma meri costrutti sociali necessari (o superflui) rispetto al funzionamento di un sistema.
Se il sistema funziona meglio senza presupporle sceglierà la via della loro abolizione.
La democrazia viene radicalmente decostruita.
Non è in crisi per la crisi della religione civile che la dovrebbe accompagnare e che non l’accompagna più per effetto di una cattiva secolarizzazione ma è in crisi perché ha rilevato la sua essenza di mera narrazione di una forma peculiare (fra altre pur possibili) di legittimazione del potere.
Egli ha voluto iniziare una transizione teorica verso una società radicalmente costruttivista (non solo e non tanto perché la società è comunicazione – questo porterebbe ad un umanesimo debole – ma nel senso che è la società che costruisce l’uomo e non l’inverso), radicalmente antiregionalista (nel senso che la struttura sociale – nelle sue dinamiche funzionali - resta la medesima in tutto il globo, essendo presenti solo variazioni locali) e radicalmente antiumanista (nel senso che l’uomo come essere sociale è meno importante di quanto si sia disposti ad ammettere).
Il mondo non è post-moderno ma è ancora moderno, piuttosto, forse, iper-moderno, dominato dalla tecnologia che è parte dell’ambiente in cui operano i sistemi sociali.
Nessuna società per Luhmann è mai stata veramente umana o a misura d’uomo.
I sistemi sociali come sistemi autopoietici o che si producono e riproducono operano come i sistemi biologici (nelle differenziazioni, duplicazioni o moltiplicazioni cellulari).
I sistemi sono sempre operazionali.
Ed anche la moderna I.A. lo è.
Essa è quindi un ambiente tecnologico destinato ad trasformare profondamente i sistemi sociali nei loro processi autopoietici e nelle loro interazioni.
Come Luhmann direbbe solo la comunicazione può comunicare, essendo la comunicazione un fenomeno autopoietico, un sistema sociale, non umano.
Gli uomini sono delle monadi chiuse in se stesse, agite da sistemi sociali.
Così come non ci sono connessioni univoche fra i processi corporei ed i processi psicologici ed i sistemi sociali, questi ultimi non sono guidati dai primi perché gli uomini in quanto tali non sono in grado di esprimere alcun controllo sulle funzioni sociali ossia non esiste un sistema di governo o autogoverno della società intesa come sistema, nemmeno la politica (argomento antiumanista radicale).
Esistono solo complesse interazioni fra i sistemi.
I sistemi guidano se stessi perturbando gli altri come le turbolenze nella navigazione aerea.
Naturalmente i sistemi possono collassare.
Per presentarsi in nuove forme meno perturbabili.
La società quindi non è unitaria: ma è il frutto dell’interazione dei sistemi che la compongono.
La razionalità sociale non è unitaria: ma è il frutto delle interazioni delle diverse rationes che governano i sistemi.
La politica non può avere alcuna reale funzione di rappresentanza perché la società è troppo complessa per esaurirsi o rendere possibile tale funzione (il Parlamento in questa chiave un sogno enciclopedistico tramontato).
Anche le famiglie sono sistemi autopoietici che funzionano fino a quando le intenzioni dei loro membri sono convergenti e non troppo differenziate.
I divorzi possono essere resi più difficili; i figli possono essere sostenuti dalle famiglie, ma se i componenti della famiglia non sentono la funzione sistemica della stessa (ad es. i coniugi o i giovani ed i vecchi) la famiglia collassa o si separa assumendo una nuova forma.
La società non può governare se stessa e ciò significa che le promesse elettorali sono sempre vacue e questo spiega la crescente disaffezione alla democrazia.
L’economia capitalista è chiusa in se stessa e non si fa governare dalla politica.
La pianificazione è un’illusione.
Il sistema economico evolve attraverso il medium del danaro (oggi in tempi in cui la guerra in Europa ha riportato al centro l’economia reale attraverso la disponibilità delle energie).
Non esiste alcun sistema di governo dell’economia.
Ma anche le politiche di promozione della competitività (quale le politiche europee sulla scorta della c.d. agenda Draghi) e del libero mercato (del tipo di quelle del FMI) sono illusorie poiché la politica non ha presa sull’economia.
Gli esseri umani stanno insieme come esseri inermi.
La società che essi producono ecologicamente è essenziale alla loro sopravvivenza ma li condiziona totalmente.
La società non può essere controllata perché il corpo non sfugge alla morte, la mente non sfugge alla malattia mentale, e l’universo sopravanza la Terra.
Di fronte a questa realtà l’uomo sopravvive creando utopie.
L’ordine liberale del libero mercato, la giustizia del benessere socialista, l’economia sociale di mercato, lo stato del welfare.
Le utopie sono le forme attraverso le quali l’incomunicabilità della società (la sua durezza) è inscritta nel sistema politico.
La politica è più o meno una danza della pioggia.
Gli uomini preferiscono pensare di aver fatto qualcosa piuttosto che aspettare che le cose cambino.
Il summit del G 8 o del G 20 è pari ad un gesto di un nativo americano.
In fondo lo sappiamo.
Sappiamo che la storia ha le sue svolte epocali ma che esse sono prima casuali e poi studiate secondo una logica causale.
Stefan Zweig di Momenti fatali vale più di mille libri di storia; libri verso cui il Nietzsche delle Considerazioni inattuali ha espresso una critica definitiva (la storia non è magistra Vita e gli uomini di azione hanno sempre contato più dei filosofi e l’eterogenesi dei fini domina l’azione umana come Shakespeare sapeva benissimo).
La lezione di Luhmann non è affatto conservatrice tuttavia.
È una teoria che abilita a pensare in modo diverso, ad abbandonare le strade consuete a considerare l’oggettività del mondo.
A partire da una concezione realistica della democrazia.
Essa è un sistema di selezione delle élite che funziona perché si legittima con un voto popolare (manipolabile e non sempre informato).
È una forma di audience che funziona quando si mantenga umile, conscia dei suoi limiti, e non pretenda di realizzarsi totalmente allora trasformandosi in totalitarismo ossia in governo del popolo senza mediazione.
Con il risultato paradossale che il governo di tutti si converte magari nel governo dell’Uno.
L’illuminismo ci dice Luhmann è un progetto incompiuto , arrivato al suo passaggio più difficile.
Occorre anche la sua ludicità per continuare il cammino.
Sull’orizzonte davanti a noi cfr. Marcelo Neves Trancostituzionalismo, Macerata, 2024.
[2] Cfr. Neves, Transcostituzionalismo cit. pag . 42 nota 92 ivi il riferimento.
[3] Sul punto cfr. C. Iannello Lo stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà, Milano , 2025 con nostra prefazione.
[4] A. Volpi I padroni del mondo, come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia Bari Roma, 2024.
[5] Ha notato Piepaolo Donati che “la società può darsi anche altri ordini di tipo costituzionale, che emergono dalla società civile anziché dal “corpo politico”. Essi non vanno a sostituire la costituzione politica di una nazione, o quella di un corpo politico plurinazionale o sovranazionale o internazionale, ma la affiancano e se ne differenziano. Il centro del discorso diventa dunque il processo di costituzionalizzazione come fenomeno sociologico che è allo stesso tempo fenomeno giuridico, in quanto crea e regola diritti fondamentali.”
Cfr. Donati in Introduzione a Teubner, Gunther. La cultura del diritto nell'epoca della globalizzazione . Armando Editore. Edizione del Kindle ove si nota che Teubner è uno studioso che ha elaborato un pensiero sui generis, un pensiero di frontiera.
Dopo aver a lungo dibattuto le tematiche luhmanniane del diritto come “sistema autopoietico” e del “diritto policontestuale”, si è concentrato su un tema decisamente originale: l’emergere delle costituzioni civili della società.
[6] A questo proposito Luhmann afferma che «solo la comunicazione può comunicare» («Was ist Kommunikation?», in: Soziologische Aufklärung . Die Soziologie und der Mensch, Wiesbaden 2005).
[7] Luhmann, Potere e complessità sociale pag. 68.
[8] Op.ult. cit. pag. 84 e ss.
[9] La cultura democratica, salvo rare eccezioni, ha sempre considerato inaccettabile o pericolosa questa posizione di Luhmann. Habermas, per fare un esempio, la considera come una forma di appiattimento sul «modello delle organizzazioni burocratiche e industriali», le quali, sulla base di una «legittimazione pressoché immotivata di decisioni vincolanti», finiscono per assumere come unico criterio di legittimità il «procedimento»(Verfahren): per lui una sorta di ossimoro, che, mentre parla di legittimazione, in realtà «presuppone lo spegnimento delle stesse pretese di legittimazione (l’accettazione senza motivo)». Claus Offe, per fare un altro esempio, considera il funzionalismo luhmanniano né più né meno che l’espressione della nuova ideologia tecnocratica.
Ciò è vero ma – in assenza di un immaginario sociale e di nuovi paradigmi - qui si assume che la teorica sia di grande interesse per la sua capacità descrittiva ed interpretativa, pur dando vita ad una sorta di dimensione disumanizzante ben descritta da N. Irti nel suo magistrale ultimo lavoro Sguardi nel sottosuolo, 2025.
[10] Si tratta della Quinta Elegia:
Ma, dimmi, chi sono i girovaghi, questi appena
più fuggiaschi di noi, che urge sin da età precoce,
spreme una volontà mai soddisfatta del per chi,
per amore di chi? Anzi essa li spreme,
li piega, li stringe e li scuote,
li getta e li riafferra; come da un’ aria
oleosa, più scivolosa scendono,
sul tappeto assottigliato, dal loro eterno
salto consunto, su questo perso
tappeto, al cosmo.
