L’altro è il limite che continuamente ci interroga. Così Emmanuel Levinas identifica nell’alterità quella ineludibile, incontournable, possibilità di uscire dalla monoteticità, dalla normatività internalista, per porsi in un dialogo che innanzitutto è domanda, dubbio. È nel limite che l’altro individua che è data la possibilità stessa di riaffermare ciò che al di sotto di ciascuna identità – sia essa soggettiva, sia essa intersoggettiva – condivide con l’altra (identità).
Ci pare quantomai attuale e promettente tornare sulla esperienza, la parola e l’azione istituzionale di Giovanni Gronchi partendo da questa premessa. Una premessa che permette di situare le riflessioni che seguono in relazione sia alla dimensione dell’altra parte come limite e come forza in quanto bilanciamento, sia alla dimensione della necessità.
Camminare col pensiero lungo il percorso tracciato dalla esperienza istituzionale e culturale di Giovanni Gronchi significa riflettere innanzitutto sul tema della trasformazione del sistema giuridico e politico italiano su tre livelli, quello delle dinamiche fra posizioni culturali interne al partito politico, quello delle dinamiche fra profili istituzionali dei componenti delle istituzioni di rango costituzionale di carattere collegiale e collettivo, quello delle dinamiche fra organi di rango costituzionale nella prospettiva storica della progressiva – e faticosa – attuazione delle previsioni normative incardinate nella Costituzione Repubblicana.
In altri termini leggendo trasversalmente al decennio che va dal 1955 al 1965 i discorsi di Gronchi e ricostruendo alla luce di questi le azioni istituzionali in materia di promozione della attuazione della Costituzione repubblicana si nota che il tema del bilanciamento come effetto – auspicato ed auspicabile – dell’esistenza dell’altra parte tocca:
- Il rapporto fra istituzioni
- Il rapporto fra istituzioni politiche e corpi sociali
- Il rapporto fra corpi sociali
- Il rapporto fra voci all’interno delle strutture organizzative dei partiti politici.
Su questi tre livelli diremo esemplificando in breve.
Gronchi nasce a Pontedera nel 1887. Nel 1919 partecipa alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Eletto deputato in una Italia che già vive in una cultura carsicamente scossa da sentori di contrazione delle garanzie libera-costituzionali, viene nominato Sottosegretario all’Industria e al Commercio nel 1922, la cui posizione ricopre sino a quando – come è noto a seguito del Congresso tenutosi a Torino dove il Partito Popolare Italiano prende una posizione di non collaborazione con il governo i rappresentanti del Partito si ritirano dalle loro cariche.
L’esperienza istituzionale si ripresenta nel 1944 quando Gronchi viene nominato Ministro dell’Industria e del Commercio e nel 1946 quando eletto deputato alla Assemblea costituente, si avvia ad attraversare con crescente rilievo la vita delle nascenti istituzioni democratiche. Tale percorso trova il punto di apogeo prima nella carica di Presidente della Camera dei deputati nel 1948 e nel 1955 nella elezione – inattesa – come Presidente della Repubblica.
Le parole chiave che si trovano in questo breve ma già indicativo excursus biografico sono capaci di tratteggiare e di evocare quelli che saranno temi presenti nella agenda dell’azione di promozione della attuazione della Costituzione, l’importanza dell’economia, del raccordo fra centro e realtà del territorio del paese, la vivacità della cultura intra-partitica, la apertura inter-partitica in una prospettiva di realizzazione dello spirito stesso della Costituzione repubblicana – comune ai diversi partiti e per ciò stesso, con Levinas, capace di essere meglio attuata proprio nel dia-logos con l’alterità – ed infine la convinta adesione alla interpretazione della figura della Presidenza della Repubblica in una ottica di garanzia e elemento propulsore – le due cose mai essendo in contraddizione – della vivace, partecipata, evolutiva, e radicata nella società realizzazione della Costituzione.
Per suffragare la tesi che il titolo delle riflessioni qui tratteggiate già rivela si procede su tre passi, che corrispondono ai tre livelli di cui sopra:
- Il ruolo di Giovanni Gronchi nel percorso attuativo dell’articolo 104 della Costituzione
- Le posizioni espresse in merito all’adeguamento ed alla importanza dell’aspetto evolutivo della Costituzione – ciò che Calamandrei definì parlando di Gronchi come viva vox constitutionis.
- Le ragioni per le quali la validità dei principi che trovano nella presenza di una altra parte egualmente capace di situarsi nella architettura ordinamentale e costituzionale di fungere da limite e ragione di dubbio e di – conseguente – revisione, correzione, miglioramento, resta attuale, mutatis mutandis le forme organizzative, ma intonsa nella sua fondatezza, sia di carattere culturale, sia di carattere valoriale.
La questione dell’adeguamento
Il Presidente svolgerà «una insostituibile funzione per far sì che l’ordinamento giuridico venga impegnato nell’accompagnare senza intralci e senza ritardi […] le trasformazioni economiche e sociali». Ed anche nella chiusura del discorso sottolinea: «Io compirò quanto la Costituzione mi impone […] mi sia vicino il Parlamento”. L’importanza del fattore “attore” ossia della dimensione individuale nell’inverare l’ordinamento costituzionale ricorre già nella modalità con la quale Gronchi pensa ed interpreta il ruolo dei partiti politici nel sistema democratico, a partire dal ruolo che egli ritiene debba svolgere la Democrazia Cristiana. Afferma: “da tutti i partiti politici, ed in specie dalla D.C. deve essere considerato impegno indilazionabile il completare questo ordinamento secondo Costituzione, la quale ha voluto dettare le norme e i limiti per i tre poteri che sono alla base dello Stato”. Fra quei limiti uno è rappresentato dalla Corte Costituzionale. Il CSM sarà il formate istituzionale del connubio fra diversità alterità collegialità e garanzia che l’ordinamento attraverso l’azione legislativa accoglie nella democrazia italiana. Il richiamo al ruolo dei partiti politici va inteso in quel raccordo che Gronchi ritiene necessario con la vita del paese, raccordo che la organizzazione partitica è chiamata a realizzare e garantire.
Gronchi ebbe forte sensibilità per l’adeguamento evolutivo della Costituzione proprio interpretando il suo ruolo Presidenziale. L’effettiva attuazione della Costituzione è problema che interessa la generalità dei cittadini, dirà. Pertanto, come Capo dello Stato non può non rendersi attivamente sensibile alla stessa. Trattasi di questione super partes, che attraversa la vita dei partiti politici e li accomuna, pur nelle loro diversità. È solo così che le istituzioni diventano feconde. Tale loro capacità generativa è necessaria perché lo Stato e la società – nelle parole di Gronchi Presidente – siano in una dinamica virtuosa e moderna.
Questa viva vox è una ars generativa.
Il tema dell’attuazione
Appena eletto Presidente della Repubblica Gronchi indirizza un saluto al III Congresso Nazionale Giuridico Forense, il 21 settembre 1955. Nell’esprimere i suoi “cordiali sentimenti” il Presidente aggiunge: “desidero a questi associare un caldo augurio perché gli avvocati e i procuratori – dalle cui file viene un contributo così assiduo e così vasto alle più importanti attività della vita nazionale e la cui alta missione di umanità si affianca, in armonica collaborazione, a quella del giudice per le supreme finalità della giustizia – possano raggiungere proficue intese. Se si uniscono queste parole a quelle pronunziate in occasione dell’VIII Congresso Nazionale dei Magistrati del 6 aprile 1957 si trova il connubio che è in oggetto delle nostre riflessioni. Augura Gronchi che “i lavori che si iniziano conducano ad un sempre più efficiente adeguamento dell’ordine giudiziario ai principi solennemente fissati dalla Costituzione”.
Il binomio fra adeguamento e attuazione che si fa e si invera ad opera degli attori istituzionali – così come nella giurisdizione è solo per tramite della leale collaborazione basata su comuni valori fra parti dinnanzi ad un terzo che professionalmente condivide lo stesso riconoscimento del valore della Costituzione con le parti giacché se sul piano funzionale si resta nel perimetro delle proprie attribuzioni nel più alto ed astratto piano dei valori orientativi si è appartenenti allo stessi sistema demo-costituzionale – si trova qui. Nella Presidenza di Gronchi tale binomio segnerà il ritmo e la direzione dei suoi passi verso la realizzazione – la attuazione – di ciò che la Costituzione prevede.
Al tempo presente l’accostamento della semantica dell’efficienza a quella della evolutività – efficiente adeguamento – appare particolarmente rivelatore. Gronchi mette l’accento sull’efficienza di un processo che non ha per sua natura un punto di fine, non è teleologico. Non si tratta di efficacia, ma di efficienza, quella che il Presidente auspica. Si tratta cioè dell’auspicio che le forze politiche si rendano non solo responsabili della prima traduzione adeguatrice della Costituzione ma anche promotrici della stessa. Si tratta di un auspicio che nasce dalla esperienza dei ritardi di cui Gronchi ha potuto essere attento osservatori e attore suo malgrado della attuazione dell’articolo 134 che voleva la creazione della Corte costituzionale.
L’urgenza attuativa – così potremmo definire la concretizzazione di quella viva vox constitutionis di cui Calamandrei apprezza profondamente le pronunzie – si fa ancora più forte con il proseguire del mandato Presidenziale. Il 19 marzo del 1958 Gronchi scrive al primo Presidente Eula della Suprema Corte di Cassazione e al Procuratore Generale presso la Cassazione, Pafundi, in merito alla approvazione della legge che alfine istituisce il Consiglio Superiore della Magistratura: “con l’attuarsi della norma costituzionale [i magistrati italiani] vedono rafforzata, nell’autonomia e nel prestigio, la loro alta funzione”. Sia qui permessa una digressione sul tema del prestigio e dell’alta funzione.
I bilanciamenti e le “altre parti” nel dettato costituzionale e nel funzionamento degli organi dello Stato
Come detto l’azione istituzionale di Giovanni Gronchi è segnata da una attenta e puntuale sensibilità per la questione del buon funzionamento dell’ordinamento. Non si tratta soltanto di incardinare e mettere al sicuro nelle norme di rango costituzionale quelle condizioni formali che attengono alla esistenza stessa della forma di regime politico democratico e alla impronta valoriale repubblicana. Si tratta anche – e soprattutto – di renderne la vita possibile ed efficace. Come Presidente della Camera dei Deputati prima e come Presidente della Repubblica la proattiva ideazione e la moral suasion esercitata a ché le forze politiche convergessero verso soluzioni istituzionali orientate rispetto ai principi di cui sono costanti. Richiamiamo qui quel tratto costante dell’agire di Gronchi con riferimento a quattro temi: la realizzazione della riforma regolamentare alla Camera con l’inserimento della Conferenza dei Capigruppo, l’esperienza fatta relativa alla creazione della Corte costituzionale ed in particolare alla vexata quaestio della elezione dei giudici “parlamentari” con connessione alle tensioni interne al sistema partitico italiano; la istituzione e l’insediamento del Consiglio Superiore della Magistratura; la realizzazione del decentramento regionale. Ci si limita a tratteggiare il pensiero di Gronchi a titolo esemplificativo di quella che, a tutti gli effetti, è una postura di carattere valoriale, culturale, ancor prima che politica e sostanziale.
Il Consiglio Superiore della Magistratura
È certamente il percorso di creazione e di insediamento del CSM che permette di vedere nelle azioni e nei discorsi di Gronchi Presidente della Repubblica il tratto più evidente della sua visione e della interpretazione non solo del ruolo della Presidenza della Repubblica ma anche del principio di bilanciamento. Sono la “autonomia e l’indipendenza” così Gronchi nel suo discorso di insediamento “che derivano dalla divisione dei poteri che vanno poste al vertice dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Ognuna di queste parole è performativa. Farà, appena giunto al Quirinale, sì che il principio di divisione dei poteri e di bilanciamento che ne deriva attraverso la esistenza stessa dell’altra parte sia la ratio essendi della autonomia nelle rispettive prerogative delle istituzioni. Appare ante litteram ma estremamente promettente la visione di una relazione causale, peraltro comprovata dalla ricerca comparata sul funzionamento dei sistemi politici e, con particolare rilievo, dei sistemi giudiziari, di cui oggi disponiamo, che vede la freccia dell’influenza – e quindi della garanzia – andare dalla condizione del bilanciamento verso l’autonomia e non viceversa. Ciò a richiamare quanto la esistenza dell’altra parte sia necessaria per la qualità dell’istituzione sia essa monocratica sia essa collegiale che sta di qua dal limite e proprio per quel limite e in virtù di quel limite si trova a potere essere garantita, quasi confortata nella certezza non tanto del non errore, ma della possibilità effettiva di continuo e perpetuo miglioramento nell’autonomo perimetro del proprio funzionamento così come sancito dalla Costituzione. È con queste premesse che Gronchi si appresta ad incoraggiare l’uscita dallo stallo della legge che deve istituire il Consiglio Superiore della Magistratura, legge che arriverà come è noto solo dieci anni dopo l’inizio del funzionamento effettivo delle istituzioni democratiche. Ciò è tanto più forte nel caso del CSM in quanto Gronchi vede un congelamento dei lavori parlamentari e nel discorso di insediamento da Presidente della Repubblica neoeletto auspica il disgelo costituzionale, così come lo definisce Alessandro Pizzorusso. Si trattava di sciogliere il nodo della maggioranza parlamentare che al centro aveva approntato i lavori preparatori di uno Schema legislativo del CSM già nel 1951. Il disegno di iniziativa parlamentare del 1952 finì tuttavia per restare bloccato. Ed è proprio seguendo – forte della esperienza fatta nella precedente carica di Presidenza della Camera – l’iter legislativo, promuovendo una tempistica certa ed effettiva – le parole tornano – che Gronchi riesce ad esercitare quella “più-che-moral-suasion” che molti videro come la capacità di inverare (nel senso di fare diventare vera) la Costituzione Repubblicana. Si ritrovano nel discorso inaugurale di Gronchi tutti i pilastri della sua cultura constitutional-politica. Ricordando l’azione della Costituente sottolinea quanto sia stato importante lo sforzo di assicurare la autonomia e l’indipendenza dei giudici, garantendo la unitarietà del corpo giudiziario. Ed è proprio attraverso la figura del Presidente – che Presiede il CSM – che la legge istitutiva garantisce quel bilanciamento e quel raccordo con gli altri poteri dello Stato nei quali si combinano la esistenza effettiva dell’altra parte con l’uscita dall’isolamento nel rispetto delle autonomie di carattere ordinamentale.
Una attualità che non è congiunturale
Un equilibrio costituzionale non statico. La frase di Gronchi che data del 1959 non può non essere qui richiamata. Si tratta di un equilibrio. Si tratta di una dinamica. La conditio sine qua non di tale dinamica è l’esistenza dell’altra parte. Non si tratta solo di pesi e di contrappesi. Si tratta di giocare un “gioco” interistituzionale la cui somma è sempre positiva perché nessuno dei giocatori assorbe, per così dire, l’altro.
Nel discorso di insediamento del neo istituito Consiglio Superiore della Magistratura ricordando che il CSM non è organo ignoto al diritto positivo italiano – ma implicitamente già individuando nel diritto vivente una diversità che segna un cambio di paradigma entro cui la norma positiva di rango costituzionale si radica – Gronchi afferma: “ben diverso [da quello previsto in periodo pre-Repubblicano n.d.r.] si presenta invece il Consiglio Superiore della Magistratura previsto dalla Costituzione, diversità nei suoi componenti, per un terzo estranei all’ordine giudiziario, diversità nelle attribuzioni, non più in prevalenza consultive, ma di governo dell’ordine”. Siamo al 18 luglio del 1959.
Letto questo passaggio con una prospettiva scientifico-culturale attenta a ciò che resta per ragioni scientifiche ed oggettive al di là delle situazioni che congiunturalmente si presentano nella storia di un sistema politico la parola diversità appare di straordinaria forza euristica. Essa coglie quella necessità di una dialettica con l’altra parte, che sia incardinata sia a livello di strutture – fra organi dello Stato – sia a livello interno alla struttura – per esempio, in questo contesto, nella diversità dei componenti. La ratio scientifica induce a mantenere un piano di astrazione sufficiente da potere “navigare nel tempo”. Al di là delle forme organizzative la necessità dell’altra parte appare di garanzia al buon funzionamento del sistema. Sempre nello stesso momento di alta allocuzione dinnanzi al CSM istituzione che Gronchi promosse fortemente si trova l’espressione forse più sinteticamente esemplificativa del pensiero dell’allora interprete del Quirinale: “Il rapporto interorganico [corsivo di chi scrive] – strutturale – che ne deriva, trasformandosi in collaborazione funzionale tra le istituzioni supreme, consente di attuare nell’adeguamento continuo della realtà giuridica alle mutevoli realtà politico-sociali in cui si identifica l’aspetto più positivo della nuova Costituzione”. In tal senso quella alterità è prevenzione dell’isolamento e della – in letteratura comparativa così definita – balcanizzazione degli organi dello Stato, soprattutto di quelli che sono chiamati ad esercitare una funzione di oversight, ovvero di bilanciamento, la cui legittimazione si fonda sulla terzietà.
Quel principio che tende a non ridurre la terzietà all’isolamento appare capace di “navigare nei tempi e negli spazi”. Perché isolamento non si dà nella realtà. Gronchi lo afferma. La Costituzione lo insegna. Per garantire che le interazioni siano sempre inserite in un sistema dove è possibile prendere quelle distanze anche dalla posizione monotetica e internalista che apparirebbe autoreferenziale sarà dunque una altra parte – parte dell’insieme basato su valori comuni – ma altra per diversità – sia per meccanismi di legittimazione, sia per forme di professionalità, sia per rispondenza e accountability. È l’altro che mi impone essendoci la responsabilità di etica pubblica. Il pluralismo che è prodromico all’ammissione della necessità di una evoluzione. Non è mai una evoluzione che obbedisce a logiche puramente endogene. Sarebbe un monologo. Non è mai una evoluzione che obbedisce a logiche puramente esogene. Sarebbe un dominio. È un dialogo fra alterità. Che si riconoscono. Si rispettano. Si aspettano. Co-partecipano di un destino comune (cum-parte).
Nulla ci appare più attuale.
Il testo integrale sarà pubblicato in "Giovanni Gronchi fra politica ed istituzioni, Atti del Convegno Roma 6 novembre 2025 Associazione Vittorio Bachelet". In corso di pubblicazione.
