Vicinitas e dies a quo del termine di impugnazione: tra potenzialità e attualità della lesione (nota a Tar Lecce, sez. I, n. 1665/2022)
di Edoardo Pellegrino
Sommario: 1. I fatti ed il ricorso al Tar Lecce - 2. Sui presupposti processuali: interesse al ricorso e vicinitas - 2.1. Vicinitas e presunzioni - 3. Dies a quo del termine di impugnazione: potenzialità o integralità? - 4. Conclusioni.
1. I fatti ed il ricorso al Tar Lecce.
Il Tar Lecce, con la recente pronuncia[1], ha fornito una interessante lettura circa la portata dell’onere di diligenza in relazione al termine per l’impugnazione di un permesso di costruire, ove sia contestato non l’an, ma il quantum di edificabilità dell’area.
In particolare, i giudici affrontano la delicata questione dell’onere incombente sulla parte che assume di poter subire una lesione dal completamento di uno stabile non ancora ultimato, sciogliendo il conseguente dubbio circa l’individuazione del dies a quo dell’impugnazione. Sono due le alternative sul punto già vagliate da altri Tribunali amministrativi[2] e dal Consiglio di Stato[3]: ritenere sufficiente la prospettazione di una futura lesione causata dal completamento dell’opera oppure, al contrario, attendere che la costruzione dell’immobile sia portata a compimento per verificare la concretizzazione della lesione stessa.
La sentenza in commento offre, altresì, lo spunto per affrontare la tematica afferente alla legittimazione ad agire[4] e all’interesse a ricorrere, con particolare riferimento all’elemento della vicinitas[5], di recente oggetto anche di varie pronunce del Consiglio di Stato.
Sul punto, in particolare, è interessante vagliare il rapporto tra tale elemento e alcune presunzioni che possono operare nell’ambito del processo amministrativo. Su un primo versante, come si vedrà, la vicinitas è stata “letta” da parte della giurisprudenza come presunzione di interesse a ricorrere. Sotto altro angolo visuale, la vicinitas è stata interpretata anche come indice presuntivo di conoscibilità della possibile lesione subenda da parte del ricorrente.
Nella nostra vicenda Tizia e Caia hanno proposto ricorso al Tar Lecce avverso il comune Alfa, nonché nei confronti della società Beta, per l’annullamento di un permesso di costruire viziato, secondo la tesi delle ricorrenti, non tanto nell’an, quanto nel quantum, perché l’intervento ultimato comporterebbe la realizzazione di un edificio di dimensioni e di altezza rilevanti, tale da impedire completamente la vista del mare.
In altre parole, le ricorrenti fondano il proprio interesse a ricorrere sull’assunto di essere proprietarie di due unità immobiliari dalle quali, una volta terminata l’opera oggetto di permesso di costruire, non sarebbe più stato possibile vedere il mare, concretizzandosi, dunque, in tale evento il danno lamentato.
A fronte di tale contestazione, si è costituita la società Beta, la quale ha preliminarmente evidenziato la tardività del ricorso. In particolare, e questo punto, come si vedrà, si rivelerà nodale, la società afferma che la potenziale lesione sarebbe stata conoscibile sin dal momento della pubblicazione del permesso di costruire nell’albo pretorio oppure, al più tardi, dal momento della esposizione del cartello di cantiere (contenente gli estremi del titolo edilizio, gli interventi assentiti e il renderdelle opere di progetto) e non anche, come sostenuto dalle ricorrenti, dal momento del completamento dell’opera.
Il Tar Lecce, coerentemente con la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con la sentenza in commento sposa la tesi della società Beta, ritenendo sufficiente, per individuare il dies a quo, la conoscibilità della lesione che la parte subirà dal completamento dell’opera (nel caso di specie garantita quanto meno dalla esposizione del cartello di cantiere).
Come anticipato, dunque, la pronuncia in commento offre lo spunto per affrontare alcune delle tematiche che afferiscono ai presupposti e ai termini processuali e che sono state, di recente, oggetto di dibattito giurisprudenziale.
2. Sui presupposti processuali: interesse al ricorso e vicinitas.
Tale questione inevitabilmente si interseca con quella, chiaramente molto più ampia e sulla quale, pertanto, non ci soffermeremo in profondità, della tipologia di giurisdizione (amministrativa) accolta nel nostro ordinamento: giurisdizione oggettiva o soggettiva.
Come noto, a lungo la giurisdizione amministrativa è stata interpretata in senso obiettivo avente, dunque, come principale scopo quello di tutelare il primario interesse pubblico e solo occasionalmente quello privato imbattutosi nel potere pubblico. In altre parole, intanto il privato poteva tutelare una propria posizione giuridica soggettiva, in quanto tale tutela rappresentasse un riflesso del perseguimento dell’interesse pubblico.
Tuttavia, tale impostazione, evidentemente, sacrifica l’interesse del cittadino a mera posizione strumentale rispetto a quella pubblicistica, rischiando di creare un significativo vuoto di tutela.
Per tale ragione, in disparte da alcuni interventi normativi che hanno fatto vacillare un tale assunto[6], da tempo si ritiene preferibile un modello di giurisdizione soggettiva[7] in cui la predetta impostazione risulta capovolta: la situazione soggettiva del privato assume una importanza “frontale”, mentre la tutela del pubblico interesse è perseguita indirettamente[8].
Ciò comporta, come immeditato corollario, la centralità assoluta nel processo amministrativo del bene della vita, ovvero del “vantaggio” personale e concreto cui aspira il ricorrente in virtù della propria posizione differenziata rispetto al cittadino comune.
Come noto, infatti, al fine di attivare un giudizio amministrativo è necessario che sussistano le tre condizioni della legittimazione al ricorso, dell’interesse ad agire e della legitimatio ad causam attiva o passiva[9].
La prima consente di capire chi possa agire in giudizio, individuando il soggetto titolare della posizione giuridica soggettiva differenziata e qualificata, nonché protetta dall’ordinamento; il quale ha anche la conseguente tutela processuale, differenziandosi dal quisque de populo.
A differenza del processo civile, in cui la legittimazione ad agire si sostanzia nell’affermazione (o prospettazione) della titolarità di una situazione giuridica soggettiva, nel processo amministrativo non è sufficiente la mera prospettazione dell’interesse legittimo (o diritto soggettivo nelle materie di giurisdizione esclusiva), essendo necessaria l’effettiva titolarità della situazione soggettiva[10]. In altre parole, si ha una sorta di sovrapposizione della legittimazione ad agire con l’interesse legittimo in omaggio ad una “premessa iperpositivistica”[11].
Il problema di una siffatta impostazione, se intesa in senso restrittivo, è che resterebbero esclusi dalla tutela innanzi al giudice amministrativo i soggetti terzi rispetto al provvedimento, nonostante siano stati incisi dallo stesso, perché estranei al rapporto amministrativo. Per tale motivo, come vedremo, la giurisprudenza utilizza anche altri criteri per agganciare la legittimazione del terzo a ricorrere come, nel caso di cui ci occupiamo, la vicinitas.
La seconda condizione si sostanzia nell’interesse ad agire (o interesse al ricorso), disciplinato dall’art. 100 c.p.c., il quale trova applicazione nel processo amministrativo mediante il rinvio esterno dell’art. 39 c.p.a. alle norme sul processo civile. L’interesse si sostanzia nell’utilità concreta che il ricorrente può trarre dalla pronuncia che chiede al giudice.
Quindi, è necessario un collegamento con una posizione giuridica sostanziale.
Il problema, come detto, si pone con il soggetto terzo che, come nel caso di specie, afferma di essere leso da un provvedimento che non è destinato ad operare direttamente nei suoi confronti.
In termini generali, il vicino è titolare di un interesse legittimo oppositivo consistente nella finalità di avversare un atto ampliativo della sfera di altri soggetti (nel caso di specie un permesso di costruire).
La questione sorge dal momento che il provvedimento ed il procedimento amministrativo non contemplano tra i destinatari il terzo (rectius: il vicino) e dunque si pone, innanzitutto, il problema di stabilire se ed in che misura l’interesse a contrastare l’atto ampliativo da parte del terzo possa considerarsi qualificato e differenziato, nonché di individuare i criteri in base ai quali si possa identificare tale interesse.
Da un punto di vista storico, l’art. 10, comma 9, della L. 765/1967 (c.d. legge ponte)[12] affermava testualmente che “chiunque (…) può ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”. Stando al tenore letterale di tale norma, dunque, sembrava che il legislatore avesse previsto un’ipotesi di giurisdizione oggettiva giacché non si richiedevano particolari posizioni qualificate al fine di impugnare il rilascio della licenza edilizia, identificando, piuttosto, un interesse alla regolarità urbanistica; interesse, dunque, per la sua vastità, giustiziabile su iniziativa di chiunque.
Tuttavia, al fine di scongiurare la configurabilità di un’azione popolare, la giurisprudenza ha richiesto, operando una rilettura della legittimazione a ricorrere in chiave soggettivistica, un criterio che radicasse il ricorrente all’area interessata dall’intervento edilizio[13]; la vicinitas, appunto.
Conseguentemente, l’elemento della vicinanza quale necessario requisito della legittimazione ad agire, nasce come criterio volto a restringere l’area dei potenziali ricorrenti, scongiurando un’ipotesi di giurisdizione oggettiva, peraltro in un settore particolarmente sensibile quale quello urbanistico.
Superate, almeno tendenzialmente, le istanze oggettivistiche con l’avvento del c.p.a. che, come detto, richiama, mediante l’art. 39, l’art. 100 c.p.c. il problema che si pone è in una certa misura speculare rispetto a quello affrontato post legge del ’67: è possibile individuare un interesse differenziato e qualificato in capo al vicino, tale da permettergli di impugnare un provvedimento ampliativo della sfera giuridica altrui? Ecco, di nuovo, giungere in soccorso il criterio della vicinitas, questa volta con finalità ampliative della legittimazione processuale, consentendo al terzo di impugnare un titolo edilizio afferente alla stessa area alla quale è collegato il terzo stesso.
Il problema che si è posto, a questo punto, è quello di indagare circa la sufficienza o meno della vicinanza al fine di fondare tanto la legittimazione ad agire, quanto l’interesse al ricorso.
Secondo un primo orientamento[14], maggioritario sino alla recente decisone dell’Adunanza Plenaria, il criterio della vicinitas è di per sé idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, assorbendo in sé anche il profilo dell’interesse all’impugnazione[15].
Tale impostazione, sostanzialmente, si fonda sull’originaria funzione attribuita alla vicinitas (scongiurare un’azione popolare) e sulla considerazione che, diversamente opinando, si pretenderebbe una probatio diabolica (la prova dello specifico pregiudizio subito) andando ad incidere sul diritto costituzionalmente tutelato di adire l’autorità giudiziaria per la tutela di posizioni giuridiche soggettive. Per evitare tale eventualità, si individua una presunzione di interesse a ricorrere sulla base della vicinanza del ricorrente all’immobile oggetto di intervento edilizio.
Diversamente, per altra impostazione[16], la vicinitas è idonea a radicare la legittimazione ad agire, ma non è di per sé elemento sufficiente a fondare l’interesse a impugnare, dovendosi ulteriormente dimostrare che quanto contestato abbia la capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sulla proprietà del ricorrente.
Sul punto, l’Adunanza Plenaria[17], sposando quest’ultima impostazione, ha riaffermato la distinzione tra interesse e legittimazione a ricorrere postulando la necessaria dimostrazione, oltre che della vicinitas anche della lesione in concreto subita dal ricorrente e ricollegata al titolo edilizio impugnato.
2.1. Vicinitas e presunzioni.
Stando a quanto affermato dal primo degli orientamenti in precedenza riportati, la vicinitas sarebbe idonea, dunque, a conglobare oltre alla legittimazione ad agire anche l’interesse a ricorrere.
Tuttavia, una volta superata tale impostazione, sovviene una seconda e, in un certo senso, speculare presunzione legata al concetto di vicinitas: quella riguardante la conoscibilità da parte del soggetto terzo della potenziale lesione che subirà dal completamento dell’opera. Questo tema, senza dubbio, risulta inscindibilmente legato a quanto si dirà nel prosieguo in tema di dies a quo del termine di impugnazione; tuttavia, per ragioni strutturali, è necessario “anticipare” l’argomento in tema di vicinitas.
In altre parole, si può sostenere, e parte della giurisprudenza[18] sostiene, che la vicinanza del soggetto terzo (identificato, appunto, come vicino) possa fondare, a determinate condizioni, una presunzione relativa di conoscibilità del provvedimento che si assume essere lesivo.
In concreto, ponendo lo sguardo alla fattispecie sottostante la pronuncia in commento, la vicinanza dell’immobile delle ricorrenti a quello oggetto del permesso di costruire costituirebbe indice di conoscibilità del permesso di costruire riportato sul cartellone esposto sul cantiere.
In disparte le questioni legate al termine di impugnazione (su cui infra) e limitandoci alle ricadute probatorie, è interessante notare questo mutamento compiuto nell’interpretazione della vicinitas che da elemento di presunzione dell’interesse a ricorrere diviene presunzione di conoscibilità del provvedimento, comportando un aggravio probatorio in capo al ricorrente.
Lo stesso, infatti, da un lato, dovrà dimostrare oltre alla vicinanza, anche l’interesse a ricorrere, ovvero la lesione derivante dal provvedimento; d’altro canto, a fronte della sussistenza della vicinitas (comunque necessaria per fondare la legittimazione ad agire) lo stesso dovrà anche superare la presunzione di conoscenza del provvedimento dimostrando di aver agito diligentemente e di non aver potuto conoscere il provvedimento, al fine di evitare di incappare nelle conseguenze connesse alla conoscibilità del provvedimento (essenzialmente lo spirare del termine d’impugnazione).
3. Dies a quo del termine di impugnazione: potenzialità o integralità?
Come detto in apertura, lo snodo principale della pronuncia in commento riguarda il dies a quo del termine per impugnare il permesso di costruire.
L’alternativa si pone tra la conoscibilità della futura lesione che si concretizzerà al momento dell’ultimazione dell’immobile e la esistenza attuale di siffatta lesione, ovvero il completamento della costruzione.
La questione è, senza dubbio, strettamente connessa alla tematica della diligenza[19] e del comportamento secondo buona fede giacché sposare l’una o l’altra soluzione implica, inevitabilmente, un allargamento o un restringimento delle maglie di operatività di tali principi. Qualora si sposasse, infatti, la tesi della attualità della lesione si depotenzierebbe la portata dell’obbligo di agire secondo buona fede poiché si consentirebbe al (futuro) ricorrente di attendere il completamento dell’opera per poi far valere le proprie censure.
Come noto, infatti, nei giudizi di legittimità il termine per impugnare l’atto decorre, per i soggetti destinatari, dal momento della notifica del provvedimento; per i soggetti terzi non esplicitamente indicati dal provvedimento, invece, dal momento della sua pubblicazione o comunque dalla piena conoscenza dello stesso. Risulta evidente, dunque, in astratto, che la pubblicazione pone un evidente onere di diligenza a carico degli interessati che devono verificare l’eventuale lesività del provvedimento.
Il problema, infatti, è quello di individuare il corretto punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela giurisdizionale del terzo nei confronti di un titolo edilizio che si assume essere illegittimo e l’altrettanto meritevole interesse del titolare del permesso di costruire di poter fare affidamento sulla legittimità del titolo in modo da garantire la fiducia sulla stabilità del titolo stesso.
È evidente, infatti, che accogliendo la seconda impostazione si sacrificherebbe ingiustificatamente l’interesse del titolare del titolo edilizio per il solo fatto del comportamento negligente del terzo.
Con la pronuncia in commento, il Tar Lecce aderisce al primo degli esposti orientamenti, ponendosi in continuità con un orientamento giurisprudenziale[20] oramai divenuto maggioritario, stando al quale il dies a quo del termine di impugnazione di un permesso di costruire è quello in cui le opere realizzate rivelano, in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l’entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento.
In altre parole, non è necessario attendere il completamento dell’opera posto che ciò determinerebbe il sorgere di una tutela irragionevolmente sbilanciata in favore del terzo. Di contro, su chi si ritenga leso incombe, come detto, un inevitabile onere di diligenza informativa circa la reale portata dell’immobile in via di costruzione e delle sue caratteristiche al fine di vagliarne, in anticipo, l’eventuale illegittimità e lesività dello stesso.
Tale soluzione rappresenta una valorizzazione del combinato disposto dei principi di buona fede e autoresponsabilità ex art. 1227 c.c.[21] i quali impongono di agire proattivamente e diligentemente al fine di poter, poi, domandare tutela giacché “vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt”.
Una volta esclusa la possibilità di attendere il completamento dell’opera, il punto, allora, è individuare il momento esatto da cui si possa desumere la conoscibilità della lesività del provvedimento, ovvero del momento a partire dal quale un soggetto diligente possa avere cognizione effettiva della portata dell’opera e della sua potenziale lesività.
La sentenza individua due momenti alternativi consistenti nella pubblicazione nell’albo pretorio del provvedimento e nell’esposizione del cartello di cantiere (contenente, tra l’altro, un dettagliato render dell’opera stessa). Il primo, infatti, previsto dall’art. 20, comma 6, d.P.R. 380/2001, costituisce un indice di conoscibilità generalizzato, posto che risulta accessibile da chiunque.
Il secondo, reso obbligatorio dall’art. 27, comma 4, d.P.R. 380/2001, può essere inteso quale indice di conoscibilità particolare, riferito alla zona di interesse della costruzione. In altre parole, l’esposizione del cartello di cantiere rende conoscibile la portata dell’opera a chiunque frequenti abitualmente l’area interessata.
A questo punto la tematica si ricollega a quella della vicinitas e alla seconda delle presunzioni viste in precedenza.
A fronte di quanto detto supra, l’effettiva sussistenza della vicinanza, necessaria ai fini del radicamento della legittimazione ad agire, comporta la presunzione di conoscenza dell’esposizione del cartello di cantiere e quindi, del provvedimento stesso.
Si può dire, in ultima analisi, che sia la vicinitas a far scattare quel binomio diligenza- autoresponsabilità di cui si è detto in precedenza. In altre parole, qualora il terzo sia effettivamente vicino rispetto all’opera che si assume essere lesiva (condizione necessaria per radicare la legittimazione ad agire), il termine per impugnare il provvedimento inizierà a decorrere, al più, dal momento dell’esposizione del cartello di cantiere.
Il soggetto terzo, dunque, dovrà adoperarsi al fine di esercitare l’eventuale diritto di accesso per conoscere compiutamente gli atti del procedimento amministrativo sfociato nel provvedimento lesivo e per impugnare il provvedimento stesso. Infatti, stando a tale filone interpretativo, l’esercizio del diritto di accesso non può comportare una dilatazione del termine per impugnare il titolo edilizio con la conseguenza che anche tale diritto dovrà essere esercitato con solerzia al fine di non veder spirare il termine suddetto.
4. Coclusioni.
La pronuncia in commento consente, dunque, di riflettere su due snodi importanti e di recente attualità del contenzioso in materia edilizia.
In primo luogo, è interessare constatare l’evoluzione che ha interessato il concetto di vicinitas, passato da criterio utilizzato per restringere la legittimazione ad agire fino a divenire elemento fondante una presunzione di conoscenza della lesività di un provvedimento amministrativo.
Inoltre, venendo al cuore della sentenza, il Tar Lecce correttamente sposa l’orientamento che individua il dies a quodel termine per impugnare un provvedimento amministrativo nel momento di percepibilità della futura lesività del provvedimento stesso.
La soluzione adottata dai giudici leccesi appare corretta giacché si pone in continuità con un’evoluzione del processo (e del diritto sostanziale) amministrativo in cui si esalta il ruolo della diligenza e del principio di buona fede il quale, avendo portata bilaterale[22], deve informare anche il comportamento del privato, il quale ha l’onere di agire secondo i canoni della diligenza e dell’autoresponsabilità.
In realtà, a ben vedere, la fattispecie oggetto di sentenza involge un concetto di buona fede processuale che non riguarda solamente il binomio P.A. privato giacché, in questo caso, il comportamento diligente e di buona fede del soggetto terzo è imposto al fine di non sacrificare l’affidamento di un altro soggetto privato, il destinatario del titolo edilizio. Ciò comporta, dunque, una ulteriore valorizzazione del principio di buona fede poiché, come noto, in ambito di rapporti paritari risulta essere un principio cardine dell’ordinamento che non può tollerare comportamenti negligenti a discapito dell’altrui affidamento.
Alla luce di quanto detto, dunque, appare ormai inevitabile il consolidamento di tale orientamento e l’abbandono definitivo di quello che individua nel completamento dell’opera il momento a partire dal quale è possibile percepire la lesività del provvedimento e avvertire, dunque, il bisogno di tutela che innesca la volontà di impugnare tale provvedimento.
Appare coerente, in chiusura, la saldatura effettuata tra vicinitas e percepibilità della lesività del provvedimento con la prima che assurge a criterio stabile per presumere (salvo prova contraria) la conoscibilità dell’illegittimità e della lesività del provvedimento stesso.
[1] Il riferimento è a Tar Puglia, Lecce, sez. I, N. 1665/2022, in annotazione.
[2] Oltre alla sentenza in commento, si segnala Tar Campania, Napoli, sez II, n. 19/2022.
[3] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 7804/2022, Cons. Stato, sez. II, n. 4390/2019, Cons. Stato, sez. IV n. 3075/2018 e, naturalmente, Cons. Stato, Ad. Plen. n. 15/2011.
[4] C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012; B. Giliberti, Contributo alla riflessione sulla legittimazione ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2020; M. Magri, L’interesse legittimo oltre la teoria generale, Rimini, 2017; S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2018; G. Mannucci, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo, Rimini, 2016; I. Piazza, L’imparzialità amministrativa come diritto, Rimini, 2021; P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff, Napoli, 2021.
[5] E. Travi, Vicinitas e interesse a ricorrere, in Foro it., 2018, III, 216 (nota a Cons. Stato, sez. IV, nn. 706/2018 e 707/2018).
[6] Ci si riferisce ai diversi poteri officiosi del giudice previsti nel contenzioso in materia di appalti; alla legittimazione dell’Agcm a impugnare gli atti amministrativi lesivi della concorrenza ex art. 21-bis, l. 287/1990.
[7] Corte cost., 13 dicembre 2019, n. 271. Per alcuni commenti, si vedano A. Travi in Foro it. 2020, I, p 1121; F. G. Scoca, Rito superaccelerato e discrezionalità del legislatore, in Giur. costit. 2019, p. 3248.
[8] Sul punto si vedano, P.L. Portaluri, Interessi e formanti giurisprudenziali: l’anti-Ranelletti?, in giustizia-amministrativa.it e in Urb. App., 2007; P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff, cit., p.127; in giurisprudenza si veda Cons. Stato, sez. VI, n. 1321/2019 in cui si afferma che è possibile “capovolgere definitivamente l’allocazione tradizionale delle due situazioni soggettive, entrambe attive, che si muovono nel processo, e ci si può forse spingere ad affermare che è l’interesse alla mera legittimità ad essere divenuto un interesse occasionalmente protetto, cioè protetto di riflesso in sede di tutela della situazione di interesse legittimo”.
[9] Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5. Per alcuni commenti si vedano: A. Travi, Recenti sviluppi sul principio della domanda nel giudizio amministrativo, in Foro it., 2015, III, p. 265; D. Vaiano, Ordine di esame dei motivi, principio della domanda e funzione del giudice amministrativo, Urbanistica e appalti, 2015, p. 1177; G. Fanelli, “Tassonomia delle modalità di esercizio della potestas iudicandi” e tecnica decisoria dell’assorbimento in Riv. dir. proc., 2015, 1256; E. Follieri, Due passi avanti e uno indietro nell’affermazione della giurisdizione soggettiva, in Giur. it., 2015, p. 2192; L. R. Perfetti e G. Tropea, “Heart of darkness”: l’Adunanza Plenaria tra ordine di esame ed assorbimento dei motivi, Dir. proc. amm., 2015, p. 205. Per la verità, secondo una dottrina le condizioni dell’azione sarebbero quattro perché dovrebbe considerarsi quale ulteriore condizione la meritevolezza con una finalità, evidentemente, restrittiva dell’accesso alla tutela giudiziale. Cfr., sul punto, M.F. Ghirga, principi processuali e meritevolezza della tutela richiesta, in Riv. Dir. Proc., 2020. Critica questo punto P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff, cit., p.112 e ss., ove si sottolinea la pericolosità di una “teoria costruita in funzione restrittiva della tutela, ma che muove da presupposti indefiniti” perché la stessa “immette nel sistema un livello di incertezza che appare intollerabile anche per il rischio – cui si da la stura – di una svolta autoritaria e illiberale del diritto processuale”.
[10] Tale impostazione, in realtà, è messa in dubbio da A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975 e da M. Clarich, I poteri di impugnativa dell’Agcm ai sensi del nuovo art. 21-bis l. 287/90, in giustizia-amministrativa.it, 2013.
[11] L’espressione è di P.L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff, cit., p.122. Il riferimento è a G. Mannucci, la tutela dei terzi nel diritto amministrativo. Dalla legalità ai diritti, Rimini, 2016.
[12] V. Spagnuolo Vigorita, Interesse pubblico e azione popolare nella legge-ponte per l’urbanistica, in Riv. giur. ed., 1967, II, p. 387 ss.; A.M. Sandulli, L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Scritti giuridici, vol. VI, Napoli, 1990.
[13] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. N. 23/1977.
[14] Cons. Stato, sez. IV, n. 6082/2013, secondo cui “La mera vicinitas, ossia l'esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente anche allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo”; Cons. Stato, sez. V, n. 360/1981, secondo cui “Anche se, con l'entrata in vigore della l. n. 765 del 1967, ai fini della qualificazione dell'interesse dei terzi a ricorrere contro il rilascio di licenze edilizie è sufficiente quello di opporsi alla degradazione dell'ambiente anche da parte di chi pur non confinante, sia almeno insediato abitativamente in un complesso territoriale più ampio della zona stessa, ciò non significa che sia stata introdotta una nuova azione popolare che legittimi qualsiasi cittadino ad impugnare i provvedimenti; è pertanto carente di interesse chi si opponga ad una licenza edilizia adducendo la lesione di un interesse di natura tipicamente commerciale che deriverebbe dalla realizzazione dell'opera”; Cass. civ., sez. un., n. 18493/2021, secondo cui “La legittimazione dei proprietari d'immobili o dei residenti in un'area interessata da un intervento idraulico ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente (in quanto opere riguardanti acque pubbliche) può fondarsi anche sul solo requisito della "vicinitas", il quale costituisce elemento di differenziazione di interessi qualificati - appartenenti ad una pluralità di soggetti facenti parte di una comunità identificata in base ad un prevalente criterio territoriale che evolvono in situazioni giuridiche tutelabili in giudizio - allorché l'attività conformativa dell'Amministrazione incida in un determinato ambito geografico, modificandone l'assetto nelle sue caratteristiche non soltanto urbanistiche, ma anche paesaggistiche, ecologiche e di salubrità, e venga nel contempo denunziata come foriera di rischi per la salute, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità dell'opera, né la ricerca di un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica”; in dottrina, si veda E. Travi, Vicinitas e interesse a ricorrere, cit., il quale osserva che “La nozione di vicinitas, oltre a identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare la legittimazione a impugnare il titolo edilizio, avrebbe assorbito anche l'interesse a ricorrere: questo esito sembrava scontato nel momento in cui veniva dato rilievo anche soltanto a una relazione stabile con la «zona» e veniva superata la concezione che ancorava la legittimazione a ricorrere alla titolarità di un diritto reale su immobili confinanti. In questa logica anche l'interesse alla conservazione di un certo ordine urbanistico poteva ritenersi sufficiente ai fini dell'interesse a ricorrere e un interesse del genere sembrava già implicito nel ricorso proposto in forza della vicinitas”.
[15] Si v., sul punto, C.G.A. per la regione siciliana, n. 759/2021, nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria.
[16] Cons. Stato, sez. III, n. 441/2016, secondo cui “Seppure il criterio della vicinitas, al fine di radicare la legittimazione ad agire dei singoli per la tutela del bene ambiente, ha valore elastico, nel senso che si deve necessariamente estendere in ragione proporzionale all'ampiezza e rilevanza delle aree coinvolte, come nel caso di interventi rilevanti che incidono sulla qualità della vita dei residenti in gran parte del territorio, tuttavia non è sufficiente a radicare la legittimazione dei ricorrenti che non abbiano allegato pregiudizi diretti e differenziati”; Cons. Stato, sez. II, n. 3440/2020; Cons. Stato, sez. IV, n. 1656/2019; Cons. Stato, sez. IV, n. 3843/2018.
[17] Cons. Stato, Ad. Plen. n. 22/2021. Per alcuni commenti, si vedano S. Tranquilli, Sull'incerto rapporto tra vicinitas e “vicinanza della prova” dopo la pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22/2021, in Il processo, 2022, p. 201 ss.; F. Saitta, C’era una volta un’azione popolare… mai nata, in Riv. giur. edil., 2021, p. 239 ss.; M. Ceruti, La vicinitas non basta a dimostrare l’interesse al ricorso per l’annullamento dei titoli edilizi. E nella materia ambientale? in RGA online, 2022.
[18] Cons. Stato, Sez. II, n. 566/2021, secondo cui “la vicinitas di un soggetto rispetto all'area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere sull'interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità̀ anche prima della conclusione dei lavori; Tar Campania, Napoli, sez. II, n. 19/2022.
[19] Sulla portata della diligenza e del principio di affidamento si veda Cons. Stato, Ad. Plen. nn. 19/2021 e 20/2021.
[20] Cons. Stato, sez. IV, n. 7804/2022, n. 5607/2022; n. 245/2018, n. 5125/2016.
[21] Sulla portata del principio di autoresponsabilità nel diritto amministrativo cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2915/2022 con nota di C. Napolitano, Incertezza normativa e principio di autoresponsabilità degli operatori economici: sempre più verso una “Italia immobile”?, in giustiziainsieme.it, 2022.
[22] A. Di Majo, Diritto civile e amministrativo si contaminano a vicenda?, 2021, in giustizia-amministrativa.it. In giurisprudenza v. Cons. Stato, sez. III, n. 6753/2022.