Sommario: 1. Premessa: lo status internazionale della Palestina e la risoluzione del PE – 2. La constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico – 3. La richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa – 4. Il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale – 5. Lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele – 6. Il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane – 7. Alcune considerazioni sulla Risoluzione in commento.
1. Premessa: lo status internazionale della Palestina e la risoluzione del PE
Lo status internazionale della Palestina vede, ad oggi, l’esistenza di due blocchi contrapposti; da un lato – quello maggioritario e le cui fila, dall’inizio della guerra di Israele nella Striscia di Gaza, crescono costantemente – che ne riconosce l’entità statale e dall’altro quello – decisamente minoritario – che no.
In particolare, dopo il recente riconoscimento dello Stato Palestinese da parte di Australia, Canada,\ Francia, Lussemburgo, Portogallo, Principato di Monaco e Regno Unito, sono 150 gli Stati membri delle Nazioni Unite che formalmente prendono atto dello natura statuale della comunità palestinese, nel territorio attribuitole dal diritto internazionale.
A tal proposito, giova ricordare come con la risoluzione 181 del 29.11.1947 l’Assemblea approvò il c.d. “piano di ripartizione della Palestina”, che previde – terminato il mandato britannico sull’area – l’istituzione di due Stati sovrani: la Palestina, a maggioranza araba, e Israele, a maggioranza ebraica. Qui vennero altresì, di modo ben chiaro, stabiliti i confini fra i due stati, mentre Gerusalemme sarebbe dovuta essere amministrata dall’ONU e dotata di uno statuto autonomo.
Lo Stato di Palestina, secondo il piano predetto delle Nazioni Unite, sarebbe dovuto essere uno stato sovrano e indipendente, con capitale Gerusalemme est. I confini dello Stato palestinese si rinvengono, sempre sulla scorta delle risoluzioni ONU nn. 242 e 338 in quelli precedenti alla guerra di sei giorni del 1967 – da qui il nome, “confini del ‘67’’ – riconoscendo invece le conquiste del 1948, che già scardinarono la mappa disegnata dall’originario piano di ripartizione.
La corte internazionale di Giustizia, pur rimanendo controverso lo status dello Stato Palestinese[1], si è del resto pronunciata circa l’illegalità, sotto il profilo giusinternazionalistico, dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi: da ultimo, lo ha fatto con il parere consultivo n. 57 reso il 19.7.2024[2], reso su richiesta dell’Assemblea delle Nazioni Unite[i], in cui è stato ribadito come:
- l'uso della forza sia contrario al diritto internazionale in quanto violativo del principio di non acquisizione del territorio tramite mezzi coercitivi. Tale violazione incide direttamente sulla legittimità della presenza di Israele in qualità di potenza divenuta occupante, a fronte di un’iniziale operazione difensiva (non esprimendosi, la CIG, sulla legittimità dell’occupazione iniziale dopo la guerra dei sei giorni, bensì condannando la permanenza prolungata delle forze dell’IDF);
- l’occupazione prolungata da parte di Israele non soddisfi le condizioni di necessità e proporzionalità dello jus ad bellum, il che di fatto nega la fondatezza dell’argomentazione giustificativa israeliana che collega l’occupazione a ragioni di sicurezza e legami storici con il territorio, rendendone, pertanto, inevitabilmente illegale la prosecuzione;
- lo Stato ebraico non possa vantare alcun diritto di sovranità né esercitare poteri sovrani in alcuna parte dei Territori Palestinesi Occupati, in conseguenza della sua condizione di forza di occupazione;
- sia stato violato il diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese, per un lungo periodo. A tal proposito, un prolungamento delle politiche di occupazione e delle pratiche a esse connesse comprometta l’esercizio di questo diritto anche in futuro;
- tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali abbiano l'obbligo internazionale di non riconoscere come legale “la situazione creata dalla presenza illegale dello Stato israeliano nei territori palestinesi” e di non inviare “aiuti o assistenza” che possano agevolare la sopravvivenza degli insediamenti[3].
In data 11.9.2025 il Parlamento Europeo (con 305 voti favorevoli, 151 contrari e 122 astensioni) ha adottato una risoluzione in 34 punti, che è concettualmente possibile ripartire come segue: 1) la constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico; 2) la richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa; 3) il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale; 4) lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele; 5) il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane.
2. La constatazione dell’esistenza di una profonda crisi umanitaria determinata dalle scelte operative e militari dello Stato ebraico
Al punto 1 della risoluzione in commento il Parlamento Europeo esprime seria preoccupazione per la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza; vengono, invero, evidenziate le gravi carenze alimentari e la malnutrizione ben diffuse nonché l’inclusione – negli obiettivi militari di Israele – di personale medico e strutture sanitarie.
Viene quindi chiesto, allo stato ebraico, di garantire un accesso pieno, sicuro e senza ostacoli a cibo, acqua, forniture mediche, riparo nonché il ripristino immediato delle infrastrutture vitali, con contestuale sollecitazione, rivolta a tutte le parti, di rispettare i propri obblighi umanitari ai sensi del diritto internazionale.
A ciò si accompagna, ai punti 2, 3 e 4, la condanna del blocco degli aiuti umanitari a Gaza da parte del governo israeliano, ivi evidenziandosi come ciò abbia determinato l’insorgenza di una carestia nella parte settentrionale della striscia di Gaza, chiedendo l’apertura di tutti i valichi di frontiera. Ne consegue un invito a ripristinare con urgenza il mandato e i finanziamenti dell’UNRWA, previo un controllo rigoroso delle attività dei soggetti operanti nell’Agenzia, ritenendo del tutto insufficiente ed inefficiente l’attuale sistema di distribuzione degli aiuti; a ciò si aggiunge anche una richiesta, rivolta a tutte le parti, di un maggiore impegno per garantire che gli aiuti raggiungano in maniera sicura tutti i civili.
3. La richiesta di cessate il fuoco e il diritto di Israele all’autodifesa
Nel punto 5 della risoluzione emerge una chiara richiesta di ‘‘cessate il fuoco immediato e permanente’’, con contestuale rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, sia vivi che deceduti, con un invito rivolto all’Unione Europea e agli Stati membri di avvalersi della loro influenza diplomatica per far sì che Hamas accetti di liberare tutti gli ostaggi. Dopodiché, i tre punti che seguono sono incentrati sulla condanna dei “crimini barbari” di Hamas contro Israele; i deputati chiedono, infatti, che al gruppo terroristico vengano irrogate sanzioni concrete, ribadendo l’impegno per la sicurezza di Israele e il suo “inalienabile diritto all’autodifesa” nel rispetto del diritto internazionale, evidenziandosi come lo stato ebraico resti un partner strategico dell’UE nella lotta al terrorismo nell’area. Il riferimento è poi agli Houti, a Hezbollah e all’Iran, considerate minacce esistenziali per Israele, a cui viene riconosciuto il diritto di adottare tutte le contromisure necessarie per contrastare e attenuare le aggressioni della Repubblica Islamica.
Nel prosieguo (punto 9), però, il Parlamento afferma che tale diritto non possa giustificare azioni militari indiscriminate a Gaza e nella regione; le operazioni militari condotte nella Striscia di Gaza, invero, vengono considerate come causa di sofferenze insopportabili per la popolazione civile, posto che Hamas – dal canto suo – ha utilizzato gli abitanti come scudi umani. Viene poi rimarcato (punto 10) come a Gaza sia stato ripetutamente violato il diritto internazionale umanitario e, conseguentemente, siano stati parimenti offesi i diritti umani degli abitanti della Striscia, per via dei trasferimenti di massa della popolazione civile residente. Ne segue un invito, rivolto a Israele, a cessare le pratiche che provocano danni sproporzionati ai civili, la distruzione delle infrastrutture e gli sfollamenti forzati.
Viene poi ribadita la condanna di Hamas, definita esplicitamente quale organizzazione terroristica da sradicare che – in ragione dell’ideologia fondante il gruppo – non potrà essere considerato un interlocutore politico dall’Unione Europea; esso, così come altre organizzazione terroristiche, per i deputati europei non deve quindi mantenere il controllo politico e militare sulla striscia (punti 11 e 12).
4. Il sostegno ai Tribunali internazionali e alla Commissione Europea nella conduzione di un’indagine sulla violazione del diritto internazionale
Il Parlamento Europeo riconosce poi la Corte Penale Internazionale come soggetto titolato all’emissione di mandati di arresto internazionale, che devono essere eseguiti dagli Stati membri, e la Corte Internazionale di Giustizia come istituzione deputata a vigilare sul rispetto del diritto umanitario a Gaza.
Il sostegno a entrambi i Tribunali, dunque, appare strategico per una corretta attuazione del diritto internazionale, garantire una pace duratura ma anche far sì che si dia corso al principio di responsabilità per coloro che hanno determinato il verificarsi di sistematiche violazioni dei diritti umani nella Striscia. In tale ottica:
- viene espressa indignazione verso l’uccisione di 248 giornalisti e 508 operatori umanitari dall’inizio delle operazioni militari a Gaza, chiedendo che vengano condotte indagini indipendenti per accertare le responsabilità di queste morti;
- si esorta la Commissione a tutelare in tutti i modi possibili la CPI e i suoi operatori, allo scopo di promuovere l’universalità e l’integrità dello Statuto di Roma;
- si evidenzia l’essenzialità di un’indagine esauriente su tutti i crimini di guerra e le violazioni del diritto internazionale e chiamare tutti i responsabili a rispondere delle loro azioni (punti 13, 14, 15 e 16).
Va rilevato come, al punto 17, i deputati riconoscano ancora una volta la ricorrenza di una carestia a Gaza (si veda anche par. 1) e la commissione di crimini a essa relativi; ciò attraverso il sostengo alle azioni e a campagne della società civile.
Nella risoluzione, viene poi sostenuta la decisione della presidente della Commissione europea di:
- sospendere il sostegno bilaterale dell’UE a Israele nonché, almeno parzialmente, l’accordo UE-Israele in materia commerciale;
- sanzionare i coloni e attivisti israeliani violenti nella Cisgiordania illegalmente occupata e a Gerusalemme Est in genere, ma – specificatamente – anche i ministri israeliani Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir e qualunque altro esponente di governo sia coinvolto in attività estremiste legate alla creazione di centri israeliani in territorio palestinese, introducendo il tema della soluzione a due Stati (punto 20).
5. Lo stop all’invio di armi, il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani a Gaza e la sospensione degli accordi con Israele
Dopo aver esortato gli Stati membri a bloccare le forniture di armi a Israele, giacché vi è il concreto rischio che queste vengano utilizzate per commettere crimini di guerra e determinare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario (punto 21), il Parlamento evidenzia come il servizio europeo per l’azione ha rilevato la palese violazione – da parte dello stato ebraico – dei suoi obblighi in materia di diritti umani ai sensi dell’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele (punto 22).
I Deputati europei esprimono poi il proprio sostegno alla Presidente della Commissione in ordine alla sospensione del sostegno bilaterale dell’UE a Israele, senza pregiudicare il lavoro dell’UE con la società civile israeliana o Yad Vashem. Inoltre, il Parlamento appoggia altresì la proposta di una sospensione parziale, relativa agli aspetti commerciali, dell’accordo di associazione UE-Israele (punto 23).
6. Il sostegno alla soluzione a due stati e la condanna delle politiche israeliane
Il Parlamento europeo ribadisce poi il proprio impegno a favore di una soluzione a due stati sovrani e democratici, sulla base dei confini del 1967, che convivano pacificamente nel rispetto del diritto internazionale (punto 24).
Inoltre, esorta sia gli Stati membri che le Istituzioni europee ad adottare tutte le misure diplomatiche possibili per garantire l’impegno dell’Unione in tale senso, in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si è tenuta nel settembre 2025 (punto 25). Viene dopodiché sottolineata la necessità di una completa smilitarizzazione di Hamas, che – come già evidenziato prima (vedi supra par. 2) deve altresì essere escluso dal governo della Striscia, chiedendo il ritorno di un’Autorità palestinese riformata come unico organo di governo (punto 26).
Secondo i deputati, la creazione di uno Stato di Palestina è fondamentale per promuovere una pace duratura e rafforzare la sicurezza di Israele, così da raggiungere una normalizzazione regionale (punto 27); gli Stati membri, inoltre, sono invitati a valutare la possibilità di riconoscere lo Stato di Palestina per sostenere la soluzione dei due Stati. Nel far ciò, ribadiscono ancora la necessità che gli ostaggi vengano rilasciati e che Hamas, definita un’organizzazione terroristica, non abbia alcun ruolo nel futuro di Gaza (punto 28).
Ai punti 29 e 31, poi, il Parlamento condanna – da un lato – le pratiche di ritorsione israeliana verso gli Stati membri che intendono riconoscere lo Stato Palestinese o lo hanno già fatto, mentre – dall’altro – le politiche volte all’ampliamento delle cosiddette “colonie”, siti ebraici illegali nel territorio della Cisgiordania; in merito, viene dato atto della circostanza che lo Stato ebraico conduce una campagna di espansione, come dimostra il piano insediamento nella zona E1 della Cisgiordania occupata, che di fatto separerebbe tale area da Gerusalemme Est e renderebbe impossibile una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati.
La soluzione a due Stati viene, dunque, indicata come l’obiettivo diplomatico dell’Unione Europea, che deve essere perseguito anche mediante la ferma condanna dei coloni e delle loro azioni violente, chiedendo che non vengano acquistati dai paesi membri i prodotti delle zone occupate e che venga sospesa o negata la partecipazione ai programmi di ricerca unionali (punto 32).
A chiosa della risoluzione, al di là della richiesta di trasmissione dell’atto a Istituzioni europee e Stati membri e ai soggetti interessati dal conflitto (punto 34), i deputati esprimono preoccupazione per le ricadute globali del conflitto, considerato l’aumento di attacchi contro i cittadini israeliani e, in generale, dell’antisemitismo (punto 33).
7. Alcune considerazioni sulla Risoluzione in commento
In un clima internazionale estremamente teso, anche sul fronte dell’Asia occidentale, il Parlamento Europeo ha evidentemente tentato una difficilissima operazione di equilibrio fra le istanze di Israele – storicamente il principale partner dell’area nonché quello che ha più strette e maggiori relazioni diplomatiche con l’Unione, con cui è persino legato da un peculiare accordo di associazione[ii] che ne agevola l’accesso allo spazio europeo – e il superamento dello stallo in cui si trova oramai il popolo palestinese, attanagliato, a Gaza, da un’invasione dalla elevatissima portata distruttiva mentre, in Cisgiordania, assiste a una lenta ma inesorabile erosione del proprio territorio.
Nel far ciò, il Parlamento Europeo si rivolge costantemente a entrambe le parti, evidenziandone le responsabilità di modo alternato, con ritmo testuale costante.
Invero, pur riconoscendo la natura illegale dell’azione di Israele dopo il 7 ottobre (molteplici, invero, i riferimenti ai crimini di guerra, alla carestia, al mancato rispetto del diritto umanitario) i deputati non mancano di definire Hamas quale gruppo terroristico che deve essere esautorato da ogni governo della Striscia, che ha persino utilizzato la propria popolazione quale scudo umano e che ha contribuito ad ostacolare la distribuzione degli aiuti internazionali, come si intende dall’invito a tutte le parti a consentire il corretto funzionamento della catena di distribuzione.
I deputati, poi, estendono lo sguardo verso la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese, attraverso la effettiva creazione di due stati autonomi, condannando le politiche di espansione di Israele in Cisgiordania, ma anche riconoscendone il diritto all’autodifesa, peraltro menzionando Iran e Houti come minacce esistenziali per lo stato ebraico.
Non manca, poi, una netta presa di posizione da parte del Parlamento Europeo rispetto alla violenta campagna militare condotta dallo stato ebraico, nei cui confronti si chiede tanto di sospendere le forniture militari, con un significativo riferimento alla possibilità che armi prodotte nello spazio dell’Unione possano essere utilizzati per commettere crimini di guerra.
In ultimo, risalta altresì la richiesta di sospensione – almeno parziale – del sopracitato accordo di associazione fra l’UE e Israele, con contestuale adozione di sanzioni nei confronti delle personalità politiche che hanno determinato l’insorgenza delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nel corso dell’operazione militare israeliana a Gaza.
Quanto esaminato e finora rappresentato, va letto alla luce della relazione della Commissione ONU sui territori occupati[4], pubblicata il 16.9.2025, che ha affermato come Israele vada ritenuto responsabile del delitto di genocidio, fornendo alcune raccomandazioni volte a interrompere le azioni illegali e ad evitare la commissione di nuovi crimini[5].
Del resto, il 24.1.2024 anche la CIG si era già pronunciata in senso positivo circa il rischio di genocidio nei confronti del popolo palestinese, seppure in via cautelare, indicando alcune condotte che Israele avrebbe dovuto mantenere allo scopo di scongiurare condotte violative della convenzione di Ginevra del 1948[6].
A ciò, in un momento di profonda crisi del diritto internazionale, le cui Istituzioni divengono oggetto di discredito da parte di attori di primo piano (anzitutto, ad esempio, gli Stati Uniti), si ricollega evidentemente l’appello del Parlamento – non di secondaria importanza – di riconoscimento della CIG e della CPI quali soggetti super partes deputati all’accertamento delle responsabilità dei soggetti che hanno determinato l’insorgenza di una situazione umanitaria gravissima e che, potenzialmente (dovendosi, sempre, attendere un giudizio prima di affermare assertivamente la ricorrenza di qualsivoglia responsabilità individuale), si sono macchiati di crimini contro l’umanità.
Più voci si sono peraltro interrogate circa il valore, oggi, del riconoscimento della Palestina come entità statale; avuto riguardo al pacifico credito della teoria dichiarativa a scapito di quella costitutiva (vedi supra par. 1), a detta domanda se ne accompagna un’altra con cui si pone in rapporto di inestricabilità: cosa resta, oggi, dei territori palestinesi.
La risposta, probabilmente più materia di geopolitica che diritto internazionale, è ovviamente complessa; nondimeno, si ritiene possa comunque partirsi dal dato dell’obiettiva esistenza di un’autorità autonoma su alcuni dei territori palestinesi. Un’autorità compressa, certamente in difficoltà, ma che comunque governa un popolo e un territorio ed è, come dimostra anche la presenza nei consessi internazionali, in grado intessere relazioni.
Ed è per questo che, al di là dell’indubbio valore politico del riconoscimento dello stato palestinese da parte di attori internazionali che hanno cambiato la propria postura proprio in relazione alle azioni di Israele a Gaza a séguito del 7 ottobre 2023, tale presa d’atto appare tutt’altro che superflua o meramente simbolica.
Peraltro, il 12.9.2025 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha, anche con il voto favorevole dell’Italia, approvato una Risoluzione che sostiene il ricorso alla soluzione a due stati, con i territori palestinesi sotto il controllo dell’Autorità Palestinese.
A questo punto non può che menzionarsi l’accordo – siglato il 9 ottobre scorso – che ha determinato, almeno per ora, la fine del conflitto su larga scala[7]; denominato “Passi di attuazione per la proposta del presidente Trump per una ‘fine completa della guerra di Gaza’”. Il documento in sei punti prevede, oltre alla cessazione delle ostilità, l’ingresso di aiuti, il ritorno a casa degli ostaggi israeliani del 7 ottobre, vivi e morti, nonché il rilascio di circa 2000 palestinesi detenuti nelle carceri dello stato ebraico.
Quanto avvenuto, oltre all’indubbio valore storico del ritiro dell’IDF dalla Striscia di Gaza, non solo rappresenta una concretizzazione di quanto auspicato dai parlamentari al punto 2) della risoluzione oggi commentata, ma corrobora quanto appena detto a proposito della tempestività del riconoscimento della Palestina quale stato autonomo, Gaza inclusa.
[1] Con la risoluzione 67/19 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Palestina è divenuta Stato Osservatore non membro, similmente a quanto avviene per la Santa Sede. In merito, va evidenziato come secondo la "teoria dichiarativa", uno Stato possa definirsi tale laddove controlli un territorio (primo elemento) abitato da una popolazione (secondo elemento) e sia dotato di istituzioni autonome che ivi esercitino effettivamente la propria sovranità (terzo elemento); si veda, sul punto, JELLINEK G., Teoria generale del diritto dello Stato, Giappichelli, 2024. La Convenzione di Montevideo del 1933, all’art. 1, ha fatto propria la appena richiamata teoria dichiarativa dello stato, aggiungendo un quarto elemento necessario ai fini della dichiarazione di esistenza di uno stato: la capacità di stringere relazioni internazionali.
Quanto appena rassegnato si contrappone alla c.d. "teoria costitutiva", per la quale il riconoscimento da parte degli altri Stati esistenti è condizione necessaria perché un soggetto possa diventare uno "Stato sovrano", a prescindere dall’apprezzamento della situazione di fatto. Cfr., circa la distinzione appena richiamata, CASSESE A., Diritto internazionale, Mursia, 2006.
[2] Si veda, per un analisi dell’ atto de quo, DETTORI L., Il crescente ruolo strategico della Corte internazionale di giustizia nel conflitto israelo-palestinese, 2024, https://www.diritticomparati.it/il-crescente-ruolo-strategico-della-corte-internazionale-di-giustizia-nel-conflitto-israelo-palestinese/.
[3] Sul punto si veda, COVELLA M.T., Il ritorno della Corte di Giustizia sulla scena del diritto internazionale: il parere sul conflitto israelo-palestinese https://www.giustiziainsieme.it/it/costituzione-e-carta-dei-diritti-fondamentali/3509-il-ritorno-della-corte-di-giustizia-sulla-scena-del-diritto-internazionale-il-parere-sul-conflitto-israelo-palestinese.
[4] La Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sui Territori Palestinesi Occupati, inclusa Gerusalemme Est, e su Israele è stata istituita dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel maggio 2021. Da quel momento, ha redatto tre rapporti nonché diversi documenti di lavoro presentati in conferenze, incluso l’attuale.
[5] Sul punto si veda PARSI L., Analisi giuridica della condotta di Israele a Gaza ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la punizione del reato di genocidio, 2025, https://www.sistemapenale.it/it/documenti/analisi-giuridica-della-condotta-di-israele-a-gaza-ai-sensi-della-convenzione-per-la-prevenzione-e-la-punizione-del-reato-di-genocidio.
[6] OTTONI S., La posizione della Corte Internazionale di Giustizia sul rischio di genocidio nei confronti del popolo palestinese a Gaza, 2024, https://www.giustiziainsieme.it/it/costituzione-e-carta-dei-diritti-fondamentali/3032-la-posizione-della-corte-internazionale-di-giustizia-sul-rischio-di-genocidio-nei-confronti-del-popolo-palestinese-di-sibilla-ottoni.
[7] Di pochi giorni fa la notizia della morte di Saleh Aljafarawi, giornalista di 28 anni ucciso durante gli scontri nel quartiere Sabra, a Gaza City. La fonte è Al Jazeera Arabic, che ha riportato fonti locali che attribuiscono il colpo mortale a membri di una milizia armata che sarebbe collegata alle forze israelo-occupanti.
[i] A/RES/77/247
[ii]https://trade.ec.europa.eu/access-to-markets/it/content/accordo-di-associazione-ue-israele.