Il diritto della crisi d’impresa ai tempi della pandemia di Giovanni Negri
Tra un’emergenza comunque a tempo e il timore che, come spesso avviene nel Paese, non ci sia nulla di più definitivo del provvisorio, anche il diritto della crisi d’impresa vive giornate a loro modo memorabili. Con misure in parte ovvie e altre che difficilmente si sarebbe pensato di leggere. A conferma che certo il mondo della giustizia è investito in queste settimane da un terremoto che sta modificando, quanto in profondità sarebbe prematuro ora stimarlo, innanzitutto tempi e modi della giurisdizione, sia civile sia penale, ma anche punti e norme di diritto sostanziale.
Emergenza a tempo o il tempo dell’emergenza?
Da ultimo con il decreto legge n. 23 in vigore da pochi giorni, è stato messo in campo un arsenale di norme indirizzate in larga parte al mondo delle imprese la cui efficacia andrà sperimentata, ma la cui portata è certo rilevante. E lo è, nella testimonianza dell’eccezionalità del momento, nell’istituire una finestra di tempo, la cui ampiezza varia da misura a misura, all’interno della quale le regole ordinarie, alle quali ci si era abituati ormai da tempo, non valgono più. Oppure quelle con le quali si stava, con fatica, prendendo dimestichezza, arriveranno (forse) solo tra qualche tempo.
I teorici del diritto, naturalmente molto avranno da dibattere sullo stato di eccezionalità e sulle forzature alle quali il legislatore può dare luogo abusandone. Di certo con gli ultimi interventi di diritto dell’economia il Governo ha deciso come prima cosa di comprare tempo, mettendo le aziende al riparo da alcune gravi conseguenze, reali o solo attese, della complicata fase in corso.
Un anno ancora per il Codice della crisi
E allora, se il lockdown porta lavoratori e imprese in un mondo nuovo, con scenari tuttora imprevedibili, una delle prime scelte è, in un certo senso, “classica”, una proroga. A essere interessato dal rinvio, un anno, al 1° settembre 2021, è tutto il Codice della crisi, comprese, a questo punto, le misure di allerta, elemento che più di altri forse lo qualifica. Comprensibili le ragioni che hanno condotto a questo slittamento (anche se altrettanto condivisibili possono essere le perplessità espresse anche su questa rivista da Renato Rordorf, presidente delle commissioni che la legge delega prima e il decreto legislativo poi hanno redatto), dalla volontà di non mettere gli imprenditori davanti un set di regole assai significative e nuove in un momento di inedita crisi, alla difficoltà di raggiungere in una fase estrema quegli obiettivi di salvaguardia del tessuto produttivo cui il Codice tende. Oltretutto il prevedibile crollo degli investimenti da una parte e, dall’altra, di risorse finanziarie significative da destinare alle imprese non ancora in insolvenza rischia di compromettere anche gli strumenti più innovativi del Codice.
L’impatto del rinvio
A slittare sono così misure che, comunque, anche in tempo di crisi e forse tanto più in tempo di crisi, un senso lo avrebbero avuto, dal sovraindebitamento, all’esdebitazione, (come trasposti e rimodellati nel codice della crisi) alla disciplina dei gruppi e al concordato in continuità (con salvaguardia dei livelli occupazionali).
Discorso a parte poi sulle misure di allerta, il cui debutto, a ora allineato a quello di tutto il resto del Codice, verosimilmente potrebbe confrontarsi con dati di bilancio terremotati dalla crisi di queste settimane, dando luogo a un’esplosione di segnalazioni di difficile gestione dal sistema degli ocri e di assai dubbio sbocco.
I concordati guadagnano tempo
Le misure di diritto fallimentare introdotte dal decreto si completano con un pacchetto di disposizioni dedicate a concordati e accordi di ristrutturazione, per favorirne la messa a punto durante la crisi e tenendo conto degli effetti della crisi stessa, anche se già omologati, non trascurando i concordati in bianco. In sostanza per concordati e accordi di ristrutturazione già omologati è previsto il rinvio di 6 mesi per i pagamenti in scadenza tra il 23 febbraio e il 30 giugno; per quelli con un termine in scadenza per la presentazione di un piano il rinvio di 90 giorni per modificarne condizioni e contenuti; possibile poi la modifica unilaterale, prima dell’omologazione, dei termini di adempimento inizialmente prefigurati per tenere conto di eventi dovuti all’epidemia dove è stata presentata la sola prenotazione il rinvio di 90 giorni del termine per la presentazione del piano.
Inevasa è rimasta (per ora?) la richiesta di un blocco delle azioni esecutive individuali, sorta di automatic stay disciplinato per legge, magari accompagnandolo con il pagamento di interessi di mora. Con la possibilità molto concreta di vedere aumentare in maniera considerevole le domande di preconcordato che l’automatic stay appunto lo prevedono, soprattutto dopo che, per effetto del decreto, è stato rinviato il termine di presentazione.
4 mesi fallimenti free
A volere ricordare poi l’ultima misura introdotta dal decreto, il blocco delle istanze di fallimento o di insolvenza, per un periodo di 4 mesi, dal 9 marzo al 30 giugno, è forse più di una suggestione considerare il diritto della crisi al tempo dell’emergenza sanitaria come (anche) un’esasperazione di quell’oscillazione tipica della legislazione fallimentare tra esigenze di tutela del debitore e protezione dei creditori. Un’oscillazione che ha costellato le riforma sul punto da parecchi anni a questa parte, da quelle più strutturali agli interventi più episodici. Ora, è evidente, la necessità di un’ampia protezione delle imprese in difficoltà va letta insieme e in parallelo alla preoccupazione di non fare diventare in qualche modo strutturale il provvisorio, per non favorire cioè quei “furbetti” delle procedure che, per esempio, in un recente passato sfruttavano il vecchio assetto del concordato preventivo come strumento di alterazione della concorrenza per ripulirsi dall’eccessiva esposizione debitoria e poi ripartire.
La continuità aziendale ora si presume
Soffermandosi infine sugli aspetti del decreto che incidono sul Codice civile, in questo caso l’intenzione è quella di evitare che l’applicazione meccanica di norme classiche del sistema, come quelle sulla valutazione delle perdite e , sulla responsabilità degli amministratori (che comunque dovranno convocare l’assemblea presentando la relazione sulle perdite), sulla valutazione di continuità aziendale (presunta, se esistente prima del 23 febbraio), contribuiscano ad affossare aziende che prima della crisi erano in condizione di buona se non ottima salute e, anzi, con buone possibilità di sviluppo.
A favorire l’afflusso di finanza secondo linee interne, visto che alle garanzie pubbliche sull’accesso al credito è dedicata tutta la prima parte del decreto, c’è l’ultima norma spiana la strada, cancellando la postergazione, all’apporto di risorse da parte dei soci. Viene così cancellata la norma che subordinava i soci agli altri creditori per i finanziamenti erogati dal 9 aprile al 31 dicembre 2020.