Gli approfondimenti della riforma Cartabia - 6. Riforma Cartabia e pene sostitutive: la rottura “definitiva” della sequenza cognizione-esecuzione
di Gianluca Varraso, Professore ordinario di Diritto processuale penale e di Diritto penitenziario nell’Università Cattolica S. Cuore di Milano
Il presente articolo si inserisce nella serie di approfondimenti dedicati da Giustizia Insieme (v. Editoriale) alle novità introdotte dalla riforma Cartabia nella materia penale. Di seguito i precedenti contributi:
1. Le nuove indagini preliminari fra obiettivi deflattivi ed esigenze di legalità
3. Pensieri sparsi sul nuovo giudizio penale di appello (ex d.lgs. 150/2022)
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le “nuove” pene sostitutive tra istanze di rieducazione e ragioni di efficienza. – 2.1. Segue. Il contenuto delle pene, il programma di trattamento e la relazione delle attività e dell’esito dei programmi di giustizia riparativa. 3. La discrezionalità del giudice di cognizione e l’obbligo di motivazione in sentenza. – 3.1. L’udienza ex artt. 545 bis e 448, comma 1 bis, c.p.p.: la nuova competenza del giudice della cognizione e il ruolo dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna. 4. Il patteggiamento quale sede privilegiata di applicazione delle pene sostitutive e la mancata inclusione all’interno delle stesse dell’affidamento in prova ai servizi sociali. 5. Le questioni organizzative. 6. … e la nuova sfida culturale.
1. Introduzione.
All’interno di una riforma che punta nella sua intitolazione all’efficienza della giustizia penale e alla celerità delle procedure giudiziarie, basta una lettura anche frettolosa del d. lgs. n. 150 del 2022 per prendere atto come, al fine di conseguire tale obiettivo e in attuazione della l. d. n. 134 del 2021, si sia ritenuto di porre mano alla modifica del sistema sanzionatorio del codice penale, oltre che del codice di rito.
Il combinarsi delle modifiche sostanziali e processuali, che crea un intreccio tra diritto penale e processo quale “tratto più evidente che esprime lo spirito complessivo della riforma”[1], comporta rilevanti implicazioni circa i rapporti tra fase di merito ed esecuzione penale, con novità di grande interesse in executivis e inevitabili aporie interpretative, che dovranno essere affrontate da tutti i protagonisti della giurisdizione, chiamati ad un’attenzione sempre più marcata ai profili ordinamentali.
Le scelte del legislatore, frutto di compromesso anche in ragione della variegata composizione della compagine politica che ha dato impulso alla novella, si sono tradotte in interventi mirati in particolare sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi[2], come si esprime ora il nuovo art. 20 bis c.p., attribuendo spazio autonomo ad una disciplina organica della giustizia riparativa negli artt. 55 ss. d. lgs. n. 150 del 2022[3].
Non si è riusciti a superare, già in astratto, come auspicato da molto tempo dalla dottrina, la centralità del carcere, modificando il novero delle pene principali[4].
Si è voluto, per contro, nell’accentuare la discrezionalità valutativa in sentenza del giudice della cognizione, attribuirgli un ruolo inedito: non più limitato alla quantificazione della reclusione o dell’arresto da comminare all’imputato-condannato, ma anche alla determinazione delle modalità esecutive.
2. Le “nuove” pene sostitutive tra istanze di rieducazione e ragioni di efficienza.
Le pene elencate dall’art. 20 bis c.p. non sono più quelle per cui è consentita la sospensione condizionale della pena, bensì la detenzione fino a quattro anni (tutt’altro che breve), che consente di sospendere l’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 comma 5 c.p.p.[5].
Scompare la semidetenzione e la libertà controllata.
Fanno ingresso, accanto alla pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva fino ad un anno, la semilibertà e la detenzione domiciliare sostituiva (fino a quattro anni) e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo (fino a tre anni). Last, but not least, si esclude per esse la sospensione condizionale della pena (v. art. 61 bis l. n. 689 del 1981).
Si svela, in questo modo, il tentativo non solo di ridurre del 25% la durata dei procedimenti penali, ma di consentire l’esecuzione della pena detentiva senza più alimentare l’“odiosa” categoria dei condannati sospesi[6].
È sempre invocata (come doveroso) alla base della scelta la volontà di favorire il fine rieducativo della pena ex art. 27 comma 3 Cost., come si esprimeva già la legge delega e come emerge in particolare dalla grande attenzione riservata nel d. lgs. n. 150 del 2022 al contenuto delle “nuove” sanzioni e al coinvolgimento dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna[7].
Il rischio ancora una volta è che prevalgano le ragioni di efficienza[8].
La novella si pone in coerenza logica rispetto a quanto avvenuto con l’ingresso tra i procedimenti speciali della sospensione del procedimento per messa alla prova: anticipare nella sostanza l’esecuzione della pena alla fase di cognizione[9], deflazionando il dibattimento e il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza, alla luce di una riflessione.
La sequenza tra cognizione ed esecuzione viene meno e si completa il percorso iniziato proprio con la l. n. 67 del 2014[10].
La sede tipica di applicazione delle pene sostitutive, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe essere il patteggiamento[11], in cui la componente consensuale dell’imputato alla base dello stesso funzionamento dei nuovi istituti ha la sua sede elettiva, rimettendo al giudice di cognizione in tale sede la verifica della congruità della pena e la determinazione delle modalità esecutive.
Chiara la volontà di rivitalizzare, rispetto ad una realtà applicativa alquanto desolante, gli effetti benefici dei procedimenti alternativi sul carico dibattimento, oltre che delle medesime pene sostitutive disciplinate dalla l. n. 689 del 1981[12].
2.1. Segue. Il contenuto delle pene, il programma di trattamento e la relazione delle attività e dell’esito del programma di giustizia riparativa.
Per una migliore comprensione degli effetti sul processo e sulla fase esecutiva del nuovo sistema sanzionatorio almeno negli auspici della novella, pare opportuno esaminare nelle linee essenziali il contenuto delle pene sostitutive diverse da quella pecuniaria, che incidono in maniera significativa sulla disciplina penitenziaria oggi in vigore anche dal punto di vista sistematico: semilibertà, detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità sostitutivi[13].
Il giudice di merito che applica tali pene può determinare la permanenza in carcere o presso il domicilio del condannato per non meno di dodici ore al giorno (per la detenzione sostitutiva) e di otto ore in istituto (per la semilibertà sostitutiva), ricavandosi, a contrario, che lo stesso giudice deve favorire il più possibile l’espiazione extramuraria per ragione di lavoro, di studio, di formazione professionale e di salute (v. gli artt. 55 e 56 l. n. 689 del 1981).
Si capovolge, in questo modo, la regola oggi esistente, nelle misure omologhe disciplinate dagli artt. 47 ter e 48 ord. penit., restrizione – libertà.
La componente detentiva delle misure de quibus diventa “recessiva”[14], al fine di salvaguardare l’utilità delle misure stesse a fini rieducativi e di reinserimento sociale, aprendo “finestre” più ampie per il condannato con il mondo esterno, proprio al fine di consentirgli lo svolgimento di un’attività lavorativa, ovvero di altra attività trattamentale che permetta, sempre nelle intenzioni, di trasformare istituti deflattivi in autenticamente risocializzanti.
A tali fini, l’ufficio dell’esecuzione penale esterna, per orientare il giudice nella sua decisione, è chiamato a redigere uno specifico programma di trattamento, che deve essere approvato dallo stesso giudice (v. sempre art. 55 comma 3 l. n. 689 del 1981, 56 comma 2 l. n. 689 del 1981 e 545 bis, comma 2, c.p.p.), il quale nel caso di detenzione domiciliare deve identificare una idonea dimora per chi ne sia sprovvisto. L’UEPE è anche tenuto a riferire periodicamente sulla condotta del condannato e sul percorso di reinserimento (v. art. 56 comma 2 l. n. 689 del 1981).
Chiaro l’obiettivo, da un lato, di rendere residuale, in particolare, la finalità umanitaria della detenzione domiciliare, oltre che di ridurne la portata meramente deflattiva della popolazione carceraria con i conseguenti benefici effetti sui costi per detenuto a carico dell’amministrazione penitenziaria.
Dall’altro lato, con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo (art. 56 bis l. n. 689 del 1981), specificando che la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato non possa durare meno di sei ore e non più di quindici ore la settimana, si cerca di non pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.
Centrale anche in questo caso per la determinazione del contenuto della pena dovrebbe essere il programma trattamentale redatto sempre dall’UEPE (v. sempre art. 545 bis comma 2 c.p.p.) [15], in quanto si esclude, come avviene oggi in molti uffici giudiziari, una predeterminazione automatica della durata del lavoro di cui si discute in ragione della sola maggiore o minore gravità del reato.
Per tutte le pene sostitutive sono poi previste “prescrizioni comuni” (art. 56 ter l. n. 689 del 1981), che vanno a limitare soprattutto la libertà di circolazione del condannato.
Alla base di queste prescrizioni traspare la preoccupazione di prevenire la commissione di ulteriori reati, ma è innegabile la preminente necessità di salvaguardare la finalità di risocializzazione.
Neutralizzare il pericolo di recidiva, specialmente per i condannati a reati con vittime “vulnerabili”, è enfatizzato nella detenzione domiciliare, laddove si prevede la possibilità di applicare controlli mediante mezzi elettronici, anche per tutelare la persona offesa dal reato (v. art. 56 comma 4 l. n. 689 del 1981).
Altra componente fondamentale, seppure eventuale, di valutazione del giudice di merito ai fini della identificazione della pena congrua ex art. 20 bis c.p. da applicare sarà anche la relazione trasmessa dagli appositi centri, ai sensi dell’art. 57 d. lgs. n. 150 del 2022, al termine del programma di giustizia riparativa “contenente la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto”, programma al quale qualsiasi detenuto ha la libertà di accedere anche su input dell’autorità giudiziaria, che può disporre l’invio dei condannati e degli internati a tali programmi in qualsiasi fase dell’esecuzione ai sensi dell’art. 15 bis ord. penit. e, già prima nella fase di cognizione, fin dalle prime battute del procedimento penale (v. artt. 15 bis ord. penit., 47 d. lgs. n. 150 del 2022, nonché artt. 129 bis e 369 comma 1 ter c.p.p.).
La premialità a cui il legislatore lega (per incentivarne l’accesso) tali percorsi emerge dalla rilevanza destinata ad assumere nella determinazione della pena dalla valutazione del comportamento post delictum dell’imputato ai sensi dell’art. 133 c.p. (v. art. 58 d. lgs. n. 150 del 2022), nonché la possibilità in questo modo di beneficiare della nuova circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 parte finale c.p., correlata all’esito positivo del programma riparativo.
In altri termini, più in generale, ai fini della determinazione della pena carceraria e della concessione delle pene sostitutive devono valutarsi gli esiti positivi dei predetti programmi, al pari di quanto avviene per la concessione delle misure alternative, prima fra tutte l’affidamento in prova di cui all’art. 47 ord. penit. (v. il nuovo comma 12).
3. La discrezionalità del giudice di cognizione e l’obbligo di motivazione in sentenza.
È innegabile l’attribuzione, in questo modo, di un ruolo inedito nel determinare la pena al giudice della cognizione, chiamato, al momento di emettere la sentenza di patteggiamento ovvero all’esito del giudizio abbreviato o del giudizio ordinario, oltre che ad un giudizio proiettato al passato e alla valutazione dei profili del fatto di reato oggetto del processo e della personalità del colpevole (v. art. 133 c.p.), proiettato sul futuro e sulla possibilità per il condannato di commettere nuovi reati, in ragione di un rinnovato giudizio prognostico: non più limitato alla concessione della sospensione condizionale della pena (v. art. 164 c.p.), ma anche delle pene di cui si discute e alla determinazione delle relative modalità di esecuzione.
Si esalta, in questo modo, la discrezionalità del giudice in sede decisoria[16].
Il legislatore, ben consapevole, cerca di introdurre una più ampia possibilità di controllo in sede di gravame in punto pena della sentenza di condanna[17], riscrivendo l’art. 58 l. n. 689 del 1981, proprio in tema di «potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive», che impone al giudice un più ampio dovere motivazionale in parte qua ai sensi dell’art. 546 lett. e c.p.p.
In primis, si specifica, in via espressa, che devono sempre essere i tradizionali criteri di cui all’art. 133 c.p. in tema di gravità del fatto e personalità del colpevole ad orientare il giudice nella scelta.
È il primo monito, dei tanti contenuti sempre nell’art. 58 l. n. 689 del 1981, a non incorrere nel disimpegno motivazionale nella parte sanzionatoria, che a volte contraddistingue le sentenze.
Solo motivazioni complete sul piano della dosimetria e sul contenuto delle pene consentono una corretta scrittura del dispositivo della sentenza medesima, che ai sensi dell’art. 61 l. n. 689 del 1981 deve contenere «la specie e la durata della pena detentiva sostituita e la specie, la durata ovvero l’ammontare della pena sostitutiva»
Bisogna, d’altro canto, ricordare come da sempre si segnala il vuoto contenutistico reale dei criteri di determinazione della pena fissati dal codice penale[18], che non pare colmato dal richiamo ripetuto nella l.d. n. 134 del 2021 e nel d. lgs. n. 150 del 2022 alla esigenza di scegliere la pena “più idonea alla rieducazione del condannato”, controbilanciata dalla esigenza, altrettanto importante, di motivare sull’insussistenza del pericolo di recidiva, in ragione delle prescrizioni adottate (v. art. 58 comma 1 l. n. 689 del 1981).
È significativo che, subito dopo aver affermato come tali prescrizioni debbano assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di nuovi reati, ci si affretti ad affermare in maniera rigorosa e assertiva, che “la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi di ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato” (v. sempre art. 58 comma 1 l. n. 689 del 1981 parte finale), trattandosi di tipici giudizi prognostici, a cui fino ad oggi era chiamata solo la magistratura di sorveglianza ed ora estesi al giudice del merito[19].
In secondo luogo, sempre il comma 1 dell’art. 58 l. n. 689 del 1981 attribuisce all’organo giurisdizionale il potere di sostituzione della pena detentiva, con tutta evidenza per le sanzioni fino a due anni, solo se non ordina la sospensione condizionale della pena.
Riecheggiano nel comma 2 dell’art. 58 le parole della Corte costituzionale in tema di scelta delle misure cautelari ex art. 275 c.p.p. e, poi, per l’appunto di proporzionalità della pena, laddove si ricorda al giudice che la scelta sanzionatoria in sentenza deve fondarsi sul principio del minor sacrificio possibile della libertà personale del condannato. a cui si correla l’ennesima disposizione che lo obbliga ad indicare “i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostituiva e la scelta del tipo”.
Il comma 3 dell’art. 58, strettamente legato al precedente, impone così in via inevitabile al giudice di spiegare le ragioni che lo inducono, per le pene entro il limite dei tre anni, di preferire la semilibertà e la detenzione domiciliare rispetto al meno afflittivo lavoro di pubblica utilità o alla pena pecuniaria.
Ci troviamo di fronte al principio di nuovo conio di extrema ratio avendo riguardo proprio alla semilibertà e alla detenzione domiciliare, in ragione delle “condizioni legate all’età, alla salute fisica o psichica, alla maternità, o alla paternità nei casi di cui all’art. 47 quinquies comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354”, nonché “delle condizioni di disturbo da uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche ovvero da gioco d’azzardo, certificate […], nonché delle condizioni delle persone affette da AIDS conclamata o dal altra grave deficienza immunitaria”, sempre certificate.
La lettura faticosa, a cui costringe l’art. 58 l. n. 689 del 1981, svela in realtà come la discrezionalità del giudice sia ineliminabile, seppure costretta all’interno di un obbligo rafforzato di motivazione in punto pena.
E proprio per escludere, già in astratto, qualsiasi discrezionalità si sono previste espresse preclusioni di natura soggettiva nell’art. 59 l. n. 689 del 1981, prima fra tutte per l’imputato di uno dei reati di cui all’art. 4 bis ord. penit., non collaborante ai sensi dell’art. 323 bis comma 2 c.p. (lett. d)
Si perpetua sulla base di semplici titoli di reato, spesso estranei alla criminalità organizzata, una presunzione assoluta di pericolosità sociale che esclude la sostituzione, salvo che per i minorenni, e che impone all’imputato di collaborare, se vuole ottenere un trattamento sanzionatorio ed esecutivo più favorevole[20].
3.1. L’udienza ex artt. 545 bis e 448 comma 1 bis c.p.p.: la nuova competenza del giudice della cognizione e il ruolo dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna.
Alla luce del contenuto delle pene sostitutive e dei complessi obblighi motivazionali in punto pena del giudice, si comprende appieno la centralità della inedita udienza prevista dal nuovo art. 545 bis c.p.p. per il rito ordinario e abbreviato e dall’art. 448 comma 1 bis c.p.p. per il patteggiamento.
Il giudice che in sentenza abbia applicato una pena detentiva non superiore a quattro anni e che non abbia ordinato la sospensione condizionale della pena, “se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva”, deve “subito dopo la lettura del dispositivo ai sensi dell’art. 545 c.p.p.”, dare apposito avviso alle parti. Se non può decidere immediatamente, previo consenso dell’imputato, sentito il pubblico ministero, fissa un’apposita udienza camerale (art. 545 bis comma 1 c.p.p.).
Analogamente, “quando l’imputato e il pubblico ministero concordano l’applicazione di una pena sostitutiva di cui all’art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, il giudice, se non è possibile decidere immediatamente, sospende il processo e fissa un’apposita udienza” (così l’art. 448 comma 1 bis c.p.p.)[21].
Ci si è subito chiesti, con la consueta perspicacia, se la fissazione di questa udienza destinata alla eventuale sostituzione della pena detentiva ai sensi dell’art. 20 bis c.p. debba avvenire sulla base di una considerazione astratta, meramente numerica della pena, o in concreto[22].
E si è anche detto che “molto del futuro della sostituzione della pena dipenderà da questo abbrivio: se improntato ad automatismo (l’entità edittale della pena lo consente, quindi si va avanti comunque ad esplorarne le possibilità’); ovvero a valutazioni ‘sostanziali’ già acquisite nel giudizio delle quali il giudice non si spoglia quale giudice della pena e che già impediscono, nella prospettiva del giudicante, un inutile sviluppo”[23].
È vero che non aiuta a sciogliere l’alternativa il presupposto del consenso dell’imputato, il quale deve essere acquisito personalmente o tramite procuratore speciale non necessariamente all’interno di tale udienza (v. sempre art. 545 bis comma 1 c.p.p.)[24].
Nel tentativo di proporre una soluzione al quesito, si possono, comunque, sviluppare alcune considerazioni di carattere formale e sistematico che scaturiscono dal d. lgs. n. 150 del 2022, anche alla luce di quanto si legge nella Relazione di accompagnamento alla legge.
Quest’ultima ricorda che, nel tentativo di introdurre il modello bifasico del sentencing anglosassone, la riforma vuole realizzare “una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione […] e che la valorizzazione delle pene sostitutive, irrogabili dal giudice di cognizione, promette una riduzione dei procedimenti davanti ai tribunali di sorveglianza, oggi sovraccarichi e incapaci, in molti distretti, di far fronte in tempi ragionevoli alle istanze di concessione di misure alternative, come testimonia il fenomeno dei c.d. liberi sospesi (poiché) l’efficienza della giustizia penale […] non può ragionevolmente essere rapportata al solo processo di cognizione. Se la fase dell’esecuzione penale ha una durata irragionevole, il procedimento penale nel suo complesso non può dirsi certo efficiente”[25].
Il giudice della cognizione, chiamato così a valutare l’applicabilità delle pene ex art. 20 bis c.p., non solo si “sostituisce” al tribunale di sorveglianza, ma finisce per rivestire un ruolo di organo propulsivo dell’esecuzione.
Questo significa che, accanto ad un controllo iniziale formale e numerico che attiene alla determinazione nel limite dei quattro anni della reclusione o all’arresto in concreto da applicare, ovvero alla verifica dell’esistenza delle preclusioni soggettive di cui all’art. 59 l. n. 689 del 1981, il complesso giudizio prognostico sotteso alla valutazione di non concedibilità della sospensione condizionale della pena, di idoneità rieducativa in concreto della pena sostitutiva e dell’assenza del pericolo di recidiva, presuppone che il giudice disponga della relazione e del programma trattamentale redatto dall’UEPE e, in via eventuale, della relazione sulle attività e sugli esiti dei programmi di giustizia riparativa.
Appare teorico che queste prove documentali, al pari di altre informazioni di polizia e dell’UEPE, siano a disposizione dell’organo giurisdizionale già al momento della decisione, diventando proprio l’udienza ex art. 545 bis c.p.p. la sede necessaria e ultima di acquisizione delle stesse.
Del resto, salvo introdurre interpretazioni volte a deflazionare il carico di lavoro dell’UEPE medesimo, sulla base di pur lodevoli letture realistiche che si ritrovano già in alcuni protocolli in cui si fa a meno (entro certi limiti) del programma, non pare condivisibile onerare le parti di tale attività probatoria, rimettendo di fatto in via esclusiva alle stesse la realizzazione effettiva della finalità di cui all’art. 27 comma 3 Cost.
Da qui, appare difficile che il giudice possa sottrarsi, nella generalità dei casi, alla fissazione di tale udienza.
La fissazione della stessa appare doverosa, inoltre, non solo per una interlocuzione a fini probatori con l’UEPE e la polizia giudiziaria, ma anche per evitare che, in assenza di un contraddittorio con l’imputato e il suo difensore, questi siano “costretti” (fuori dei casi di lavoro di pubblica utilità) a proporre appositi motivi di appello, anche al solo fine di chiedere in sede di gravame il rispetto del diritto al contradditorio ex art. 178 lett. c c.p.p. e, comunque, per avere la possibilità di beneficiare della sanzione sostitutiva non concessa dal giudice di prime cure, sul solco di quanto precisato dalle Sezioni unite della Suprema Corte[26].
La circostanza evidenziata da quest’ultime che le sanzioni sostitutive in sede di appello non possano essere applicate d’ufficio, ma che serva un apposito motivo sul punto, svela anche una qualche difficoltà di coordinamento e una certa distonia con la nuova disciplina cartolare del giudizio di secondo grado.
Se il giudice del gravame deciderà, infatti, di accogliere tale motivo, dovrà in ogni caso fissare la nuova udienza ex art. 545 bis c.p.p., che sembra, comunque, palesare, al pari di quanto avviene davanti alla magistratura di sorveglianza, il bisogno di una presenza delle parti, per determinare le modalità esecutive della pena[27].
4. Il patteggiamento quale sede privilegiata di applicazione delle sanzioni sostitutive e la mancata inclusione all’interno delle stesse dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Le considerazioni sviluppate devono correlarsi ad una scelta di fondo della novella del 2022, che era già emersa in sede di legge sul c.d. “patteggiamento allargato”[28].
Come già all’epoca della l. n. 134 del 2003[29], il “rafforzamento” delle sanzioni sostitutive pare ancora una volta espressione della volontà di incentivare l’utilizzo nella prassi del rito ex artt. 444 ss. c.p.p., oltre che di un cambiamento radicale del sistema sanzionatorio del codice penale che dovrà misurarsi anche con la ben diversa attuazione (questa sì dirompente sulla carta) del criterio di cui all’art. 1 comma 18 l. n. 134 del 2021, relativo all’introduzione della giustizia riparativa[30] (e che ritroviamo disciplinata, per la prima volta in via organica, nel d. lgs. n. 150 del 2022 (artt. 42 ss.).
È vero, infatti, che con la riforma “Cartabia”, a differenza di quanto previsto dal progetto “Lattanzi”, le nuove pene sostitutive “possono essere applicate dal giudice della cognizione ‘su scala generalÈ, a prescindere, cioè, dalla richiesta di patteggiamento o dalla ricorrenza di specifiche figure di reato indicate dal legislatore”[31].
È altrettanto vero che il patteggiamento sembra rimanere la sede privilegiata di applicazione delle stesse “nuove” pene sostitutive, se solo si riflette su alcuni profili ben presenti nella l. n. 134 del 2021 e nel d. lgs. n. 150 del 2022[32].
In primo luogo, la sostituzione della reclusione o dell’arresto con le nuove pene di cui all’art. 20 bis c.p. sarà correlata in sede di patteggiamento, non di rado, a veri e propri “saldi” come avviene già oggi sulla pena detentiva oggetto dell’accordo.
In stretta connessione, “l’ampia possibilità di degradare la risposta sanzionatoria dal carcere a pene non carcerarie è la ‘contropartita’ che il sistema offre in cambio di una rinuncia alla piena giurisdizione”[33], senza doversi affidare all’ampia (e rischiosa) discrezionalità sanzionatoria del giudice nel rito ordinario, che può applicare le pene della l. n. 689 del 1981 ai sensi dell’art. 58 l. n. 689 del 1981.
In secondo luogo, il pubblico ministero e l’imputato possono, da subito, accordarsi su di una sanzione complessiva che, una volta passata in giudicato la sentenza, sarà immediatamente esecutiva, in quanto non suscettibile di sospensione condizionale[34], senza che vi possa essere la sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p. che riguarda la sola pena detentiva in carcere.
Il legislatore punta molto sul successo di questo patteggiamento dell’imputato ad una pena extramuraria, ma è da evidenziare una incoerenza di difficile comprensione.
La l. n. 134 del 2021 e il conseguente d. lgs. n. 150 del 2022 non hanno ritenuto di prevedere quale sanzione sostituiva l’affidamento in prova al servizio sociale[35].
È probabile che ciò sia dipeso dall’equilibrio interno alla variegata compagine politica che ha portato alla legge-delega e alla preoccupazione di mantenere, comunque, il connubio pena-limitazione della libertà[36], nonché “di evitare il rischio che l’applicazione dell’affidamento in prova ai servizi sociali si trasformi in una sospensione condizionale mascherata”[37], ovvero che disincentivi la sospensione del procedimento con messa alla prova, allungando i tempi del processo[38].
Le ricadute sul piano di sistema e pratico sono contraddittorie.
Da un lato, l’imputato ha il vantaggio di potersi accordare con il p.m. già nella fase di cognizione non solo sulla quantificazione della pena detentiva, ma anche sulle relative modalità esecutive extracarcerarie, rompendo (come detto) il binomio cognizione-esecuzione.
Dall’altro lato, la scelta ex art. 444, comma 1, c.p.p. della detenzione domiciliare, ovvero della semilibertà, dai contenuti simili anche se non uguali agli omologhi istituti della fase esecutiva, impedisce al condannato di percorrere la possibilità della misura alternativa “più favorevole” ex art. 47 ord. penit.
Una volta che l’imputato abbia deciso di concordare la detenzione domiciliare o la semilibertà ed espresso in tal senso una volontà ben precisa in accordo con il pubblico ministero sul trattamento sanzionatorio complessivo, lo stesso imputato, divenuto condannato, non può cambiare le proprie scelte iniziali e chiedere in executivis l’affidamento in prova ai servizi sociali. L’art. 47 comma 3 ter ord. penit. prevede, in via espressa, che quest’ultima misura alternativa possa essere concessa al condannato a pena sostitutiva, solo «dopo l’espiazione di almeno metà della pena», seppure tenendo conto della riduzione che può derivare dalla liberazione anticipata.
La detenzione domiciliare e la semilibertà, qualificate come sanzioni sostitutive, si atteggiano nella sostanza a modalità alternative di esecuzione della pena detentiva applicate già in sede di merito, che impongono, al pari di quanto avviene per la messa alla prova, ingenti investimenti sugli uffici dell’esecuzione penale esterna anche per l’identificazione di reali prescrizioni rieducative[39].
Questi risultati sono ancor più da enfatizzare alla luce della possibilità di applicare con il patteggiamento il lavoro di pubblica utilità sostitutivo per pene non superiori a tre anni (v. art. 56 bis d. lgs. n. 150 del 2022).
Anche questa volta, senza dover aspettare la fase esecutiva per chiedere l’affidamento in prova al servizio sociale ordinario (v. art. 47, comma 1, ord. penit.), appare vantaggioso per l’imputato non solo concordare con il p.m. la pena detentiva, ma ab initio fissarne modalità esecutive questa volta del tutto esterne al carcere e non rimesse alla valutazione, pur sempre discrezionale, della magistratura di sorveglianza.
Vi è, inoltre, un aspetto tutt’altro che secondario sul quale riflettere e che incide sulle interrelazioni con la messa alla prova.
Quest’ultima, sulla quale punta come già detto la riforma, «non può essere concessa più di una volta» (v. art. 168-bis, comma 4, c.p.), al pari di quanto avviene per la sospensione condizionale della pena.
Di conseguenza, l’imputato dovrà considerare che i lavori di pubblica utilità (e in generale le pene sostitutive di nuova introduzione) sono, per contro, reiterabili, non essendo previste preclusioni da una precedente sentenza di condanna a pena sostituita[40].
Senza trascurare che il loro positivo svolgimento, accompagnato da condotte riparatorie, determina la revoca della confisca facoltativa eventualmente disposta, sia in sede di patteggiamento (oltre che di decreto penale di condanna).
Da qui, i lavori di pubblica utilità finiranno per assolvere alla funzione di leva incentivante per l’accesso a tali ultimi riti premiali e saranno centrali per l’intero sistema sanzionatorio[41].
5. Le questioni organizzative.
Per valutare la “bontà” o meno delle scelte della legge-delega n. 134 del 2021 e del d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 occorre attendere i risultati che scaturiranno dalla completa attuazione della riforma, anche, in particolare, in tema di indagini preliminari e di udienza preliminare e verificare il funzionamento nella prassi del nuovo “modello” penale, processuale e ordinamentale pensato dai conditores della riforma.
Nel frattempo, lo studioso e l’operatore pratico, in attesa dell’introduzione della giustizia riparativa che andrà ad incidere in modo inevitabile anche sul “successo” delle pene sostitutive, deve già confrontarsi con un modello decisorio “nuovo”.
All’esito del procedimento penale vi saranno sanzioni a contenute prescrittivo sia a fronte di una sentenza di patteggiamento, sia a fronte di una sentenza di condanna, sia all’interno di un percorso processuale quale la “messa alla prova” destinato a terminare con una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato.
Prescrizioni, a ben vedere, rimesse alla volontà dell’imputato.
Si dovrebbe trattare, più in generale, di prescrizioni a contenuto rieducativo, non più stabilite dalla magistratura di sorveglianza che beneficerà anch’essa di importanti effetti deflattivi dei carichi giudiziari, ma affidate al giudice della cognizione, sprovvisto, fino ad oggi, soprattutto in sede di applicazione della pena su richiesta di parte, degli strumenti cognitivi per svolgere la complessa attività di scelta e di quantificazione della pena congrua[42], ma che vede ampliati con la novella i propri poteri probatori e con essi gli adempimenti formali a carico dell’ufficio (v. sempre l’udienza disciplinata dagli artt. 545 bis e 448 comma 1 bis c.p.p.)[43] e in via inevitabile i tempi processuali.
È certo, in ogni caso, che il modello processuale pensato dalla novella presuppone la piena funzionalità delle indagini preliminari.
La selezione delle notizie di reato (condivisibile o meno) e la correlativa completezza delle indagini sono le condizioni minime per consentire la tanto vagheggiata (anche nella Relazione) deflazione dei processi e riduzione delle assoluzioni in dibattimento.
Solo Procure altamente efficienti, grazie anche ai nuovi progetti organizzativi dei capi degli uffici, saranno in grado di garantire efficienza e completezza in tempi più brevi e sottoposti a controllo, a fronte di investigazioni che vedono aumentare progressivamente la loro complessità, estesa ai profili sanzionatori e patrimoniali dei reati.
Il rischio è che le difficoltà organizzative si trasferiscano dalla fase esecutiva a quella di merito.
Appare fondamentale, infatti, nella nuova architettura del sistema sanzionatorio e della sua esecuzione evidenziare l’impatto sull’organizzazione della giustizia della riforma e l’esigenza correlata di importanti risorse finanziarie per realizzarla.
Si ampliano, infatti, i compiti degli uffici di cognizione e dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna.
La stessa Ministra della Giustizia Marta Cartabia era ben consapevole di questa realtà laddove evidenziava come la riforma poggia “saldamente su una imponente ristrutturazione del servizio giustizia, accompagnata dalla immissione di ingenti risorse umane e materiali. Organizzazione e capitale umano sono la condizione di fattibilità delle riforme”[44].
6. Segue. … e la nuova sfida culturale.
Sullo sfondo la necessità di un rinnovamento culturale di tutti protagonisti della giurisdizione.
Una delle tante scommesse della riforma è rivitalizzare la funzione rieducativa della pena, annidandosi nella novella il rischio opposto.
Il procedimento penale di cognizione si deve occupare innanzi tutto del fatto di reato e della sua ricostruzione in tutti i suoi aspetti, ma anche della migliore comprensione possibile della persona che si accerta autrice dello stesso fatto.
L’oggetto della prova fissato dall’art. 187 c.p.p. anche sulla pena deve essere colto nella sua essenzialità già nella fase di cognizione. Non è più possibile rinviare tout court alla fase esecutiva la valutazione della personalità del colpevole.
E ciò deve avvenire fin dalla fase delle indagini preliminari, che non potranno più disinteressarsi dei profili personali, familiari, sociali, economici e patrimoniali dell’indagato, laddove si pervenga ad una scelta di esercizio dell’azione penale (si pensi, in particolare, alla sollecitazione che spetta al p.m. della messa alla prova, nonché alla possibile richiesta di decreto penale di condanna).
L’ennesimo ampliamento della complessità accertativa di tale fase iniziale sconta come detto l’efficienza innanzi tutto della stessa, poichè in caso contrario sarà inevitabile che fin dall’udienza preliminare o predibattimentale in caso di patteggiamento e di giudizio abbreviato e poi in dibattimento in sede di sentenza la nuova fase ex art. 545 bis c.p.p. diventi l’ennesimo momento di sospensione del processo, con buona pace degli intendimenti di ragionevole durata dello stesso che hanno ispirato il legislatore.
Non si possono far prevalere le ragioni di efficienza e di celerità sulla finalità rieducativa della pena, salvo rimanere arroccati su di una visione da contrastare: preoccuparsi solo di deflazione e del pericolo di reiterazione del reato[45].
Si vuol dire che indagini complete e poi istruzioni dibattimentali complete sotto il profilo degli elementi di fatto alla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p. potranno concretamente fornire gli strumenti per rendere possibile l’obbligo di motivazione imposto anche in parte qua dall’art. 546 lett. e c.p.p.
Un cambiamento organizzativo e un rinnovamento culturale impegnativo, che attende tutti gli attori della giurisdizione.
[1] M. Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Pol. dir., 2021, p. 593; F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in Sist. pen., 8 settembre 2021, p. 2.
[2] Cfr. E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive. Note a margine dello schema di d. lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2022, in Sistema penale, 30 agosto 2022, pp. 1 ss. V. anche Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in Gazzetta ufficiale, 19 ottobre 2022, Suppl. straordinario n. 5, Serie generale n. 245, pp. 350 ss.
[3] Cfr. T. Padovani, Riforma Cartabia, intervento sulle pene destinato a ottenere risultati modesti, in Guida al dir., n. 41, 5 novembre 2022, pp. 8 ss.
V. anche, più in generale, M. Bortolato, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Quest. giust., 10 ottobre 2022.
[4] Per tutti, nel contesto della riforma, L. Eusebi, La pena tra necessità di strategie preventive e nuovi modelli di risposta al reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2021, pp. 283 ss.; nonchè A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, in Leg. pen., 21 gennaio 2022, pp. 5 ss.; F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, cit., p. 11.
[5] E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., p. 4. Cfr. anche Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 353.
[6] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 353, la quale evidenzia allo stesso tempo che l’inappellabilità delle sentenze di condanna al lavoro di pubblica utilità contribuirà a ridurre le impugnazioni. V. anche infra par. 4.
[7] V. il paragrafo successivo.
Cfr. le Linee guida elaborate dal Ministero della Giustizia. Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, 26 ottobre 2022, che si possono leggere in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/circolare-uepe-prime-indicazioni-operative-del-ministero-della-giustizia
[8] Cfr. T. Padovani, Riforma Cartabia, intervento sulle pene destinato a ottenere risultati modesti, cit., pp. 8 ss., criticando l’effettiva utilità della riforma.
[9] Parla senza mezzi termini nell’analisi della sospensione del procedimento con messa alla prova della figura di un imputato che si sottopone volontariamente all’esecuzione della pena, R. Orlandi, Procedimenti speciali, in M. Bargis (a cura di), Compendio di procedura penale, Milano, 2020, pp. 611-612. V. anche A. Sanna, Procedimenti contratti e attività riparative, in Proc. pen. e giust., n. 3, 2020, p. 564.
[10] Cfr. a sottolineare questo profilo Corte cost., 27 aprile 2018, n. 91, in Giur. cost., pp. 776 ss. con nota di C. Cesari, La Consulta supera le perplessità e la messa alla prova si radica nel sistema penale. V. anche V. Maffeo, La costituzionalità della messa alla prova tra vecchi modelli premiali e nuovi orizzonti sistematici, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, pp. 953 ss.; L. Parlato, La messa alla prova dopo il dictum della Consulta: indenne ma rivisitata e in attesa di nuove censure, in Dir. pen. cont., 1, 2019, pp. 89 ss.
[11] V. infra par. 4.
[12] Si permette rinviare per un approfondimento a G. Varraso, La legge “Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, in Sistema penale, 8 settembre 2020. V. anche ora la stessa Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 353. Già in questa direzione, a commento della legge n. 134 del 2003 di introduzione del c.d. patteggiamento allargato, con grande efficacia F. Giunta, Le novità in materia di sanzioni sostitutive, in Patteggiamento allargato e giustizia penale, a cura di F. Peroni, Torino, 2003, p. 69 ss.
Cfr., anche per una analisi attenta dei dati statistici in materia, M. Gialuz – J. Della Torre, Giustizia per nessuno, Torino, 2022.
[13] E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., pp. 6 ss.; nonché Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., pp. 359 ss.
[14] Così sempre Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 359.
[15] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., spec. p. 366 e 367.
[16] Cfr. M. Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, cit., pp. 591 ss.; F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, cit. Già sul progetto “Lattanzi” G. De Francesco, Brevi appunti sul disegno di riforma della giustizia, in Leg. pen., 23 agosto 2021, pp. 5 ss.
[17] Occorre ricordare, come già emerso (nota 6), che anche laddove siano applicate le pene sostitutive ai sensi del nuovo art. 593 comma 3 c.p.p. non sono appellabili le sole sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
[18] A stigmatizzare le prassi giurisprudenziali che si accontentano di formule stereotipate in punto pena proprio in ragione della discrezionalità insita nell’art. 133 c.p. v., per tutti, F. Bricola, La discrezionalità nel diritto penale, I, Milano, 1965, ora in Id., Scritti di diritto penale, Milano, 2000, pp. 5 ss.
[19] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., spec. p. 377 e 378.
[20] Occorre chiedersi se tale disciplina si giustifichi ora anche a fronte di quanto stabilito dall’art. 4 bis ord. penit., che, pur con evidenti limiti di disciplina e dubbi di legittimità costituzionale, non prevede più la collaborazione quale condicio sine qua non per ottenere i benefici, a seguito del d.l n. 162 del 2022, in relazione al quale in data 8 novembre la Corte costituzionale con ordinanza n. 227 del 2022 ha restituito gli atti alla Corte di cassazione, per valutarne nuovamente la legittimità.
[21] La medesima disposizione si applica a fronte di una istanza ex art. 444 comma 1 c.p.p. a pena sostitutiva, presentata in sede di udienza di comparazione predibattimentale davanti al tribunale in composizione monocratica ai sensi dell’art. 554 ter comma 2 parte finale c.p.p.
[22] P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, Relazione tenuta nell’ambito del X Convegno dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, 23 settembre 2022, pp. 8 ss. del dattiloscritto.
[23] P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, cit., pp. 10 e 11 del dattiloscritto.
[24] Sempre P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, cit., pp. 10 e 11
[25] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, cit., p. 353.
[26] Cfr. Cass., sez. un., 19 gennaio 2017, n. 12872, in CED Cass., 269125.
[27] Occorrerà valutare anche alla luce di quanto emergerà dalla prassi applicativa la necessità di qualche correttivo ai sensi dell’art. 1 comma 4 legge-delega n. 134 del 2021, che consente di procedere in tal senso nel termine di due anni dall’entrata in vigore della riforma.
[28] Cfr., volendo, G. Varraso, La legge “Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, cit., pp. 40 ss.
[29] F. Giunta, Le novità in materia di sanzioni sostitutive, cit., p. 69, il quale evidenziava che il rafforzamento delle sanzioni sostitutive appariva del tutto strumentale a fungere da fattore di forte incremento dell’accesso all’istituto di cui all’art. 444 c.p.p.
[30] A sottolineare questa potenzialità della giustizia riparativa di futura introduzione v., per tutti, A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, cit.
[31] Così A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, cit., p. 10 s., che riprende E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, in Sist. pen., 2 settembre 2021, p. 4.
[32] Sono gli stessi profili già presenti nel progetto “Flick” del 1997, che si può leggere in P. Ferrua, Studi sul processo penale. III. Declino del contraddittorio e garantismo reattivo, Torino, 1997, pp. 165 ss. A commento v., Id., La giustizia negoziata nella crisi della funzione cognitiva del processo penale, ivi, pp. 133 ss.
[33] Così con efficacia F. Palazzo, Pena e processo nelle proposte della “Commissione Lattanzi”, cit., p. 3.
[34] Per tutti, A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, cit., pp. 12 ss.
[35] A stigmatizzare la mancanza, A. Gargani, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, cit., p. 10 e s; nonché O. Calavita, La riforma delle sanzioni sostitutive: riflessioni processualistiche in attesa del decreto legislativo, in Leg. pen., 13 febbraio 2022, p 11; A. Cavaliere, Considerazioni “a prima lettura” su deflazione processuale, sistema sanzionatorio e prescrizione, in Penale dir. e proc., 2 novembre 2021, p. 15. Tale previsione era correttamente prevista proprio nel progetto “Flick” del 1997 e nel progetto “Lattanzi”. Ritine, per contro, coerente la scelta P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, cit., p. 5 del dattiloscritto.
[36] Con la consueta efficacia, E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, cit., p. 5 ricorda che “il legislatore si sarebbe sentito vincolato all’idea ‘insuperata’ che la pena debba consistere in una privazione della libertà: preferibilmente in una privazione della libertà che abbia a che fare con il carcere”. Nella stessa direzione anche F. Fiorentin, Semilibertà e detenzione domiciliare applicate dal giudice della cognizione, in La riforma del processo penale. Commento alla legge n. 134 del 27 settembre 2021, Milano, 2021, pp. 196 ss.
[37] Così C. Castelli, Il progetto di riforma Cartabia: una rivoluzione copernicana per il sistema sanzionatorio penale?, in Il penalista, 20 settembre 2021, p. 3. Già in precedenza, E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, cit., p. 5.
[38] In questa direzione, G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi, e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in Sist. pen., 15 ottobre 2021, p. 17.
[39] Cfr. A. Cavaliere, Considerazioni “a prima lettura” su deflazione processuale, sistema sanzionatorio e prescrizione, cit., p. 15; E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, cit., p. 4; F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, cit., p. 13.
[40] Per tutti, R. Bartoli, Verso la riforma Cartabia: senza rivoluzioni, con qualche compromesso, ma con visione e respiro, in Dir. pen. e proc., 2021, p. 1169, secondo il quale è scomparsa la preclusione contenuta per contro nel progetto Lattanzi che impediva di disporre la sostituzione più di una volta, delegando a ridisciplinare le condizioni soggettive per la sostituzione; v. anche E. Dolcini, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, cit., p. 5.
[41] Cfr., da ultimo, T. Travaglia Cicirello, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblico utilità, in Leg. pen., 21 settembre 2022. In precedenza, volendo, G. Varraso, La legge “Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, cit., pp. 45 ss.
[42] Cfr. P. Ferrua, Patteggiamento allargato, una riforma dai molti dubbi, in Dir. e giust., 8, 2003, p. 11, seppure nel contesto sempre del patteggiamento allargato.
[43] V. supra, par. 4.
[44] Relazione annuale al Parlamento della Ministra della Giustizia Marta Cartabia, in Sist. pen., 19 gennaio 2022, p. 8 s. È la ragione alla base dell’ampliamento dell’organico dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna.
[45] Cfr. P. Gaeta, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, cit., p. 14 del dattiloscritto.