Il presente contributo si propone di esaminare le problematiche applicative connesse all’introduzione, con legge 24 novembre 2023, n. 168 (c.d. “legge Roccella”) dell’obbligatorietà dei dispositivi elettronici di controllo a distanza (c.d. “braccialetto elettronico”) nel caso di applicazione delle misure cautelari coercitive personali dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa per talune tipologie di reati, c.d. da “codice rosso”, locuzione utilizzata comunemente a partire dall’introduzione di talune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, allo scopo di adeguare la disciplina interna alla normativa europea[1] e agli interventi della giurisprudenza europea[2] in tema di violenza domestica e di genere.
Sommario: 1. Alle “origini” del c.d. “codice rosso” - 2. L’evoluzione giurisprudenziale della Corte EDU – 3. Le modifiche normative interne “adeguatrici” – 4. L’obbligatorietà del c.d. “braccialetto elettronico” e l’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 173/2024) – 5. Il nuovo intervento normativo: D.L. 178/2024 – 6. La nuova normativa tra problematiche applicative e incertezze interpretative: il rischio di (nuova) collisione con i principi affermati dalla Corte EDU.
1. Alle “origini” del c.d. “codice rosso”
Allo scopo di esaminare le problematiche interpretative e applicative connesse alle novità introdotte con la c.d. “legge Roccella”, oltre che con gli interventi normativi successivi, appare opportuno, in via preliminare, ricostruire i principali interventi normativi e giurisprudenziali succedutisi sul tema della violenza di genere
A tal fine occorre prendere le mosse dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, recante "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere" (c.d. Codice rosso) [3], con la quale sono state introdotte alcune modifiche del codice penale, consistenti principalmente nell’inasprimento delle pene dei reati che costituiscono tipiche manifestazioni della “rovina”[4] delle relazioni domestiche e nell’introduzione di quattro nuove fattispecie, e segnatamente: 1) l’art. 387 – bis cod. pen., che punisce la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa 2) l’art. 558-bis cod. pen., che incrimina la costrizione o l’induzione al matrimonio; 3) l’art. 612-ter cod. pen., che punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e che mira a reprimere le condotte di cd. revenge pornography; 4) l’art. 583-quinquies cod. pen., che incrimina la deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso.
Tali modifiche hanno dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.
La direttiva in questione, in particolare, per quanto rileva nel caso di specie, ha offerto una definizione della violenza di genere, stabilendo che “Per violenza di genere s'intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere” (considerando n. 18), precisando che essa è “una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l'aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti «reati d'onore»” (considerando n. 18). La direttiva, tra l’altro, aveva previsto che gli Stati membri dell’Unione dovessero assicurare misure per proteggere la vittima e i suoi familiari dalla vittimizzazione secondaria[5] e ripetuta, oltre che da intimidazione e ritorsioni, garantendone la protezione fisica (art. 18) e aveva disposto che, fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri dovessero provvedere che l’audizione della vittima durante le indagini si svolgesse “senza ritardo” dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato (art. 20).
2. L’evoluzione giurisprudenziale della Corte EDU
Nel solco tracciato dalla normativa europea si pone la sentenza della Corte EDU, nella causa Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, con cui l’Italia è stata condannata per la violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti (artt. 2 e 3 Convenzione EDU), nonché del divieto di discriminazione di genere (art. 14 Convenzione EDU), in relazione al mancato adempimento degli obblighi positivi scaturenti da tali norme, per non essere le autorità italiane intervenute con misure urgenti ed appropriate a protezione di una donna e dei suoi figli vittime di violenza domestica perpetrata da parte del marito, degenerate nel tentato omicidio della ricorrente e nell’omicidio di uno dei sui figli[6].
Con la sentenza Corte EDU 7 aprile 2022, Landi c. Italia[7], i Giudici di Strasburgo hanno condannato nuovamente l’Italia, riconoscendo la violazione dell’art. 2 della Convenzione per aver le autorità italiane omesso di adottare le misure operative adeguate a prevenire la violazione del diritto alla vita della ricorrente e del figlio minore, ucciso dal padre ad esito dell’ennesima aggressione violenta; secondo i giudici europei, in particolare, l’Italia è venuta meno all'obbligo positivo di adottare misure operative preventive per proteggere un individuo la cui vita è minacciata da atti criminali di altri. La Corte EDU, in sostanza, ha confermato l’inadeguatezza della risposta istituzionale italiana al fenomeno della violenza domestica, valutando, per altro verso, come non diffusamente discriminatorio l’operato delle autorità italiane nei confronti delle donne e ritenendo, pertanto, non fondata la doglianza della ricorrente ai sensi dell’art. 14 della Convenzione.
Da tale pronuncia della Corte EDU è emerso che, da un punto di vista generale, il quadro giuridico italiano – allora vigente – era idoneo a fornire protezione contro atti di violenza di genere o domestica; i giudici di Strasburgo, poi, hanno dettato un decalogo di regole allo scopo di verificare la ricorrenza di una violazione della normativa CEDU da parte della normativa interna, stabilendo che occorre vagliare se:
a) la risposta delle autorità alle accuse di violenza domestica sia immediata;
b) le autorità abbiano indagato nel caso concreto sull'esistenza di un rischio reale e immediato per la vita del richiedente (denunciante) e dei familiari, conducendo a una valutazione del rischio autonoma e completa e tenendo conto del contesto particolare dei casi di violenza domestica;
c) le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli;
d) le autorità abbiano adottato adeguate misure preventive nelle circostanze del caso.
Analoghi rilievi sono stati espressi da Corte EDU, 16 giugno 2022, De Giorgi c. Italia[8], con cui i giudici di Strasburgo hanno ricondotto la condotta inosservante dello Stato italiano ad una violazione dell’art. 3 della CEDU, nei suoi profili sostanziali e procedurali a proposito di reati di violenza domestica, essendo lo Stato italiano venuto meno al suo dovere di indagare sui maltrattamenti subiti dalla ricorrente e dai suoi figli.
Con tale pronuncia la Corte EDU ha ribadito che “l'obbligo di svolgere un'indagine efficace su tutti gli atti di violenza domestica è un elemento essenziale degli obblighi che l'articolo 3 della Convenzione impone allo Stato. Per essere efficace, tale indagine deve essere tempestiva e approfondita; tali requisiti si applicano all'intero procedimento, anche nella fase processuale (M.A. c. Slovenia, n. 3400/07, § 48, 15 gennaio 2015, e Kosteckas c. Lituania, n. 960/13, § 41, giugno 13, 2017). È richiesta una particolare diligenza nel trattare i casi di violenza domestica e la natura specifica della violenza domestica deve essere presa in considerazione durante la procedura interna. L'obbligo di indagine dello Stato non sarà soddisfatto se la tutela offerta dal diritto interno esiste solo in teoria; soprattutto, deve anche funzionare efficacemente nella pratica, il che richiede un rapido esame del caso, senza inutili ritardi (Opuz, sopra citata, §§ 145-151 e 168, T.M. e C.M., sopra citata, § 46, e Talpis c. Italia, n.41237/14, §§ 106 e 129, 2 marzo 2017). Il principio di effettività implica che le autorità giudiziarie nazionali non debbano in alcun caso essere disposte a lasciare impunite le sofferenze fisiche o psicologiche inflitte. Ciò è essenziale per mantenere la fiducia e il sostegno dell'opinione pubblica nello stato di diritto e per prevenire qualsiasi parvenza di tolleranza o collusione da parte delle autorità in relazione ad atti di violenza (Okkalı c. Turchia, n. 52067/99, § 65, CEDU 2006- XII (estratti)” (§ 81). Ancora, hanno evidenziato i giudici europei come “spetti alle autorità nazionali tenere conto della situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità, morale, fisica e/o materiale, della vittima e valutare la situazione di conseguenza, il prima possibile”; dunque, hanno evidenziato i giudici di Strasburgo che “il semplice trascorrere del tempo rischia di danneggiare l'indagine ma anche di comprometterne permanentemente le possibilità di successo (M.B. c. Romania, n. 43982/06, § 64, 3 novembre 2011)”, che “il passare del tempo erode inevitabilmente la quantità e la qualità delle prove a disposizione” e che “l'apparenza di una mancanza di diligenza mette in dubbio la buona fede con cui si svolgono le indagini e perpetua le sofferenze dei ricorrenti” (§ 87).
3. Le modifiche normative interne “adeguatrici”
Tali pronunce hanno ispirato, dapprima, la legge 8 settembre 2023, n. 122, c.d. “codice rosso rafforzato”[9], che ha implementato i poteri del procuratore della Repubblica nei casi di violazione dell'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p., in materia di assunzione di informazioni dalle vittime e, in seguito, la legge 24 novembre 2023, n. 168[10].
Con il primo intervento legislativo, in particolare, è stato introdotto l'obbligo per il PM di assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato. La novella prevede che, qualora il magistrato designato per le indagini non abbia rispettato il suddetto termine, il procuratore della Repubblica possa revocargli l'assegnazione ed assumere, senza ritardo, le informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia direttamente o mediante assegnazione a un altro magistrato dell'ufficio. È stato inoltre previsto che il procuratore generale presso la Corte d'appello acquisisca con cadenza trimestrale dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del suddetto termine e invii al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale[11].
Con l’introduzione della legge 168/2023, invece, sono stati rafforzati gli obblighi di informazione delle vittime, le misure in tema di ammonimento del questore (art. 3, D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119) e le misure di prevenzione (con ampliamento della categoria della pericolosità qualificata, di cui all’art. 4, comma 1, lett. i-ter, del codice antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al D.Lgs 159/2011, mediante l’inserimento degli indiziati dei reati, consumati o tentati, di omicidio, lesioni aggravate dal legame familiare o affettivo ai sensi dell’art. 577, primo comma, n. 1), e secondo comma, cod. pen., deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, violenza sessuale).
Per quanto rileva con riguardo all’argomento oggetto del presente approfondimento, anche con riferimento alle misure di prevenzione, con la legge 168/2023 è stata prevista l’obbligatorietà dell’applicazione delle modalità di controllo a distanza di cui all’art. 275-bis c.p.p. Sul punto si tornerà in séguito.
Tra le altre novità di rilievo introdotte con la legge 168/2023 è opportuno segnalare le modifiche apportate all’art. 132-bis, disp. att., c.p.p., con l’ampliamento dei criteri di priorità per il giudice, sia nella formazione dei ruoli di udienza che nella trattazione dei processi, per i reati tipicamente riconducibili all’area tematica della violenza di genere e domestica, ma non solo. Si tratta dei reati di: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, costrizione o induzione al matrimonio; lesioni personali aggravate; deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; interruzione di gravidanza non consensuale; diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti; stato di incapacità procurato mediante violenza, laddove ricorrano le circostanze aggravanti ad effetto speciale dell’avere l’autore agito con il fine di far commettere un reato, ovvero della commissione da parte della persona resa incapace di un fatto previsto dalla legge come delitto.
La norma prevede che deve essere assicurata priorità anche alla richiesta di misura cautelare personale e alla decisione sulla stessa.
A tal fine è stata prevista per i dirigenti degli uffici giudiziari, sia giudicanti che requirenti, l’adozione dei provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione degli affari a trattazione prioritaria.
Per quanto concerne gli uffici requirenti, già con l’art. 41, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. “riforma Cartabia”) erano stati positivizzati criteri di priorità; in particolare, si fa riferimento all’art. 3-bis, disp. att. c.p.p., con il quale è stato previsto che, tanto nella trattazione delle notizie di reato, quanto nell’esercizio dell’azione penale, il pubblico ministero deve conformarsi ai criteri di priorità stabiliti nel documento organizzativo della procura della Repubblica (norma che, invero, potrebbe suscitare dubbi di compatibilità con l’art. 112 Cost., che stabilisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale), di cui, in forza dell’art. 127-bis disp. att. c.p.p. (disposizione introdotta dal medesimo testo di riforma), il procuratore generale deve tener conto anche al fine di determinarsi alla avocazione per l’inerzia dei pubblici ministeri nella trattazione dei fascicoli prioritari.
In materia cautelare, poi, l’art. 362-bis, comma 1, c.p.p. prevede un duplice termine collegato alla domanda cautelare: trenta giorni decorrenti dalla iscrizione della notizia di reato, entro i quali il pubblico ministero, espletate le indagini necessarie, deve valutare i presupposti per formulare la richiesta di misura cautelare; venti giorni dal deposito della istanza cautelare in cancelleria, entro i quali il giudice per le indagini preliminari deve adottare le sue determinazioni.
Si legge nella relazione dell’Ufficio del Massimario innanzi citata che tali previsioni normative hanno come scopo il contenimento del rischio di c.d. vittimizzazione secondaria e ripetuta, “intesa quale sofferenza psicologica derivante non direttamente dall’offesa subita, bensì dalla risposta formale al reato agìta dai soggetti istituzionali che cooperano al suo accertamento, fenomeno stigmatizzato dall’art. 17 della Direttiva Vittime[12], nonché dalla c.d. Convenzione di Istanbul, che impegna gli Stati a prevenirla (art. 18), anche attraverso una adeguata formazione degli operatori (art. 15)”.
Il rispetto di tali principi deve essere garantito anche durante la fase di accertamento delle responsabilità; con sentenza del 27 maggio 2021 - n. 5671/16 in causa J.L c. Italia, la Corte EDU, infatti, ha stigmatizzato il linguaggio “colpevolizzante e moralizzante” utilizzato in una sentenza di assoluzione per il reato di violenza sessuale di gruppo, in quanto riproducente stereotipi culturali inaccettabili e perciò espressivo di vittimizzazione secondaria.
Ancora, con la legge 168/2023 è stata introdotta in sede pre-cautelare, all’art. 382-bis, c.p.p., l’ipotesi della “flagranza differita” per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, atti persecutori, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; in particolare, si prevede per la Polizia Giudiziaria la possibilità di procedere all’arresto dei responsabili di tali reati sulla base di elementi documentali asseverativi della commissione del fatto: deve trattarsi, in particolare, di documentazione video-fotografica, ovvero di documentazione tratta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica.
4. L’obbligatorietà del c.d. “braccialetto elettronico” e l’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 173/2024)
Tanto premesso sulle principali tappe che hanno segnato l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia di reati da c.d. “codice rosso”, è consentito occuparsi del tema oggetto del presente approfondimento.
La principale novità in materia cautelare per tali categorie di reati – il cui catalogo, come a breve si vedrà, è stato ampliato - è indubbiamente quella relativa all’introduzione della previsione dell’obbligatorietà delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici (c.d. “braccialetto elettronico” [13]) o altri strumenti tecnici a distanza, con specifico riferimento ai casi in cui vengano applicate le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis, c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.).
Con la riforma è stato ampliato il novero dei reati cui sono applicabili le disposizioni “rafforzate”: l’art. 282-bis, comma 6, c.p.p., con riferimento alla misura dell’allontanamento dalla casa familiare, infatti, include oggi anche le fattispecie incriminatrici dell’omicidio tentato e della deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. In specie, la norma prevede che la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare possa essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 c.p.p. (norma generale sulle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, la quale prevede che possano essere applicate misure cautelari per delitti puniti con pena inferiore superiore nel massimo a tre anni di reclusione) per i delitti previsti dagli “articoli 570, 571, 572, 575, nell'ipotesi di delitto tentato, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 583 quinquies, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente”.
Il legislatore nel caso di applicazione di tale misura cautelare per i reati innanzi indicati prescrive l’obbligatorietà delle modalità di controllo previste dall'articolo 275 bis c.p.p. e prevede la prescrizione integrativa del divieto di avvicinamento ad una distanza minima, comunque non inferiore a 500 metri dalla casa familiare e da altri luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa; si è osservato che “secondo il tenore letterale della disposizione […] le procedure di controllo con dispositivi tecnici e divieto di avvicinamento si atteggiano ora a prescrizioni accessorie, che tipicamente ineriscono alla misura dell’allontanamento, sicché deve escludersi la possibilità di un diverso apprezzamento e di una conseguente determinazione giudiziale”[14].
Analoghe previsioni sono stabilite per la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa dall’art. 282-ter c.p.p.; il primo comma di tale previsione, infatti, richiama i casi “di cui all’articolo 282 bis, comma 6”.
Anche per il divieto di avvicinamento ex art. 282-ter c.p.p. si prevede oggi l’obbligatorietà dell'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'articolo 275 bis, c.p.p.
All’introduzione dell’obbligatorietà dell’applicazione dei mezzi elettronici di controllo a distanza è correlata una nuova ipotesi di aggravamento delle misure cautelari, ora contemplata dal comma 1-ter, dell’art. 276, c.p.p., il quale, derogando alla regola secondo cui la custodia cautelare in carcere costituisce l’extrema ratio, prevede che “In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora e, comunque, in caso di manomissione dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo di cui all'articolo 275 bis, anche quando applicati ai sensi degli articoli 282 bis e 282 ter, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità”.
Lo “statuto” volto a rafforzare la tutela delle vittime di reati da c.d. codice rosso, comune alle due tipologie di misure cautelari personali coercitive, si arricchisce di ulteriori disposizioni, con le quali si prevede una fattispecie “sanzionatoria”, laddove l’indagato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo a distanza ai sensi dell’art. 275-bis c.p.p.; difatti, con previsioni del tutto sovrapponibili, il penultimo periodo del sesto comma dell’art. 282-bis c.p.p. e del primo comma dell’art. 282-ter c.p.p. nel caso di mancato consenso all’applicazione del braccialetto elettronico da parte del destinatario di tali misure cautelari impongono l’applicazione “con lo stesso provvedimento” (dunque, con la medesima ordinanza applicativa di misure cautelari), anche congiunta, di una misura cautelare più grave.
Analogo meccanismo volto ad assicurare una maggiore tutela delle vittime e a “rendere effettivo il rispetto delle prescrizioni imposte con misure alternative alla custodia intramuraria”[15] è stato introdotto dalla legge 168/2023 anche per le ipotesi di “non fattibilità tecnica”, la quale, è stato osservato[16], “evoca un quid pluris rispetto alla mera disponibilità dello strumento da parte della polizia giudiziaria, implicando una previa verifica delle condizioni di funzionalità tecnica del dispositivo di geolocalizzazione”, il cui accertamento è stato demandato dal legislatore alla Polizia Giudiziaria, quale organo “delegato per l’esecuzione”, il che si evince dal disposto dell’art. 293 c.p.p.: in tale ipotesi, infatti, l’ultimo periodo del sesto comma dell’art. 282-bis e del primo comma dell’art. 282-ter c.p.p. prevedono l’applicazione “anche congiunta”, di ulteriori misure cautelari “anche più gravi”.
Si riporta di seguito il testo sovrapponibile della norma contenuta nelle due disposizioni: “Qualora l'organo delegato per l'esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi”.
Tale previsione ha suscitato non pochi dubbi interpretativi, giacché, per un verso, in caso di mancato consenso al “braccialetto elettronico” il legislatore ha previsto l’automatica applicazione, con la stessa ordinanza, di una misura cautelare più grave rispetto alle misure cautelari originariamente disposte, di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., mentre, per altro verso, è stata prevista l’applicazione “anche congiunta” di ulteriori misure cautelari “anche più gravi”, in caso – originariamente – di “non fattibilità tecnica”. Ma la norma non prevedeva l’applicazione delle ulteriori misure cautelari, anche più gravi, con lo stesso provvedimento.
Un prezioso ausilio nell’esegesi della norma e nella modulazione dell’intervento cautelare con riferimento alle ipotesi della “non fattibilità tecnica” è stato offerto dalla Consulta, con la sentenza n. 173/2024.
Prima di passare in rassegna i passaggi più significativi contenuti nella decisione della Corte Costituzionale è opportuno evidenziare come, contrariamente a quanto previsto dall’art. 275-bis c.p.p. con specifico riferimento alla misura cautelare degli arresti domiciliari, per le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa non è previsto il preliminare accertamento della fattibilità tecnica delle modalità di controllo a distanza; l’art. 275-bis c.p.p., infatti, nella formulazione così come modificata dalla legge 168/2023 – poi ulteriormente modificata – ha previsto che “Nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, il giudice, salvo che le ritenga non necessarie in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, previo accertamento della relativa fattibilità tecnica da parte della polizia giudiziaria”.
Analogamente, l’art. 275-bis c.p.p. ha previsto l’applicazione della misura, più grave, della custodia cautelare in carcere con lo stesso provvedimento nel caso di mancato consenso al braccialetto da parte del destinatario della misura cautelare (“Con lo stesso provvedimento il giudice prevede l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere qualora l'imputato neghi il consenso all'adozione dei mezzi e strumenti anzidetti”).
La Corte Costituzionale, con sentenza del 4 novembre 2024 n. 173[17] ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi primo e secondo, c.p.p., come modificato dall’art. 12, comma primo, lettera d), numeri 1) e 2), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost., dal Gip presso il Tribunale di Modena.
Il giudice rimettente aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi primo e secondo, c.p.p., così come modificati dalla Legge 24 novembre 2023, n. 168, recante “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, con riferimento agli artt. 3 e 13, Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, quali corollari del principio di eguaglianza, e con i principi di proporzionalità, adeguatezza e congrua motivazione correlati al principio di riserva di giurisdizione, nella parte in cui non consente al giudice che applichi la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi dalla stessa frequentati, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri, tenendo conto delle specificità del caso concreto, e nella parte in cui prevede che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica della modalità di controllo, il giudice debba necessariamente imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari personali coercitive, anche più gravi e non possa, invece, valutare non necessaria nel caso concreto l’applicazione del dispositivo elettronico di controllo, motivandone le ragioni anche in relazione alla garanzia delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.
La Consulta, con la richiamata decisione, ha rigettato nel merito le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, primo e secondo comma, c.p.p., dichiarandole non fondate tanto con riferimento all’imposizione della distanza minima di 500 metri, quanto con riferimento all’applicazione automatica degli strumenti elettronici di controllo a distanza (c.d. “braccialetto elettronico”), ritenendo, con riguardo ai reati di cui al catalogo contenuto nell’art. 282-bis, comma sesto, c.p.p., richiamato dall’art. 282-ter, comma primo, c.p.p. (artt. 570, 571, 572, 575, nell'ipotesi di delitto tentato, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 583 quinquies, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente), preminente la tutela dell’incolumità fisica e psicologica della persona offesa.
Con specifico riguardo ai dispositivi di controllo da remoto di cui all’art. 275-bis, c.p.p., la Consulta ha rilevato che l’applicazione degli strumenti di controllo costituisce una modalità esecutiva del divieto di avvicinamento (oltre che della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare), osservando che il controllo elettronico ha una funzione dedicata, che ne distingue la stessa operatività pratica; difatti, mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale, che consente alle forze dell’ordine di monitorare un’eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale, che, in caso di avvicinamento vietato, allerta non solo le forze dell’ordine, ma anche la vittima, dotata di apposito ricettore.
Nell’ottica del contemperamento dei due interessi contrapposti, da un lato, della libertà di movimento dell’indagato, dall’altro, dell’incolumità fisica e psicologica della persona offesa, la Consulta ha privilegiato quest’ultimo interesse, osservando che “il braccialetto elettronico – dispositivo di scarso peso, applicato alla caviglia dell’indagato e quindi normalmente invisibile ai terzi – non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei cinquecento metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto”.
La Corte Costituzionale, poi, ha osservato come “a un sacrificio relativamente sostenibile per l’indagato si contrappone l’impellente necessità di salvaguardare l’incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall’imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue”.
La previsione dell’obbligatorietà del controllo a distanza, inoltre, è conforme al diritto internazionale ed europeo; infatti, tale previsione “asseconda il criterio di priorità enunciato dall’art. 52 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013, n. 77”.
Ancora, hanno osservato i giudici della Consulta, che “Il controllo elettronico nell’attuazione delle ordinanze restrittive e degli ordini di protezione è inoltre specificamente previsto dalla direttiva (UE) 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (considerando 46)”.
I giudici della Consulta, inoltre, hanno offerto un’interpretazione costituzionalmente orientata della locuzione contenuta nel penultimo periodo del primo comma dell’art. 282-ter, c.p.p., laddove si prevedeva l’applicazione “anche” congiunta, di ulteriori misure cautelari, “anche” più gravi, in caso di non fattibilità tecnica.
Ebbene, hanno osservato i giudici della Corte Costituzionale che, contrariamente a quanto avviene nel caso di mancato consenso al braccialetto elettronico da parte del destinatario della misura cautelare, fatto a lui imputabile, se questi acconsenta ad indossare il dispositivo e questo non funzioni per motivi tecnici (quale il difetto della copertura di rete, nella locuzione “non fattibilità tecnica”), “il giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex art. 283 cod. proc. pen.), ma anche una misura più lieve (segnatamente, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 cod. proc. pen.)”.
Dunque, i giudici della Consulta, offrendo una lettura costituzionalmente orientata, hanno previsto una “rivalutazione” delle esigenze cautelari da parte del giudice, alla stregua di quanto stabilito con sentenza della Cass., Sez. un., 19 maggio 2016, n. 20769; in ultima analisi, quindi, la Corte Costituzionale ha previsto che laddove sia impraticabile il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico per ragioni di non fattibilità tecnica, “il giudice deve rivalutare la fattispecie concreta senza preclusioni, né automatismi, e quindi, in aderenza alle regole comuni di adeguatezza e proporzionalità, come può aggravare la coercizione cautelare, così può alleviarla”.
5. Il nuovo intervento normativo: D.L. 178/2024
Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, il legislatore è intervenuto con il D.L. 29 novembre 2024, n. 178, convertito in L. 23 gennaio 2025, n. 4[18].
Le novità che concernono gli strumenti elettronici di controllo a distanza di cui all’art. 275-bis¸c.p.p. tramite c.d. “braccialetto elettronico antistalking” in materia di misure cautelari non custodiali disposte per reati da c.d. “codice rosso” sono contenute all’art. 7, D.L. 178/2024, con il quale sono state introdotte ulteriori modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie, di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271.
Con il nuovo intervento normativo, in particolare, è stata ampliata la possibilità di adozione di misure cautelari ulteriori, “anche” più gravi, oggi prevista, oltre che per l’ipotesi del mancato consenso del destinatario della misura cautelare all’applicazione dei mezzi di controllo da remoto, anche per le ipotesi di “non fattibilità operativa”, oltre a quella “tecnica” già prevista con la Legge 24 novembre 2023, n. 168. È stata, inoltre, disciplinata la scansione temporale delle modalità applicative del braccialetto elettronico, con l’introduzione di stringenti obblighi esecutivi e comunicativi da parte della Polizia Giudiziaria
È stato sostanzialmente “positivizzato” il meccanismo della “rivalutazione delle esigenze cautelari” da parte del giudice cautelare, suggerito dalla lettura costituzionalmente orientata operata dalla Consulta, nel caso di non fattibilità tecnica, cui si aggiunge l’ipotesi della non fattibilità operativa; infatti, con l’art. 7, D.L. 29 novembre 2024, n. 178, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici”, accanto alla “non fattibilità tecnica”, è stata introdotta anche la “non fattibilità operativa”, allo scopo di ampliare la tutela della persona offesa.
Di seguito si riporta il testo della norma citata.
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 275-bis, comma 1, dopo le parole «fattibilità tecnica» sono inserite le seguenti: «, ivi inclusa quella operativa,»;
b) all'articolo 276, comma 1-ter, dopo le parole «in caso di manomissione» sono inserite le seguenti: «ovvero di una o più condotte gravi o reiterate che impediscono o ostacolano il regolare funzionamento»[19];
c) all'articolo 282-bis, comma 6, quarto periodo, dopo le parole «non fattibilità tecnica» sono inserite le seguenti: «, ivi inclusa quella operativa,»;
d) all'articolo 282-ter, comma 1, quarto periodo, dopo le parole «non fattibilità tecnica» sono inserite le seguenti: «, ivi inclusa quella operativa,».
2. Alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo l'articolo 97-bis è inserito il seguente:
«Art. 97-ter (Modalità di accertamento della fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle particolari modalità di controllo di cui agli articoli 275-bis, 282-bis e 282-ter del codice). - 1. Quando svolge l'accertamento della fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, di cui agli articoli 275-bis, 282-bis e 282-ter del codice, preliminare alla prescrizione delle particolari modalità di controllo da parte del giudice, la polizia giudiziaria, anche coadiuvata da operatori della società incaricata di fornire i relativi servizi elettronici o tecnici, verifica senza ritardo e comunque entro quarantotto ore l'attivabilità, l'operatività e la funzionalità dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici negli specifici casi e contesti applicativi, analizzando le caratteristiche dei luoghi, le distanze, la copertura di rete, la qualità della connessione e i tempi di trasmissione dei segnali elettronici del luogo o dell'area di installazione, la gestione dei predetti mezzi o strumenti e ogni altra circostanza rilevante in concreto ai fini della valutazione dell'efficacia del controllo sull'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato.
2. La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo e comunque nelle successive quarantotto ore all'autorità giudiziaria che procede, il rapporto che, ai sensi del comma 1, accerti la fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle modalità di controllo, per le valutazioni di competenza, compresa l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi.».
Le novità, dunque, attengono anzitutto all’introduzione della non fattibilità operativa delle modalità di controllo a distanza, quale ipotesi che può dar luogo all’applicazione di una misura “anche” congiunta, “anche” più grave in caso di applicazione di misure cautelari personali coercitive dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Se, da una parte, la “non fattibilità tecnica” sembra far riferimento sostanzialmente alle ipotesi di assenza di copertura della rete internet, dall’altra, la locuzione “non fattibilità operativa”, dal valore semantico più esteso, sembrerebbe abbracciare una più ampia varietà di ipotesi, quali: a) l’indisponibilità dei mezzi di controllo a distanza; b) il mancato consenso della persona offesa all’applicazione del braccialetto; c) nelle ipotesi in cui sia previsto il divieto di avvicinamento a una distanza non inferiore a 500 metri dalla persona offesa, l’impossibilità di rispettare la distanza minima (ad esempio, in ragione della distanza inferiore tra le abitazioni e/o i luoghi di lavoro dell’indagato e della persona offesa).
Dunque, con la riforma, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, anche per tali ipotesi di “non fattibilità operativa” nei casi di applicazione di misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter, c.p.p., il giudice è chiamato a “rivalutare” le esigenze cautelari e, segnatamente, a operare una scelta cautelare allo scopo di tutelare l’incolumità fisica e psicologica della persona offesa, mediante l’applicazione “anche” congiunta di ulteriori misure cautelari “anche” più gravi.
La riforma, inoltre, all’art. 97-ter, disp. att. c.p.p. ha positivizzato la disciplina “accessoria” (rispetto alla disciplina delle misure cautelari e relativa, in particolare, all’esecuzione delle misure cautelari personali coercitive) dei controlli e degli accertamenti che la Polizia Giudiziaria deve effettuare per applicare il braccialetto elettronico.
In primo luogo, è stato chiarito che la Polizia Giudiziaria può effettuare tali accertamenti anche “coadiuvata da operatori della società incaricata di fornire i relativi servizi elettronici o tecnici”. In secondo luogo, poi, è stato stabilito che tali accertamenti debbano essere “preliminari” alla prescrizione delle particolari modalità di controllo da parte del giudice e, dunque, all’applicazione stessa delle misure cautelari, atteso che, come è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale, la prescrizione dell’applicazione del c.d. “braccialetto elettronico” consegue obbligatoriamente nei casi di applicazione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa per le categorie di reati da c.d. “codice rosso”.
In terzo luogo, con l’art. 97-ter, disp. att., c.p.p., si prevede una scansione temporale degli adempimenti preliminari della Polizia Giudiziaria, la quale è chiamata a verificare senza ritardo e comunque entro quarantotto ore, con ogni evidenza, dall’applicazione della misura cautelare da parte del Gip (come si evince dal riferimento alla prescrizione delle particolari modalità di controllo da parte del giudice): “l'attivabilità, l'operatività e la funzionalità dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici negli specifici casi e contesti applicativi, analizzando le caratteristiche dei luoghi, le distanze, la copertura di rete, la qualità della connessione e i tempi di trasmissione dei segnali elettronici del luogo o dell'area di installazione, la gestione dei predetti mezzi o strumenti e ogni altra circostanza rilevante in concreto ai fini della valutazione dell'efficacia del controllo sull'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato”.
Compiute tali verifiche, ai sensi del secondo comma dell’art. 97-ter, c.p.p., la Polizia Giudiziaria deve redigere un rapporto, in modo tale da consentire al giudice di rivalutare le esigenze cautelari; la norma, infatti, prevede che “La polizia giudiziaria trasmette senza ritardo e comunque nelle successive quarantotto ore all'autorità giudiziaria che procede, il rapporto che, ai sensi del comma 1, accerti la fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle modalità di controllo, per le valutazioni di competenza, compresa l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi”.
Infine, è stata introdotta dal D.L. 29 novembre 2024, n. 178 una nuova ipotesi di aggravamento della misura cautelare in caso di trasgressione, ai sensi dell’art. 276, c.p.p., al comma 1-ter, in quanto, dopo le parole «in caso di manomissione» sono state inserite le seguenti: «ovvero di una o più condotte gravi o reiterate che impediscono o ostacolano il regolare funzionamento».
La disciplina di cui all’art. 97-ter, disp. att. c.p.p., se per un verso sembrerebbe introdurre una generalizzazione del meccanismo dell’accertamento preliminare della fattibilità tecnica delle modalità di controllo a distanza di cui all’art. 275-bis c.p.p. previsto dal codice di rito solo per la misura degli arresti domiciliari (cui si è aggiunta la verifica della fattibilità operativa), per altro verso, a parere di chi scrive, rivela un difetto di coordinamento della disciplina introdotta nelle disposizioni di attuazione con la disciplina “principale” contenuta nelle disposizioni che contengono la disciplina delle misure cautelari, di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p., nelle quali non è prevista la preliminare verifica da parte del giudice che applica la misura cautelare.
6. La nuova normativa tra problematiche applicative e incertezze interpretative: il rischio di (nuova) collisione con i principi affermati dalla Corte EDU
Tale disciplina, secondo l’opinione di chi scrive, pone un serio problema di “discovery”, atteso che la norma delle disposizioni di attuazione, contrariamente a quanto stabilito nel testo delle norme contenute nel codice di procedura penale, prevede che le verifiche sulla “fattibilità tecnica o operativa” siano effettuate in via preliminare rispetto alla prescrizione delle particolari modalità di controllo ex art. 275-bis, c.p.p., che, occorre ribadire, è obbligatoria per tali misure cautelari.
La previsione del preventivo accertamento delle modalità di controllo a distanza nei casi di applicazione delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. si pone in antinomia, oltre che in contrasto logico con le previsioni introdotte in tema di interrogatorio preventivo; difatti, se da una parte, ai sensi dell’art. 291, comma 1-quater, c.p.p., è previsto che non debba darsi corso all’interrogatorio preventivo se si procede in relazione ad uno dei delitti indicati […] all’articolo 362, comma 1-ter, c.p.p., proprio per evitare rischi per l’incolumità della vittima, dall’altra, proprio la previsione dell’accertamento preventivo delle modalità di controllo da parte della Polizia Giudiziaria si risolve, di fatto, in una anticipazione dell’imminente applicazione della misura cautelare nei confronti del destinatario della stessa in contesti particolarmente delicati, in quanto caratterizzati da particolare vicinanza tra l’aggressore e la vittima, oltre che, come quasi sempre accade, caratterizzati dalla condivisione degli stessi ambienti di vita e degli spazi abitativi, con correlato imminente e irreparabile rischio per l’incolumità psico-fisica della vittima, oltre che di vittimizzazione secondaria: ciò, in quanto, la necessaria verifica della fattibilità tecnica o operativa, che si prevede come preliminare, presuppone, come dallo stesso legislatore stabilito, l’accertamento dell'attivabilità, dell’operatività e della funzionalità dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici negli specifici casi e contesti applicativi “analizzando le caratteristiche dei luoghi, le distanze, la copertura di rete, la qualità della connessione e i tempi di trasmissione dei segnali elettronici del luogo o dell'area di installazione, la gestione dei predetti mezzi o strumenti e ogni altra circostanza rilevante in concreto ai fini della valutazione dell'efficacia del controllo sull'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato” (anche il riferimento all’imputato, in luogo dell’indagato o “persona sottoposta alle indagini” tradisce il difetto di coordinamento con la disciplina della cautela contenuta nel codice).
In altri termini, la verifica effettuata dalla Polizia Giudiziaria, preliminare all’intervento cautelare e in funzione dello stesso, anche con l’ausilio degli “operatori della società incaricata di fornire i relativi servizi elettronici o tecnici” rende manifesta al destinatario della misura cautelare, prima ancora che questa sia applicata, non solo la circostanza dell’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti per effetto di una denuncia sporta da un suo familiare o convivente o comunque da persona allo stesso legata da relazioni strette ma anche, e soprattutto, l’imminente applicazione nei suoi confronti della misura cautelare, con deflagranti conseguenze per la vittima, in quei contesti in cui, proprio per la particolare vicinanza tra la vittima e l’indagato, è necessario il tempestivo e risolutivo intervento delle autorità. Così, di fatto, si rischia di vanificare l’intervento cautelare e, soprattutto, di porre in serio e imminente rischio l’incolumità psico-fisica della vittima.
Vi sono, a parere di chi scrive, dunque, seri problemi di coordinamento tra le due norme e di grave contrasto con la ratio sottesa alla previsione di cui al citato comma 1-quater dell’art. 291, c.p.p.: ciò, anche alla luce della circostanza che – come peraltro ribadito dalla Corte Costituzionale – per i reati da c.d. “codice rosso” è prevista, in caso di applicazione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, l’applicazione automatica del braccialetto elettronico.
Occorre osservare che tali misure cautelari sono eseguite (al pari della misura degli arresti domiciliari) ai sensi degli artt. 292, 293 c.p.p., mediante notifica al destinatario dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, da parte della Polizia Giudiziaria.
Dunque, per effetto dell’interpretazione del complesso delle disposizioni citate, così come modificate, le misure cautelari di cui all’art. 282-bis o di cui all’art. 282-ter c.p.p. per i reati da c.d. “codice rosso” (delitti di cui agli artt. 570, 571, 572, 575, nell'ipotesi di delitto tentato, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 583 quinquies, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente) non possono essere applicate senza il preventivo accertamento delle modalità di controllo a distanza (stante l’obbligatorietà dell’utilizzo del braccialetto elettronico); con il conseguente inevitabile ritardo nell’esecuzione dell’intervento cautelare.
Il che, a parere di chi scrive, offrirebbe il fianco a censure di legittimità costituzionale, con particolare riferimento agli artt. 2, 32 Cost., nonché con riferimento all’art. 117, comma prima, Cost., in relazione alle previsioni di cui agli artt. 2, 3 e 8, CEDU e al diritto CEDU, come è stato interpretato con le sentenze CEDU, 2 marzo 2017, Talpis contro Italia, CEDU 7 aprile 2022, Landi c. Italia CEDU, 16 giugno 2022, De Giorgi c. Italia: ciò in quanto, fra gli obblighi positivi delle autorità italiane rientrano altresì i cosiddetti “obblighi procedurali”, dai quali discende il dovere per le autorità pubbliche di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo.
Ebbene, una simile lettura della norma sarebbe suscettibile di determinare un contrasto con il diritto alla salute e con la tutela dell’incolumità delle vittime di c.d. “violenza di genere” e delle relazioni domestiche, frustrando il dovere, sancito dalla CEDU, di instaurare un procedimento penale effettivo e tempestivo, determinando una violazione connotata da un maggior grado di lesività rispetto alle vicende sottoposte al vaglio della Corte di Strasburgo, in quei casi, cioè, in cui l’instaurazione del procedimento penale abbia condotto addirittura alla valutazione da parte del giudice della necessità dell’applicazione di misure cautelari personali, frustrando così in modo irreparabile le concrete ed effettive esigenze di tutela della vittima violenza domestica, con un serio rischio per la sua incolumità psico-fisica, realizzando un’ipotesi di vittimizzazione secondaria, specie in quei contesti caratterizzati dalla familiarità o da convivenza o da contesti di particolare vicinanza affettiva o di prossimità o, comunque, di condivisione di ambienti abitativi.
A tali considerazioni devono aggiungersi ulteriori osservazioni che si fondano sul dato esperienziale tratto delle quotidiane problematiche applicative diffuse presso gli uffici giudiziari.
Non di rado accade che la società addetta alle verifiche sulla fattibilità tecnica o operativa degli strumenti elettronici per il controllo a distanza segnali all’autorità giudiziaria che tali prestazioni non sono “contrattualizzate”; in altri termini, si vuol dire, tale accertamento preventivo non costituisce (ancora) oggetto delle prestazioni pattuite nei contratti di lavoro stipulati allo scopo di garantire l’installazione degli strumenti elettronici di controllo a distanza, essendo disciplinata soltanto quest’ultima prestazione, e cioè, la materiale installazione dei dispositivi.
Ancora, non costituisce evenienza remota la circostanza che la necessità di compiere gli accertamenti per verificare la fattibilità tecnica o operativa degli strumenti di controllo a distanza sorga in un orario non ricadente nell’orario di servizio degli operatori della società incaricata di fornire i relativi servizi elettronici o tecnici, ai quali viene demandato dal legislatore il compito di coadiuvare gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria incaricati dell’esecuzione degli accertamenti preventivi in funzione dell’esecuzione delle misure cautelari.
Infine, spesso accade nella prassi giudiziaria – specie a causa del notevole incremento delle misure cautelari disposte per tali reati per l’ingravescenza del fenomeno e, dunque, della vertiginosa crescita della domanda di “braccialetti elettronici” – che venga segnalata l’impossibilità di applicare gli strumenti di controllo a distanza a causa dell’indisponibilità degli stessi, per reperire i quali sono spesso necessari diversi giorni, se non mesi.
E allora, in tali casi, non si vede come il colpevole ritardo nell’esecuzione degli accertamenti sulla fattibilità tecnica o operativa, a causa della eccentricità delle prestazioni rispetto a quelle disciplinate dai contratti stipulati con gli operatori della società incaricata di fornire i servizi elettronici o tecnici per l’applicazione dei dispositivi o a causa della indisponibilità degli operatori della società, che pure coadiuvano la PG, allorché sorga – spesso in tarda ora – la necessità di compiere tali accertamenti o la materiale indisponibilità di strumenti di controllo a distanza (con conseguente impossibilità di procedere persino agli accertamenti preliminari all’applicazione del braccialetto elettronico e all’applicazione, successivamente, della misura cautelare), non possa dar luogo ad una violazione del dovere procedurale di assicurare un tempestivo e intervento dell’autorità italiana in tema di contrasto ai reati da c.d. “codice rosso”.
In tale contesto la positivizzazione, all’art. 97-ter, disp. att., c.p.p. di un lasso temporale (“senza ritardo e comunque nelle successive quarantotto ore”) entro il quale la polizia giudiziaria deve trasmettere all'autorità giudiziaria che procede il rapporto che, ai sensi del comma 1 della medesima disposizione, accerti la fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle modalità di controllo, per la “rivalutazione” delle esigenze cautelari, oltre a determinare una vera e propria peculiarità, dal momento che si prevede per il giudice la necessità di valutare l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi, prima ancora di pronunciarsi sull’applicazione della misura cautelare (atteso che, in quel momento, esiste solo la richiesta di misura cautelare del PM, non anche l’ordinanza applicativa della misura cautelare, giacché è richiesto il preliminare accertamento della fattibilità tecnica o operativa delle modalità di controllo a distanza solo per le misure cautelari degli arresti domiciliari, ex art. 275-bis c.p.p. e dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ai sensi dell’art. 97-ter, disp. att., c.p.p.) - accertamento che, ove effettuato (così come prevede la norma) prima dell’applicazione della misura cautelare si rivela inutile, atteso che, accade spesso che l’indagato e la persona offesa siano conviventi, con l’impossibilità, per esempio, di verificare la fattibilità operativa, sotto il profilo dell’accertamento delle distanze, della copertura di rete, della qualità della connessione e dei tempi di trasmissione dei segnali elettronici del luogo o dell'area di installazione -, produce indubbiamente quale effetto quello dell’ineluttabile differimento dell’intervento cautelare, frustrando gli obblighi procedurali volti ad assicurare un intervento effettivo e tempestivo a tutela della vittima (come più volte ribadito dalla Corte EDU) e tradendo la necessità di intervenire “a sorpresa”, pure riconosciuta dallo stesso legislatore in materia di deroga all’interrogatorio preventivo (in ragione della deroga contenuta nell’art. 291, comma 1-quater, c.p.p., con riferimento ai reati di cui all’art. 362, comma 1-ter c.p.p.), con conseguente discovery dell’imminente intervento cautelare nei confronti della persona sottoposta ad indagini per reati da “codice rosso”, con correlato rischio concreto di vittimizzazione secondaria per la vittima e, soprattutto, con effetti deflagranti e potenzialmente letali per l’incolumità psico-fisica della vittima stessa.
Né la previsione del termine di 48 ore per la redazione e la trasmissione del rapporto informativo della Polizia Giudiziaria all’autorità giudiziaria sulla fattibilità tecnica e operativa sarebbe suscettibile, a parere di chi scrive, di superare le criticità correlate al rispetto dei principi affermati dalla Corte EDU (con potenziale collisione con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU), in quanto, oltre ai profili di conflitto innanzi evocati, di fatto tale scansione temporale determinerebbe, con riferimento al periodo corrispondente al lasso temporale di 48 ore, un vuoto di tutela della vittima sotto il profilo dell’intervento cautelare – con potenziale rischio di conseguenze drammatiche per la stessa – e, con riguardo al lasso temporale successivo, il rischio di violazione dei principi di proporzionalità e di effettività dell’intervento cautelare, essendo di fatto rimessa al giudice la valutazione in merito all’applicazione “anche” congiunta (e, tuttavia, considerata l’obbligatorietà dell’applicazione del braccialetto elettronico, non si comprende come si possa applicare tale misura cautelare “anche” congiuntamente ad altra) di altre misure cautelari “anche” più gravi; con l’ulteriore conseguenza che l’applicazione di una misura cautelare più lieve rischia di vanificare il principio di effettività dell’intervento cautelare.
Né, si osserva, è disciplinata dal legislatore l’evenienza – molto frequente nella pratica – della successiva verifica positiva da parte della Polizia Giudiziaria della fattibilità tecnica a operativa degli strumenti di controllo a distanza; ci si chiede, in altri termini, se in tale ipotesi “riviva” la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Peraltro, in tali ipotesi in sede cautelare sovente si ravvisa il concreto rischio in ordine alla acquisizione o alla genuinità delle fonti di prova, correlato all’acquisizione dell’apporto dichiarativo della persona offesa, a causa dei possibili tentativi di condizionamento delle sue dichiarazioni da parte dell’indagato, con potenziale definitiva perdita, nella proiezione del giudizio dibattimentale, della possibilità di acquisizione di una prova decisiva ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’autore del reato.
[1] Si fa riferimento, in particolare, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011), ratificata dall’Italia ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77; Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, attuata con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212; si veda anche l’art. 51 CEDU, che demanda alle Parti contraenti l’adozione delle misure legislative o di altro tipo, necessarie per consentire alle autorità competenti di “valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti” e per garantire un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno alle vittime”.
[2] Tra gli interventi delle Corti Europee, particolare attenzione merita la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 2 marzo 2017 - Ricorso n. 41237/14 - Causa Talpis c. Italia; R. CASIRAGHI, La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, in Diritto Penale Contemporaneo, 3/2017. La sentenza può leggersi in:
[3] Relazione su novità normativa, n. 62/19, 27 ottobre 2019. Legge 19 luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere
[4] Così si legge nella Relazione dell’Ufficio del Massimario sulla Legge 69/2019.
[5] Sul punto si veda F. CACACE, I rischi di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni nei programmi di giustizia riparativa, in Giurisprudenza penale, 15 ottobre 2025.
[6] Di seguito si riporta il passo di interesse tratto dalla pronuncia in commento: “La Cour relève qu’une information judiciaire a été ouverte à l’encontre de A.T. pour des délits de maltraitance familiale, lésions corporelles aggravées et menaces. La police a transmis la plainte de la requérante au parquet le 9 octobre 2012. Le 15 octobre 2012, le parquet, eu égard à la demande de mesures de protection formulée par la requérante, a ordonné de manière urgente des mesures d’investigation. Il a en particulier demandé à la police de vérifier s’il y avait eu des témoins, y compris la fille de la requérante. Elle note que, entre-temps, la requérante avait trouvé refuge, par le biais d’une association, dans un centre pour les victimes de violences, où elle est restée pendant trois mois. La Cour note qu’aucune ordonnance de protection n’a été émise, que le parquet a réitéré sa demande auprès de la police en mars 2013 en soulignant l’urgence de la situation et que la requérante n’a été entendue qu’en avril 2013. n effet, alors même que, dans le contexte des violences domestiques, des mesures de protection sont en principe destinées à parer au plus vite à une situation de danger, la Cour relève qu’il aura fallu attendre sept mois avant que la requérante fût entendue. Un tel délai ne pouvait que priver la requérante du bénéfice de la protection immédiate que la situation requérait. Certes, comme le soutient le Gouvernement, durant la période en cause, la requérante n’a pas été victime de nouvelles violences physiques de la part de A.T. Cela étant, la Cour estime qu’on ne saurait ignorer le sentiment de peur dans lequel la requérante, harcelée par téléphone par A.T., a vécu lors de son hébergement dans le centre. […] La Cour rappelle que, dans les affaires de violences domestiques, les droits de l’agresseur ne peuvent l’emporter sur les droits des victimes à la vie et à l’intégrité physique et mentale (Opuz, précité, § 147). Qui plus est, l’État a l’obligation positive de mettre en œuvre préventivement des mesures d’ordre pratique pour protéger l’individu dont la vie est menacée. Dans ces circonstances, la Cour conclut que les autorités ne sauraient passer pour avoir fait preuve de la diligence requise. Dès lors, elle estime qu’elles ont manqué à leur obligation positive de protéger la vie de la requérante et de son fils au titre de l’article 2 de la Convention. Au vu de ce qui précède, la Cour estime que les manquements constatés ci-dessus ont rendu la plainte pénale de la requérante inopérante dans les circonstances de l’espèce. Dès lors, elle rejette l’exception préliminaire du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes (paragraphe 68 ci-dessus) et conclut à la violation de l’article 2 de la Convention.
[…] la Cour estime également que, dans le traitement judiciaire du contentieux des violences contre les femmes, il incombe aux instances nationales de tenir compte de la situation de précarité et de vulnérabilité particulière, morale, physique et/ou matérielle de la victime, et d’apprécier la situation en conséquence, dans les plus brefs délais. En l’espèce, rien ne saurait expliquer la passivité des autorités pendant une période aussi longue – sept mois – avant le déclenchement des poursuites pénales. De même, rien ne saurait expliquer pourquoi la procédure pénale pour lésions corporelles aggravées engagée après la plainte déposée par la requérante a duré trois ans, pour s’achever le 1er octobre 2015.
Au regard des constats opérés en l’espèce, la Cour estime que la manière dont les autorités internes ont mené les poursuites pénales dans la présente affaire participe également de cette passivité judiciaire et ne saurait passer pour satisfaire aux exigences de l’article 3 de la Convention.
[7] S. CARRER, La Corte EDU promuove le riforme dell’Italia in materia di violenza domestica, ma boccia la grave inerzia delle autorità nell’applicare le misure di protezione (sentenza Landi c. Italia, 7 aprile 2022), in Giurisprudenza penale, 18 aprile 2022. Corte europea dei diritti dell’uomo. Sentenza 7 aprile 2022, LANDI c. ITALIA (N. 10929/19); scheda di lettura a cura di Mariangela Montagna, in Archivio Penale, 7 aprile 2022; A. RAIMONDI, Landi c. Italia: la Corte EDU accerta la violazione dell’art. 2 CEDU in un gravissimo caso di violenza domestica, in Unione dei Diritti Umani, https://www.unionedirittiumani.it/newsletter/landi-c-italia-la-corte-edu-accerta-la-violazione-dellart-2-cedu-in-un-gravissimo-caso-di-violenza-domestica/; E. A. A. DEI CAS, La Corte europea condanna ancora l’Italia per violazione degli obblighi positivi derivanti dall’art. 2 nei confronti di vittime di violenze domestiche, in Archivio Penale, 16 maggio 2022.
La sentenza può leggersi in: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page?contentId=SDU377966.
[8] M. FALCONE, Osservatorio sulla violenza contro le donne n. 2/2023 - La giurisprudenza della C. Edu. in materia di protezione delle donne vittime di violenza domestica. La più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di protezione delle donne vittime di violenza domestica, in Sistema Penale; M. MONTAGNA, Violazione art. 3 C.e.d.u. (sostanziale e processuale) – Trattamento inumano e degradante - Inadempimento dello Stato nel suo dovere di indagare sui maltrattamenti di violenza domestica (Corte EDU, Sez. I, 16 giugno 2022, De Giorgi c. Italia, n. 23735/19), in Archivio Penale,
La sentenza può leggersi in: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page?contentId=SDU389126
[9] Legge 8 settembre 2023, n. 122- Poteri del procuratore della Repubblica in materia di assunzione di informazioni dalle vittime di violenza domestica e di genere (G.U. 15.09.2023), in Archivio Penale.
[10]Relazione su novità legislative, n. 8 del 2024, Rel. 08/2024, del 12 marzo 2024 “La Legge n. 168 del 2023”; Legge 24 novembre 2023, n. 168 - Contrasto alla violenza sulle donne e domestica, in Archivio Penale, 24 novembre 2023; G. AMARA, Legge 24 novembre 2023, n. 168 “disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, in Giustizia Insieme, 11 dicembre 2023; C. MORGANTI, L. 24 novembre 2023, n. 168: Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, 15 aprile 2024, in Rivista Penale Diritto e Procedura; Focus “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica” (Legge n. 168/2023), in https://www.programmagoverno.gov.it/it/notizie/focus-disposizioni-per-il-contrasto-della-violenza-sulle-donne-e-della-violenza-domestica-legge-n-1682023/;
[11] In particolare, al D.Lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, sono state apportate le seguenti modifiche, con l’introduzione del comma 2 bis: “Quando si procede per il delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non osserva le disposizioni dell'articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale. Entro tre giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica. Il procuratore della Repubblica, direttamente o mediante assegnazione a un altro magistrato dell'ufficio, provvede senza ritardo ad assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, salvo che sussistano le imprescindibili esigenze di tutela di cui all'articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale”. Al comma 6, dopo il comma 1, è stato aggiunto il comma 1-bis, il quale prevede che: “Il procuratore generale presso la corte di appello ogni tre mesi acquisisce dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del termine entro il quale devono essere assunte informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza nei procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale e invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale”.
[12] DIRETTIVA 2012/29/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 25 ottobre 2012, il cui art. 17 prevede: “
[13] Sul tema, C. CASTALDO, Il punto sul braccialetto elettronico, in Giustizia Insieme.
[14] Sul punto si veda la Relazione dell’Ufficio del Massimario, innanzi citata.
[15] Così si legge nella Relazione dell’Ufficio del Massimario.
[16] Ivi.
[17] M. BILLI, Divieto di avvicinamento nei reati di genere, distanza minima di 500 metri e obbligo di braccialetto elettronico: la sentenza della Corte costituzionale (173/2024), in Giurisprudenza Penale; A. M. CAPITTA, Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa – Corte cost., n. 173 del 2024, in Archivio Penale.
[18] Legge 23 gennaio 2025, n. 4 - Conversione in legge del decreto legge n. 178 del 2024 recante misure urgenti in materia di giustizia (GU 24.01.2025), in Archivio Penale.
[19] Si riporta il nuovo testo dell’art. 276, comma 1-ter, c.p.p.: “In deroga a quanto previsto nel comma 1, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora e, comunque, in caso di manomissione ovvero di una o più condotte gravi o reiterate che impediscono o ostacolano il regolare funzionamento dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo di cui all'articolo 275 bis, anche quando applicati ai sensi degli articoli 282 bis e 282 ter, il giudice dispone la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve entità”.
