Escussione della vittima vulnerabile: è abnorme il rigetto della richiesta del pubblico ministero di procedere con il mezzo dell’incidente probatorio
(commento Cass. SS.UU. 10869-25)
Sommario: 1. La vittima vulnerabile. 2. Le conseguenze del riconoscimento della vulnerabilità della vittima: in particolare, l’escussione mediante incidente probatorio. 3. La richiesta di incidente probatorio e la decisione del Giudice. 4. Le ragioni dell’orientamento finora maggioritario: la discrezionalità del giudice sull’ammissione dell’incidente probatorio. 5. L’orientamento opposto: automatismo decisionale e abnormità del rigetto. 6. La decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
1. La vittima vulnerabile
La nozione di vittima vulnerabile è di recente acquisizione nel nostro codice di rito.
Le norme che ne disciplinano lo statuto sono il prodotto di un processo di crescente attenzione al ruolo della persona offesa nel procedimento penale, consacrato in due provvedimenti legislativi che a distanza di poco tempo, nel 2013 e nel 2015, hanno sensibilmente rimodellato la disciplina delle parti private nel processo e introdotto formalmente il concetto di vittima, fino ad allora assente.
In special modo il secondo dei due provvedimenti menzionati, adottato con d.l. numero 212 del 2015[1], ha per la prima volta introdotto sia il concetto di vittima del reato che quello specifico di vittima vulnerabile, con l’introduzione dell’articolo 90 quater del codice di rito, ricollegando a tale condizione l’adozione di specifiche norme a tutela della sua particolare fragilità.
Come è noto, le norme di nuovo conio hanno previsto due categorie di vittime vulnerabili:
- Le vittime a vulnerabilità presunta, che sono individuate come tali
- per il solo fatto di essere offese da reati a riconosciuto impatto traumatico (per l’elenco dei reati si vedano gli articoli 351 comma 1- ter e 392 comma 1-bis c.p.p.);
- Le vittime vulnerabili atipiche, da individuare in concreto sulla base delle indicazioni fornite dall’art. 90 quater del codice di procedura penale.
La figura del c.d. “vulnerabile atipico” è dunque individuata in base alla contestazione effettuata dal Pubblico Ministero e recepita dal Giudice, dal momento che è dalla qualificazione giuridica per la quale il fatto di reato è iscritto che discendono rilevanti conseguenze: prima fra tutte il binario privilegiato per la raccolta della testimonianza sia nella fase delle indagini che attraverso il ricorso all’incidente probatorio.
Sulla categoria concettuale della vulnerabilità presunta si sono da subito appuntate le critiche di parte della dottrina (in particolare, Bouchard) che hanno stigmatizzato l’automatismo previsto dalla legge.
Si era infatti sin da principio rilevata la pericolosità di far desumere l'esigenza di protezione della vittima da caratteristiche “specifiche” astrattamente predeterminate anziché accertarla, in concreto, di volta in volta, a prescindere da quelle caratteristiche che qualificano una particolare situazione di vittimizzazione.
Tali argomenti, come si vedrà di qui a breve, sono stati recepiti dalla giurisprudenza di legittimità in tema di accesso all’incidente probatorio, con un orientamento rimasto per lungo tempo maggioritario, fino all’odierno intervento della Corte di cassazione a Sezioni Unite che qui si commenta.
2. Le conseguenze del riconoscimento della vulnerabilità della vittima: in particolare, l’escussione mediante incidente probatorio
Il concetto di vulnerabilità della vittima nasce dalla constatazione, implicita nelle norme ma ben chiara nella mente di tutti gli operatori del diritto, della necessaria “cattiveria” del processo penale, simbolica arena in cui una delle parti – il difensore dell’imputato - ha lo specifico compito di demolire la credibilità del testimone/persona offesa, in adempimento del suo mandato di ottenere una pronuncia assolutoria per il suo assistito.
Dal successo di questa opera legale di decostruzione del racconto testimoniale della vittima, che nei processi per abuso o per quelli connotati da violenza di genere è molto spesso l’unica fonte di prova, discende la neutralizzazione dell’assunto accusatorio e quindi l’assoluzione dell’imputato.
Due interessi in gioco, egualmente meritevoli di tutela, confliggono dunque irrimediabilmente: quello dell’imputato di difendersi e quello della vittima di non subire nuovi traumi, tra cui quello noto come “trauma del processo”.
È noto infatti che, soprattutto nei processi per abuso, l’escussione testimoniale della vittima provoca un fenomeno di vittimizzazione secondaria: il trauma di rivivere in pubblico lo shock subìto provoca un nuovo shock indotto dal processo.
Secondo una definizione della Corte Costituzionale, la vittimizzazione secondaria “è quel processo che porta il testimone persona offesa a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto” (Corte Cost., n. 92 del 2018).
Per tale motivo, sin dalla prima stesura della Carta di Noto è stata raccomandato di evitare di sottoporre le vittime a reiterate escussioni, anche perché, come recentemente ricordato dalla Corte di Cassazione, “la pluralità delle sue audizioni ne determina necessariamente l'usura” (Cass. Pen., sez. III, n. 32764 dell’11.7.24, rv. 286705).
Proprio con riferimento a questa esigenza il menzionato d.l. 212 del 2015 ha inserito nell’articolo 392 c.p.p. una nuova ipotesi di incidente probatorio, prevedendo che il pubblico ministero – anche su richiesta della persona offesa – o l'accusato possano chiedere che si proceda con tale strumento processuale all'assunzione della testimonianza dell'offeso (art. 1, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 212 del 2015 che ha novellato l'art. 392 comma 1-bis cod. proc. pen.).
In questo modo si ottiene il risultato di assumere l’atto in contraddittorio e con valore di piena prova nei confronti di tutti coloro che vi hanno partecipato, in tempi compatibili con la necessaria urgenza della vittima di “andare oltre” lo shock vissuto.
Inoltre, si evita che il trauma di dover ripercorrere in pubblico e davanti ad estranei l’esperienza vissuta sia reiterato nelle diverse fasi del procedimento penale, come normalmente è imposto alle persone offese dal principio fondamentale del processo penale della separazione delle fasi, secondo cui tutti gli atti compiuti nella fase delle indagini preliminari non hanno valore di prova e devono dunque essere ripetuti, davanti al giudice che decide ed in contraddittorio delle parti.
All’anticipazione della prova viene infatti associata la irrepetibilità della stessa sancita dall’articolo 190 bis c.p.p..
Conseguentemente, un nuovo esame della persona escussa sarà ammesso “solo se riguarda fatti o circostanze diverse da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze”.
3. La richiesta di incidente probatorio e la discrezionalità del Giudice
Sin dall’entrata in vigore della nuova previsione di incidente probatorio per i processi con vittime vulnerabili, in giurisprudenza si è creato un contrasto interpretativo simile a quello visto nel precedente paragrafo a proposito dell’automaticità dell’attribuzione dello stigma di vulnerabilità alla vittima.
Ci si è chiesti infatti se, a fronte della richiesta avanzata dal Pubblico Ministero di procedere ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., il Giudice sia obbligato ad attivare lo strumento processuale invocato o se conservi un margine di discrezionalità nell’apprezzare sia la effettiva vulnerabilità della vittima che la concreta indifferibilità dell’atto.
Dalla ritenuta necessità di dirimere l’annoso contrasto scaturisce la rimessione alle Sezioni Unite del caso che ha dato origine alla sentenza in commento.
In particolare, nel caso di specie il G.I.P. aveva rigettato la richiesta sulla scorta della considerazione che la presunta vittima, che aveva denunciato un delitto di maltrattamenti in famiglia (reato rientrante nell’elenco di quelli per i quali la vulnerabilità è presunta dalla legge), non potesse in concreto essere definita vulnerabile sia perché maggiorenne, sia perché aveva in precedenza presentato plurime denunce.
Inoltre, paradossalmente, il G.I.P. deduceva la mancanza di vulnerabilità nel caso di specie dalla presenza di plurimi riscontri alla denuncia, in pratica considerando non così indifferibile un’escussione che, seppur fosse stata compromessa dal decorrere del tempo, non avrebbe portato all’assoluzione dell’imputato perché la prova della sua colpevolezza era desumibile da altri elementi in atti.
Avverso il provvedimento di rigetto, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso sostenendo l’abnormità del provvedimento, in adesione ad uno dei due orientamenti formatisi in giurisprudenza e fino alla odierna decisione delle Sezioni Unite minoritario.
La Sesta Sezione della Corte, rilevando il contrasto di cui si è detto, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite.
4. Le ragioni dell’orientamento finora maggioritario: la discrezionalità del giudice sull’ammissione dell’incidente probatorio
Secondo l’orientamento finora maggioritario, la nuova previsione dell’articolo 392 c.p.p., prevedendo la possibilità per il Pubblico Ministero di chiedere l’incidente probatorio non in base ai tradizionali caratteri di indifferibilità ed urgenza della prova da assumere ma per la condizione di fragilità della vittima del reato non ha introdotto alcun automatismo, poiché il giudice mantiene la discrezionalità nel decidere se accogliere o meno la richiesta del Pubblico Ministero e gli è anzi demandato un vaglio non solo di ammissibilità della stessa ma di fondatezza delle ragioni addotte.
Il rigetto della richiesta non può essere dunque considerato atto abnorme, sia perché non si pone al di fuori dell’ordinamento processuale, sia perché non determina alcuna stasi del processo, ben potendo l’escussione della vittima essere assunta in un momento successivo, costituito dall’ordinaria fase dibattimentale.
5. L’orientamento opposto: automatismo decisionale e abnormità del rigetto
Di diverso avviso, come si è detto, altre pronunce di merito e di legittimità, secondo cui dalla presunzione di vulnerabilità della vittima, ricollegata alla pendenza di un procedimento per uno dei reati contenuti nelle norme degli articoli 351 e 392 c.p.p., discende l’obbligo di procedere con incidente probatorio quale unico mezzo per evitare la vittimizzazione secondaria.
Proprio perché la vulnerabilità è presunta, non vi è spazio per il giudice per stabilire che nel caso concreto tale condizione non vi sia e dunque vi è l’obbligo di scongiurare la vittimizzazione secondaria anticipando l’escussione della prova alla fase delle indagini preliminari.
Tale orientamento porta alla conseguenza che «è illegittima l’ordinanza che rigetta la richiesta di incidente probatorio sul presupposto che manca l’urgenza e l’atto è rinviabile al dibattimento perché così si trascura il rischio di vittimizzazione secondaria» (tra le plurime pronunce di legittimità che si sono espresse in questo senso, cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 34091 del 16.5.19).
Tuttavia, non basta stabilire l’illegittimità di un provvedimento se a tale declaratoria non consegue alcun effetto; e perché si produca qualche effetto occorra, ancor prima, che vi sia la possibilità di impugnare il provvedimento illegittimo.
Poiché, come noto, il nostro sistema processuale prevede la tassatività delle impugnazioni e non è previsto alcun rimedio avverso le ordinanze di rigetto pur essendo queste, secondo la ricostruzione ora riassunta, illegittime, i sostenitori della tesi in esame sono ricorsi alla categoria concettuale dell’abnormità.
Il rigetto sarebbe abnorme, in particolare, perché espressione di un potere astrattamente previsto dal codice di rito, ma in concreto estraneo al sistema processuale, in quanto manifestazione dell’esercizio arbitrario di un sindacato non consentito.
Dal contrasto tra i due orientamenti descritti è scaturita dunque la necessità di un intervento delle Sezioni Unite della Cassazione.
6. La decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite
Superando il precedente orientamento maggioritario di cui si è detto, la Corte ha stabilito che non vi sono margini di discrezionalità del Giudice, che è dunque obbligato a procedere con incidente probatorio nel caso di richiesta riguardante vittime vulnerabili.
Completamente recepita anche la ricostruzione che ricollega l’illegittimità del provvedimento alla categoria dell’abnormità.
La massima estratta dalla pronuncia in esame non potrebbe essere più chiara sul punto: «è viziato da abnormità ed è, quindi, ricorribile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio, avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati compresi nell’elenco di cui all’art. 392, comma 1-bis, primo periodo, cod. proc. pen., motivato con riferimento alla non vulnerabilità della persona offesa e alla rinviabilità della prova, trattandosi di presupposti presunti per legge».
La Corte giunge a questa conclusione facendo leva in primo luogo sul dato testuale della norma esaminata: laddove il comma 1 bis dell’articolo 392 c.p.p. prevede l’adozione dello strumento dell’incidente probatorio, nei reati a vittima vulnerabile, “anche al d i fuori delle ipotesi di cui al comma 1” non può che intendere che vi si deve procedere anche in mancanza dei presupposti ivi previsti, che sono appunto quelli dell’indifferibilità ed urgenza.
Conseguentemente, non spetta al giudice sindacare se nel caso di specie l’atto sia indifferibile o meno.
Si tratta, argomenta la Corte, di presunzione juris et de jure, sicché il sindacato del giudice è escluso per legge.
Dopo un articolato richiamo alle pronunce della Corte Costituzionale in tema di vittima vulnerabile ed alle fonti sovranazionali (Convenzione di Lanzarote e pronunce della CEDU), la Corte affronta infine lo spinoso problema, di cui si è detto in precedenza, della mancanza di una previsione espressa di impugnabilità del rigetto della richiesta per il caso di specie.
Ripercorso l’excursus pretorio attraverso cui si è nel tempo affinata la categoria dell’abnormità e la sua distinzione ormai recepita tra “abnormità strutturale” e “abnormità funzionale”, la Corte conclude che nel caso di rigetto della richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza della persona offesa di uno dei reati ricompresi nel catalogo di cui all’articolo 392 comma 1 bis del codice di procedura penale, laddove il rigetto sia fondato su valutazioni che attengono alla vulnerabilità della persona offesa ovvero alla non rinviabilità dell’assunzione della prova si rientri nella categoria dei provvedimenti viziati da abnormità strutturale per carenza del potere in concreto.
La scelta di campo operata dalla Corte di Cassazione nella sua espressione massima è dunque quella di garantire la piena tutela della vittima vulnerabile, al punto da comprimere al minimo il sindacato del giudice, ridotto alla sola verifica delle condizioni di ammissibilità.
L’interpretazione consacra dunque e completa il percorso di affermazione del ruolo della vittima nel procedimento penale, compiendo un decisivo passo nel percorso tracciato negli ultimi anni dal legislatore sulla spinta delle fonti sovranazionali.
[1] Si deve invece al d.l. 93 del 2013 l’introduzione degli avvisi alla persona offesa dell’instaurazione del procedimento penale con la modifica dell’articolo 101 c.p.p., la gestione delle misure cautelari (art. 299 c.p.p.) e l’introduzione dell’obbligo di notifica alla persona offesa dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
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