FORUM I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA?
I mali del CSM: l’invadenza delle correnti o la loro scomparsa? di Eugenio Albamonte
* Testo della relazione presentata al Convegno Migliorare il Csm nella cornice istituzionale, Roma, 11 ottobre 2019pubblicato in Migliorare il CSM nella cornice costituzionale editore CEDAM, collana: Dialoghi di giustizia insieme.
Vi ringrazio per avermi invitato e coinvolto in questa Tavola Rotonda. Il suo titolo “L’invadenza delle correnti o la loro scomparsa” è molto attuale e ci pone di fronte al dubbio che la storia più recente e i fatti degli ultimi mesi hanno reso urgente: è possibile, a fronte dei fenomeni che abbiamo vissuto in queste ultime settimane , trovare una terza via dell'associazionismo che non porti inevitabilmente alla scomparsa delle correnti o ad una loro inevitabile invadenza degenerativa del sistema?
Il titolo postula che se le correnti ci sono, sono invadenti per natura e l’alternativa è che loro vengano meno. E quindi dobbiamo interrogarci se ci sia un’altra strada.
Per comprendere la situazione in cui ci troviamo sarebbe necessario, a mio parere fare un piccolo passo indietro.
La storia dei nostri gruppi associativi, di tutti i gruppi associativi, parte da grandi contrapposizioni culturali. La prima divisione nell’associazionismo giudiziario si basava sull’applicazione e interpretazione dell’art. 3 della Costituzione: questo ha creato la prima distinzione tra magistrati progressisti e magistrati conservatori. Facendo un rapido balzo in avanti nel tempo, abbiamo vissuto tutti quanti – e forse noi della nostra generazione l’abbiamo vissuta meglio e di più – una fase in cui le grandi contrapposizioni ideali all'interno della magistratura sono andate pian piano scemando. Forse perché alcune posizioni, alcune scelte erano diventate patrimonio comune dell’intera Magistratura, non c’era più bisogno di contrapporsi ad esse; molte di queste posizioni comuni erano originariamente posizioni della Magistratura progressista, e questo sicuramente può far vanto a molti di voi.
Il problema è che questo ha determinato un isterilimento dell’associazionismo – e devo dire, di alcuni gruppi, più che di altri.
Il fatto che alcuni gruppi associativi abbiano perso una forte componente di aggregazione culturale, ha determinato, in un sistema nel quale è necessario comunque – come nellapolitica generale – aggregare consensi, che si scivolasse progressivamente su un terreno diverso, quello dell'aggregazione per clientele; la stessa strada percorsa dalla politica in tempi diversi e forse precoci rispetto alla Magistratura. Quando non è più possibile aggregare consensi in base ad opzioni ideali, i sistemi rappresentativi degenerano ed iniziano ad aggregarsi attraverso altri fattori, per esempio aggregare per interessi.
La scelta di seguire politiche corporative – ma direi di più – politiche clientelari, è stata ed è ancora oggi – ed i risultati elettorali lo dimostrano – per alcuni gruppi una scelta di sopravvivenza.
Questo ovviamente deve essere un primo punto di riflessione, anche per chi cerca di mantenere in piedi una identità culturale e continuare a ragionare nel dare contenuti ideali, culturali, valoriali all’associazionismo.
Ovviamente questa tensione non è, non è stata priva di contraccolpi.
Noi abbiamo vissuto nella storia della Magistratura delle scissioni importanti, proprio per il rigetto, anche all’interno dei gruppi che si avviavano, verso logiche più corporative e clientelari; fenomeni di rigetto che hanno prodotto scissioni, svolte e creazioni di nuovi soggetti. La nascita del Movimento per la Giustizia è parte di questa storia: è il rigetto rispetto a logiche clientelari che avevano pervaso e che già molti anni fa erano considerate un di cancro sia in Unità per la Costituzione, che in Magistratura Indipendente. Ma se guardiamo più vicino a noi, tutto sommato anche la scissione di Magistratura Indipendente con la creazione di Autonomia e Indipendenza è una scelta che si fonda radicalmente sull’affermazione di una questione morale, e sul rigetto di un modello di fare associazionismo basato sulla gestione clientelare del potere e sul più opaco collateralismo alla politica.
In tutto questo, si inserisce poi la nuova (ormai vecchia) legge elettorale per il rinnovo del CSM.
La legge elettorale vigente ha determinato una ulteriore torsione di questo sistema, portando a due fenomeni.
Nel tentativo di ridurre la capacità e il potere delle correnti, il legislatore che fa? Crea un sistema elettorale con un collegio unico nazionale, maggioritario ed uninominale; riduce il numero di consiglieri; inconsapevolmente mette in mano alle correnti la possibilità di designare, di nominare ex ante rispetto alle elezioni quelli che saranno gli eletti al Consiglio Superiore della magistratura. Priva gli elettori di qualsiasi potere di scelta.
Questo determina – dicevo- due effetti distorsivi. Il primo: il fatto che gli eletti vengano, di fatto, sostanzialmente nominati, che vengono prescelti dalle correnti crea un forte rapporto di dipendenza tra il gruppo e il nominato. Talvolta, come abbiamo visto di recente il rapporto di dipendenza non è neanche nei confronti della corrente ma di chi, all'interno di essa esercita una posizione di potere reale controllando il consenso elettorale.
Il secondo effetto distorsivo, che pure non dobbiamo sottovalutare, va in senso opposto al primo, e si traduce nella totale autonomizzazione dell'eletto rispetto al gruppo che lo ha sostenuto, determinando l'eliminazione di ogni responsabilità politica che pure deve essere alla base di un sistema di rappresentanza realmente democratico. Ciò avviene in relazione alla candidatura del personaggio di grande prestigio personale, che si impone rispetto al gruppo. La scelta di candidature di grande prestigio personale porta ad una importante affermazione elettorale ma fatalmente, nel corso del mandato colloca questo tipo di candidato all'esterno del meccanismo di rappresentanza del gruppo che postula, appunta, la responsabilità politica. Quel meccanismo in base al quale le scelte di governo e di gestione, quando risultino errate o persino compromettenti si ripercuotono in una responsabilità politica che ricade sul gruppo. Se però il soggetto eletto, in virtù dei consensi prevalentemente personali, si rende completamente svincolato rispetto al gruppo e addirittura è soverchiante rispetto ai principi e ai valori del gruppo che dovrebbe rappresentare diventa completamente autoreferenziale e le sue scelte finiscono per essere determinate da logiche personalissime e talvolta opache.
Questo è – a mio parere- il quadro nel quale si inseriscono i fatti più recenti emerse dalle indagini della Procura della Repubblica di Perugia ed a noi noti tramite le cronache dei mezzi di informazione.
Tali recenti vicende rappresentano certamente una ulteriore involuzione del sistema. Perché, come premettevo, questa vicenda dimostra come non sono più neanche correnti a intervenire in modo deviante sulle decisioni del governo autonomo, sono soggetti che all’interno delle correnti assumono una posizione di potere.
Perché dico che non sono neanche più correnti? Perché secondo le ricostruzioni dell'informazione, intorno ad un tavolo, la sera, in un certo albergo a tessere le trame delle nomine di vertice in alcuni importati uffici giudiziari scopriamo che non ci sono i segretari delle correnti, quelli che avrebbero la rappresentanza statutaria del gruppo e ne potrebbero indirizzare le scelte. E non c’è neanche una sola corrente. Ci sono dei soggetti che hanno un potere reale – che si traduce nella disponibiltà dei consensi elettorali necessari per far eleggere i consiglieri superiori– e che sono esponenti di due differenti correnti che, per inciso, assumono spesso posizioni conflittuali tra di loro. Quello che viene in emersione è quindi, una cosa ancora ulteriore e diversa rispetto ai fenomeni già noti della degenerazione correntizia. Configura l’aggregazione di un sistema di potere, che a questo punto si stacca in modo apprezzabile dal sistema delle correnti.
E non si può sottacere, se si vuole ben comprendere il fenomeno, che a quel tavolo non c’erano soltanto magistrati. C’era anche la politica. Anche la politica gioca, in questa circostanza, un ruolo improprio e deviante rispetto alle dinamiche consigliari. Si tratta peraltro di una politica che porta le proprie istanze meno nobili nel luogo ove vengono presi segreti accordi anziché nella sede istituzionale propria, il CSM, nella quale quelle decisioni devono essere prese e dove, per dettato costituzionale la politica ha piena cittadinanza a partecipare in modo pubblico e trasparente.
Il contributo della politica a quel tavolo non è neanche più un contributo meramente clientelare; sembra essere, invece e ben più gravemente, il tentativo di orientare, attraverso le nomine ai vertici degli uffici giudiziari, le scelte giurisdizionali che in quegli uffici dovranno essere assunte.
Questo è il livello di torsione al quale siamo arrivati.
E allora, concludendo, e tornando alla domanda principale: c’è uno spazio nel quale l'associazionismo giudiziario può esercitare il suo ruolo senza diventare metastasi del sistema di autogoverno?
Credo che una soluzione adeguata non possa che imporre che il CSM rimanga una istituzione fondata sul principio di rappresentanza. Va quindi bandita e dichiarata inaccettabile ogni ipotesi di riforma che preveda la sua formazione attraverso strumenti differenti dalle elezioni. In particolare deve essere respinta l'ipotesi di sua composizione per sorteggio. Su questo, noi qui in questa sala siamo tutti d’accordo ma, devo dire, sono pochi quelli tra i giuristi, nel mondo dell’avvocatura, pochissimi nel mondo della Magistratura sostengono che il CSM possa essere un luogo dove non ci sia rappresentanza e sia formato tramite sorteggio dei soggetti che lo compongono. Vorrebbe dire nullificare il ruolo istituzionale. Se noi pensassimo ad una Corte Costituzionale di sorteggiati, ad un Parlamento di sorteggiati o ad una Authority di sorteggiati, avremmo un esempio ben nitido del decadimento del ruolo istituzionale che verrebbe subito dal Consiglio.
Se il Consiglio deve esistere non può che essere un Consiglio che si basa sulla rappresentanza. E la rappresentanza della magistratura non può che essere aggregata attraverso la competizione elettorale democratica tra diverse associazioni di magistrati, aperta alla partecipazione anche di candidati indipendenti. Ciò è tanto necessario ed inevitabile che “Se non ci fosse l’associazionismo giudiziario perchè vietato per legge – cito un paradosso di Giuseppe Cascini, in un suo intervento recente – si passerebbe all’associazionismo segreto, perché l’associazionismo dei magistrati è insopprimibile”.
E allora che fare? Mi permetto di sollecitare l'attenzione alcune necessità.
La prima: bisogna manutenere la tenuta democratica delle nostre associazioni. Le nostre associazioni devono essere delle strutture democratiche, trasparenti e quanti in esse militano devono impegnarsi e garantire che esse non siano un simulacro che viene agito dall’esterno o dall’interno attraverso logiche opache, che non vi abbiano più accoglienza centri di potere palesi od occulti che non coincidano con le rispettive dirigenze statutarie, democraticamente elette e perciò politicamente responsabili rispetto al proprio corpo sociale.
La seconda: modificare urgentemente il sistema elettorale del CSM. Noi dobbiamo arrivare ad un sistema elettorale che garantisca due risultati: la responsabilità politica delle aggregazioni che si presentano; una possibilità reale di scelta degli elettori tra più candidati, anche all’interno di una stessa lista o di una stessa coalizione.
Altro tema di centrale importanza: le regole consigliari sono state per lungo tempo concepite ed utilizzate per rafforzare la capacità di clientela dei gruppi associativi, anziché per ridurla. Ricordiamoci quello che era fino a pochi anni fa il monopolio dell’informazione: per avere semplicemente una notizia il magistrato doveva andare col cappello in mano da qualche esponente di corrente alimentando un sistema che scambiava il faore con il consenso e contrabbandava per favore l'esercizio di un diritto. La maggior trasparenza del CSM e regole chiare costituiscono uno strumento strategico per contrastare il clientelismo.
L’ultima considerazione: non possiamo pensare che il problema si risolva indicando una, due persone, per quanto con nomi altisonanti, celebri, celeberrimi e farne i capri espiatori del sistema clientelare della Magistratura. Ci sono delle persone che hanno delle specifiche responsabilità, ma non compete a noi sul piano giudiziario e disciplinare valutarle.
C’è però una questione morale che riguarda l'intera Magistratura, e ne abbiamo avuto dimostrazione nelle ultime elezioni: l’offerta di clientela si salda ad una domanda di clientela. Se c'è chi elargisce favori e ne fa sistema di gestione del potere c'è anche chi i favori li chiede ed alimenta questo potere.
Se il corpo della Magistratura in modo ipocrita indica nelle correnti, come fossero altro da se, o in alcuni all’interno delle correnti i soli responsabili di questa situazione, non compie in modo corretto il proprio dovere deontologico ed etico.
Tutti i magistrati si devono invece interrogare circa il livello etico dei propri comportamenti e se gli stessi siano adeguati a garantire un autogoverno corrispondente alle aspettative del legislatore costituzionale.
Sul Forum si rinvia alla lettura dei precedenti contributi :Introduzione di Alfonso Amatucci al forum I MALI DEL CSM E LA LORO SCOMPARSA: L’INVADENZA DELLE CORRENTI O LA LORO SCOMPARSA? ,