Back to the basics. Indisponibilità dei diritti fondamentali e principio di dignità umana dopo Sezioni Unite n. 38162/2022[1] di Valentina Calderai
Sommario: 1. Un caso difficile - 2. Significato metodologico - 3. Significato sostanziale - 4. Le questioni aperte.
1. Un caso difficile.
Interpellate, per la seconda volta in poco più di tre anni, in merito alla trascrizione del titolo dello stato filiale dei nati da maternità surrogata formato all’estero, le Sezioni Unite hanno ribadito che la garanzia del diritto «imprescindibile» del figlio alla costituzione dello stato nei confronti del genitore committente è adeguatamente soddisfatta, in assenza di un legame di discendenza genetica, dal procedimento di adozione in casi particolari, in ragione del rango di ordine pubblico costituzionale del divieto di surrogazione di maternità e della conseguente esigenza di trovare un ragionevole equilibrio tra il rifiuto di assecondare una pratica riprovata dall’ordinamento e l’apprezzamento in concreto del miglior interesse del bambino.
La Corte, peraltro, non si limita a consolidare e corroborare l’orientamento già in precedenza espresso da SU 12193/2019[1]. Nel solco di C. Cost. n. 79/2022[2], le Sezioni Unite aggiungono un tassello importante alla piena attuazione del principio dello stato unico filiale nei confronti delle bambine e dei bambini adottati nei modi degli artt. 44 ss. L. 183/184[3] e, soprattutto, propongono una lettura dell’ordine pubblico in relazione al principio della dignità umana — «nella sua dimensione oggettiva»[4] — che, forse per la prima volta nella giurisprudenza sul tema, supera la declinazione esclusivamente penalista dell’ordine pubblico per cogliere i profili di oggettivo contrasto della pratica con i diritti inviolabili delle madri surrogate e dei bambini. Anche per questo è una «decisione di sistema»[5], la cui portata trascende lo stesso thema decidendum. Senza immaginare neppure di esaurire il significato sistematico della sentenza, le brevi note che seguono cercano per un verso, di isolare alcuni profili metodologici e sostanziali a mio avviso cruciali, per altro verso di guardare (durch SU 38162/2022 über SU 38162/2022 hinaus) agli aspetti ancora problematici della tutela dei nati da madri surrogate, individuati dalla stessa Suprema Corte.
2. Significato sostanziale metodologico.
Tre anni sono un tempo breve anche per un organo storicamente insofferente alle rigide strettoie nomofilattiche, soprattutto se la prima decisione a Sezioni Unite è seguita (nell’ordine) da un Parere della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e da una sentenza della Consulta che ne hanno sostanzialmente confermato la portata. Tanto breve da giustificare pienamente le critiche rivolte alle due ordinanze interlocutorie della Prima Sezione civile[6] sotto il profilo del ragionevole rapporto tra interpretazione adeguatrice, giusto processo e nomofilachia, a tutela del principio di eguaglianza[7]. Ma è pur vero che i tre anni di assedio al principio di diritto affermato da SU 12193/2019 hanno suscitato un discorso pubblico, scientifico e giurisprudenziale, sulla (in)disponibilità dei diritti inviolabili, sul significato della genitorialità (indipendentemente dall’orientamento sessuale), sui limiti della legge sull’adozione, in breve: sui diritti civili, quale non si vedeva da tempo, con ricadute importantissime per la tutela dei bambini: penso in particolare a Corte Cost. n. 79/2022 e all’affermazione in via generale del principio dello stato filiale unico nel raggio di applicazione dell’adozione in casi particolari.
In questo contesto, il primo acquis di SU 38162/2022 è metodologico. La Corte ha respinto l’uso alternativo (o semplicemente disinvolto) del diritto (giurisprudenziale), per avallare pretesi contrasti «insuperabili» del diritto vivente italiano con la giurisprudenza convenzionale e costituzionale, declinando l’invito implicito a surrogare la legge: non per ossequio a un legislatore al di sotto di ogni possibile aspettativa sulle questioni cosiddette eticamente sensibili, ma per saldissime ragioni legate al principio di legalità, alla leale collaborazione tra istituzioni, alla consapevolezza della «complessità dell’esperienza e della connessione tra questa e il sistema»[8]. Al tempo stesso ha fatto quel che il Giudice di legittimità e di costituzionalità delle leggi deve saper fare: mobilitare tutte le risorse dell’interpretazione storico-evolutiva, sistematica, costituzionalmente orientata per rispondere a un problema di effettività della tutela. Il risultato è il superamento — in via generale — del secondo profilo di inidoneità dell’adozione speciale messo in luce (ma non risolto) da C. Cost. 33/2021[9]: il potere di interdizione attribuito ai «genitori esercenti la responsabilità genitoriale» (art. 46, comma 2 ̊, l. n. 183/1984).
3. Significato sostanziale.
Se i primi commenti sono un indice attendibile dell’orientamento generale, la giurisprudenza pratica e teorica tornerà a dividersi sull’interpretazione in chiave oggettiva della tutela della dignità umana quale ratio sottesa al contrasto delle leggi straniere che regolano la surrogazione di maternità con l’ordine pubblico costituzionale. Il principio di dignità è diventato un legal irritant (come «good faith» per i common lawyers) ed è bene che sia così, perché il confronto libero e pubblico delle idee serve a fare chiarezza sul tema del contendere: la (in)disponibilità dei diritti fondamentali e il tipo di comunità che vogliamo essere.
Tutela della dignità umana nella sua dimensione oggettiva, nel caso specifico, vuol dire che i diritti oggetto degli accordi di surrogazione, segnatamente i diritti connessi all’integrità personale, alla salute, all’intimità, allo stato, non sono disponibili, neppure a titolo gratuito. Qualcuno invoca l’etica kantiana, ma a sproposito: sia perché Kant, affermando nel modo più reciso il divieto di disporre di sé ha in mente un dovere che l’individuo ha verso se stesso e in nessun modo un principio del commercio giuridico; sia (appunto!) perché il corpo e l’intimità sono sempre stati in commercio. Il problema della (in)disponibilità dei diritti fondamentali interpella i giuristi come problema squisitamente giuridico, prima che etico, ed è un problema che nell’alveo della tradizione giuridica occidentale ha ricevuto e riceve risposte diverse.
Nella Costituzione italiana l’idea di dignità è richiamata tre volte: la prima nella definizione del concetto di eguaglianza formale (art. 3); la seconda, in modo più sostanziale, come diritto dei lavoratori a un’esistenza libera dal bisogno (art. 36); la terza, come limite all’iniziativa economica privata (art. 41). In modo indiretto, ma non meno certo, lo stesso divieto fatto alle leggi che impongono trattamenti sanitari di «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» è un limite a salvaguardia della dignità umana[11]. Queste disposizioni non saprebbero giustificare un limite assoluto e fanatico al diritto di autodeterminazione individuale e tuttavia possono bene imporre la sottrazione al libero mercato di (alcune) delle utilità derivanti dall’uso del corpo e dell’intimità umana, in nome di valori ed esigenze che non sono paternaliste (non rispondono solo o necessariamente al best interest dei diretti interessati), né stataliste (non servono al Potere), né economiche (possono e devono, se necessario, essere attuate in perdita: incommerciabilità del sangue), ma civili: espressive dei valori della civitas. Il senso felicemente eversivo della posizione del principio di dignità umana nella Costituzione italiana e nel Grundgesetz, la ragione per cui non può essere assimilato «a un diritto fondamentale, né a una super-norma»[12], è nell’aver legato insieme libertà, eguaglianza, solidarietà: la pretesa incondizionata dei diritti umani di valere universalmente e il radicamento dei diritti fondamentali in una comunità, «a place in the world which makes opinion significant and actions effective»[13], e in una democrazia[14].
Il costituzionalismo italiano e europeo non sottoscrive al paradigma di autodeterminazione come «absolutist, libertarian right»[15] sul corpo, l’intimità, gli status. Al contrario, l’insindacabilità della scelta (anche) nella sfera dell’intimità è un valore strumentale alla realizzazione dei diritti individuali e può essere limitata – come sperimentiamo del resto ogni giorno – in ragione del principio di solidarietà, per la tutela di interessi generali e la protezione dei diritti di singoli e gruppi. La contraria opinione presuppone una cornice etico-politica prossima al costituzionalismo statunitense, che in effetti ammette la disponibilità dei diritti fondamentali in modo molto più generoso di quanto non avvenga in Europa e, soprattutto, non ha sviluppato una teoria elaborata della Drittwirkung.
S.U. 38162/2022 si inserisce in questo quadro in modo sorprendente per una giurisprudenza assuefatta alla logica del fait accompli. Dalle primissime battute, invece di recitare il mantra dell’impotenza del diritto interno di fronte alla violazione dei diritti umani e della priorità della cura dei minori hic et nunc (pace per quelli che verranno) squarcia il velo, per la prima volta in un consesso di massima istanza, su quel che un Rapporto del 2019 del Consiglio per i diritti umani delle nazioni unite ha definito le «systemic abusive practices»[16] (spoiler: California inclusa) del mercato della discendenza: «Nella gestazione per altri non ci sono soltanto i desideri di genitorialità, le aspirazioni e i progetti della coppia committente. Ci sono persone concrete. Ci sono donne usate come strumento per funzioni riproduttive, con i loro diritti inalienabili annullati o sospesi dentro procedure contrattuali. Ci sono bambini esposti a una pratica che determina incertezze sul loro status e, quindi, sulla loro identità nella società»[17].
Si obietta: ma questa è la surrogazione commerciale, leggi: dove la gestante riceve riceve un compenso (orrore!), non la surrogazione gratuita, leggi: dove solo la gestante non riceve un compenso (applausi!). Una «goccia d’olio» giusrealista consiglia un atteggiamento più critico. Si dovrebbe considerare se sia sufficiente un’analisi delle black letter rules che attesti la formale assenza di un corrispettivo o non sia opportuno allargare l’orizzonte della ricerca al contesto normativo e ambientale dell’esecuzione del contratto, sotto il profilo dell’elusione del divieto e della vulnerabilità particolarmente di donne giovani, in determinati contesti, alle pressioni dei familiari. L’analisi comparatistica mostra come in occidente la combinazione di gratuità e revocabilità del consenso esista in purezza, ma per lo più sulla carta, solo nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e, appunto, nella British Columbia. I risultati di questi esperimenti — tra incertezze applicative, mancanza di effettività, revisioni continue, proposte di riforma nel segno del controllo giudiziale preventivo e della vincolatività degli accordi a titolo oneroso — suggeriscono peraltro che la surrogazione altruistica tra estranei è un esempio plateale di fallimento della regolamentazione. In tutto il mondo il modello altruistico arretra di fronte all’avanzata della surrogazione commerciale, sulle ali della competizione regolatoria. Le ragioni di questo scacco si annidano nei costi di transazione insostenibili di un modello autenticamente ispirato al principio della extra-patrimonialità del corpo e degli status: senza incentivi economici adeguati, non ci sono abbastanza donne disposte a farsi carico dell’onere fisico e psicologico di una gravidanza; senza efficaci garanzie ex ante in merito all’esecuzione di accordi esposti a un gran numero di sopravvenienze, troppi aspiranti genitori scelgono di andare all’estero, piuttosto che sottostare alla discrezionalità di una sconosciuta e a pervasivi controlli giurisdizionali e amministrativi[18].
Più radicalmente, si dovrebbe indagare fino a che punto il nesso tra ordine pubblico e gratuità non sia il retaggio di un’analogia spuria con la prostituzione e di stereotipi inconsapevolmente ma francamente sessisti sulla maternità come abnegazione e dono di sé. Soprattutto, nel quadro di un ordinamento che non reprime penalmente la surrogazione di maternità in quanto tale, ma l’intermediazione, è di capitale importanza valutare se l’assenza di corrispettivo per la gestante sia una risposta adeguata all’istanza di non mercificazione, ove l’accordo (asseritamente a titolo gratuito) tra la madre surrogata e i committenti sia preparato, programmato, eseguito, nella cornice dell’attività imprenditoriale di organizzazioni che operano a fini di lucro, attraverso la conclusione di una pluralità di contratti, tutti — beninteso — a titolo oneroso.
In questo contesto caotico e frammentario la determinazione dei presupposti per una pratica della surrogazione di maternità in qualche modo compatibile con i principi fondamentali del’ordinamento, esige un patrimonio di conoscenza empirica e un livello di elaborazione teorica che non possediamo ancora. Non è chiaro, infatti, quali predicati dovrebbero qualificare l’accordo di surrogazione di maternità per ricondurre l’imprevedibilità dei casi concreti alla riconoscibilità della fattispecie generale e astratta né, soprattutto, quale metodo e quali argomenti dovrebbero sostenere la selezione degli elementi normativi qualificanti.
In questo contesto, il richiamo al significato oggettivo della principio-dignità da parte di S.U. 38162/2022 è insieme un esercizio di umiltà e una professione di fiducia nella forza del diritto: «il nostro sistema vieta qualunque forma di surrogazione di maternità, sul presupposto che solo un divieto così ampio è in grado, in via precauzionale, di evitare forme di abuso e sfruttamento di condizioni di fragilità»[19].
4. Le questioni aperte.
Quid iuris se il genitore puramente intenzionale, al ritorno in patria, rinuncia a costituire il rapporto di filiazione, omettendo di instaurare la procedura di adozione?
La questione[20] irrompe come un accordo dissonante in una motivazione improntata alla ricerca dell’armonia tra le ragioni della tutela ex ante dei soggetti messi a rischio dalla pratica della surrogazione di maternità e tutela dell’interesse del minore. E si deve pure aggiungere che i casi di «pentimento» saranno verosimilmente assai rari, sicché bene ha fatto la Suprema Corte a escludere che una «evenienza particolare» giustifichi l’automatismo in via generale della trascrizione.
Ma è pur vero che una risposta al problema va data e può essere imbastita riflettendo sui limiti all’esercizio del diritto in contrasto con una precedente condotta, generatrice del legittimo affidamento di un terzo: nemo contra factum proprium venire potest. Separando la procreazione dal concepimento, le tecnologie della riproduzione hanno dischiuso un orizzonte di libera scelta in un dominio già governato da istituzioni sedicenti naturali, ma al tempo stesso hanno moltiplicato i rischi e le responsabilità connessi all’uso malaccorto, opportunistico o abusivo della libertà. Non a caso una delle rare concretizzazioni pretorie del cosiddetto divieto di venire contra factum proprium fu autorevolmente ravvisata nella preclusione all’azione il disconoscimento[21], imposta a mo’ di estoppel dalla Suprema Corte al coniuge consenziente alla fecondazione eterologa, in connessione con i «canoni generali dell’ordinamento sul dovere di lealtà nei rapporti intersoggettivi», presa a modello dall’art. 9 l. 40/2004. Anche in quell’occasione, peraltro, la Consulta aveva dissodato il terreno per l’intervento supplendi causa della giurisprudenza di legittimità, autorizzando «nell’attuale situazione di carenza legislativa» il giudice a cercare nell’interpretazione costituzionalmente adeguata del sistema nel suo complesso gli strumenti di tutela dei diritti del nato «nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità»[22].
L’eco di queste parole risuona distintamente nel passaggio della decisione in commento, che invita l’interprete a ricercare «ove si presenti il caso […] nel sistema gli strumenti affinché siano riconosciuti al minore, in una logica rimediale, tutti i diritti connessi allo status di figlio anche nei confronti del committente privo di legame biologico, subordinatamente ad una verifica in concreto di conformità al superiore interesse del minore. Difatti, chi con il proprio comportamento, sia esso un atto procreativo o un contratto, quest’ultimo lecito o illecito, determina la nascita di un bambino, se ne deve assumere la piena responsabilità […]»[23].
Nella «logica rimediale» auspicata dalla Corte, l’esigenza di tutela non cambia a seconda che l’impegno tradito si sia concretizzato in una fattispecie regolata dal diritto interno (consenso alla fecondazione eterologa), ovvero nelle forme e nei modi previsti da una legge straniera in contrasto con l’ordine pubblico costituzionale (partecipazione in veste di committente alla conclusione e alla esecuzione di un accordo di surrogazione di maternità). In entrambi i casi, si tratta di garantire ai bambini nati da procreazione assistita quantomeno la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che l’art. 30, comma primo, Cost. riconosce a tutti i figli, indipendentemente dall’esistenza di uno stato di filiazione formalmente costituito. La differenza sussiste bensì sul piano degli strumenti della tutela, laddove non si tratta di proteggere uno stato già formalmente accertato dall’esercizio abusivo dell’azione di disconoscimento, ma di ottenere un provvedimento che realizzi gli effetti dello stato, a fronte del rifiuto contrario a buona fede di dar corso al procedimento di adozione.
L’allusione a un «contratto […] illecito» invita a una lettura in chiave, per così dire, jheringhiana della questione. Dal primo contratto con l’intermediario all’esecuzione dell’accordo concluso con la gestante, fino al provvedimento (certificato di nascita ovvero ordine giurisdizionale) ottenuto in conformità alla lex loci, passando per una serie articolata e coordinata di contratti stipulati con varie figure professionali e di atti di natura amministrativa: più di ogni altra modalità di riproduzione assistita, la surrogazione di maternità si realizza nel compimento di una complessa attività giuridica, che vede i committenti impegnati nella veste di parte unitaria e inscindibile, al fine di conseguire un titolo dello stato, riconosciuto peraltro solo in parte dal diritto italiano. A seconda che si adotti il punto di vista dell’ordinamento straniero o dell’ordinamento nazionale, quel provvedimento apparirà di conseguenza come il fondamento giustificativo dell’intera operazione o un passaggio obbligato, ma interinale, di un progetto più ampio, volto al definitivo accertamento dello stato di genitori: in ogni caso, non è semplicemente la manifestazione ostensibile dei reciproci affidamenti, ma il risultato di un programma negoziale comune, dunque un rapporto giuridico, che vincola i «genitori» secondo il titolo parzialmente inefficace ottenuto all’estero a compiere tutto quanto è necessario per ottenere un titolo pienamente efficace nell’ordinamento interno, nell’interesse del figlio.
Ciò posto, dopo tre sentenze della Consulta e due decisioni a Sezioni Unite, inframmezzate da un Parere della Corte europea dei diritti dell’uomo, non c’è ragione di dubitare che l’adozione sia oggi per il diritto vivente italiano il modo di costituzione dello stato nei confronti del genitore puramente intenzionale dei figli nati da madri surrogate. Segue da questa premessa che la cooperazione al relativo procedimento rappresenta, nel rapporto tra i committenti, l’oggetto di un legittimo affidamento, se non anche di una aspettativa tutelata, come si addice del resto a una fattispecie a formazione progressiva («qualcosa di più di un mero potere di fatto e non […] ancora il pieno diritto soggettivo»[24]), laddove nel rapporto tra i genitori committenti e il figlio assume il significato di un vero e proprio dovere giuridico, riferito all’esercizio conforme a correttezza di un potere discrezionale.
L’interpretazione funzionale del consenso ex art. 46 l. n. 184/1983 alla tutela dell’adottato proposta dalle Sezioni Unite corrobora questa ipotesi di lavoro[25]. Se nel rapporto tra i committenti l’irrilevanza del dissenso manifestato dal titolare della responsabilità parentale in contrasto con l’interesse del figlio segnala il riconoscimento di una aspettativa tutelata dell’adottante a che la costituzione dello stato non sia ostacolata da iniziative emulative o pretestuose, nel rapporto tra il genitore e il figlio essa s’intende invece agevolmente nel quadro della responsabilità genitoriale modernamente intesa, là dove l’esercizio discrezionale delle corrispondenti facoltà è limitato dal dovere di tener conto dell’interesse (legittimo, di diritto privato) dell’adottando[26].
Si tratta a questo punto di considerare se la categoria del rapporto giuridico possa in qualche modo contribuire a far luce anche sull’ipotesi, speculare, della rinuncia a instaurare il procedimento di adozione. Nella misura in cui il titolo dello stato straniero è l’effetto perseguito dai committenti nel quadro di un programma negoziale condiviso, espressione di solidarietà familiare, non c’è ragione di negare l’interesse giuridicamente tutelato del genitore biologico a che il genitore puramente intenzionale dia corso all’adozione. La causa del riconoscimento di un tale interesse si identificherebbe nella protezione di un affidamento qualificato — «the plaintiff has in reliance on the promise of the defendant changed his position», nella classica definizione di Lon Fuller[27] — e il suo oggetto sarebbe la richiesta di condanna a un risarcimento calibrato sulla condivisione dei costi del mantenimento, istruzione, educazione del figlio. Va aggiunto che un affidamento tutelabile non potrebbe essere escluso dall’illiceità della surrogazione di maternità, sia perché l'ordinamento italiano non vieta ai cittadini di recarsi nei paesi dove la pratica è lecita, sia perché il provvedimento straniero è a ben vedere doppiamente efficace e rilevante per il diritto interno: come atto parzialmente trascrivibile nei confronti del genitore biologico e, soprattutto, come presupposto necessario per l’instaurazione del procedimento adozione nei confronti del genitore puramente intenzionale.
Indipendentemente dalle conseguenze della lesione dell’affidamento nel rapporto tra i committenti, è incontestabile che il figlio vanti una più forte pretesa, dell’ordine dei diritti soggettivi, nei confronti del committente che ricusi l’adozione. Non è chiaro però di quali «strumenti» dispongano i figli per concretizzare una tale pretesa: un sistema di tutela civile dei diritti improntato alla tipicità e tassatività delle azioni costitutive (art. 2908 c.c.)[28] non dispone prima facie di un rimedio, una sorta di promissory estoppel di diritto familiare, che consenta di considerare vincolanti e coercibili gli atti necessari per attribuire piena efficacia nel diritto interno al titolo dello stato straniero.
Esclusa un’azione modellata analogicamente sull’art. 269, primo comma, c.c., per la dipendenza della dichiarazione giudiziale dai presupposti del riconoscimento, che distruggerebbe le condivisibili ragioni alla base della scelta delle Sezioni Unite di ricusare la genitorialità meramente intenzionale, l’esigenza di tutela potrebbe far leva sull’applicazione analogica, alternativamente, della disposizione che attribuisce al matrimonio (nel nostro caso: il provvedimento straniero) nullo gli stessi effetti del matrimonio valido nei confronti dei figli (art. 128, comma secondo, c.c.) o dell’azione di «responsabilità per il mantenimento e l’educazione», esperibile «in ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità» (art. 279, primo comma, c.c.), valorizzando la vocazione di norma di chiusura del sistema della disposizione. Otterremmo così in questa particolare ipotesi il risultato, prospettato in via generale da una parte della dottrina, di pervenire alla costituzione ex uno latere dello stato, nel primo caso, o di riconoscere al figlio i diritti derivanti dallo stato senza costituire lo stato, nel secondo caso[29].
Queste soluzioni non rappresentano a mio avviso strumenti appropriati per il governo complessivo degli effetti del cosiddetto turismo procreativo nel diritto interno, in ragione dello stigma gettato su rapporti familiari di cura e di affetto. Il problema posto dalla maternità surrogata in un ordinamento pluralista e radicato nella tradizione del costituzionalismo europeo, non è la repressione dei modelli familiari comunque eccentrici rispetto alla famiglia eterosessuale e naturaliter fertile. È invece il problema dell’impatto delle forze di mercato e dei poteri privati sui diritti inviolabili di individui e di gruppi vulnerabili[30]. Limitatamente al caso di specie, tuttavia, l’applicazione di queste norme avrebbe il vantaggio evidente di permettere al figlio di declinare la costituzione dello stato nei confronti di chi, avendo condiviso la responsabilità della sua nascita, lo ha poi rifiutato. La soluzione modellata sull’art. 279, primo comma, c.c., d’altro canto, non consentirebbe al figlio di instaurare i legami di parentela connessi allo status e sul piano successorio avrebbe i limitati effetti previsti dagli artt. 580 e 594 c.c., laddove l’ipotesi tratta dall’art. 128, secondo comma, c.c., garantirebbe ai figli la pienezza dei diritti, sotto il profilo della responsabilità genitoriale, della costituzione dei rapporti di parentela, degli effetti successori.
Una terza via, non alternativa a quelle testé prospettate, potrebbe far leva sulla straordinaria forza espansiva e promozionale dell’ordine pubblico costituzionale nei rapporti familiari. L’art. 30, terzo comma, Cost. invita — anzi «incita», scrisse Michele Giorgianni in un saggio memorabile[31] — il legislatore ad assicurare ai figli illegittimi «ogni tutela giuridica e sociale». Astrazion fatta dal contesto e dalla ratio originaria, diretta a estirpare dal diritto e dai costumi la discriminazione dei figli nati fuori del matrimonio, resta intatta la necessità di garantire «ogni tutela giuridica» alle bambine e ai bambini, comunque venuti al mondo, e ben potrebbe rappresentare la base legale per una tutela costitutiva. A fronte dell’obbligo disatteso dal genitore puramente intenzionale, avremmo così un intervento del giudice costitutivo dello stato, fondato sulla drittwirkung mediata della Costituzione e modellato quoad effectum sulla dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. Questa soluzione, esperibile in alternativa all’applicazione dell’art. 128, secondo comma, c.c., consentirebbe ai figli nati da maternità surrogata di instaurare il rapporto di filiazione a condizioni di reciprocità col genitore puramente intenzionale, se lo desiderano, nonostante il rifiuto di quest’ultimo. Ma il suo significato di politica del diritto è potenzialmente più ampio, rivolto a chi intende il diritto civile semplicemente come un modo per regolare affari privati o coltiva l’illusione neoliberale dell’illimitata espansione dei diritti individuali, una volta che siano ridotti ad assets proprietari. Il fondamento costituzionale della tutela costitutiva dei bambini nati dalle tecnologie riproduttive guarda all’impatto devastante sui diritti individuali e sociali di alcune applicazioni tecnologiche avanzate, nel quadro di economie globalizzate e della competizione regolatoria: penso in particolare allo human enhancement. L’ordinamento italiano non rinuncia a valutare dal punto di vista dei fondamenti costituzionali del sistema quel che l’industria della discendenza ha da offrire, ma, in adesione alle linee portanti dell’ordine pubblico europeo in tema di filiazione che si va disegnando[32], «non volta le spalle al nato»[33].
E anche questo, naturalmente, ha che fare con le radici della tutela della dignità umana nell'idea di eguaglianza.
[1] Cass., sez. un., 8.5.2019, n. 12193, in NGCC, 2019, I, 737 ss., con nota di Salanitro, e in Foro it. 2019, I, 4027, con nota di Luccioli.
[2] Su cui M. Bianca, La corte costituzionale e il figlio di coppia omoaffettiva. Riflessioni sull'evoluzione dei modelli di adozione, in Familia, 2022, 364 e ss
[3] Sul punto, in dottrina: M. Cinque, Quale statuto per il ‘genitore sociale’?, in Riv. dir. civ., 2017, 1475, ss.; N. Chiricallo, Maternità surrogata e adozione in casi particolari: il doppio “non liquet” della Consulta, in Familia, 2021, 405 ss.; C. Favilli, Stato filiale e genitorialità sociale: dal fatto al rapporto, in Giur. it., 2022, 312 ss.; V. Calderai, Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Riv. dir. civ., 3/2022, 478 ss.
[4] Corte di Cassazione, S.U., 30 dicembre 2022, n. 38162, p. 18 della motivazione in diritto.
[5] M. Bianca, Le Sezioni Unite e i figli nati da maternità surrogata: una decisione di sistema. Ancora qualche riflessione sul principio di effettività nel diritto di famiglia, in questa Rivista.
[6] Rispettivamente: Cass. civ., ord. 29 aprile 2020, n. 8325 (alla Corte Costituzionale) e Cass. civ., ord. 21 gennaio 2022, alle Sezioni Unite.
[7] Sul punto: G. Luccioli, La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite. Le ragioni del dissenso, in questa Rivista, nonché, se si vuole, V. Calderai, La tela strappata di Ercole. A proposito dello stato dei nati da maternità surrogata, in Nuova giur. civ. com., 5/2020, 1109 ss.
[8] S.U., 38162/2022, §§ 6 e 7 della motivazione in diritto.
[9] Su cui criticamente: A. Morace Pinelli, La tutela del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata, in Familia, 2021, p. 405.
[10] Ivi, § 11.
[11] Per tutti: Rodotà, Antropologia dell’homo dignus, in Riv. crit. dir. priv., 2010, 547 ss. (ora in Critica del diritto privato. Editoriali e saggi della Rivista critica del diritto privato, Napoli, 345 ss.).
[12] Ibidem.
[13] H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, New York, 1976 [19481], 296 s.
[14] E. Navarretta, Diritto civile e diritto costituzionale, in Riv. dir. civ., 1/2012, 643, 672 ss., che riprende e sviluppa un tema di L. Mengoni, Proprietà e libertà, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 428 ss.
[15] G. Calabresi, Law and the Allocation of Body Parts, in 55 Stanford L. Rev., 2003, p. 2113, 2136.
[16] Dove il Consiglio esorta tra l’altro gli Stati «proibizionisti» a evitare i dispositivi di recezione automatica degli atti stranieri di costituzione dello stato, senza distinguere in base alla natura (giurisdizionale o amministrativa) del titolo e senza avallare aree di immunità e di privilegio a favore del club delle democrazie liberali dove la surrogazione di maternità è permessa: cfr. Human Rights Council, A/HRC/37/60, para. 15 e 70. Adde: A/74/162, cit., para 101, sub g). Https://www.ohchr.org/EN/Issues/Children/Pages/Surrogacy.aspx.
[17] S.U. 38162/2022, § 2 motivazione in diritto.
[18] Questi aspetti non sono abbastanza considerati nella pur documentata e generosa indagine di A. Grasso, Maternità surrogata altruistica e tecniche di costituzione dello status, Torino, 2022.
[19] S.U. 38162/2022, § 18 motivazione in diritto.
[20] Sollevata in passato da autori ai poli opposti dello spettro ideologico sulla maternità surrogata: U. Salanitro, L’ordine pubblico dopo le Sezioni Unite: la Prima Sezione si smarca... e apre alla maternità surrogata, in Corr. giur., 2020, 916; E. Bilotti, La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/ 2004. Il compito del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale, in Nuova giur. civ. comm., 2/2021, p. 919; F. Azzarr, L’inviolabilità dello status e la filiazione dei nati all’estero da gestazione per altri, in Familia, 2020, 784 ss.
[21] S. Patti, Inseminazione eterologa e venire contra factum proprium, in Quad. dir. pol. eccl., 1999, 3, 625-635, nel solco di un presciente intervento di A. Trabucchi, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur. it., 1957, I, 2, 217. Il tema è stato oggetto di due studi monografici: F. Astone, Venire contra factum proprium (divieto di contraddizione e dovere di coerenza nei rapporti tra privati), Napoli, 2006 e F. Festi, Il divieto di “venire cotro il fatto proprio”, Milano, 2007.
[22] Corte Cost., 26 settembre 1998, n. 347, in Foro it., 1998, 1, c. 3042 ss.
[23] S.U. 38162/2022, § 12.
[24] P. Rescigno, Condizione, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 797.
[25] S.U. 38162/2022, § 11 .
[26] Sull’interesse legittimo nel diritto privato, come situazione soggettiva di vantaggio inattiva «ancorata a un metro di valutazione eminentemente oggettivo»: L. Bigliazzi Geri, Contributo a una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967, 182.
[27] L. Fuller and W. Perdue, The Reliance Interest in Contract Damages, 46 Yale L. J. 52 1936-1937.
[28] Per tutti: Ferri, Profili dell'accertamento costitutivo, Padova, 1970, 4, 261; Id., sub art. 2908, in Comm. Cendon, VI, Torino, 1991, 583.
[29] Rispettivamente: A. Nicolussi, Famiglia e biodiritto civile, in Europ. e d. priv., 2019, p. 713 ss.
E. Bilotti, La tutela, p. 923
[30] A. Morace Pinelli, Le persistenti ragioni del divieto della maternità surrogata e il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, in Fam. dir., 2022, 1175, con rinvio alla persistente attualità dell’insegnamento di C.M. Bianca, Le autorità private, Napoli, 1977.
[31] M. Giorgianni, Problemi attuali di diritto familiare, in Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, II, Torino, 1960, 859 ss.
[32] Cfr. Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile e al riconoscimento delle decisioni e all'accettazione degli atti pubblici in materia di filiazione e alla creazione di un certificato europeo di filiazione COM (2022) 569.
[33] SU 38162/2022, para 26.