Sullo stesso tema, si veda anche D.L. 92/2024 “Carcere Sicuro”, note sparse ad una prima lettura: nulla di straordinario, poco di necessario, scarsamente urgente di Ezio Romano, pubblicato il 9 luglio 2024, Il decreto legge 4 luglio 2024 n. 92 “Carcere sicuro” e le attese del mondo penitenziario di Fabio Gianfilippi, pubblicato il 10 luglio 2024, Osservazioni sugli interventi in materia di Liberazione anticipata e misure in materia penitenziaria di cui al Decreto legge n. 92 del 4 luglio 2024. Audizione presso la Commissione Giustizia del Senato in materia di D.L. 92 del 2024, 10 luglio 2024 di Maria Cristina Ornano, pubblicato il 15 luglio 2024.
La conversione in legge 112/2024 delle misure (anche) in materia penitenziaria del d.l. 92/2024: pochi correttivi, nuove criticità e capitoli tutti ancora da scrivere
di Fabio Gianfilippi
Sommario: 1. I nuovi contenuti della legge - 2. Ancora sulla liberazione anticipata. A) una piccola modifica e una grande perdita - 3. segue… B) Prime questioni applicative e uno sguardo dentro le mura - 4. Il nuovo comma 9-bis dell’art. 656 cod. proc. pen.: la faticosa (infruttosa?) ricerca di una ratio - 5. Il nuovo comma 9-ter dell’art. 656 cod. proc. pen.: speciale attenzione alle condizioni di salute compromesse - 6. Adempimenti gravosi in materia di misure di sicurezza detentive di tipo psichiatrico - 7. Una modifica all’affidamento in prova e i rischi di una coperta troppo corta.
1. I nuovi contenuti della legge. Al Parlamento sono bastati appena trentacinque giorni per convertire in legge le disposizioni contenute nel decreto-legge c.d. “Carcere sicuro” n. 92/2024. Trentacinque giorni di caldo torrido, di crescente sovraffollamento carcerario, di nuovi suicidi dietro le sbarre, di critiche diffuse circa i contenuti deludenti del testo, di esortazioni, anche formalmente rese nel corso delle audizioni svolte in Senato, a correggere e integrare quanto contenuto nella decretazione d’urgenza[1].
In effetti le correzioni effettuate sono meno che sporadiche, mentre le integrazioni, invece copiose, non sembrano rispondere alle richieste largamente pervenute al Parlamento, soprattutto quelle volte a immaginare interventi di pronto risultato per mettere mano alla situazione di sovraffollamento drammatico, che sempre più si riscontra nelle nostre carceri.
Richiamandoci in questo contributo ai rilievi già svolti a prima lettura in ordine al decreto-legge[2], si proverà, nei paragrafi seguenti, a concentrarsi sulle novità che più strettamente coinvolgono le competenze dirette della magistratura di sorveglianza. È comunque necessario almeno accennare ad alcuni importanti nuovi contenuti della legge di conversione, di cui non vi era traccia nel decreto-legge 92.
Ci si riferisce in particolare ad alcune disposizioni concernenti il servizio sanitario operante presso gli istituti penitenziari e, soprattutto, all’ampio art. 6-bis, che prova a fluidificare le comunicazioni di dati in materia sanitaria delle persone detenute tra Ministero della salute e Ministero della Giustizia, sicuramente utile in un settore in cui da tempo si riscontravano criticità.
Un capitolo a parte meriterebbe poi la (ri)creazione della figura di un Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, di cui all’art. 4-bis della legge di conversione, “per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento” secondo l’incipit del co. 1. Si tratterà di una figura, nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, chiamato a compiere tutti gli atti necessari a realizzare “nuove infrastrutture penitenziarie” e “opere di riqualificazione e ristrutturazione delle strutture esistenti, al fine di aumentarne la capienza e di garantire una migliore condizione di vita dei detenuti”.
Si tratta, in buona sostanza, di un programma di lavoro vasto ed ambizioso, quanto meno a medio, se non a lungo, termine, del quale occorrerà seguire con attenzione il concreto sviluppo. Occorrerà monitorare attentamente obbiettivi specifici, tempistiche, modalità attuative, priorità di interventi, ben consci comunque che da tempo le raccomandazioni europee sottolineano come l’incremento di posti disponibili nelle strutture penitenziare debba costituire una misura del tutto eccezionale, per la sua incapacità di risolvere il problema e di durare: in sostanza i posti in più si saturano rapidamente.
E non è ovviamente soltanto un problema di allocazioni, come tanto gli stati Generali dell’esecuzione penale, quanto in seguito l’istituzione di una Commissione per l’architettura penitenziaria avevano sottolineato, ma dell’esistenza o meno di un progetto risocializzante connesso agli spazi detentivi e al loro significato. E c’è, non da ultimo, il problema di risorse umane già allo stato del tutto insufficienti e rispetto al potenziamento delle quali l’ampliamento degli spazi finisce per essere decisamente secondario. Il carcere è certamente assai più duro, infatti, dove diventa un mero contenitore di corpi, abbandonati ad una quotidianità deprivata di opportunità di contatto con operatori ed operatrici in grado di costruire con le persone dei credibili percorsi di rientro in società.
2. Ancora sulla liberazione anticipata. A) una piccola modifica e una grande perdita. Come più ampiamente si è provato a dire alla prima lettura di quelle disposizioni, il decreto-legge 92 ha previsto che la liberazione anticipata venga ordinariamente concessa dalla magistratura di sorveglianza d’ufficio in occasione della valutazione di ammissibilità dei benefici penitenziari e in vista del fine pena, con una residualità dell’istanza di parte che, per essere ammissibile, deve contenere il riferimento ad un interesse specifico e ulteriore. A monte di questa rarefazione dei momenti in cui si può ottenere il provvedimento da parte della sorveglianza che sancisce la partecipazione all’opera rieducativa tenuta, è stato previsto l’obbligo per il PM che emette l’ordine di esecuzione di informare il condannato che, mediante il proprio comportamento, potrà ottenere una riduzione pena per buona condotta, così anticipando il proprio fine pena sino alla data che viene indicata (fine pena virtuale).
Il nuovo meccanismo concessivo della liberazione anticipata ha superato il vaglio del Parlamento, con una sola rilevante modifica, decisamente migliorativa, ma di dettaglio. Si prevede, infatti, nell’art. 54 co. 2 ord. penit., che siano comunicate al PM dell’esecuzione le concessioni di liberazione anticipata emesse dal magistrato di sorveglianza, e non soltanto le “mancate concessioni” o le revoche, sanando così un difetto evidente della disposizione pensata con il decreto-legge, che di fatto non avrebbe consentito al PM competente di aggiornare il fine pena reale del condannato a fronte della concessione del beneficio.
Resta, tuttavia, quello che a chi scrive appare come un grave vulnus al senso stesso della liberazione anticipata come vera e propria cartina di tornasole, non a caso opportunamente semestralizzata dal legislatore, del comportamento tenuto dalla persona condannata. Un congegno dialogico che, mediante le istanze di parte, semestre per semestre, consente all’interessato di orientare il proprio comportamento, e al magistrato di sorveglianza di studiare gradualmente le evoluzioni personologiche del condannato. Un meccanismo che fornisce un riscontro importante anche all’istituto penitenziario, e una risposta, il più possibile tempestiva, rispetto alle condotte negative poste in essere, a fronte delle quali il rigetto costituisce stimolo a far meglio nel seguito.
Occorre ricordare[3] che, nei primi tempi di vigenza dell’allora nuovo istituto della liberazione anticipata, la stessa Corte Costituzionale, con la sent. 276/1990, ebbe a sottolineare come la valutazione semestralizzata della concessione della liberazione anticipata fosse “il punto di forza dello strumento rieducativo, che si ricollega alle esperienze ed agli insegnamenti della terapia criminologica”.
Ed ancora: “(L)'aspetto sintomatico del comportamento delinquenziale è dato dall'incapacità del soggetto a risolvere i problemi della sua vita attraverso mezzi e per vie socialmente accettabili: e ciò soprattutto perché non ha attitudine a sopportare sacrifici e fatiche nella prospettiva di un bene futuro. Questo aspetto negativo della personalità, ovviamente presente quando il condannato viene sottoposto a trattamento rieducativo, gli preclude ogni incentivo a prestare una per lui sacrificante partecipazione all'azione di risocializzazione, se il premio è rappresentato da una liberazione condizionale o da una semilibertà poste temporalmente a distanza di anni, e talvolta di molti anni. Ecco allora lo strumento di grande valore psicologico rappresentato da una sollecitazione che impegna le energie volitive del condannato alla prospettiva di un premio da cogliere in breve lasso di tempo, purchè in quel tempo egli riesca a dare adesione all'azione rieducativa. Certo, nei primi semestri la spinta psicologica sarà necessariamente eteronoma. Il condannato potrà nutrire scarsa convinzione nell'utilità etica del suo comportamento, ma intanto presterà la sua partecipazione in vista del premio a portata di mano. Poi, via via che, di semestre in semestre, moltiplicherà i suoi sforzi per accumulare benefici l'uno sull'altro, la perseveranza finirà per formare lentamente un comportamento abitudinario, su cui è possibile lo sviluppo di un diverso modo di essere, conseguente alla soddisfazione per i risultati raggiunti e alla fiducia acquisita nelle forze del proprio impegno.”
Sotto questo profilo deve dunque paventarsi una possibile frizione con i principi costituzionali, nella previsione di un procedimento che sia solo residualmente a istanza di parte, collegata alla allegazione di un interesse specifico.
3. segue… B) Prime questioni applicative e uno sguardo dentro le mura. Nonostante fosse stata segnalata come problematica l’assenza di disposizioni intertemporali, le stesse non hanno trovato spazio nella legge di conversione. La situazione attuale non è, perciò, particolarmente chiara, innanzitutto ai destinatari del beneficio, ma anche ai molti operatori ed operatrici che lavorano intorno alla liberazione anticipata.
Secondo il principio del tempus regit actum, la nuova normativa trova fin da subito applicazione. Anche prima, si direbbe, della necessaria messa a punto delle disposizioni del regolamento di esecuzione (che per altro meriterebbe una attualizzazione nel suo complesso, come ampiamente tentato, inascoltata, dalla Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario nel 2021). Non è più necessario, tra l’altro, chiedere il preventivo parere, in precedenza obbligatorio, al pubblico ministero della sede dell’ufficio di sorveglianza. Le Procure della Repubblica stanno emettendo ordini di esecuzione comprensivi del calcolo del “fine pena virtuale” soltanto in relazione alle pene da porre in esecuzione dall’entrata in vigore del decreto – legge, oppure quando occorre mettere mano ad un ordine già emesso, per qualche modifica, come ad esempio il sopravvenire di un ulteriore titolo. Ciò significa che la grandissima parte delle persone attualmente detenute in esecuzione pena non hanno ancora ricevuto, e forse mai riceveranno, un ordine di esecuzione con lo “specchietto” dei semestri di liberazione anticipata che possono ottenere, con relativa quantificazione del fine pena virtuale.
Rispetto a queste persone, perciò, sembra di poter dire che residui un interesse intrinseco ad avere ancora la pronuncia semestralizzata da parte del magistrato di sorveglianza, perché la nuova legge fa fronte al venir meno della possibilità di richiedere il beneficio quando si vuole, mentre si fornisce al condannato una chiara indicazione di che misura avranno via via le riduzioni pena che otterrà. Una situazione che non riguarda la grandissima parte di chi era in esecuzione penale all’entrata in vigore della legge.
Allo stato, i primi ordini di esecuzione emessi con il computo del fine pena virtuale non sono, in alcuni casi, esenti da profili critici. Il testo normativo sembra correttamente indicare che nel provvedimento debbano essere intanto contenuti certamente il fine pena reale al fianco di quello virtuale, ma anche le singole possibili detrazioni, e non dunque soltanto la sommatoria delle stesse. Il meccanismo di concessione della liberazione anticipata, infatti, prevede che l’interessato possa contare, giorno per giorno, ai fini dell’ammissibilità dei benefici penitenziari, non già di tutte le possibili detrazioni, ma soltanto di quelle per le quali ha già espiato la relativa pena. Appaiono quindi forieri di dubbi gli ordini di esecuzione che citano soltanto il fine pena virtuale “finale”, con il rischio che l’interessato ritenga di poter lucrare sin da subito un beneficio che occorre invece maturare via via.
Allo stesso modo il computo semestre per semestre fuga anche il rischio di una indicazione errata del fine pena virtuale “finale”, che deriva dal mero computo dei semestri astrattamente ottenibili (ad es.: tre anni di pena = sei semestri), perché in realtà la progressiva concessione delle riduzioni di pena da quarantacinque giorni ciascuna, determina una riduzione del fine pena che non consente il completamento di tutti i semestri astrattamente da eseguirsi (nello stesso esempio: con tre anni di pena possono completarsi soltanto cinque semestri).
Quanto agli uffici matricola degli istituti penitenziari, c’è da attendersi che l’amministrazione attui opportune modifiche, come già in qualche caso si è notato, rendendo visualizzabile in posizione giuridica entrambi i fine pena: reale e virtuale. Dove ciò non accade è infatti piuttosto grave il rischio che si faccia confusione e si tenga conto soltanto di quest’ultimo.
Una corretta informazione delle persone detenute appare una precondizione per evitare che le nuove disposizioni normative ingenerino dubbi e un profluvio di istanze inammissibili. Per il momento già iniziano a pervenire istanze volte ad ottenere dal magistrato di sorveglianza, o dall’ufficio di Procura, la concessione di tutti i semestri sino al fine pena, fraintendendo il senso della comunicazione del fine pena virtuale, e vi è il rischio di una molteplicità di istanze di beneficio penitenziario inammissibili, perché basate su computi erronei.
4. Il nuovo comma 9-bis dell’art. 656 cod. proc. pen.: la faticosa (infruttosa?) ricerca di una ratio. La legge di conversione ha introdotto, nell’art. 5 della legge, rubricato come “Interventi in materia di liberazione anticipata” un comma 9-bis all’art. 656 cod. proc. pen. La novella introduce la previsione secondo la quale il pubblico ministero, prima di emettere un ordine di esecuzione[4], trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza perché questi disponga la detenzione domiciliare in via provvisoria, fino a decisione del Tribunale di sorveglianza, in favore del condannato ultrasettantenne, ove la pena che questi deve espiare sia compresa tra due e quattro anni. La previsione non riguarda tuttavia i condannati per i delitti contenuti nell’art. 51 co. 3-bis cod. proc. pen. e per quelli compresi nell’art. 4-bis ord. penit.
L’interpretazione della nuova previsione non è ardua per la lettera del testo, ma per la difficoltà di comprendere quale obbiettivo il legislatore abbia in questo caso perseguito. Deve infatti ricordarsi che ordinariamente l’esecuzione delle condanne a pene non superiori ai quattro anni, ai sensi dell’art. 656 co. 5 cod. proc. pen., resta sospesa in attesa delle valutazioni della magistratura di sorveglianza. Nel caso che ci occupa, rispetto ad una tipologia di condannato specialmente fragile, quella degli ultrasettantenni, la modifica si rivela di fatto un irrigidimento, perché l’interessato, invece di attendere dalla libertà una pronuncia della sorveglianza che in ipotesi gli conceda la più favorevole misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, deve ora da subito espiare la propria pena in detenzione domiciliare, salvo l’attesa, verosimilmente piuttosto lunga, tenuto conto delle difficoltà in cui versano i Tribunali di sorveglianza, di una decisione sulla misura alternativa più ampia.
Alla sospensione di cui all’art. 656 co. 5 cod. proc. pen., non possono accedere i condannati per reati di 4-bis ord. penit., ma gli stessi sono esclusi anche dalla disposizione introdotta, nonché gli autori degli altri reati indicati nell’art. 656 co. 9 lett. a). Soltanto per questi ultimi (maltrattanti, autori di incendio boschivo o di atti persecutori di speciale gravità, …), dunque, la disposizione evita che si schiudano le porte del carcere ed introduce la possibilità di una immediata concessione di misura comunque meno gravosa di quest’ultimo. Si tratta però di numeri davvero esigui, considerata da un lato la tipologia di reati e dall’altro l’età dei suoi autori al momento dell’esecuzione penale.
5. Il nuovo comma 9-ter dell’art. 656 cod. proc. pen.: speciale attenzione alle condizioni di salute compromesse. La conversione in legge ha costituito l’occasione per l’introduzione di una ulteriore peculiare previsione, a mente della quale, ancor prima dell’emissione dell’ordine di esecuzione, il pubblico ministero trasmette al magistrato di sorveglianza gli atti perché disponga la detenzione domiciliare in via provvisoria, fino alla decisione del Tribunale di sorveglianza, nei confronti del condannato cui siano stati già concessi gli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute.
La novella consente dunque di evitare il carcere a quei soggetti che non avrebbero potuto beneficiare del meccanismo di cui all’art. 656 co. 10 cod. proc. pen. in ragione del fine pena residuo o della tipologia di delitti per i quali si è giunti a condanna, entrambi profili che, comprensibilmente rispetto alle gravissime condizioni di salute cui si ricollega la previsione, risultano recessivi.
Resta invece ancora una volta non affrontato lo spinoso tema del condannato in condizioni di salute gravi, di cui ci si avveda al momento dell’emissione di un ordine di esecuzione, con trasmissione (ai sensi dell’art. 108 reg. es. ord. penit.) al magistrato di sorveglianza affinché decida secondo l’art. 684 cod. proc. pen.
In questi casi non sempre l’ordine di esecuzione viene contemporaneamente sospeso in attesa della, pur urgente, pronuncia provvisoria, con conseguente “assaggio” di carcere nei confronti di un soggetto dalla salute in ipotesi compromessa.
6. Adempimenti gravosi in materia di misure di sicurezza detentive di tipo psichiatrico. All’interno dell’art. 10 della legge 112, destinato a contenere una miscellanea di interventi dalle finalità diverse (come deducibile dalla rubrica omnibus), si leggono alcune previsioni acceleratorie specialmente onerose, contenute nel nuovo art. 658-bis e poi in un comma 1-bis dell’art. 679 cod. proc. pen.
In sostanza si prevede che, quando è disposta in condanna una misura di sicurezza da eseguirsi in REMS, il pubblico ministero deve chiedere al magistrato di sorveglianza, senza ritardo, e comunque entro cinque giorni, la fissazione dell’udienza per gli accertamenti relativi all’attualità della pericolosità sociale ex art. 679.
In quest’ultima disposizione si legge come, su tale richiesta, il magistrato di sorveglianza debba provvedere alla fissazione dell’udienza senza ritardo, e comunque entro cinque giorni dalla richiesta medesima. La previsione lascia adito a dubbi interpretativi. È chiaro che il legislatore intende sollecitare la più rapida definizione del procedimento, e tuttavia il termine di almeno dieci giorni prima dell’udienza, indicato per l’avviso alle parti dall’art. 666 co. 3 cod. proc. pen., non appare venuto meno. Deve quindi ritenersi, affinché entrambe le disposizioni siano rispettate, che il termine oggi previsto dall’art. 679 co. 1-bis ord. penit., di natura comunque meramente ordinatoria, concerna la sola fissazione dell’udienza, la cui data non potrà che essere successiva ai cinque giorni, per consentire corretti avvisi alle parti.
Fino alla decisione, comunque, la novella prevede che permanga la misura di sicurezza provvisoria, applicata ai sensi dell’art. 312 cod. proc. pen., con computo del tempo trascorso a tutti gli effetti di legge. Si prevede, altresì, che il pubblico ministero possa richiedere al magistrato di sorveglianza che questi disponga una misura di sicurezza provvisoria, nelle more della decisione.
Per come accennato, si tratta di un congegno che grava procure e magistratura di sorveglianza di una serie di adempimenti urgenti che, tuttavia, corrono il rischio di scontrarsi, ad una prova di realtà, contro il noto problema di REMS che non dispongono di spazi disponibili per accogliere chi deve eseguire una misura di sicurezza detentiva psichiatrica e che, perciò, anche a fronte di una sollecita pronuncia, potrebbero non condurre al risultato sperato. La possibilità di disporre una misura di sicurezza in via provvisoria, non già disposta nel corso del processo di cognizione, per quanto – si direbbe – non solo quella detentiva, da parte del magistrato di sorveglianza, inaudita altera parte, non è per altro privo di criticità per la forte carenza di garanzie che ne deriva.
7. Una modifica all’affidamento in prova e i rischi di una coperta troppo corta. Nella legge di conversione (art. 10-bis) è stata prevista persino una modifica dell’art. 47 ord. penit., la disposizione che concerne l’affidamento in prova al servizio sociale, il fiore all’occhiello (secondo l’arcinota definizione di Bricola) dell’ordinamento penitenziario.
Vi si chiarisce che la ampia misura alternativa non debba essere concessa soltanto a chi disponga di opportunità di reinserimento connesse alla possibilità di svolgere una attività lavorativa, sia di tipo autonomo che dipendente, ma anche quando, in sostituzione, possa accedere ad un idoneo servizio di volontariato o ad attività di pubblica utilità, senza remunerazione, nelle forme e con le modalità di cui agli articoli 1, 2 e 4 del decreto del Ministro della Giustizia 26.03.2001, in quanto compatibili, nell’ambito di piani di attività predisposti entro il 31 gennaio di ogni anno, di concerto tra gli enti interessati, le direzioni penitenziarie e gli uffici per l’esecuzione penale esterna e comunicati al presidente del tribunale di sorveglianza territorialmente competente.
La giurisprudenza di legittimità già da tempo considera che ai fini della concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale non sia necessaria la sussistenza di un lavoro, ad esempio perché la persona non può svolgerlo per ragioni di età o di salute (cfr. cass. 1023/2018 e, più di recente, 14003/2023), ma anche quando il lavoro non sia altrimenti disponibile, potendo questo requisito essere surrogato da un'attività socialmente utile anche di tipo volontaristico (vd., già, cass. 18939/2013).
La novella, dunque, sotto questo profilo, sembra ricalcare spazi già percorsi, ed in effetti è esperienza quotidiana che, nel merito, vengano concessi affidamenti in prova a chi dimostri di potersi impegnare, o già si impegni, in strutturate esperienze di volontariato che, non di rado, costituiscono un’occasione di risocializzazione che può far da volano anche al reperimento successivo di opportunità lavorative.
Tuttavia, deve sottolinearsi come la speciale centratura su requisiti specifici che questi servizi dovrebbero avere, ed il riferimento a piani di attività predisposti annualmente, corrano il rischio di imbrigliare l’opzione surrogatoria in maglie più strette di quelle oggi in uso, con la conseguenza di inibire iniziative di parte volte alla costruzione di credibili percorsi di volontariato che non vi rientrino. D’altra parte i servizi sono ormai da tempo chiamati ad utilizzare il volontario e le iniziative di pubblica utilità a fronte di una molteplicità di istituti, tanto da aver saturato, in alcuni territori, l’offerta disponibile.
Si tratta comunque di un profilo interpretativo che occorre rimettere al prudente apprezzamento dei tribunali di sorveglianza, che ormai da mezzo secolo maneggiano uno strumento duttile e ricchissimo, come l’affidamento in prova al servizio sociale, facendo dell’individualizzazione dei verbali prescrittivi la miglior garanzia di misure effettivamente risocializzanti. Può in tal senso immaginarsi che si valorizzi una ratio dell’intervento legislativo come volto ad aprire nuove possibilità, sensibilizzando opportunamente i territori, e non, con effetto paradossale, a irrigidire i requisiti di accesso.
[1] Vd., in sede di audizione, M. RUOTOLO, Riflessioni sui possibili margini di intervento parlamentare in sede di conversione del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (decreto carcere). Appunti a prima lettura, in Sistema penale, 11.07.2024 e C. ORNANO, Audizione di M. Cristina Ornano sul D.L. 92/2024 "carcere sicuro" Commissione Giustizia del Senato 10 luglio 2024, in questa rivista, 15.07.2024. In dottrina anche M. PELISSERO, La pervicace volontà di non affrontare i nodi dell’emergenza carceraria, in Sistema penale, 18.07.2024 e F. FIORENTIN, Un impianto inadeguato agli obiettivi da rafforzare in sede di conversione in Guida al Diritto, 27.07.2024, pp. 92 ss.
[2] Ci si riferisce, in questa rivista, a F. GIANFILIPPI, Il decreto-legge 4 luglio 2024 n. 92 “Carcere sicuro” e le attese del mondo penitenziario, 10.07.2024.
[3] Si tratta di un rilievo già ampiamente sviluppato nell’audizione svolta dallo scrivente presso la Commissione Giustizia del Senato il 10.07.2024 nell’ambito dei lavori in vista della Conversione in legge del d.l. 92/2024, documentazione in www.senato.it.
[4] Insiste particolarmente su questo profilo, replicato anche nel nuovo co. 9-ter, come una vera e propria criticità di sistema F. FIORENTIN, Domiciliari a ultrasettantenni: necessari protocolli operativi. Le procedure di esecuzione, in corso di pubblicazione in Guida al Diritto, n. 32-33.