ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Giustizia Insieme e il valore dell’accoglienza - 5. Immigrazione e accoglienza: il ruolo delle organizzazioni della società civile
Intervista di Michela Petrini a Daniela Pompei, Responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati
1. L’immigrazione costituisce oramai da anni un settore regolamentato da normative di carattere nazionale e sovranazionale, nel quale, tuttavia, un ruolo da protagonista è svolto anche dalle Organizzazioni della società civile (OSC), che mettono a disposizione mezzi e risorse, economiche e personali, per incentivare e realizzare un virtuoso modello di accoglienza ed integrazione .
In questo contesto, quali sono state le ragioni e quale è stato il contributo fornito dalla Comunità di Sant’Egidio nella cooperazione per la gestione dei flussi migratori? Da quanto tempo vi occupate di immigrazione e quali sono i progetti ai quali avete aderito?
La Comunità di Sant’Egidio ha iniziato la sua presenza accanto agli immigrati all’inizio degli anni ‘ 80 quando la presenza straniera in Italia era ancora molto ridotta, e in assenza di qualsiasi quadro normativo di riferimento se non alcune circolari del Ministero del Lavoro e le vecchie disposizioni del Testo Unico di Pubblica Sicurezza. Solo nel 1986 fu adottato un primo intervento normativo che regolò i soli aspetti delle attività lavorative e che per la prima volta prevedeva un provvedimento di regolarizzazione. Nel 1982 inizia la Scuola di lingua e cultura Italiana della Comunità di Sant’Egidio rivolta ai migranti attraverso la quale è stata elaborata una specifica modalità di insegnamento della lingua correlata ai contesti di vita e di lavoro degli immigrati. Negli anni immediatamente successivi la Comunità di Sant’Egidio ha aperto i servizi di prima accoglienza che ci hanno messo a contatto diretto anche con i rifugiati, di fatto e non ancora di diritto visto che allora la Convenzione di Ginevra era fortemente limitata dalla clausola di riserva geografica. Ospitammo nel 1988 in una delle nostre case Jerry Essan Masllo, il rifugiato sudafricano ucciso a Villa Literno nell’agosto del 1989. Fu proprio la sua morte all’origine di quel movimento della società civile che portò all’emanazione nel dicembre del 1989 di una prima legge sull’immigrazione che tra l’altro eliminò la riserva geografica.
2. A partire dal 2015, grazie dalla collaborazione tra istituzioni – Ministero degli Affari Esteri e di Cooperazione Internazionale e Ministero dell’Interno – e società civile – Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese – sono nati i c.d. corridoi umanitari, ovvero programmi di trasferimento e integrazione in Italia rivolti a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie.
Come è nato questo progetto? Quali sono stati i protocolli siglati con i diversi Stati e quali sono i numeri dei soggetti che sono riusciti ad arrivare in Italia in sicurezza?
Il Programma dei Corridoi Umanitari nasce dalla tragica constatazione che non esistevano vie legali di ingresso in Europa e in Italia particolarmente per i rifugiati, di conseguenza anche coloro che avrebbero avuto diritto alla protezione internazionale per giungere in Europa erano costretti ad affidarsi ai trafficanti e a rischiare la vita nei viaggi. Per questa ragione nel 2014 proponemmo assieme alla Tavola Valdese e alla Federazione delle chiese evangeliche al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e al Ministero dell’Interno uno schema di protocollo che conteneva, a legislazione invariata, dei principi innovativi: 1. la possibilità del rilascio di visti a validità territoriale limitata ( VTL) secondo quanto previsto dal Regolamento visti all’art. 25; 2. il conseguente ingresso in condizioni di sicurezza sul territorio nazionale dove sarebbe stata formalizzata la domanda di protezione internazionale secondo le procedure ordinarie; 3. l’assunzione di responsabilità da parte delle associazioni che gratuitamente si impegnavano ad individuare i soggetti da ammettere al programma, a fornire loro le informazioni sul paese di accoglienza e a curare successivamente all’arrivo sul territorio nazionale in ogni aspetto il percorso di integrazione. Questo progetto amplia la gamma degli strumenti delle ammissioni umanitarie e prende avvio quasi contemporaneamente ai programmi di resettlement approvati dall’UE tra il 2015 ed il 2017. Con riferimento solo all’Italia, tra il 2015 ed il 2022 sono entrati con i programmi di resettlement 2572 rifugiati già riconosciuti nei paesi di transito dell’UNHCR, mentre con i corridoi umanitari dal 2016 al 2022 sono entrati 4234 richiedenti asilo[1].
I protocolli sinora sottoscritti sono tre per quelli in cui il paese di transito è il Libano (il primo nel dicembre 2015), riguardanti nella grande maggioranza siriani, iracheni e siropalestinesi, ciascuno per mille persone, di cui sono entrate sinora in Italia oltre 2450; gli attori coinvolti sono la Comunità di S. Egidio e la Tavola Valdese – FCEI.
Tre protocolli in cui i paesi di transito sono l’Etiopia, la Giordania ed il Niger riguardanti in maggioranza eritrei, sudanesi, somali, yemeniti ed ancora siriani ed iracheni, il primo sottoscritto nel 2017; sono complessivamente 1700 le persone comprese in questi protocolli, di cui sono sinora entrate in Italia 1100 persone; gli attori coinvolti sono la Comunità di Sant’Egidio e la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) attraverso la Caritas italiana e Migrantes.
Il primo protocollo con la Francia viene concluso nel 2017, il paese di transito è il Libano e i destinatari soprattutto siriani ed iracheni, ne è seguito un altro per complessive 800 persone, di cui 560 sono già entrate in Francia, gli attori sono la Comunità di Sant’Egidio, le chiese evangeliche francesi, la Conferenza episcopale francese e le Semain sociale catholique. Lo stesso anno inizia il Belgio, con cui sono conclusi due protocolli per 450 richiedenti, paesi di transito Turchia e Libano, destinatari siriani ed iracheni; di questi sono giunti 170. Inoltre, Andorra ha accolto 20 richiedenti.
Gli ultimi protocolli sottoscritti riguardano uno la Libia come paese di transito e l’altro per gli afghani, provenienti dal Pakistan e dall’Iran. In attuazione del primo, sono giunti 500 richiedenti, dei quali 200 accolti dalle associazioni (Comunità di Sant’Egidio e Federazione della Chiese Evangeliche), gli altri sono inseriti nel circuito dell’accoglienza dello stato. Il protocollo riguardante gli afghani è ancora aperto, prevede complessivamente 1.200 richiedenti, di cui 800 le associazioni (Comunità di Sant’Egidio, Federazione della Chiese Evangeliche, CEI – Caritas Italiana, ARCI); sono arrivati ad oggi sul territorio italiano oltre 500 richiedenti.
Complessivamente, con i corridoi umanitari sono giunti in Italia dal 2016 5.079 richiedenti, in Europa 5.849.
3. Un tema delicato e complesso è quello della selezione dei migranti che possono accedere al programma. Recentemente molteplici sono state le polemiche politiche e le critiche, avanzate anche da giuristi, con riferimento ai “criteri” prescelti per lo sbarco dei migranti salvati in mare da imbarcazioni gestite da ong.
A fronte di una domanda, sempre più elevata, di richieste di ingresso in Italia, come vengono individuati i soggetti che possono beneficiare dei corridoi umanitari?
Va considerato che ormai i corridoi umanitari hanno superato la fase della sperimentazione iniziale e sono riconosciuti per i loro elementi peculiari, se confrontati con gli altri modelli di ammissione umanitaria; il ruolo dei soggetti della società civile, responsabili di ogni fase del processo, e la stretta correlazione tra il momento della conoscenza e dell’individuazione dei destinatari e quello del sostegno alla loro integrazione sul territorio nazionale, sono considerati i tratti distintivi di queste esperienze come riconosciuto nei documenti programmatici dell’Unione europea[2].
In questo contesto va compresa anche l’individuazione dei criteri di scelta per l’ammissione al progetto; il criterio fondamentale è quello della vulnerabilità, intesa non solamente secondo le categorie tipizzate dalla normativa europea, per esempio all’art.21 della direttiva 2013/33/UE del 26 giugno 2013 relativa all’accoglienza, quanto piuttosto come una complessiva condizione personale che si evidenzia proprio attraverso gli incontri ed i ripetuti colloqui che gli operatori della associazioni svolgono con i richiedenti nei paesi di transito. Questo primo criterio viene ovviamente correlato con quello dell’evidente bisogno di protezione internazionale secondo quanto previsto dalla normativa UE e nazionale e come richiamato in tutti i protocolli. Altri criteri complementari sono poi applicati quando questi primi sono soddisfatti: richiedenti che dimostrino l’esistenza di legami familiari, anche se non ricompresi nell’ambito dei familiari ricongiungibili, con concittadini regolarmente presenti in Italia e persone che hanno reti familiari o sociali stabili in Italia e per questa ragione dichiarano di volersi stabilire ed integrare nel nostro paese.
4. Probabilmente la parte più interessante del programma attiene non tanto alle modalità di ingresso dei migranti nel territorio Italiano, quanto al progetto di accoglienza ed integrazione che segue l’ingresso. In che modo vi occupate di seguire lo straniero per garantirne l’inserimento nel sistema sanitario nazionale, nelle scuole e nel mondo del lavoro? Quali sono le difficoltà incontrate in questa seconda fase?
È necessario premettere che l’accoglienza dei migranti non è fatta solo dai volontari delle associazione proponenti, che solo con le loro forze non avrebbero potuto sostenere i numeri di ingressi sin qui effettuati, ma da una fitta rete di piccoli associazioni, gruppi di amici, singole famiglie, rifugiati già inseriti da anni, religiosi, che si sono offerti di accogliere nuclei familiari o singoli, offrendo loro non solo l’ospitalità ma un accompagnamento del percorso di integrazione. In questa dimensione è fondamentale il compito svolto dalle associazioni nel sostegno a chi accoglie. Tra i primi passi che vengono attuati e suggeriti c’è l’immediato inserimento dei bambini a scuola, l’offerta di corsi di lingua italiana per i genitori, l’accompagnamento nelle procedure previste per acquisire i documenti necessari. Un passaggio immediatamente successivo è costituito dalla verifica delle competenze già possedute al fine dell’inserimento regolare nel mondo del lavoro.
In questa seconda fase emergono con chiarezza anche tutte le difficoltà determinare dalle lentezze o dalle distorsioni burocratiche, per esempio l’apertura dei conti bancari o alle poste è molto difficile e questo rallenta l’inserimento un un’attività lavorativa regolare, il riconoscimento dello stato civile, quando non ci sono documenti del paese di origine, genere incertezze e talvolta contrasti nell’affidamento dei figli, la mancanza di disposizioni chiare sul riconoscimento dei titoli di studio e di qualificazione professionale rallenta l'inserimento lavorativo o costringe a condizioni di lavoro sottoqualificato.
5. Alla luce della sua esperienza pluriennale il modello dei corridoi umanitari può, in prospettiva, e laddove vengano siglati nuovi protocolli, ridurre il numero delle migrazioni via mare?
Sì, ma solo se accompagnati dall’apertura di una pluralità di canali di ingresso regolari. Per esempio, abbiamo potuto verificare che il corridoio umanitario aperto dall’Etiopia ha costituito un’alternativa effettiva per molte giovani donne eritree che altrimenti si sarebbero consegnate ai trafficanti passando in Libia, perché intenzionate a raggiungere i loro parenti in Europa e in Italia.
D’altra parte, perché azioni del genere possano ridurre la migrazione irregolare, anche via terra, è necessario a livello europeo che siano aperti canali legali di ingresso con modalità diverse dai corridoi umanitari, che comprendano anche la migrazione più propriamente economica; è anche necessario che le regole dei ricongiungimenti familiari siano modificate ampliando la categoria dei familiari ricongiungibili e superando le attuali ristrettezze esistenti; è ancora necessario che i programmi di reinsediamento divengano stabili e numericamente ben più consistenti di quanto non siano stati negli ultimi anni. Solo se si agisce con più azioni di questo tipo, tra loro complementari, è possibile la riduzione dell’immigrazione irregolare.
6. Infine, considerato che anche alcuni paesi europei (Belgio e Francia) stanno aderendo al progetto italiano, ritiene che intorno a questo modello possano convergere, in sinergia, anche le risorse dell’Unione europea e che ci sia la possibilità che si abbandonino i protocolli e gli accordi bilaterali tra Stati e si arrivi a protocolli siglati direttamente dall’Unione?
Sì, l’esperienza dei corridoi umanitari può suggerire un modello di intervento attualmente carente nel quadro della normativa europea e ampiamente sperimentato, con risultati positivi, in altri contesti come quello canadese e statunitense. Si tratta dell’introduzione della figura della sponsorship, presente nel nostro ordinamento interno solo per un breve periodo immediatamente dopo l’approvazione del D. Lgs.. n. 286 del 1998, capace di valorizzare le risorse della società civile, con criteri e modalità che possano essere controllate dagli stati e consentano ingressi di rifugiati e migranti accompagnati da azioni che ne favoriscono l’integrazione e la stabilità.
[1] Cfr. Dati Ministero dell’Interno, accessibile a http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/ it/temi/relazioni-internazionali, consultato il 4 gennaio 2023.
[2] Cfr. Raccomandazione relativa ai “Percorsi legali di protezione nell’Unione Europea; promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitari e altri percorsi complementari” COM (2020), 6467, del 23 settembre 2020, in cui si afferma “Con questo modello gli sponsor privati sono coinvolti in tutte le fasi del processo di ammissione, dall’individuazione di coloro che necessitano di protezione internazionale al loro trasferimento allo Stato membro interessato. Essi si fanno carico anche degli sforzi di accoglienza ed integrazione e ne sostengono i relativi costi”.
L’accertamento del passivo nella liquidazione giudiziale
di Alessandro Nastri
Sommario: Introduzione - 1. L’avviso ai creditori e agli altri interessati - 2.La domanda di ammissione al passivo - 3. L’efficacia delle decisioni del giudice delegato e del Tribunale - 4. Le domande tardive - 5. Le domande “ultratardive” - 6. Le impugnazioni.
Introduzione
A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza nel luglio dello scorso anno, si stanno tenendo già da qualche mese, nei vari Tribunali, le prime verifiche del passivo nelle nuove procedure di liquidazione giudiziale, in base alla disciplina contenuta negli artt. 200 e ss. del Codice.
Tale disciplina, se in gran parte ricalca quella precedentemente dettata dagli artt. 92 e ss. della legge fallimentare, contiene in sé alcune innovazioni di non scarso rilievo.
Appare quindi opportuno passare schematicamente in rassegna le novità in questione, nel tentativo di coglierne la ratio e di enuclearne una prima interpretazione, con particolare attenzione alle “ricadute” di maggior interesse per tutti i soggetti interessati, e dunque non solo per i cosiddetti “operatori del settore” (curatori, avvocati e giudici delegati), ma anche per i soggetti legittimati a presentare domande di ammissione al passivo (creditori) o di rivendica o restituzione di beni di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale, tenuto conto del fatto che tali domande, come espressamente confermato dal legislatore del Codice, possono essere presentate anche senza l’assistenza di un difensore.
1. L’avviso ai creditori e agli altri interessati
Le modalità e i contenuti dell’avviso che il curatore deve “senza indugio” inviare ai creditori e agli altri interessati sono disciplinati dall’art. 200 CCII, che costituisce la trasposizione nel Codice dell’art. 92 l.f., con alcune modifiche.
I destinatari della comunicazione restano “coloro che […] risultano creditori o titolari di diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o in possesso del debitore compresi nella liquidazione giudiziale”, ma l’inciso “esaminate le scritture dell'imprenditore ed altre fonti di informazione” viene sostituito dall’inciso “sulla base della documentazione in suo possesso o delle informazioni raccolte”.
Questa nuova formulazione è connessa all’ampliamento delle fonti informative alle quali il curatore ha accesso già al momento dell’accettazione dell’incarico, disponendo egli sin da subito dei “dati e i documenti relativi al debitore individuati all'articolo 367” (dati e documenti che la cancelleria acquisisce, ai sensi dell’art. 42 CCII, già durante il procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale), ed essendo egli autorizzato dal Tribunale, con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ad accedere alle banche dati e ad acquisire i documenti elencati dalla lettera f) del comma 3 dell’art. 49 CCII. Le fonti informative possono essere ulteriormente ampliate nelle ipotesi contemplata dall’art. 130, co. 2, CCII, ossia “se il debitore o gli amministratori non ottemperano agli obblighi di deposito di cui all'articolo 49, comma 3, lettera c), e se il debitore non ottempera agli obblighi di cui all'articolo 198, comma 2” o “quando le scritture contabili sono incomplete o comunque risultano inattendibili”, potendo in tali ipotesi il curatore chiedere al giudice delegato di essere autorizzato “con riguardo alle operazioni compiute dal debitore nei cinque anni anteriori alla presentazione della domanda cui sia seguita l'apertura della liquidazione giudiziale […] ad accedere a banche dati, ulteriori rispetto a quelle di cui all'articolo 49 e specificamente indicate nell'istanza di autorizzazione”.
A questo proposito, è bene rammentare che l’omissione dolosa o colposa dell’avviso previsto dalla norma in esame può esporre il curatore a responsabilità nei confronti degli aventi diritto a tale avviso, laddove questi ultimi provino di aver subito un danno in conseguenza della predetta omissione (v. Cass., sez. I, 7 dicembre 2007, n. 25624), ragion per cui va raccomandata ai curatori la massima diligenza nell’inviare senza indugio la comunicazione prevista dall’art. 200 CCII a tutti gli interessati individuabili in base alle suindicate fonti informative.
Quanto alle modalità della comunicazione, da un lato non è più presente il riferimento (contenuto nel primo comma dell’art. 92 l.f.) alla possibilità di inviare l’avviso a mezzo telefax – in alternativa al mezzo della lettera raccomandata – nel caso in cui il destinatario non sia munito di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Registro delle imprese dall’INIPEC, e, dall’altro, si prevede che tale raccomandata può essere indirizzata anche al domicilio del destinatario, in alternativa alla residenza.
Per quel che concerne, infine, il contenuto dell’avviso, si è aggiunto che lo stesso deve recare anche: la precisazione che la domanda può essere presentata anche senza l’assistenza di un difensore; l’indicazione anche dell’ora e del luogo – oltre che della data – dell’udienza di verifica; l’avvertimento che i creditori possono chiedere l’assegnazione delle somme non riscosse dagli aventi diritto e i relativi interessi ai sensi del comma 4 dell’art. 232 CCII.
2. La domanda di ammissione al passivo
Il primo comma dell’art. 201 CCII stabilisce che nel procedimento di verifica confluiscono – mediante ricorso da trasmettere almeno trenta giorni prima dell’udienza, a norma del comma seguente, all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato dal curatore nell’avviso di cui all’articolo precedente – non solo le domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, ma anche “le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui”.
Il legislatore del Codice ha così inteso risolvere (in attuazione dell’espressa direttiva contenuta nella legge delega n. 155/2017 all’art. 7, co. 8, lett. f, secondo cui avrebbero dovuto essere adottate misure volte a “chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca”) una problematica che, con riferimento alla disciplina dettata dalla legge fallimentare, ha generato un vivace dibattito in dottrina e in giurisprudenza: quella relativa all’onere (o meno) della presentazione della domanda di ammissione al passivo da parte di coloro che vantano un’ipoteca su un bene del fallito ma non sono creditori di quest’ultimo, situazione che viene a determinarsi quando il fallito sia terzo datore di ipoteca.
A tale quesito, anche dopo la riforma del 2006, la giurisprudenza di legittimità ha sempre fornito risposta negativa, affermando che i titolari di diritti d’ipoteca su beni immobili compresi nel fallimento e già costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito, non possono (e non hanno quindi l’onere di) avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori diretti del fallito, e l’accertamento dei loro diritti non può essere sottoposto alle regole del concorso, senza che sia instaurato il contraddittorio con la parte che si assume loro debitrice, dovendosi invece avvalere, per la realizzazione delle loro pretese in sede esecutiva, delle modalità di cui agli artt. 602, 603 e 604 c.p.c. (v. ex multis Cass., sez. I, 20 novembre 2017, n. 27504, nonché i numerosi precedenti in essa richiamati).
Nel 2019, con un’isolata pronuncia (v. ord. 30 gennaio 2019, n. 2657), la Suprema Corte ha mutato orientamento, evidenziando come, a seguito della riforma del 2006, l’art. 52 l.f. faccia riferimento non più soltanto ai crediti ma anche ad “ogni diritto reale personale o immobiliare” quale oggetto dell’accertamento che deve svolgersi secondo le forme stabilite dal capo V, e sottolineando come non appaia necessaria l’instaurazione del contraddittorio nei confronti del debitore, avendo la pronuncia un’efficacia meramente “endoconcorsuale”.
La stessa Cassazione è tuttavia poi ritornata su suoi passi (v. Cass., sez. I, 12 luglio 2019, n. 18790, e Cass., sez. VI-1, 14 maggio 2019, n. 12816), fino alla recente rimessione della questione alle Sezioni Unite con ordinanza n. 18337 pronunciata dalla Prima Sezione il 7 giugno 2022.
In attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite in merito alla disciplina previgente, ancora applicabile alle procedure fallimentari in corso, va quindi salutata con favore la scelta del legislatore del Codice di disciplinare espressamente la fattispecie per la liquidazione giudiziale con il summenzionato inciso all’interno dell’art. 201 CCII.
Nel comma 3 del suddetto articolo vi è poi un’altra novità che concerne il contenuto necessario della domanda di ammissione al passivo, che deve ora includere, per espressa previsione della lettera a) del comma in questione, anche l’indicazione del codice fiscale del ricorrente, nonché “le coordinate bancarie dell'istante o la dichiarazione di voler essere pagato con modalità, diversa dall'accredito in conto corrente bancario, stabilita dal giudice delegato ai sensi dell'articolo 230, comma 1”.
Si tratta di una previsione volta, evidentemente, a ridurre il più possibile le difficoltà che derivano dall’eventuale irreperibilità del creditore al momento del riparto, spesso attuato a numerosi anni di distanza dall’accertamento del passivo.
Peraltro, in base al comma 4 del medesimo articolo (a norma del quale “il ricorso è inammissibile se è omesso o assolutamente incerto uno dei requisiti di cui alle lettere a), b), o c) del comma 3”), la mancata ottemperanza del creditore al suddetto onere di indicazione comporta l’inammissibilità della sua domanda, fermo restando che si tratta di un’omissione che ben può essere sanata nel corso del procedimento di verifica, anche sulla scorta dei rilievi che il curatore può e deve effettuare al riguardo nel progetto di stato passivo.
Un’ultima innovazione risiede nella disposizione del comma 10 dell’art. 201 CCII in base alla quale (in deroga alla regola generale dettata dall’art. 9, co. 1, CCII secondo cui “la sospensione feriale dei termini di cui all'articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 non si applica ai procedimenti disciplinati dal presente codice, salvo che esso non disponga diversamente”) “il procedimento introdotto dalla domanda di cui al comma 1 è soggetto alla sospensione feriale dei termini di cui all’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742”, disposizione ripresa poi dal comma 16 dell’art. 207 CCII anche per le impugnazioni.
Anche in questo caso, il legislatore ha voluto introdurre un elemento di razionalizzazione all’interno del subprocedimento di verifica del passivo, atteso che, in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella verifica del passivo nelle procedure fallimentari la sospensione feriale dei termini processuali si applica in via generale ai giudizi per l’accertamento dei crediti concorsuali ma non opera in quelli in cui si controverta dell’ammissione allo stato passivo dei crediti di lavoro (v. per tutte Cass., Sez. U., 5 maggio 2017, n. 10944), con la conseguente scadenza in momenti differenti – per i crediti da lavoro e per quelli diversi – di vari termini quali quello “a ritroso” di trenta giorni prima dell’udienza per la presentazione delle domande tempestive e quello annuale (dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo) per la presentazione delle domande tardive.
3. L’efficacia delle decisioni del giudice delegato e del Tribunale
Un’importante novità è contenuta anche nel comma 5 dell’art. 204 CCII.
Se, infatti, il comma 6 dell’art. 96 l.f. sanciva il principio dell’efficacia meramente “endoconcorsuale” delle decisioni assunte all’esito del procedimento di verifica delle domande dinanzi al giudice delegato o delle relative impugnazioni, stabilendo che “il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all'esito dei giudizi di cui all'articolo 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso”, tale principio viene ribadito nella suddetta norma del Codice “limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui”, il che significa, a contrario, che le decisioni del giudice delegato – ovvero del Tribunale, all’esito dei giudizi di impugnazione di cui all’art. 206 CCII – sulle domande di rivendica o restituzione producono effetti non “soltanto ai fini del concorso” ma anche al di fuori di esso.
In tal modo si è data attuazione alla direttiva contenuta nella legge delega n. 155/2017 all’art. 7, co. 8, lett. d), di “assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari”, direttiva volta a “neutralizzare” nelle procedure di liquidazione giudiziale il rischio, esistente invece nelle procedure fallimentari, che gli acquirenti di immobili nelle vendite coattive poste in essere dagli organi dalle procedure siano assoggettati a pretese rivendicative da parte di quegli stessi terzi la cui domanda di rivendica sia stata rigettata – con effetto, per l’appunto, meramente “endoconcorsuale” – in sede di verifica.
Può peraltro notarsi che la disposizione in esame è andata oltre la suindicata direttiva, prevedendo l’opponibilità ai terzi – mediante le forme di pubblicità legale richiamate dall’art. 210, co. 3, CCII – non solo delle decisioni sui diritti reali immobiliari, ma anche di quelle sui diritti reali mobiliari e persino di quelle assunte su domande di restituzione di beni mobili o immobili.
4. Le domande tardive
Con l’art. 208, co. 1, CCII viene abbreviato in modo consistente il termine per la presentazione delle domande tardive: non più dodici mesi (prorogabili fino a diciotto dal Tribunale, in caso di particolare complessità della procedura, con la sentenza dichiarativa di fallimento) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, come previsto dall’art. 101 l.f., ma sei mesi (prorogabili, con le medesime modalità, fino a dodici) dal medesimo deposito.
Si tratta, anche in questo caso, dell’attuazione di una precisa direttiva dettata dalla legge delega, che con la lettera a) del comma 8 dell’art. 7 aveva richiesto al legislatore delegato di improntare il sistema di accertamento del passivo “a criteri di maggiore rapidità, snellezza e concentrazione, […] restringendo l'ammissibilità delle domande tardive”, attraverso un nuovo bilanciamento dell’esercizio dei diritti dei creditori (e dei soggetti che vantino diritti su beni inclusi nell’attivo della liquidazione) con le esigenze di speditezza della procedura (v. sul tema, anche con riferimento alla tenuta costituzionale, Cass., Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 23302).
Sempre in un’ottica di economia processuale, è stata poi modificata la previsione del comma 2 dell’art. 101 l.f. laddove stabilisce che “il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive un'udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza”. Si è preso atto, a tal riguardo, che già nella prassi molti giudici delegati disattendono tale previsione, fissando udienza per l’esame delle domande tardive solo se e quando tali domande risultino effettivamente pervenute, e si è quindi stabilito al comma 2 dell’art. 208 CCII che “quando vengono presentate domande tardive, il giudice delegato fissa per l'esame delle stesse un'udienza entro i successivi quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza”.
Ne consegue, tra l’altro, che della data dell’udienza per l’esame delle domande tardive dovranno essere avvisati dal curatore non solo “coloro che hanno presentato la domanda” ma anche “i creditori già ammessi al passivo” (laddove il comma 2 dell’art. 101 l.f. non prevede l’avviso a questi ultimi, presupponendo che l’udienza per le domande tardive venga fissata dal giudice delegato al termine dell’udienza per l’esame delle domande tempestive, al quale i creditori “tempestivi” hanno l’onere di assistere).
5. Le domande “ultratardive”
Al medesimo obiettivo di conferire una maggiore rapidità e concentrazione al sistema di accertamento del passivo risponde la nuova disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 208 CCII, laddove viene stabilito che, una volta decorso il termine di cui al comma 1 per la presentazione delle domande tardive, per l’ammissibilità delle stesse è richiesto non solo (come già nell’art. 101, co. 4, l.f.) che l’istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile, ma anche che la domanda sia trasmessa al curatore “non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo”.
Tale previsione consente anche il superamento delle incertezze ingenerate dalle oscillazioni giurisprudenziali della Suprema Corte in merito all’esistenza o meno, in mancanza di un’espressa specificazione nel comma 4 dell’art. 101 l.f., di un termine prestabilito (decorrente, naturalmente, dal momento della conoscenza della procedura fallimentare e/o della realizzazione delle condizioni di partecipazione al passivo, ivi inclusa l’insorgenza stessa del credito ove sorto dopo la scadenza del termine per le domande tardive) per la presentazione delle domande “ultratardive”: sul tema, infatti, a fronte di un orientamento che afferma l’applicabilità – in base ad un’interpretazione sistematica – del medesimo termine annuale previsto dalle domande tardive (v. ex multis: Cass., sez. I, 15 novembre 2021, n. 34435; Cass., sez. VI-1, 13 maggio 2021, n. 12735; Cass., sez. VI-1, 2 febbraio 2021, n. 2308; Cass., sez. I, 17 febbraio 2020, n. 3872), si è recentemente riproposto un diverso orientamento in base al quale non sussistono i presupposti per l’applicazione analogica del termine annuale anche alle domande “ultratardive”, da reputarsi ammissibili solo se presentate in un tempo che, secondo una valutazione da effettuarsi in rapporto alle peculiarità del caso concreto, appaia congruo e ragionevole e quindi tale da consentire di ritenere integrata quella immediatezza dell’attivazione del soggetto interessato che ne giustifichi la rimessione in termini (v. da ultimo Cass., sez. I, 5 aprile 2022, n. 11000, nonché i precedenti conformi in essa richiamati).
Sempre nel quarto comma dell’art. 208 CCII si rinviene un ulteriore cambiamento rispetto alla disciplina contenute nella legge fallimentare: se, infatti, tale disciplina impone la fissazione da parte del giudice delegato di un’udienza per la trattazione della domanda “supertardiva” anche quando la stessa apparisse prima facie inammissibile, dovendo anche il profilo della scusabilità del ritardo essere sempre e comunque esaminato in contraddittorio (v. Cass., sez. I, 31 luglio 2017, n. 18998), essendo impugnabile con il rimedio dell’opposizione allo stato passivo il provvedimento del giudice delegato che ne sancisca illegittimamente l’inammissibilità fuori udienza (v. Cass., sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21596), l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 208 CCII stabilisce invece che “quando la domanda risulta manifestamente inammissibile perché l'istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale o non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità, il giudice delegato dichiara con decreto l'inammissibilità della domanda” e che “il decreto è reclamabile a norma dell'articolo 124” (corrispondente all’art. 26 l.f.), ossia con reclamo al Tribunale in composizione collegiale.
Vi è da chiedersi, peraltro, in mancanza di qualsivoglia specificazione al riguardo, se in sede di reclamo il Collegio possa – ove ritenga di riformare il provvedimento del giudice delegato sull’inammissibilità della domanda – provvedere anche sul merito della stessa ovvero, come appare preferibile in un’ottica di razionalità del sistema, debba rimettere gli atti al giudice delegato affinché provveda sul merito della domanda con il procedimento dettato dagli artt. 203, 204 e 205 CCII, e dunque con decreto impugnabile con i rimedi previsti dall’art. 206 CCII.
6. Le impugnazioni
La principale modifica introdotta nella disciplina delle impugnazioni riguarda l’espressa previsione e disciplina delle c.d. impugnazioni incidentali.
È bene ricordare che, con riferimento al regime normativo dettato dalla legge fallimentare, la giurisprudenza di legittimità ne ha costantemente escluso l’ammissibilità, affermando che le impugnazioni avverso il decreto di esecutività dello stato passivo, ossia l’opposizione, l’impugnazione e la revocazione, devono essere necessariamente proposte in via principale e nel termine stabilito dall’art. 99 l.f., restando quindi esclusa un’impugnazione incidentale, sia essa tempestiva o tardiva (v. Cass., sez. VI-1, 26 novembre 2020, n. 26896, secondo cui, pertanto, ove il credito dell’istante sia stato ammesso al concorso solo parzialmente, il curatore che intenda contestare il relativo accertamento del giudice delegato deve impugnare lo stato passivo nel termine di rito, non essendo sufficiente la proposizione di una mera eccezione sul punto nel giudizio di opposizione promosso dal medesimo creditore istante; in termini, v. Cass., sez. I, 15 maggio 2019, n. 13008, Cass., sez. VI-1, 3 settembre 2018, n. 21581, e Cass., sez. I, 4 luglio 2018, n. 17561).
Il comma 4 dell’art. 206 CCII sancisce invece l’ammissibilità delle impugnazioni incidentali, anche tardive, stabilendo che “la parte contro cui l'impugnazione è proposta, nei limiti delle conclusioni rassegnate nel procedimento di accertamento del passivo, può proporre impugnazione incidentale anche se è per essa decorso il termine di cui all'articolo 207, comma 1”.
La disciplina processuale di tali impugnazioni si rinviene poi nei commi 6, 7 e 8 del successivo art. 207 CCII, in cui si prevede che l’impugnazione incidentale tardiva va proposta, a pena di decadenza, nella memoria difensiva depositata almeno dieci giorni prima dell’udienza, e che “se è proposta impugnazione incidentale tardiva il tribunale adotta i provvedimenti necessari ad assicurare il contraddittorio”.
Tra le altre novità sparse nel testo dell’art. 207 CCII vanno segnalate quelle contenuta nel comma 10, che stabilisce l’applicabilità degli artt. 309 e 181 c.p.c. per il caso di mancata comparizione delle parti (applicabilità già affermata in via interpretativa dalla Suprema Corte nelle impugnazioni disciplinate dalla legge fallimentare: v. in tal senso Cass., sez. I, 10 aprile 2019, n. 10086), e aggiunge che “il curatore, anche se non costituito, partecipa all'udienza di comparizione fissata ai sensi del comma 3, per informare le altre parti ed il giudice in ordine allo stato della procedura e alle concrete prospettive di soddisfacimento dei creditori concorsuali”, partecipazione non prevista dalla legge fallimentare e considerata dalla giurisprudenza di legittimità alla stregua di una irregolarità, tale da non determinare la nullità del procedimento (v. Cass., sez. VI-1, 31 maggio 2011, n. 12012).
Ricordo di Umberto Romagnoli (1935 - 2022)
di Gian Guido Balandi
Umberto Romagnoli è stato tra gli esponenti di spicco del giuslavorismo di un lunghissimo periodo che copre l’ultimo quarantennio del secolo ventesimo e i primi venti anni dell’attuale.
Professore alla facoltà di Scienze Politiche di Bologna, dove ha ricoperto anche la funzione di Preside, dopo un breve periodo iniziale della carriera in Ancona e a Modena. Componente del gruppo bolognese, di cui Federico Mancini si considerava “capostipite”, che – con anche Giorgio Ghezzi e Luigi Montuschi – nel 1972 redasse il commentario allo Statuto dei lavoratori, nel quadro del Zanichelliano Commentario Scialoja Branca, Umberto Romagnoli si è sempre distinto per la metodologia di ricerca.
Sua infatti la grande capacità di coniugare una impeccabile conoscenza e frequentazione del dato normativo dogmatico – si era formato alla scuola processualcivilista di Redenti e Carnacini – con l’apprezzamento dei dati socio politici che costituiscono l’imprescindibile sfondo del diritto del lavoro.
Soprattutto è stata caratteristica dei suoi studi l’approfondimento storico che ne ha fatto uno dei più valorosi storici del diritto non specialista. Fondamentali, proprio a questo proposito, i suoi volumi Il lavoro in Italia. Un giurista racconta (Bologna: il Mulino 1995); Giuristi del lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto (Roma: Donzelli 2009); Giuristi del lavoro nel novecento italiano. Profili (Roma: Ediesse 2018).
La sua produzione monografica non si limita a questi titoli, ma comprende opere sia di impianto più “tradizionale” come Il contratto collettivo d’impresa (Milano: Giuffrè 1963), La prestazione di lavoro nel contratto di società (Milano: Giuffrè 1967), Le associazioni sindacali nel processo (Milano: Giuffrè 1969), sia altre decisamente innovative come la contemporanea Contrattazione e partecipazione (Bologna: il Mulino 1968). Questa contemporaneità dei tre lavori dimostra la straordinaria versatilità dello studioso, in quest’ultima ricerca affronta infatti le vicende sindacali di una industria tessile contaminando sapientemente il diritto del lavoro con le relazioni industriali e la sociologia.
Insieme con il sodale Giorgio Ghezzi, per un ventennio – dall’ inizio degli anni 80 ai duemila – ha pubblicato presso Zanichelli un importantissimo e innovativo Manuale di diritto del lavoro e diritto sindacale, che resta un punto di riferimento metodologico per la manualistica, almeno quella “di carta”.
E. stato per molti anni condirettore della Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile – una delle “classicissime” tra i periodici giuridici – e nel 1987 ha fondato, presso l’editore il Mulino e in collaborazione con alcuni più giovani colleghi, la rivista Lavoro e diritto, che ha diretto fino al 2016. In quest’ultima ha fatto confluire l’esperienza maturata in Politica del diritto, di cui è stato una delle firme più importanti fin dalla fondazione nel 1970.
La produzione saggistica è vastissima e caratterizzata da una scrittura molto brillante e letterariamente assai pregevole, aspetto al quale Umberto Romagnoli era particolarmente sensibile.
Non ha mai espressamente frequentato metodologie comparatistiche, tuttavia i caratteri della sua ricerca, che sopra ho troppo sinteticamente richiamato, ne facevano testi “naturalmente” capaci di prestarsi ad una riflessione comparata, e così la conoscenza delle sue opere nel mondo di lingua spagnola – penisola iberica e sub continente latino americano – è stata vasta ed approfondita fino a valergli tra lauree h.c.: in Castilla La Mancha, a Buenos Aires e a Lima.
Alla diffusione del suo pensiero e alla crescita di una intera classe dirigente sud americana ha contribuito potentemente l’essere stato tra i fondatori e poi ispiratore e partecipante, dalla fine degli anni Ottanta del 900 fino a che la pandemia non ne ha impedito l’organizzazione, del “Curso de Especialización para Expertas/os Latinoamericanas/os en Relaciones Laborales”, negli ultimi circa vent’anni svoltosi a Toledo, dopo Bologna e la collaborazione con il Centro Oil di Torino.
Si è spento a Bologna il 12 dicembre 2022, all’ età di 87 anni, lasciando la moglie Lisa, le figlie Daniela e Barbara e tre nipoti.
Dal pre-conscio al diritto artificiale di Angelo Costanzo
Sommario: 1. La bi-logica - 2. L’argomentazione e l’ars distinguendi - 3. La razionalità artificiale e il ragionamento giuridico - 3.1. Gli affidabili sistemi esperti deduttivi - 3.2. Macchine intelligenti inesperte e insidie della logica induttiva - 3.3. Intelligenza artificiale e razionalismo dialettico - 3.3. Intelligenza artificiale e razionalismo dialettico.
1. La bi-logica
La logica del Novecento ha fornito due potenti strumenti di affinamento dell’idea che il ragionamento è un procedimento verbale, ma, al contempo, è un'azione interna della psiche.
Il primo è costituito dalle logiche non-classiche, che hanno legittimato deviazioni dai principi logici (non-contraddizione, terzo escluso) che la tradizione ha inteso come fondamentali ma che nelle argomentazioni sono ordinariamente relativizzati.
Il secondo è offerto dalla bi-logica che dà corpo a una prospettiva più ampia, in cui le argomentazioni informali e le dimostrazioni formali possono comprendersi come forme di ragionamento stanziate allo stesso livello di emersione dalle basi prelogiche del pensiero[2].
Le idee centrali della bi-logica sono le seguenti. Quando è cosciente, la mente può approcciare i suoi oggetti in due modi: uno analitico (distinguente, dividente) e l’altro analogico (assimilante, unificante). Il primo modo raccorda tramite relazioni logiche gli oggetti che ha distinto. Il secondo modo tratta l’insieme dei suoi oggetti come una totalità omogenea: rivela aspetti del campo osservato a volte non altrimenti accessibili, ma, poiché radicato nel terreno del preconscio, può fuorviare per fuorviare il pensiero discorsivo. La bi-logica accede ai livelli di pensiero retrostanti ai due modi, interpretando gli stati della mente come interazioni fra la tendenza a seguire relazioni simmetriche e la propensione a stabilire relazioni asimmetriche.
Il principio logico simmetrizzante tratta gli oggetti e le loro classi come componenti di classi più ampie, propaga assimilazioni inconsce, non mosse dal discernimento. Sono rette da relazioni simmetriche: l’attività onirica, le fantasie, le pulsioni, le emozioni più intense, la creatività (che però richiede che non sia persa la capacità di distinguere gli oggetti intanto unificati, perché, come ex contradictione quodlibet sequitur così ex indistinctione quodlibet sequitur).
Il principio logico asimmetrizzante fa proliferare le distinzioni, tratta un oggetto particolare come componente di una classe (seguendo lo schema delle ramificazioni concettuali del classico albero di Porfirio) e mentre i prodotti della simmetrizzazione tendono a diventare indistinguibili, quelli della genericizzazione sono ben distinguibili fra loro, per cui, sono trattabili da una logica con due valori di verità (vero, falso). La totale applicazione del principio simmetrizzante condurrebbe alla assenza di negazione e alla totale identificabilità (indiscernibilità) fra gli oggetti. Invece, poiché esso interagisce con il principio asimmetrizzante, è possibile irreggimentare − secondo modi e gradi diversi − il disordine così evitando il caos logico. Quella che ne deriva è una bi-logica, che tuttavia può essere descritta solo tramite la sua componente asimmetrizzante: la logica classica (un argine contro la forza disgregante delle emozioni e degli impulsi).
2. L’argomentazione e l’ars distinguendi
Gran parte dei dati e delle loro correlazioni va persa nel transito dal pre-conscio alla consapevole elaborazione di una argomentazione espressa nelle forme di un discorso, ma questo passaggio è indispensabile per la comunicazione e utile per il controllo sui suoi contenuti
In ogni caso, la lettura in chiave bi-logica di una argomentazione (dei singoli argomenti e del loro connettersi in un ragionamento) non è sempre possibile, non risulta mai semplice, comporta il rischio di gravi fraintendimenti o di mere illazioni e, comunque, è inevitabilmente destinata a rimanere incompiuta.
Tuttavia, anche muovere soltanto qualche passo nella sua direzione può chiarire alcune radici psicologiche dei ragionamenti, dei loro gradi di cogenza e delle fallacie che possono viziarli: i ragionamenti manifesti si svolgono sullo sfondo di estese basi, destinate a rimanere entimematiche, di presupposti inesplicitati e di sottintesi non sempre condivisi fra chi si esprime e chi legge o ascolta.
L’argomentazione con la quale si sviluppa la trattazione di un tema può evocare, organizzare e intrecciare in diversi modi una variegata moltitudine di relazioni, ognuna caratterizzata da una sua proporzione fra relazioni simmetriche e relazioni asimmetriche.
La forza persuasiva di una argomentazione è influenzata dal combinarsi fra asimmetrizzazione e simmetrizzazione, fra logica (dell’identità, che regge le inferenze deduttive) e analogica (della somiglianza, che regge le inferenze induttive e l’abduzione). Questo intreccio è efficace se rispetta un canone fondamentale: la cogenza logica ha (se riconosciuta) una efficacia persuasiva in sé, alla quale può aggiungersi ma non sostituirsi la forza (psicagogena) delle varie forme di simmetrizzazione.
Le relazioni logiche fra i dati utilizzati collegano i vertici di strutture complesse, che incorporano miriadi di associazioni latenti fra dati e valutazioni che solitamente rimangono inespresse ma a volte riemergono e, in vari modi e per varie cause, si inseriscono surrettiziamente nelle articolazioni del discorso esplicito[3].
Questo serbatoio di informazioni e di nessi fornisce la materia necessaria all’esercizio dell’ars distinguendi, un’arte naturale, perché legata alla spontanea attitudine della mente associare e dissociare le nozioni e i giudizi, che si affina con l’esperienza nei vari campi del sapere e delle prassi.
L’ars distinguendi ha valore in tutti i settori della conoscenza ma nel diritto, in particolare, costituisce un necessario costante esercizio per cogliere la specificità dei casi e evitare le incongruenze che derivano dal trattare in modo simile situazioni invece dissimili, cioè differenziabili sulla base di un principio giuridico che sia pertinente alla fattispecie o sulla base di una diversa ipotesi di ricostruzione degli eventi.
La ricerca di ragioni per escludere quella che era ammessa come una somiglianza e tramutarla in una diversità essenziale può dipendere dai diversi livelli dell’analisi: due oggetti possono apparire simili a un dato livello ma a un altro possono differire.
In realtà, l’albero di Porfirio (quello delle ramificazioni concettuali) può svilupparsi in diversi modi e in modi diversi ci si può arrampicare o appollaiare sui suoi rami. La molla intellettiva che porta a associare o dissociare le nozioni nasce da una opzione interna alla psicologia e alla formazione culturale dell’interprete che può tradursi in un dato giuridicamente rilevante se è ancorata a circostanze fattuali significative in relazione ai dati normativi (ai principi soprattutto) offerti dall’ordinamento giuridico.
L’ars distinguendi sta alla base delle più importanti argomentazioni che si sviluppano nel campo giuridico: per risolvere le incompatibilità fra dati normativi (quando i criteri legislativi di risoluzione delle antinomie non soccorrono), per rigettare una precedente interpretazione, per accantonare una massima di comune esperienza, per rinvenire una eccezione e per svincolarsi da un discorso già svolto [4]. L'interpretazione accurata può aumentare l'incertezza del diritto, perché solleva nuovi problemi rivelando complessità inattese, ma giova alla Giustizia [Quintiliano, Institutio oratoria, II, XIII, 1].
3.La razionalità artificiale e il ragionamento giuridico
Come il passaggio dal pre-conscio al pensiero discorsivo comporta una riduzione dei dati e delle correlazioni consapevolmente utilizzabili, così il passaggio dalla argomentazione alle cristallizzazioni dei significati dei termini e delle inferenze che si realizza con i modi della intelligenza artificiale comporta un ulteriore impoverimento dei ragionamenti, dovuto a semplificazioni e meccanizzazioni che possono essere utili purché chi se ne serve resti vigile sui limiti degli strumenti dei quali si sta avvalendo.
In particolare, gli algoritmi dalla razionalità artificiale si prestano a essere usati in vari ambiti di interesse per le decisioni giudiziarie, ma (allo stato attuale del loro sviluppo) non possono seguire percorsi che fuoriescano dalle direttrici della logica formale per entrare nel campo della argomentazione.
3.1. Gli affidabili sistemi esperti deduttivi
L’intelligenza artificiale non può sostituire il giurista ma può fornirgli degli ausili.
Gli algoritmi offrono i risultati migliori e meno problematici quando producono i sistemi esperti – quelli che operano secondo una logica pienamente controllata da coloro che li progettano e dall’utente che (studiando e aggiornandosi) si metta in grado di comprenderne il funzionamento, così da utilizzarli come strumenti di supporto a operazioni che anche da sé potrebbe completare.
I modelli logici che reggono i sistemi esperti si fondano su delle regole incentrate sulla connessione inferenziale fra antecedente e conseguente (se… → allora…). Da anni se ne hanno utili applicazioni pratiche per rendere più rapide operazioni improntate a una logica deduttiva, come, per esempio, fra le più semplici: il calcolo delle prescrizioni dei reati o la quantificazione di un indennizzo o del risarcimento di un danno sulla base di criteri predeterminati.
Inoltre, l’informatica giuridica può aiutare a scoprire i procedimenti pseudologici: introducendo nell’itinerario giuridico canoni di correttezza o almeno di trasparenza della scorrettezza[5]. Questo vale sia per l’analisi dei testi legislativi (per la loro redazione e per le inferenze che se ne possono trarre) sia per l’analisi delle sentenze e dei provvedimenti amministrativi (per i loro contenuti e per le inferenze che se ne possono trarre). I diversi criteri interpretativi e inferenziali possono condurre a una pluralità di risultati plausibili ma non tutti questi risultati derivano da operazioni intellettuali rispettose dei principi della logica formale.
A questo scopo può servire la computational law che riguarda la rappresentazione di fatti e di regole tramite la logica formale e l’uso di tecniche di ragionamento meccanico per derivare le conseguenze di fatti e di regole come rappresentati attraverso proposizioni formalizzate. Il maggior limite attuale della computational law è lo stesso della logica computazionale generale: non va oltre il calcolo proposizionale, cioè il calcolo logico in cui l'analisi delle inferenze viene condotta al livello delle proposizioni senza indagare la struttura interna delle proposizioni stesse.
Pur con questo limite alcuni algoritmi potrebbero essere proficuamente utilizzati per una verifica della correttezza logica di una parte delle argomentazioni che riguardano la prova dei fatti, individuando fallacie formali nel ragionamento e, anzitutto, le sue illogicità manifeste.
A tal fine, però, si richiede una purificazione del linguaggio con cui vengono espresse le argomentazioni probatorie in modo da curarne adeguatamente la forma logica e renderle trattabili dai programmi che utilizzano sistemi logici esperti e questo comporta una evoluzione culturale nella formazione dei giuristi per metterli in grado di sfruttare questa potenzialità.
3.2. Macchine intelligenti inesperte e insidie della logica induttiva
Il funzionamento di algoritmi aperti alla acquisizione di informazioni, ulteriori rispetto a quelle di cui sono muniti come premesse iniziali, tramite forme di apprendimento automatico da parte degli stessi sistemi. si basa su generalizzazioni estratte dei casi (valutati come) simili.
Questi algoritmi non hanno la capacità di considerare adeguatamente le circostanze di ogni caso concreto anche perché, comunque, non sono in grado di procurarsi tutte le informazioni che sarebbero necessarie.
Le reti neurali mirano a superare queste limitazioni mediante strategie di adattamento flessibile all'ambiente, con una parodia del sistema neurale animale. Ma rimane insita nei sistemi basati sull'apprendimento automatico l’incertezza che non consente di escludere che il nuovo caso esaminato, seppur assimilabile ai precedenti per caratteristiche considerate dalla rete, non si adatti alla predizione. Questa condizione non è risolta, anzi potrebbe essere aggravata, dalla possibilità di siffatti sistemi (che, quindi, si rivelano inesperti) di utilizzare grandi masse di dati come esempi dai quali estrarre correlazioni e generalizzazioni. Inoltre, a differenza di un albero di decisione sul quale si incentra un sistema esperto, la rete neurale non fornisce direttamente spiegazioni comprensibili per i suoi output, sicché è equiparabile a una black box priva, per definizione, di trasparenza.
3.3. Intelligenza artificiale e razionalismo dialettico
Il modello di argomentazione tracciato per il ragionamento probatorio nei processi si ispira al razionalismo dialettico e in questa direzione, la Carta etica sull’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nel loro ambiente, adottata il 3 dicembre 2018 dalla Commissione europea per l’efficienza dei sistemi di giustizia (CEPEJ) richiede la coerenza logica dei calcoli algoritmici in un itinerario di decisione conforme ai principi del diritto processuale[6]. In altri termini, il risultato algoritmico deve essere corroborato da elementi di prova che siano elaborati secondo il metodo dialettico e che richiedano l’intervento umano[7].
Fra qualche tempo, sarà anche possibile sviluppare una nuova logica formale (più ampia dei tradizionali modelli deduttivi) per confezionare modelli di ragionamento giuridico (non riducibile a meri sillogismi), e progettare sistemi esperti in grado di cogliere la dialettica degli argomenti tra loro contrapposti e usare tecniche per attaccarli e confutarli. Si tratta di formalizzare il cosiddetto defeseable reasoning, ossia il ragionamento che è convincente ma che non risulta deduttivamente valido perché potrebbe essere sconfessato da specifiche eccezioni e, quindi, soggetto a refutazioni[8].
Meno facilmente pronosticabili paiono sistemi formali in grado di valutare (da sé stessi) il peso degli argomenti, perché la forza di un argomento dipende anche dal contesto in cui si colloca e il contesto dipende da circostanze mutevoli [9].
In ogni caso, resta il fatto che al momento i vari sistemi di intelligenza artificiale − quando si supera una certa soglia di complessità delle questioni − non sono in grado di offrire quel che la intelligenza umana può in modo facile e corretto (se ben educata e se abituata a sorvegliare i propri stati mentali) produrre[10]. Allora, è chiaro che ricorrere ai risultati applicativi di elaborazioni teoriche interessanti per i loro possibili ulteriori sviluppi applicativi, ma ancora embrionali, sarebbe come servirsi di un computer per compiere operazioni per le quali basta un pallottoliere o il semplice saper fare di conto a mente[11].
Intanto, pare necessario fornire a chi si impegna nella produzione del diritto e a chi si occupa della sua applicazione gli strumenti intellettuali necessari per mantenere il controllo della situazione in fieri e utilizzare proficuamente gli apporti della intelligenza artificiale. Quello che questa riserva per il futuro, nella parte in cui è pronosticabile, presenta dei limiti che sono fonti di perplessità. Tuttavia, al di qua di molte loro anticipazioni immaginifiche, in qualche misura i cambiamenti avverranno. Anzi in diverse aree del globo sono già in atto. Se saranno molto veloci, dei loro effetti si acquisterà piena consapevolezza solo dopo che si saranno verificati. Basti pensare alle conseguenze (prevalentemente ma non esclusivamente positive) dell’utilizzo dell’informatica per la documentazione giuridica che, peraltro, pur nella sua ampiezza, resta concettualmente dominabile dai suoi utenti.
Quella che nel frattempo comunque occorre è una meditata ricomposizione dei vari insegnamenti universitari che riguardano l’informatica giuridica con i suoi crescenti ramificati sviluppi[12], così da inserirla fra le componenti delle rinnovande artes sermocinales in modo che queste, dalle tradizionali (e ormai trascurate) arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica) si allarghino a moderni strumenti interdisciplinari, quali, secondo alcuni, potrebbero essere: le basi della linguistica generale, la logica con le sue diramazioni nell’informatica e nel calcolo delle probabilità, la metodologia[13].
[1] Aristotele, Analitici secondi, I, 76b 24-25.
[2] Della sistemazione teoretica della bi-logica è artefice Ignacio Matte-Blanco, alle cui principali opere occorre rinviare: On introjection and the Process of Psychic Metabolism, London, Institut of Psychoanalysis, 1941. Ediz.it. Preludi della bi-logica. Metabolismo psichico e logica dell’inconscio, Liguori, 2002; The Unconscious as infinite Sets. A Essay in Bi-Logic, Duckworth, 1975, trad.it. di M. Bria: L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi, 2000; Thinking, Feeling, and Being. Clinical Reflection on the Fondamental Antinomy of Human Beings and World, Routledge, 1988, trad.it. M. Bria, Pensare, sentire, essere. Riflessioni cliniche sulla antinomia fondamentale dell’uomo e del mondo, Einaudi, 1995), a alcune presentazioni. Per una introduzione al pensiero di Matte-Blanco: M. Durst, Dialettica e bi-logica. L'epistemologia di Ignacio Matte Blanco, Marzorati, 1984.
[3] Per tutti: G. Mosconi, Discorso e pensiero, Bologna, Il Mulino, 1990.
[4] A.Costanzo, Ars distinguendi, discriminazione e macchine intelligenti, in: Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management, 3/2022, Supplemento 1, pp. 41-49; A.Costanzo, L’inserimento di valori extra giuridici nell’interpretazione delle norme, l’ancoraggio psicologico ai precedenti e la logica dei dati normativi; in: Psicologia del giudicare, Quaderno della Scuola Superiore Magistratura, 2023, in corso di pubblicazione.
[5] P. Mariani-D. Tiscornia, in AA.VV., Sistemi esperti giuridici, F. Angeli, Milano 1989; F. Falato, L’inferenza generata dai sistemi esperti e dalle reti neurali nella logica giudiziale, in: Archivio penale, 2, 2020, pp. 2-30.
[6] Fra gli altri: G. Canzio- V. Manes, L’oracolo algoritmico e la giustizia penale: al bivio tra tecnologia e tecnocrazia, in U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale. Il diritto, i diritti, l’etica, 2020, 547 ss; P. Severino, Intelligenza artificiale e diritto penale, in U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale. Il diritto, i diritti, l’etica, 2020, 531 ss.
[7] L’art. 8 d.lgs. 18 maggio 2018, n. 51 (Attuazione della direttiva 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27/04/2016). 10 Art. 8: «1. Sono vietate le decisioni basate unicamente su un trattamento automizzato, compresa la profilazione, che producano effetti negativi per l’interessato, salvo che siano autorizzati dal diritto dell’Unione europea o da specifiche disposizioni di legge. 2. Le disposizioni di legge devono prevedere garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato. In ogni caso è garantito il diritto di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento».
Sul tema: L. Floridi, Robots, Jobs, Taxis and Responsabilities, in Philos. Technolog., 2017, 2: «The best chess player is neither a human nor a computer, but a human using a computer».
[8] Su questi aspetti, per tutti: G. Sartor, L'intelligenza artificiale e il diritto, Torino, Giappichelli, 2022, pp. 44-45 103-122.
[9] Sul giudizio come operazione di bilanciamento: G. Corasaniti, Data science e diritto, Certezze digitali e benefici del dubbio, Torino, Giappichelli, 2022. Per varie tematiche: C. Asaro, Ingegneria della conoscenza giuridica applicata al diritto penale. Con prefazione di G. Corasaniti e postazione di E. Nissam, Roma, Aracne, 2021.
[10]Fra gli altri: C. V.Giabardo, Il giudice e l’algoritmo (in difesa dell’umanità del giudicare), in: Giustiziainsieme, 9/07/2020.
[11] La maggior parte dei software che veicolano i sistemi artificiali sono coperti da brevetti appartenenti a aziende private, sicché la comprensione dei meccanismi del loro funzionamento è solo parziale e questo pregiudica le esigenze di trasparenza e di verificazione indipendente della qualità e affidabilità dei risultati da essi prodotti.
[12] Per una esposizione storica del rapporto fra l’informatica giuridica e la formazione del giurista: G.Ciacci-G.Buonomo, Profili di informatica giuridica, Milano, Wolters Kluver, 2021, pp. 19-30,
[13] Sul tema: Nuovi paradigmi di apprendimento: ricerca, internazionalizzazione, innovazione, Fondazione Golinelli, Bologna, 2 novembre 2021, in internet.
Il risarcimento del danno da illegittima bocciatura e conseguente ritardato ingresso nel mondo del lavoro (Nota a T.A.R. Liguria, sez. I, 5 ottobre 2022, n. 834)
di Ilaria Genuessi
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. Illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e responsabilità aquiliana. – 2.1. Il risarcimento del danno derivante dalla illegittima bocciatura nel quadro dell’art. 2043 c.c. – 2.2. Presupposti dell’illecito ai fini della risarcibilità del danno. – 3. Quantum risarcibile e tipologie di danno: gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa e le statuizioni della pronuncia in esame. – 4. Osservazioni conclusive.
1. Il caso di specie
La pronuncia in esame concerne la configurabilità di una fattispecie di danno risarcibile, patrimoniale e non, in caso di bocciatura scolastica riconosciuta come illegittima in sede giudiziale[i].
In particolare, a seguito della presentazione di un primo ricorso – con sentenza del medesimo T.A.R. Liguria, peraltro divenuta intangibile mediante decreto del Consiglio di Stato con cui l’appello veniva dichiarato perento – si annullavano gli atti relativi alla mancata ammissione della ricorrente alla classe IV^ del liceo scientifico.
Tali atti, in sostanza, determinavano la bocciatura della studentessa al termine della classe III^ della scuola secondaria di secondo grado, frequentata nell’anno scolastico 2010/2011 e, precisamente, all’esito degli esami di riparazione sostenuti dalla ricorrente il 24 e 25 agosto 2011.
Nella medesima pronuncia si stabiliva peraltro l’annullamento «con effetto ex nunc, fatta salva la successiva carriera scolastica della ricorrente», e ciò «anche in vista dell’eventuale domanda di ristoro dei danni sofferti».
Di seguito, mediante ulteriore ricorso, la studentessa – attualmente architetto – si rivolgeva allo stesso giudice amministrativo al fine di ottenere la condanna, del Ministero dell’Istruzione e del Liceo Scientifico di Savona interessato, al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima bocciatura inflittale.
Nel dettaglio, la ricorrente evidenziava nel medesimo ricorso come a causa dell’illegittimo comportamento dell’Amministrazione scolastica, connotato da grave colpevolezza, avesse di fatto dovuto ripetere il terzo anno della scuola secondaria di secondo grado, con conseguente ritardo rispetto al suo percorso scolastico ed accademico, nonché con riferimento allo stesso accesso al mercato del lavoro.
Ragione per la quale l’esponente chiedeva il ristoro del danno patrimoniale da mancata promozione o da perdita di chances, da quantificarsi mediante C.T.U. o, in alternativa, da liquidarsi equitativamente, nonché del pregiudizio non patrimoniale subito.
Nel dettaglio, con specifico riferimento al danno patrimoniale, si dettagliavano i costi per il mantenimento da parte dei genitori durante l’anno scolastico ripetuto, stimati in € 8.469,81 in base ai dati Istat e il mancato guadagno per un anno di prestazioni professionali come architetto, pari ad € 27.212,40, o, in subordine, la perdita della chance di ottenere il suddetto reddito; per il danno non patrimoniale, invece, si richiedeva un importo per il turbamento emotivo interiore sofferto, da determinarsi in via equitativa.
Il T.A.R. Liguria, pronunciandosi sulla questione, accoglieva la domanda di risarcimento del danno, con riguardo ad entrambe le poste risarcitorie richieste dalla ricorrente e, in particolare, il danno patrimoniale da lucro cessante (escludendo invece il danno emergente, derivante dagli esborsi sostenuti dai genitori per mantenere la studentessa durante l’anno scolastico ripetuto a seguito della bocciatura), oltre che il danno non patrimoniale, quale danno morale soggettivo patito.
2. Illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e responsabilità aquiliana
Un primo principio di diritto fondamentale posto dalla pronuncia in questione appare con evidenza l’inquadramento della domanda di risarcimento dei danni derivanti dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa nell’ambito del paradigma aquiliano, di cui all’art. 2043 cod. civ.[ii].
Chiarendo tale aspetto la sentenza del giudice amministrativo in commento si pone in conformità rispetto a quanto da ultimo statuito sul punto dalla giurisprudenza amministrativa[iii], in particolar modo dalla stessa Adunanza plenaria del supremo consesso amministrativo, richiamata dalla pronuncia in esame.
Così, in merito, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha statuito anzitutto, in senso generale, che «la responsabilità in cui incorre l'amministrazione per l'esercizio delle sue funzioni pubbliche sia inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito, sia pure con gli inevitabili adattamenti richiesti dalla sua collocazione ordinamentale nei rapporti intersoggettivi, quale risultante dall'evoluzione storico-istituzionale e di diritto positivo che la ha caratterizzata». Ancora, «la responsabilità della pubblica amministrazione per lezione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale, sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale»[iv].
Così, è nella stessa summenzionata pronuncia del giudice amministrativo resa in funzione nomofilattica che, inquadrando la questione, si chiarisce come «nel paradigma dei rapporti giuridici interessati dal pubblico potere, lo strumento di tutela elettivo e di carattere generale per l'interesse legittimo è quello dell'azione costitutiva di annullamento dell'atto amministrativo», sebbene nel corso del tempo, la stessa giurisprudenza abbia – come noto – disancorato l'interesse legittimo dalla sua originaria concezione di interesse occasionalmente protetto e, tenendo conto altresì del complessivo quadro normativo, ne abbia rilevato la dimensione "sostanzialista", quale interesse correlato ad un "bene della vita" coinvolto nell'esercizio della funzione pubblica, e comunque a una situazione soggettiva sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare.
Cosicchè, al privato sono innanzitutto riconosciuti strumenti di tutela procedimentale finalizzati ad orientare la discrezionalità dell'amministrazione, oltre che diverse forme di tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive scaturenti dall'esercizio del potere dell’amministrazione, ciò al fine di rendere effettiva la protezione del cittadino, anche nel quadro di un nuovo modello di amministrazione originatosi (definito anche quale modello di amministrazione pubblica "di prestazione").
Ecco che, come noto, nell’ambito delle forme di tutela ulteriori rispetto alla classica predetta azione di annullamento, già in un periodo antecedente rispetto alla storica sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 22 luglio 1999, n. 500[v], ha assunto un ruolo rilevante la stessa tutela risarcitoria, ammessa anche nei confronti del potere pubblico, sebbene – in origine – in virtù di precise e specifiche norme a carattere settoriale[vi].
Alle stesse hanno fatto seguito previsioni a carattere generale riportate dapprima nel d.lgs. n. 80/1998, successivamente nella l. n. 205/2000[vii] e, da ultimo, nel Codice del processo amministrativo.
In sostanza, mediante le suddette previsioni si è introdotto in ambito pubblicistico un sistema in base al quale risulta devoluto al giudice amministrativo, quale «giudice naturale della legittimità dell'esercizio della funzione pubblica», il potere di condannare l’amministrazione pubblica al risarcimento del danno, nel caso di illegittimo esercizio del potere pubblico, in ottica rimediale, ovvero quale «strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione»[viii].
Le suddette previsioni, inoltre, hanno trovato definitiva sistemazione nel Codice del processo amministrativo: così, in particolare, alla luce delle disposizioni di cui: all’art. 1, concernente la tutela “piena ed effettiva” nei confronti dell’amministrazione; all’art.7, commi 4 e 7, rispetto alla tutela degli interessi legittimi ed al risarcimento del danno per lesione dei medesimi; così come all’art. 30 del Codice stesso.
Ecco che, secondo tale impostazione, la responsabilità dell'amministrazione per l'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa va ad essere inquadrata, dunque, nell’ambito della responsabilità da fatto illecito anche in ragione della posizione di “supremazia” dell’amministrazione medesima e della conseguente autoritatività che connota i provvedimenti amministrativi; in altri termini, occorre rilevare come la pubblica amministrazione – per ragioni storiche, sistematiche e normative – non possa essere assimilata al "debitore" obbligato per contratto ad "adempiere" in modo esatto nei confronti del privato e, conseguentemente, l’emanazione di atti illegittimi si ponga quale fonte di responsabilità in base al principio generale del neminem laedere[ix].
Sul piano normativo, a conferma della riconducibilità del danno per lesione di interessi legittimi al modello della responsabilità per fatto illecito, si collocano altresì le previsioni testuali di cui all’art. 30, commi 2 e 4 del Codice del processo amministrativo facenti riferimento al «danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria", e al "danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento»[x].
In altri termini, collocandosi nel dibattitto giurisprudenziale circa la natura della responsabilità nel caso in questione, la pronuncia dell’Adunanza plenaria di cui si è detto poc’anzi ha chiaramente affermato la natura extracontrattuale della responsabilità, condividendo nella sostanza l’indirizzo maggioritario in materia[xi]; per completezza occorre ad ogni modo rilevare che si registra altresì un orientamento minoritario – al quale pare riconducibile la stessa ordinanza di rimessione alla plenaria – qualificante invece la responsabilità di cui trattasi come contrattuale o da contatto sociale[xii].
Peraltro, per quanto rileva ai fini della presente trattazione, occorre porre in evidenza come la ricostruzione della natura della responsabilità in termini di responsabilità extracontrattuale determini, ai fini della condanna dell’amministrazione al risarcimento per lesione dell'interesse legittimo, la positiva verifica di tutti i presupposti caratterizzanti l'illecito aquiliano, ex art. 2043 c.c. e comporta altresì l'applicazione dei criteri di cui all'art. 2056 c.c., così come degli artt. 1223,1226,1227, comma secondo c.c.; non essendo invece applicabile il canone della prevedibilità di cui all'art. 1225 c.c.[xiii].
2.1. Il risarcimento del danno derivante dalla illegittima bocciatura nel quadro dell’art. 2043 c.c.
Ebbene, la pronuncia in esame ha il merito di inquadrare la fattispecie della bocciatura scolastica illegittima quale atto dell’amministrazione scolastica caratterizzato da illegittimità, in quanto tale lesivo dell’interesse pretensivo dello studente ad essere ammesso alla classe successiva e fonte di danno patrimoniale e non patrimoniale risarcibile.
Sul fronte della illegittimità della bocciatura, nel dettaglio, nel caso in questione, i giudici richiamano l’antecedente sentenza del medesimo Tribunale, sez. II – passata in giudicato – di annullamento degli atti concernenti la bocciatura comminata nel 2011 alla ricorrente, in quanto ritenuti affetti da plurime illegittimità.
Tra le illegittimità che connotano gli atti presi in esame dal primo giudice e richiamate nel dettaglio nella pronuncia in commento, in particolare, si segnala la mancata valutazione ad opera del consiglio di classe della preparazione complessiva dell’alunna, né in sede di scrutinio di fine anno, né in sede di esami di riparazione, laddove l’apprezzamento del rendimento generale sarebbe stato necessario, sia alla luce dei buoni voti conseguiti dalla discente nelle altre materie, sia in ragione del palese conflitto insorto tra l’allieva la professoressa di matematica, sia per il fatto che i metodi didattici dell’insegnante erano già stati oggetto di dubbi e contestazioni, come documentato in sede di giudizio.
Ancora, rileva l’assenza dei voti negativi in matematica e fisica attribuiti alla studentessa nello scrutinio di fine anno sul registro dell’insegnante.
Inoltre, si ritiene illegittimo, oltre che configurante una disparità di trattamento, l’utilizzo da parte della docente, nei riguardi della ricorrente, di un metro di valutazione più rigoroso rispetto a quello applicato agli altri compagni di classe, come peraltro provato in sede di giudizio nell’ambito di apposita perizia di parte, nella quale il consulente ha evidenziato l’assegnazione all’alunna in questione di voti più bassi rispetto ai compagni, pur in presenza di pressochè identici compiti in classe.
Nella pronuncia si riconosce, altresì, un illegittimo esercizio dell’attività amministrativa nella difformità tra i punteggi attribuiti in sede di esame di riparazione rispetto ai criteri di valutazione predeterminati nell’ambito del Piano dell’offerta formativa, quale documento generale di riferimento dell’istituzione scolastica, dotata di autonomia funzionale.
Da ultimo, si ritiene attività illegittima l’inserimento nell’ambito della prova di recupero destinata alla ricorrente di argomenti estranei rispetto al programma trattato nel corso dell’anno scolastico.
Ebbene, l’individuazione degli specifici atti e comportamenti illegittimi adottati dal personale dell’istituto scolastico pare di particolare interesse, anche in riferimento ad analoghi pronunciamenti del giudice amministrativo, poiché si ritiene si ponga quale fattispecie di riferimento, essenziale al fine della perimetrazione dell’ambito della risarcibilità del danno, in senso generale, nel caso di illegittima bocciatura in sede scolastica[xiv].
Nell’ambito di una pur recente pronuncia della giurisprudenza amministrativa sul tema, a titolo esemplificativo, si è ritenuta illegittima la bocciatura dello studente a fronte dell’insufficienza riportata in una sola materia e in presenza di una motivazione relativa alla mancata ammissione alla classe successiva condensata nella formula – eccessivamente stringata e non in grado di far comprendere allo studente le ragioni dell’insuccesso scolastico – «non promosso dopo recupero carenze»[xv].
2.2. Presupposti dell’illecito ai fini della risarcibilità del danno
Nella sentenza in commento i giudici, inquadrata la fattispecie ai fini del risarcimento delle poste di danno individuate dalla ricorrente nell’ambito della responsabilità aquiliana, precisano come, nel caso di specie, ricorrano tutti i presupposti dell’illecito extracontrattuale e così specificamente: l’illegittimità degli atti adottati dall’amministrazione scolastica condannata al risarcimento del danno unitamente al Ministero; l’elemento soggettivo; il danno ingiusto ed il nesso di causalità.
Nel dettaglio, in primo luogo, rispetto alla illegittimità degli atti adottati, rileva quanto esposto nel paragrafo precedente, in termini di plurime illegittimità ravvisabili in seno agli atti amministrativi relativi alla bocciatura della studentessa e agli atti connessi, come da statuizioni della sentenza in commento, oltre che della antecedente pronuncia del medesimo giudice amministrativo di primo grado di annullamento degli atti di cui trattasi.
Rispetto all’elemento soggettivo – quale ulteriore elemento necessario, come noto, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana – il giudice amministrativo esplicita nella pronuncia come non possano essere accolte le obiezioni della difesa erariale e, di contro, si ritiene sussista in capo all’amministrazione la colpa per aver emanato gli atti suddetti[xvi].
Sul punto si aggiunge che «le illegittimità riscontrate appaiono infatti rimproverabili e non scusabili, sia per la loro numerosità, sia per la sussistenza (anche) del vizio di disparità di trattamento, particolarmente stigmatizzabile per il suo carattere “odioso”, tanto più in quanto inficiante l’attività valutativa condotta nell’ambito del sistema pubblico di istruzione e nei confronti di una ragazza minorenne».
Sul punto si può osservare come la stessa giurisprudenza amministrativa, pronunciatasi in precedenza su casi analoghi, abbia ravvisato la piena sussistenza dell’elemento soggettivo rispetto alla fattispecie della bocciatura dello studente in sede di esame di maturità, rilevando come, in tal caso, l’illegittimità dell’azione si sostanzi nella diretta violazione di previsioni ministeriali circa lo svolgimento delle prove nel corso degli Esami di Stato «senza che sul punto possano dirsi sussistere incertezze interpretative, contrasti giurisprudenziali o altri elementi che possano far dubitare della piena attribuibilità soggettiva all’amministrazione pubblica della condotta tenuta»[xvii].
Ancora, rispetto ai presupposti dell’illecito ai fini della configurabilità di un danno risarcibile, si pone in evidenza come, nel caso di specie, ricorrano il danno ingiusto ed il nesso eziologico con gli atti viziati annullati.
In senso generale, la fattispecie di responsabilità aquiliana che viene in rilievo ha certamente quale elemento centrale quello dell’ingiustizia del danno, che occorre provare in giudizio, a differenza dell’ipotesi della responsabilità contrattuale. Nel dettaglio, il requisito dell’ingiustizia del danno implica la possibilità di riconoscimento del risarcimento laddove l’illegittimo esercizio del potere abbia di fatto determinato una lesione ad un bene della vita del privato che il medesimo avrebbe avuto titolo per mantenere, ovvero ottenere, a seconda della sussistenza, rispettivamente, di un interesse legittimo oppositivo ovvero pretensivo[xviii].
Del resto, rispetto al requisito dell’ingiustizia del danno, la stessa giurisprudenza amministrativa ha chiarito nel tempo come, in virtù della correlazione tra l'ingiustizia del danno e la dimensione sostanzialistica dell’interesse legittimo, solo laddove dall’esercizio illegittimo della pubblica funzione sia derivata una lesione alla sfera giuridica del privato, quest’ultimo potrà richiedere in sede giudiziale il risarcimento del danno; quest’ultimo sarebbe di contro escluso quando l'interesse legittimo riceva una tutela idonea con l'accoglimento dell'azione di annullamento, ma quest'ultimo sia determinato da una illegittimità, di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato, ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, nell’ambito della discrezionalità ad essa spettante[xix].
Sul punto, nella pronuncia in commento, si esplicita in particolare come l’attività provvedimentale illegittima dell’istituto scolastico abbia di fatto leso l’interesse pretensivo della studentessa ad essere ammessa alla classe IV^.
Rispetto al nesso eziologico, il collegio giudicante ritiene possa formularsi un giudizio prognostico positivo circa il fatto che, «se l’azione amministrativa non fosse stata inficiata dai molteplici vizi censurati», la ricorrente «avrebbe potuto ottenere l’agognata promozione».
Del pari evidente secondo i giudici che «in conseguenza della bocciatura, la ricorrente ha dovuto rifrequentare la classe III^, rallentando il suo percorso di istruzione ed il suo ingresso nel mondo del lavoro».
Sul punto, in antecedenti pronunce sul tema, la giurisprudenza amministrativa ha posto in evidenza la necessità, al fine dell’esito positivo del giudizio risarcitorio, che le illegittimità riscontrate nell’espletamento dell’attività ad opera dell’amministrazione siano tali da condurre ad una illecita compressione degli interessi sostanziali del cittadino.
In altri termini, la giurisprudenza prevalente, cui la pronuncia in commento peraltro si uniforma, ritiene necessario operare un giudizio prognostico “ora per allora” alla luce del quale si possa affermare che in assenza degli individuati profili di illegittimità vi sarebbe stata una consistente possibilità per l’amministrato di conseguire il bene della vita cui aspirava.
Si tratta cioè di un giudizio prognostico “positivo” da intendersi quale sussistenza di maggiori possibilità di esito positivo, piuttosto che negativo, con riguardo alla ipotetica attività amministrativa legittima[xx].
A proposito del giudizio prognostico predetto, dunque, con specifico riferimento all’elemento del nesso di causalità, necessario ai fini della configurabilità di una responsabilità aquiliana ai sensi dell’art. 2043 c.c., l’Adunanza plenaria si è peraltro recentemente pronunciata precisando sul punto come «l'accertamento del nesso di consequenzialità immediata e diretta del danno con l'evento pone problemi di prova con riguardo al lucro cessante in misura maggiore rispetto al danno emergente. A differenza del secondo, consistente in un decremento patrimoniale avvenuto, il primo, quale possibile incremento patrimoniale, ha di per sé una natura ipotetica. La valutazione causale ex art. 1223 cod. civ. assume pertanto la fisionomia di un giudizio di verosimiglianza (rectius: di probabilità), in cui occorre stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui. Non a caso in questo ambito è sorta la tematica della risarcibilità della chance, considerata ormai, sia dalla giurisprudenza civile sia dalla giurisprudenza amministrativa, una posizione giuridica autonomamente tutelabile -morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall'elemento causale dell'illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)- purché ne sia provata una consistenza probabilistica adeguata e nella quale può quindi essere ricondotta la pretesa risarcitoria connessa al regime tariffario incentivante di cui la società ricorrente chiede il ristoro per equivalente»[xxi].
Del resto, sul punto, mette conto evidenziare come nell’ambito della giurisprudenza amministrativa sia ravvisabile anche un orientamento maggiormente restrittivo a proposito del suddetto giudizio prognostico, il quale – ai fini della configurabilità del risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima secondo il paradigma della responsabilità extracontrattuale – richiede una valutazione prognostica, caratterizzata da tratti di verosimile certezza, alla luce della quale «l’aspirazione al provvedimento satisfattivo dell’interesse finale fosse senz’altro destinata ad un esito favorevole»[xxii].
In altri termini, in relazione alla fattispecie dell’illegittima bocciatura dello studente ai fini della risarcibilità del danno, si richiederebbe, oltre alla sussistenza degli altri elementi costitutivi la responsabilità in parola, tenuto conto altresì del principio dell'onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., la dimostrazione – anche sulla base di presunzioni – della certa spettanza del bene della vita cui l’interessato aspirava, collegato all’interesse pretensivo in questione[xxiii].
Tale orientamento maggiormente rigoroso, tuttavia, parrebbe eccessivamente rigido, con la conseguenza per cui nella sostanza si approderebbe, nella maggior parte dei casi, alla impossibilità di ritenere configurabile un risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi “pretensivi”, perlopiù in ragione della evidente difficoltà di fornire la prova richiesta nei termini di cui al giudizio prognostico predetto[xxiv].
Nell’ambito di tale orientamento minoritario, in un caso analogo di non ammissione di uno studente alla classe successiva, in tema di risarcimento del danno conseguente alla illegittima determinazione, si è affermato a proposito dell’onere probatorio e della valutazione prognostica come «il superamento della grave insufficienza, preclusiva del passaggio alla classe superiore, sarebbe stato infatti possibile solo a seguito di un rinnovato giudizio globale circa il livello formativo e la personalità dello studente, giudizio che spettava solo al corpo insegnante - o ad altro organo tecnico appositamente designato - formulare discrezionalmente, fatta salva la specifica valutazione degli elementi, che nella sentenza passata in giudicato si ritenevano indebitamente pretermessi. […] Va rilevato infine che - alla stregua di un ordinario e adeguato nesso di causalità - il giudizio di non idoneità al passaggio alla classe superiore, che era stato ritenuto illegittimo non può ritenersi, in assenza di ulteriori specifici elementi, causa efficiente di reazioni abnormi, come quella posta in essere dall'interessato. Il giudicato, cui è ricondotta la domanda in esame, in conclusione, non era idoneo a sorreggere di per sè, in modo esaustivo, il richiesto risarcimento del danno»[xxv].
3. Quantum risarcibile e tipologie di danno: gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa e le statuizioni della pronuncia in esame
Rispetto alle specifiche tipologie di danno riconosciute ed al relativo quantum risarcibile, il collegio riconosce in primo luogo alla ricorrente la spettanza di un danno patrimoniale, nello specifico da lucro cessante, patito per aver ottenuto il diploma di maturità al termine dell’a.s. 2013/2014, anziché dell’a.s. 2012/2013 e, conseguentemente, per avere differito di un anno gli studi universitari e l’inizio dell’attività professionale.
Proprio «a causa del ritardo nel conseguimento del titolo di studio di scuola superiore», la ricorrente – di seguito laureatasi in corso in architettura – avrebbe cioè, secondo quanto chiarito nella pronuncia in analisi, «subito un allungamento dei tempi per svolgere l’attività lavorativa produttiva di reddito»[xxvi].
Rispetto alla esatta quantificazione della posta di danno in questione pare di interesse quanto statuito nella pronuncia in esame nella quale si evidenzia, anzitutto, come il pregiudizio economico ristorabile non possa coincidere in toto con il mancato reddito medio di un anno di lavoro, posto che la percezione dei guadagni è stata solamente posticipata nel tempo e non persa in senso assoluto; a tale precisazione si aggiunge l’elemento per cui «il ritardo si ripercuote anche sui contributi previdenziali da versare e, quindi, ai fini pensionistici»[xxvii].
La determinazione del danno patito a titolo di lucro cessante, ad ogni modo, si ritiene debba essere formulata in base di una valutazione equitativa, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c.: pur ritenendo il suddetto danno «innegabilmente sussistente», cioè, si ravvisa un’ipotesi di impossibilità di esatta individuazione di una stima del danno occorso.
Nel caso di specie, pertanto, si ritiene equo liquidare una somma, a titolo di diminuito utile derivante dal ritardo predetto, parametrando la medesima al reddito medio di un professionista del settore, in quell’area geografica di riferimento, somma ritenuta peraltro congruente rispetto agli importi fatturati dalla ricorrente nel primo (seppure parziale) anno di attività, ovvero con riguardo alla capacità competitiva dimostrata dalla ricorrente nell’espletamento dell’attività professionale.
Sempre sul fronte del danno patrimoniale non è invece riconosciuto, nel caso di specie, il danno emergente legato agli esborsi sostenuti dai genitori della ricorrente per mantenerla durante l’anno scolastico ripetuto, trattandosi – come evidenziato dal collegio – «di un nocumento subito non già da lei, bensì, appunto, da suo padre e da sua madre (né avendo la ricorrente allegato e dimostrato di avere rimborsato loro tali spese)».
Sul piano delle poste di danno ritenute risarcibili nel caso concreto si ritiene la pronuncia in commento degna di menzione, in particolar modo, con riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale[xxviii].
La giurisprudenza amministrativa, in altri termini, ha riconosciuto in numerose ipotesi la risarcibilità del danno patrimoniale subito dal ricorrente in conseguenza della bocciatura illegittima; di contro, tuttavia, appare piuttosto raro e, dunque, meritevole di essere preso in considerazione, quanto disposto nella pronuncia con particolare riguardo alla sussistenza di un danno non patrimoniale nel caso della bocciatura dello studente riconosciuta come illegittima in sede giudiziale[xxix].
In proposito, il collegio ammette il ristoro del danno morale soggettivo per la sofferenza interiore arrecata alla studentessa dall’illegittima bocciatura, anche in tal caso liquidato in via equitativa e – in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico – stimato in euro 1300.
Nello specifico, tale riconoscimento avviene conformemente alla “massima di esperienza” richiamata dai giudici nella pronuncia per la quale «nella normalità dei casi, una bocciatura scolastica, specialmente se ingiusta, [si ritiene] cagioni nell’alunno patema d’animo, afflizione, frustrazione ed angoscia».
Alla necessità di riferirsi alle massime di esperienza con riguardo a tale posta di danno il giudicante approda nella pronuncia in commento sulla base di un’argomentazione, meritevole di attenzione, per la quale l’immaterialità del danno di cui trattasi e «l’assenza sia di base organica che di componenti relazionali sfuggono ad un accertamento fondato sugli ordinari canoni probatori, imponendo il ricorso al ragionamento logico-inferenziale fondato sull’id quod plerumque accidit e, quindi, sulle massime di esperienza, che possono da sole fondare la determinazione dell’organo giudicante»[xxx].
Il danno morale – come peraltro sostenuto in maniera pressoché univoca dalla giurisprudenza e rammentato dalla stessa pronuncia in commento – pur rientrando nella categoria generale del danno non patrimoniale, di cui all’art. 2059 c.c., deve essere distinto, da un lato, dal danno biologico quale danno alla salute e, dall’altro lato, dal danno c.d. esistenziale concernente la dimensione dinamico-relazione della vita dell’interessato e attinente invece al patimento di natura interiore che l’evento lesivo provoca nella vittima[xxxi].
Ancora, altro principio di diritto rilevante affermato nella pronuncia in relazione a tale voce risarcitoria pare certamente quello per cui «il danno morale è risarcibile anche se l’illecito civile non sia configurabile come reato, perché viene in rilievo la lesione dell’integrità morale della persona, costituente un diritto inviolabile tutelato dall’art. 2 Cost.»[xxxii].
Tale principio si ritiene ad oggi consolidato anche sul piano giurisprudenziale e riconducibile dunque ad un univoco orientamento alla luce del quale il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., quale danno determinato dalla lesione di interessi concernenti la persona non connotati da rilevanza economica, risulta risarcibile alla luce del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili. La tutela di cui trattasi, infatti, si estende alle fattispecie di danno non patrimoniale determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti sul piano costituzionale[xxxiii].
4. Osservazioni conclusive
La pronuncia presa in esame si ritiene di particolare interesse, specialmente ritenuto che non paiono ravvisabili ad oggi, nell’ordinamento interno, previsioni chiare circa l’an e il quantum del risarcimento del danno nell’ipotesi di bocciatura dello studente ritenuta illegittima.
In tal senso, la sentenza del T.A.R. Liguria annotata, collocandosi in tale panorama di scarsa chiarezza e mancata univocità degli stessi orientamenti giurisprudenziali sul punto, detta alcuni punti fermi circa la risarcibilità dei danni derivanti dalla suddetta specifica attività illegittima dell’amministrazione pubblica.
I medesimi principi possono, in aggiunta, essere considerati e ritenuti applicabili, in un’ottica più ampia, con riguardo ai danni risarcibili nelle ipotesi di illegittima bocciatura, in senso generale, in ambito concorsuale.
Merito della pronuncia si ritiene, certamente, seppur in presenza di una esigua somma complessivamente riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale (1300 euro), quello di aver statuito la risarcibilità del danno anche non patrimoniale e specialmente del danno morale, determinato dalla bocciatura illegittima in sede scolastica, specialmente riconoscendo il criterio alla luce del quale determinare il risarcimento medesimo ed il relativo quantum risarcitorio.
La sentenza, in altri termini, pare condivisibile nella individuazione del ristoro del danno morale in base alla massima di esperienza per la quale la bocciatura scolastica ingiusta [si ritiene] cagioni sofferenza, frustrazione ed angoscia e determini un possibile danno non patrimoniale risarcibile facendo ricorso ad un ragionamento logico-inferenziale fondato sull’id quod plerumque accidit.
[i] In tema cfr. tra le più recenti pronunce del giudice amministrativo Cons. Stato, sez. VII, 16 giugno 2022, n. 4913, resa sulla questione della asserita illegittimità del provvedimento del "giudizio di non ammissione" alla classe successiva di uno studente e conseguente richiesta di risarcimento del danno derivante dall'illegittimità degli atti impugnati. Nel caso di specie, peraltro, il giudice amministrativo respinge l’appello, ritiene il ricorso infondato e non riconosce alcun risarcimento del danno. Peculiare fattispecie anche quella presa in esame, sul tema, nell’ambito della sentenza T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 17 settembre 2020, n. 826 (in Foro amm., 2020, 9, 1737) laddove, a seguito della intervenuta bocciatura in sede di esame finale parte ricorrente ha impugnato i provvedimenti dell’amministrazione scolastica, chiedendo l'annullamento degli atti impugnati, oltre al risarcimento del danno derivante dalla illegittima ammissione all'esame in quanto il minore avrebbe «inutilmente sostenuto l'esame di Stato, con tutto lo stress, l'agitazione, l'ansia da prestazione» e il risarcimento del danno derivante «dalla perdita di chance, perdita della mera possibilità di conseguire l'occasione, ovvero di poter affrontare la bocciatura come ci si sarebbe aspettato da un corretto esercizio del potere». Il T.A.R. ritiene, anzitutto, che non sussistano i profili di illegittimità del provvedimento contestati da parte ricorrente; inoltre, che l'interesse ad ottenere una valutazione negativa in sede di ammissione all'esame di Stato al fine di evitare l'impegno e lo stress che le relative prove comportano non è normativamente tutelato né giuridicamente rilevante (tenuto altresì conto che lo studente ammesso ha pur sempre la facoltà di non sostenere l'esame), sicchè la lesione di un tale interesse non può pertanto costituire un danno ingiusto ex art. 2043 c.c. Con specifico riferimento al danno non patrimoniale, preso in esame nella pronuncia in commento, il giudicante nel caso concreto ritiene infondata la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, posto che «per consolidata giurisprudenza può essere risarcito solo nei casi espressamente previsti (art. 2059 c.c.) o in caso di lesione di interessi costituzionalmente garantiti (Cass. Sez. Unite, 12 novembre 2008, n. 26972), ipotesi entrambe non configurabili nel caso di specie».
[ii] Sull’argomento, in senso generale, si v. E. Follieri, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti, 1984, 146; R. Garofoli-G.M. Racca-M. De Palma, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003, 614 ss., a proposito del risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo pretensivo e F.F. Guzzi, La responsabilità della p.A. da provvedimento illegittimo: profili sostanziali, in G. Cassano-N. Posteraro, Le responsabilità della pubblica amministrazione, Padova, 2019, 22.
Sempre sulla natura dell’interesse legittimo e risarcibilità si v. il dibattito instauratosi in dottrina sull’argomento, tra gli altri, nell’ambito dei contributi di: A. Romano, Sulla pretesa risarcibilità degli interessi legittimi: se sono risarcibili, sono diritti soggettivi, in Dir. amm., 1998, 22-25; F.G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. pubbl., 2000, 21 e A. Orsi Battaglini-C. Marzuoli, La Cassazione sul risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione: trasfigurazione e morte dell'interesse legittimo, in A. Orsi Battaglini, Scritti giuridici, Milano, 2007, 1588 ss. Per una ricostruzione delle teorie formulate della dottrina a proposito della risarcibilità del danno da lesione dell'interesse legittimo pretensivo cfr. altresì M. Trimarchi, Responsabilità della P.A. per lesione di interessi «pretensivi» e vizi formali, in Foro amm. CDS, 1, 2009, 149 ss.
[iii] Cfr., in particolare, tra le altre, la recente pronuncia del medesimo T.A.R. Liguria, sez. I, 4 marzo 2022, n. 180, in www.giustizia-amministrativa.it, laddove si è chiarito che la domanda di risarcimento dei danni da illegittimo esercizio dell’attività amministrativa vada ricondotta nell’ambito del paradigma aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ. ed ai fini del risarcimento in parola debbano sussistere tutti i presupposti dell’illecito e precisamente: l’illegittimità degli atti adottati dall’amministrazione; l’elemento soggettivo; il danno ingiusto; il nesso di causalità.
[iv] Si fa riferimento a Cons, Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, in Foro amm., 2021, 4, 590 e in Riv. giur. edilizia, 2021, 3, I, 837. Nel dettaglio, nel caso di specie, l'ordinanza Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia, 15 dicembre 2020, n. 1136, aveva rimesso all'Adunanza plenaria le seguenti questioni: «1) “se si configuri o meno una interruzione del nesso di causalità della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 c.c. di tipo omissivo se, successivamente all'inerzia dell'Amministrazione su istanza pretensiva del privato, di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifichi una sopravvenienza normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l'istanza era preordinata, determini la lesione dell'aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all'Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l'intervenuta nuova disciplina, se l'Amministrazione avesse ottemperato per tempo”; 2) “se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell'Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana”; 3) in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all'interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (1225 c.c.)”; 4) in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se deve o meno essere riconosciuta la responsabilità dell'Amministrazione per il danno da mancata vendita dell'energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”; 5) in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità, “se in ipotesi di responsabilità colposa da lesione dell'interesse legittimo pretensivo integrata nel paradigma normativo di cui all'art. 2043 c.c. la pubblica amministrazione sia tenuta o meno a rispondere anche dei danni derivanti dalla preclusione al soddisfacimento del detto interesse a cagione dell'evento — per essa imprevedibile — rappresentato dalla sopravvenienza normativa primaria preclusiva e, in ipotesi di positiva risposta al detto quesito, se tale risposta non renda non manifestamente infondato un dubbio di compatibilità di tale ricostruzione con il precetto di cui all'art. 81 terzo comma Cost.”; 6) sempre in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità “se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell'energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati». La controversia riguardava la domanda di risarcimento del danno dovuto al ritardo nel rilascio di autorizzazioni uniche per impianti fotovoltaici, il quale aveva reso impossibile accedere al regime incentivante a causa di una sopravvenienza normativa comportante la rinuncia all'intero progetto in ragione della antieconomicità dell'iniziativa imprenditoriale in assenza di contribuzione pubblica. In particolare, dubbio del giudice rimettente sul punto si incentrava sulla questione se la sopravvenienza normativa costituisca un fattore causale autonomo, in grado di interrompere il nesso di consequenzialità immediata e diretta ex art. 1223 cod. civ. tra la ritardata conclusione dei procedimenti autorizzativi ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso al regime incentivante, o – espresso in altri termini – di configurare il ritardo dell'amministrazione come mera occasione rispetto al pregiudizio patrimoniale lamentato dalla società ricorrente, unitamente agli altri dalla stessa dedotti in giudizio.
[v] Cass. civ., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro amm. 2000, 2062, con nota di Salemme e Carpinelli; in Giorn. dir. amm. 1999, 832, con nota di Torchia e in Urb e app., 1999, 1067 con nota di Protto.
[vi] Cfr. in particolare, rispetto alle procedure di affidamento di contratti pubblici, l’art. 13 l. 19 febbraio 1992, n. 142 e, nella materia edilizia, l’art. 4 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, conv. nella l. 4 dicembre 1993, n. 493, per il danno da ritardato rilascio del titolo a costruire.
[vii] L'art. 35, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ha introdotto la previsione per cui, nelle materie dell'urbanistica, dell'edilizia e dei servizi pubblici, ove ha giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo «dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto». Si v., in merito, anche Corte cost., ord., 8 maggio 1998, n. 165, in Foro Amm. 1999, 1983. Di seguito, l'art. 7, comma 4, della l. n. 205/2000 ha poi previsto la risarcibilità del danno in ogni caso di lesione arrecata all'interesse legittimo.
[viii] Sul punto ed in questi termini, in particolare, si è espresso il giudice costituzionale nelle pronunce seguenti: Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Dir. e giust., 2005, 20, 99, con nota di Proietti e in Dir. proc. amm., 2005, 214, con nota di Mazzarolli e Id., 11 maggio 2006, n.191, in Dir. proc. amm., 2006, 4, 1005, con nota di Malinconico; Allena.
[ix] In questo senso, Cons, Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, cit.
[x] Oltre alle previsioni normative richiamate, si pensi altresì al dato testuale di cui all’art. 2-bis, comma 1, l. 241/1990, con specifico riferimento alle conseguenze del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, per cui i soggetti pubblici e privati chiamati ad agire secondo le regole del procedimento amministrativo «sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento». In dottrina v., tra gli altri in argomento, G. Mari, La responsabilità della p.A. per danno da ritardo, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano, 2017, 348; M.L. Maddalena, Il danno da ritardo: profili sostanziali e processuali, in A. Romano (a cura di), L'azione amministrativa, Torino, 2016, 174.
[xi] Tra le altre pronunce v. Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857, in Foro amm., 2019, 1224.
[xii] In tal senso si v., in particolare, Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1467, in Resp. civ. e prev., 2010, 7-8, 1542, con nota di Patrito; T.A.R. Liguria, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 6, in Riv. giur. edilizia, 2020, 2, I, 346, oltre che, sempre in tal senso, Cass., sez. un., 28 aprile 2020 n. 8236, in Guida al diritto, 2020, 30, 62.
[xiii] V. in merito, Cons. Stato, sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217; Id., sez. VI, 19 marzo 2019 n. 1815, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.
[xiv] In tema di illegittimità della bocciatura scolastica nell’ambito della giurisprudenza amministrativa si v., tra le altre, T.A.R. Puglia, sez. II, 17 settembre 2019, n. 1473, in Diritto & Giustizia 2019; T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia) sez. I, 12 ottobre 2017, n. 312, in Foro it., 2017, 11, III, 572; T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige), sez. I, 5 aprile 2016, n.122, in Foro amm., 2016, 4, 966. Rispetto alla bocciatura illegittima in sede di concorso pubblico si v., invece, tra le altre, Cons. Stato sez. V, 30 aprile 2003, n. 2245, in DeG - Dir. e giust., 2003, 21, 7.
[xv] Cfr. T.A.R. Puglia, sez. III, 3 ottobre 2022, n. 1295, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xvi] Si v. sul punto G. Lo Presti, L'elemento soggettivo nel nascente modello di responsabilità provvedimentale della pubblica amministrazione, in I tribunali amministrativi regionali, 2002, 28, 2, 93-106; C. Papetti, La colpa della pubblica amministrazione in relazione alla natura della responsabilità civile da attività provvedimentale illegittima (Nota a Tar Sardegna, 14 marzo 2005 n.328), in Foro amm. TAR, 2005, 4, 1298-1311.
In tema di elemento soggettivo, rispetto all’ipotesi di richiesta di risarcimento dei danni asseritamente sofferti in conseguenza dell'illegittima bocciatura, si v., tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1549, in www.giustizia-amministrativa.it.
[xvii] Così T.A.R. Toscana – Firenze, sez. I, 24 novembre 2011, n. 1807, in www.giustizia-amministrativa.it. Tale caso concreto vedeva lo studente bocciato in sede di maturità presentare ricorso avanti al giudice amministrativo contro il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca e il Liceo artistico frequentato al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del comportamento illegittimo dell’amministrazione (nel caso di specie in ragione della violazione di atti ministeriali e, in particolare, della disposizione per cui il colloquio finale d’esame debba riguardare tutte le materie dell’ultimo anno, mentre lo studente era stato interrogato soltanto su tre materie) e, in particolare, il danno patrimoniale subito a causa del giudizio negativo riportato in sede di esame di maturità annullato mediante la sentenza dello stesso T.A.R. Toscana n. 394/2006, nonché un’ulteriore somma, da determinarsi in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., a titolo di danno non patrimoniale subito in conseguenza dell’illegittimo giudizio.
[xviii] Così anche Cons, Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, cit.
[xix] V., in particolare, in tal senso, Cons. Stato, Ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13, in Resp. civ. e prev., 2009, 4, 871, con nota di Rega e, da ultimo, Cons. Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, cit. Sempre sull’argomento e, in senso conforme, Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6538, in Foro amm. CDS 2009, 1, 146.
In dottrina, si v. M. Trimarchi, Responsabilità della P.A. per lesione di interessi «pretensivi» e vizi formali, cit.
[xx] Si v., in questo senso, in relazione alla necessità di condurre un giudizio prognostico positivo “ora per allora”, la menzionata pronuncia T.A.R. Toscana – Firenze n. 1807/2011. Nella sentenza si chiarisce in particolare, rispetto al nesso di causalità, come lo studente poi bocciato in sede di esame di maturità sia stato interrogato nell’esame finale solo su 3 delle 16 materie contemplate nel programma dell’ultimo anno di corso, cosicchè «se fosse stato sentito su tutte le materie, avrebbe potuto riportare un esito positivo dell’esame».
[xxi] Nel caso di specie, come sopra accennato, la questione controversa e rimessa dal Consiglio di giustizia amministrativa alla Adunanza plenaria (Cons, Stato, Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, cit.), atteneva al rapporto di causalità giuridica tra evento lesivo e danno-conseguenza. La questione si sostanziava più precisamente nella possibilità di imputare alla Regione siciliana il mancato accesso al regime tariffario incentivante previsto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, a causa del sopravvenuto divieto di cui all'art. 65 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
[xxii] In tal senso, tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2012, n. 2138, in Foro amm. CDS, 2012, 4, 985 e in Danno e resp., 8-9, 2012, 858 e ss. In particolare, tale pronuncia ha origine dalla domanda giudiziale finalizzata al risarcimento dei danni direttamente conseguenti all'atto illegittimo di non ammissione dello studente alla classe successiva, annullato dalla prima sentenza del Tribunale amministrativo. Nella sentenza, tuttavia, si precisa come riguardo a tale oggetto del giudizio, non possa trovare accoglimento l'istanza risarcitoria avanzata dall'interessato sotto diversi profili, sia di danno emergente che di perdita di chance. Nell’ambito della pronuncia, precisato come vadano preliminarmente accertati l'esistenza stessa del danno subito dall'interessato ed il nesso di causalità fra tale danno e l'atto ritenuto illegittimo dell'Amministrazione, si giunge alla conclusione per cui i predetti elementi non appaiono ravvisabili nel caso di specie. Rispetto al nesso di causalità, in particolare, i giudici aderiscono all’orientamento – come accennato minoritario – per cui il nesso di causalità fra l'illegittimità dell'atto lesivo e il danno lamentato, si ritiene normalmente escluso dalla giurisprudenza quando, a seguito dell'annullamento di un atto in sede giurisdizionale, «permanga per l'Amministrazione pubblica un ambito di apprezzamento discrezionale, in ordine al soddisfacimento dell'interesse pretensivo, e resti impregiudicata la possibilità di una legittima diversa determinazione».
In senso conforme rispetto a tale orientamento possono essere menzionate, fra le altre, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4868, in Foro amm. CDS, 2008, 10, 2717, Id., sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854, in Foro amm. CDS, 2011, 2, 447; Id., sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2894, in Foro amm. CDS, 2009, 5, 1247; Id., sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751, in Foro it. 2009, 3, III, 140 e Id., sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 723, in Foro amm. CDS, 2011, 1, 279.
[xxiii] In tal senso cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2010, n. 1038, in Foro amm. CDS, 2010, 2, 390 e Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797, in Foro amm. CDS, 2010, 9, 1868, laddove si è precisato che il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo risulta essere subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti tipici dell'illecito aquiliano (e così condotta dell’amministrazione, colpa, nesso di causalità ed evento dannoso), alla «dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse. Siffatto giudizio prognostico non può, tuttavia, essere consentito allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà».
[xxiv] V. in merito M. Niro, Sul risarcimento dei danni derivanti da illegittima bocciatura scolastica: un recente caso giurisprudenziale - TAR Liguria 5.10.2022, n. 834, in Persona & Danno, 14 novembre 2022. Di diverso avviso, in dottrina, R. Foffa, Il danno da bocciatura, in Danno e resp., 8-9, 2012, 861-865.
[xxv] Così Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2012, n. 2138, cit.
[xxvi] Sull’argomento è la stessa sentenza in commento che menziona il precedente di Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2007, n. 3949, relativa al caso di uno studente vittima di un incidente stradale, il quale a causa delle lesioni riportate, non aveva potuto seguire le lezioni e, conseguente, era stato bocciato.
[xxvii] Così il punto 2 della motivazione della pronuncia in esame.
[xxviii] Sull’argomento si v. la recentissima pronuncia della Suprema Corte, Cass. civ., sez. lav., ord. 2 dicembre 2022, n. 35499, nell’ambito della quale, a fronte del ricorso presentato da una lavoratrice che prestava servizio sulla Costa Concordia, la Corte si sofferma sulla qualificazione del “patema d’animo” causato dal naufragio quale danno non patrimoniale. In particolare, si pone in evidenza rispetto al danno non patrimoniale che «le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze nn. 26972 e 26975 dell'11.11.2008, hanno posto in rilievo il carattere unitario del danno non patrimoniale, quale categoria giuridica distinta da quella del danno patrimoniale, incasellando in essa, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, tutte le diverse "voci" elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) che non richiedono uno specifico ed autonomo statuto risarcitorio (inteso come metodologia dei criteri liquidatori per equivalente), ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, attraverso il meccanismo della cd. personalizzazione». Nella stessa recente pronuncia con specifico riferimento al danno morale soggettivo – oggetto della sentenza in commento – si rammenta invece che lo stesso, quale «voce di pregiudizio non patrimoniale, ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, ontologicamente distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico relazionali», vada conseguentemente risarcito autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione. Tale orientamento ha, infatti, escluso che rappresenti una duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Nello stesso senso si v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901, in Resp. civ. e prev., 2018, 3, 863; Id., 27 marzo 2018, n. 7513, in Foro it., 2018, 6, I, 2038, con nota di Palmieri; Id., 28 settembre 2018, n. 23469, in Resp. civ. e prev., 2019, 2, 503.
[xxix] Si v. in merito, a titolo esemplificativo, quanto previsto nella citata sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze, sez. I, 24 novembre 2011, n. 1807 citata, resa a proposito di un analogo caso e nell’ambito della quale, sul punto, si è chiarito che non merita accoglimento la domanda risarcitoria con riferimento al danno non patrimoniale, posto che i profili relativi a quest’ultimo «sono stati richiesti in termini assolutamente generici, nella sostanza rimettendo tutto, anche la loro esatta configurazione, alla valutazione equitativa del giudice».
[xxx] Sul punto, ex multis, si v., tra le più recenti pronunce citate dalla stessa sentenza in commento, Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2022, n. 1908, in dejure.it. In particolare nell’ambito di quest’ultima recente pronuncia, nel dettaglio, a proposito del danno morale, si chiarisce come l'immaterialità del danno di cui trattasi e l'assenza di una base organica del medesimo sfuggono ad un accertamento fondato sugli ordinari canoni probatori, di fatto imponendo il ricorso al ragionamento logico-inferenziale fondato sulle massime di esperienza, che possono da sole essere sufficienti a fondare la determinazione dell'organo giudicante. Ne consegue che, a parere dell’organo giudicante, appare un «corretto criterio logico-presuntivo funzionale all'accertamento del danno morale quello fondato sulla massima di esperienza della corrispondenza, secondo proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva».
[xxxi] Sulla autonomia del danno morale rispetto alle differenti tipologie di danno non patrimoniale e in particolare rispetto al danno biologico, si v. quanto affermato dalla più recente giurisprudenza, anche in contrasto rispetto a quanto affermato nelle storiche sentenze “di San Martino” del novembre 2008, Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38, con nota di Monateri. La storica sentenza in oggetto, peraltro, ha esplicitato come riguardo ai danni non patrimoniali diversi rispetto al danno biologico, dunque anche con riferimento al danno morale, possa farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva. Così, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164, in Foro it., 2021, 1, I, 149; Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2022, n. 1908, cit.
[xxxii] Per una recente analisi circa tale posta risarcitoria si v. P.G. Monateri, Il 'quantum' del danno morale e il futuro del danno non patrimoniale a persona, in Danno e resp., 2021, 26, 5, 621 ss.
[xxxiii] Tale principio è affermato sin dalla menzionata Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.
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