ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Sommario: 1. Lo stato di diritto. Un impegno senza fine. – 2. Magistratura e giustizia costituzionale nel sistema polacco. – 3. La crisi costituzionale e le tappe dello “svuotamento” dell’indipendenza della magistratura. – 4. La risposta dell’Unione europea. – 5. Rule of law, indipendenza della magistratura e identità nazionali: la distanza crescente tra Varsavia e Bruxelles. – 6. Perché le corti? Alcune note conclusive.
Abstract: The paper examines the crisis of the independence of the judiciary in Poland and its impact on the rule of law. The reforms adopted since 2015 have created a system in which executive interference in the administration of justice is deep, continuous, and alarming. The article also analyzes the evolution of the situation regarding judicial independence in Poland identifying key stages and causes of the constitutional erosion. The response of the European Union to this crisis is also examined. The author argues that while there have been some progresses as per EU mechanisms of enforcement, there is still a significant distance between Warsaw and Brussels on issues related to rule of law and judicial independence. Finally, the author reflects on the current role of the courts in modern legal systems emphasizing that it is essential to defend judicial independence as a cornerstone of democratic governance.
1. Lo stato di diritto. Un impegno senza fine
«Preserving liberty, democracy and the rule of law is not overnight achievement, it is rather an endless business» osservava M. Cartabia a proposito della regressione delle garanzie della magistratura in atto in Polonia e Ungheria[1].
Le riforme polacche sull’ordinamento giudiziario ed il Tribunale costituzionale approvate a partire dal 2015 hanno dato l’avvio ad un’aspra contrapposizione frontale con le istituzioni dell’Unione europea sul terreno dello Stato di diritto[2], o rule of law[3], portando altresì un coro nutrito di voci dottrinali ed istituzionali ad annoverare il paese dell’Europa centrale, accanto alla stessa Ungheria, tra le c.d. democrazie illiberali[4].
Il termine “democrazia illiberale” non è espressione nuova ma utilizzata già nel 1997 dal giornalista e politologo Fareed Zakaria 1997[5] per descrivere un fenomeno particolarmente esteso ma altrettanto eterogeneo di transizioni democratiche incomplete[6].
Né la Polonia né l’Ungheria[7], nondimeno, venivano ricomprese da Zakaria in quell’originaria categorizzazione, diversamente da altre esperienze europee derivanti dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia ovvero dal caso della Slovacchia[8]. Per i paesi dal passato sovietico, di contro, l’impressione dei commentatori del periodo era quella di una transizione costituzionale completata con successo[9].
Per il caso ungherese, a contraddire questa visione positiva prevalente tra gli osservatori è stato del resto lo stesso Orban che ha recentemente ripreso con malcelato orgoglio il concetto di democrazia illiberale in un discorso fiero del 2014 in cui affermava che «il nuovo Stato che costruiremo in Ungheria non sarà uno Stato liberale, sarà uno Stato democratico non liberale»[10].
Il risultato dell’attuale complessa situazione in Polonia pare frutto sia di cause più risalenti attribuibili, tra l’altro, ad una transizione democratica forse viziata da imperfezioni latenti sia di una più recente e decisa metamorfosi in direzione opposta alle garanzie presenti nei sistemi che si rifanno ai principi dello stato costituzionale di diritto[11].
Significativamente, questo processo di allontanamento della Polonia dalla rule of law si è giocato sin dall’inizio sul campo dell’indipendenza della magistratura e della giustizia costituzionale. Le riforme approvate dalla coalizione risultata vincitrice a seguito delle elezioni del 2015 hanno interessato l’intero sistema giudiziario ed il Tribunale costituzionale, realizzando un sistema in cui le interferenze dell’esecutivo nell’amministrazione della giustizia sono profonde, continue ed allarmanti[12].
Nell’osservare il progressivo svuotamento di significato di quel principio di separazione dei poteri affermato dall’art. 10 della Costituzione polacca, non si può fare a meno di chiedersi come si sia arrivati ad un tale risultato proprio nel cuore dell’Europa e, diversamente dal caso ungherese, a costituzione formale invariata. Lo sguardo su questo processo, a tratti portato avanti con meticolosità quasi scientifica nel caso ungherese[13] e forse ancora di più in quello polacco, restituisce una sensazione di straniamento che mette in dubbio certezze quasi assodate del costituzionalismo liberale democratico contemporaneo. Uno “strappo nel cielo di carta” della rule of law – per usare una fortunata espressione[14] – che ci paralizza e ci restituisce l’idea della fragilità di garanzie date per certe e invece agganciate ad un delicato gioco di pesi e contrappesi tra organi costituzionali.
Nelle pagine seguenti si tenterà di approfondire per sommi capi la vicenda polacca mettendo a fuoco le tappe dello svuotamento delle garanzie costituzionali sull’indipendenza della magistratura, l’esito della “giurisdizionalizzazione”[15] della conflittualità politica apertasi con l’Unione europea sul terreno della rule of law, secondo alcuni suscettibile di rappresentare una prima tappa per una “POLEXIT” e l’uso dell’argomento identitario da parte delle istituzioni polacche per giustificare la regressione democratica e l’attacco alla magistratura. In conclusione, si formuleranno alcune considerazioni per contestualizzare il caso polacco rispetto al ruolo attuale delle Corti nel contesto europeo.
2. Magistratura e giustizia costituzionale nel sistema polacco
Per comprendere la portata dello stravolgimento dell’assetto costituzionale e dell’attacco frontale alle garanzie della magistratura intervenuto in Polonia, pare utile muovere ricordando le principali tappe storico-evolutive nell’organizzazione della magistratura nell’ambito del costituzionalismo polacco[16].
Nel contesto degli ordinamenti socialisti est-europei l'esercizio della funzione giurisdizionale si fondava, di norma, su meccanismi di elezione dei magistrati. In Polonia il principio dell’elettività è stato tuttavia declinato con alcune non trascurabili peculiarità. L’art. 60 della Costituzione polacca del 1952[17] e l’art. 32 della legge sull'ordinamento giudiziario del 1964 prevedevano un meccanismo di designazione dei magistrati basato sulla chiamata ad opera del Consiglio di Stato con indicazione del Ministro della Giustizia. L’art. 48 della Costituzione conferiva altresì alla Corte Suprema il ruolo di custode del sistema[18]. Inoltre, nel periodo socialista, il sistema polacco sottoponeva la valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati ad un organismo specifico, il Consiglio di disciplina. Questa previsione marcava le distanze rispetto al trattamento previsto in altri paesi socialisti, nei quali le ipotesi di revoca e destituzione dei magistrati erano spesso previste direttamente per legge[19].
Una seconda fase si apriva con la c.d. Terza Repubblica di Polonia a seguito dell’approvazione della legge di revisione costituzionale del 1989[20]. Si avvia in questo momento una lunga stagione di riforme costituzionali che arriverà sino al 1997. La legge 20 dicembre 1989[21] attribuiva la nomina dei magistrati al Presidente della Repubblica e istituiva il Consiglio Nazionale della Magistratura[22], organo di rilevanza costituzionale ma il cui funzionamento è già da questa fase quasi interamente rimandato alla legislazione ordinaria[23].
La successiva revisione costituzionale del 29 dicembre 1989 innovava ulteriormente l'ordinamento giudiziario, specialmente con riguardo al ruolo del pubblico ministero. Sopravvivono tuttavia in questa fase rilevanti connessioni istituzionali tra gli organi requirenti ed il governo, come testimoniato dalla coincidenza tra Procuratore Generale e Ministro della Giustizia, successivamente venuta meno nel 2010, per poi essere nuovamente ripristinata nel 2016[24].
Il tentativo parziale di epurazione di elementi di stampo sovietico venne proseguito dapprima dalla c.d. «piccola Costituzione» del 1992[25] ed in seguito dalla Legge fondamentale del 2 aprile 1997[26], attuale punto di riferimento costituzionale e frutto di accordi compromissori tra forze provenienti dall’esperienza di Solidarność e componenti ex comuniste[27]. Ai sensi dell’art. 173 Cost. i tribunali sono indipendenti dagli altri poteri statali e i giudici risultano soggetti solo alla Costituzione e alla legge in ottemperanza al successivo art. 195 Cost. La loro nomina spetta invece al Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio Nazionale della Magistratura (Krajowa Rada Sądownictwa)[28].
In base alla Costituzione del 1997[29], tale organo è chiamato a farsi garante dell’indipendenza della magistratura (art. 186) ed ha la possibilità di ricorrere d’innanzi al Tribunale costituzionale in relazione ad atti normativi su di essa incidenti. L’ultimo comma dell’art. 187 della Costituzione conferma la previsione di una riserva di legge molto ampia con riguardo a struttura, scopi, attività e procedure interne del Consiglio, incluse le modalità di elezione della componente togata[30]. Il Consiglio include anche una componente laica eletta dalla Dieta, o Sejm, (4 membri) e dal Senato (2 membri). La riserva di legge sull’organizzazione e le attività del Consiglio è stata attuata dalla legge Krajowej Radzie Sądownictwa (Law on the National Council of the Judiciary) del 12 maggio 2011, sulla quale è successivamente intervenuto il controverso “pacchetto giustizia” nella stagione di riforme iniziata nel 2015-2016.
La composizione del Consiglio risultante dalla Costituzione in vigore dal 1997 accosta alla componente laica e ai quindici membri togati alcuni membri di diritto. Si tratta del Primo Presidente della Corte Suprema, del Presidente dell'Alta Corte Amministrativa, del Ministro della Giustizia e di un membro nominato dal Presidente della Repubblica[31].
Quanto al Tribunale costituzionale (Trybunał Konstytucyjny), gli artt. da 188 a 197 della Suprema Carta polacca del 1997 delineano un controllo di legittimità costituzionale di tipo accentrato attribuito ad un Tribunale funzionalmente indipendente, distinto da altri organi giudiziari e composto da quindici membri con mandato novennale e col divieto di rielezione. Le attribuzioni del Tribunale costituzionale consentono un controllo di legittimità a spettro piuttosto ampio, coprendo sia atti legislativi sia, in genere, gli atti di organi centrali dello Stato ed anche gli accordi internazionali di cui, in base all’art. 188 c. 2, valuta la compatibilità a Costituzione[32]. Dal punto di vista dei canali del giudizio di costituzionalità, l’art. 79.1 prevede, tra l’altro, l’accesso diretto al Tribunale costituzionale da parte di individui che lamentino la lesione di libertà costituzionali ritenute infrante da provvedimenti di corti e organi dell’amministrazione[33]. È inoltre previsto l’accesso diretto da parte di diversi soggetti istituzionali quali il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro, il Procuratore generale e del Consiglio nazionale della magistratura nell’ambito della funzione di garante dell’indipendenza della magistratura affidata dalla Costituzione.
3. La crisi costituzionale e le tappe dello “svuotamento” dell’indipendenza della magistratura
L’assetto dell’organizzazione della giustizia così delineato dalla Costituzione del 1997, già caratterizzato da alcune criticità sul piano della separazione tra sistema di autogoverno e potere esecutivo quali la presenza del Ministro della giustizia nell’organo di autogoverno, ha iniziato a subire decise deviazioni a partire dal 2015.
Le elezioni per il rinnovo del Parlamento di tale anno segnavano la vittoria della coalizione di destra e del Prawo i Sprawiedliwość – PiS (Diritto e giustizia), che conseguì un’inedita maggioranza assoluta.
Il partito veniva da una fase di iniziale autoesclusione dalla vita pubblica seguita ad una breve parentesi al governo tra il 2005 e il 2007 ed una nuova perdita di centralità, almeno fino al tragico incidente dell’aereo presidenziale del 10 aprile 2010, che segnava la morte del Presidente Lech Kaczyński e di alti personaggi pubblici della sua amministrazione[34].
Sin dall’inizio della legislatura avviata dal successo elettorale del 2015, il governo sostenuto dalla maggioranza guidata da PiS ha adottato ripetuti interventi che hanno profondamente rivoluzionato il Tribunale costituzionale, l’NCJ e, in generale, l’intero ordinamento giudiziario, inclusa la Corte Suprema e la Procura generale[35].
La prima mossa del nuovo governo è stata diretta proprio nei confronti del Tribunale costituzionale e si è accompagnata ad una vera e propria crisi costituzionale[36]. In prossimità delle elezioni, la precedente coalizione facente capo alla Platforma Obywatelska (Piattaforma civica - PO) aveva favorito l’elezione alla Sejm di 5 dei membri elettivi del Tribunale costituzionale, anticipando, con prassi costituzionale scorretta e censurabile, anche l’elezione di due membri che avrebbero dovuto prendere funzioni solo nel dicembre, a seguito dell’insediamento del nuovo Sejm nel novembre 2015[37].
Il Presidente Duda si è opposto all’elezione, ritenendola illegittima e rifiutando il giuramento dei giudici costituzionali. A seguito dell’insediamento alla Sejm, il 25 novembre 2015, la maggioranza guidata dal PiS ha eletto un diverso gruppo di cinque giudici, i quali hanno subito prestato giuramento. Lo stesso Tribunale costituzionale interveniva in seguito con la sentenza K 34/15 del 3 dicembre 2015, censurando l’illegittimità della nomina di 2 dei 5 giudici eletti prima delle elezioni nell’ottobre 2015[38]. Con una successiva decisione del 9 dicembre 2015[39], il giudice costituzionale riteneva ancora illegittima la nomina di 3 su 5 giudici eletti il 2 dicembre 2015 dalla Sejm a maggioranza PiS[40].
A questo punto, il PiS interveniva ripetutamente sulle disposizioni relative al funzionamento del Tribunale costituzionale, a partire dalla legge 22 dicembre 2015[41]. Le modifiche così approvate introducevano una maggioranza qualificata di 13 giudici su 15 per le decisioni sull’illegittimità costituzionale e ponevano così il Tribunale costituzionale in uno stato di sostanziale empasse[42]. Il Tribunale costituzionale si è comunque pronunciato sulla questione, censurando le modifiche apportate dal governo nella sentenza K 47/15 del 9 marzo 2016. Per tutta risposta, la sentenza non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale polacca, innescando le critiche anche della Commissione di Venezia[43].
Gli interventi della maggioranza nei confronti del Tribunale costituzionale proseguivano nel corso del 2016 e degli anni seguenti interessando profondamente l’intero funzionamento dell’organo, sia per quanto riguarda lo status dei giudici, sia in relazione agli stessi procedimenti costituzionali, approfittando dell’ampia riserva di legge prevista dalla Costituzione[44]. Il risultato, secondo molti commentatori, è un sostanziale mutamento in senso maggioritario dell’organo che, negli ordinamenti democratici, rappresenta la garanzia massima delle posizioni antimaggioritarie ed il custode della Costituzione[45].
Parallelamente alla “cattura” dell’organo di garanzia costituzionale, la compagine governativa guidata da Diritto e Giustizia si assicurava di ristabilire la precedente coincidenza tra Ministero della Giustizia e Procuratore generale, venuta meno nel 2010 e ripristinata con la legge 28 gennaio 2016[46]. Si tratta di un elemento già presente nella tradizione costituzionale polacca che pare ulteriormente confermare quell’incompletezza del processo di piena transizione democratica di cui si è detto. È al contempo un profilo estremamente problematico per via della sua incidenza sulla separazione e l’equilibrio dei poteri oltre che sull’indipendenza dell’ordinamento giudiziario[47]. Si deve infatti considerare che sussistono nell’ordinamento polacco poteri di supervisione del Procuratore generale sull’operato delle procure, oltre alla possibilità di impartire istruzioni sulla conduzione dei processi[48]. A ciò si aggiunge che, in base alla Costituzione, il Ministro della Giustizia – Procuratore generale siede anche nell’organo di autogoverno della magistratura polacca, come membro di diritto.
Altre istituzioni di rilievo del sistema politico sono state interessate dai tentativi di estensione dell’influenza del PiS sulla vita pubblica. Il riferimento è alla legge 15 gennaio 2016 che interviene sulla disciplina della polizia e dell’ordine pubblico ampliando le facoltà di sorveglianza online[49] e le misure antiterrorismo[50]. Ma anche alla stampa, interessata ad esempio dalla legge 22 giugno 2016 relativa al Consiglio Nazionale dei media.
L’attacco all’ordine giudiziario è stato però trasversale e forse il più massiccio. La motivazione politica ufficiale di un tale accanimento è stata individuata nella presunta corruzione e inefficienza del sistema giudiziario, visto dalla maggioranza come asserita istanza di resistenza corporativa al rinnovamento necessario alla Polonia[51].
Nel 2017, veniva adottato un pacchetto di riforma generale dell’intero sistema giudiziario, accompagnato da un coro di critiche e preoccupazioni da parte dell’Unione europea e degli osservatori, che ha interessato tutti i settori della magistratura, inclusa la formazione dei giudici[52]. Tra le modifiche più rilevanti, vi sono alcune misure riferite al procedimento disciplinare e alla Corte suprema. Presso tale organo vengono introdotte due nuove Camere di cui una disciplinare (Izba Dyscyplinarna), competente a decidere, anche in appello, sull’irrogazione di provvedimenti disciplinari ai magistrati[53] ed una competente in materia di controllo straordinario degli affari pubblici[54]. Le modifiche sul procedimento disciplinare sono consistenti e critiche. La nomina dei componenti della Camera disciplinare spetta al Presidente della Repubblica, il quale dopo la riforma ha altresì la possibilità di nominare il procuratore disciplinare e, se entro trenta giorni non provvede in tal senso, il Ministro della Giustizia può comunicare al Presidente la propria intenzione di procedere e, in caso di nuova inerzia di quest’ultimo, è il Ministro della giustizia a nominare il procuratore disciplinare[55].
Si tratta di profili che hanno attirato anche le censure di un rapporto del GRECO - Gruppo degli Stati contro la corruzione, organo di monitoraggio del Consiglio d’Europa, che ha rilevato un eccessivo coinvolgimento dell’esecutivo all’interno del procedimento disciplinare a seguito delle modifiche legislative[56].
La legge del 20 dicembre 2017 sulla Corte Suprema, inoltre, abbassava l’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema di cinque anni. Ciò ha portato alla sostituzione di una percentuale intorno al 40% dei componenti della Corte[57], con la nomina dei nuovi giudici da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio Nazionale della Magistratura[58]. Di fatto una “purga” giudiziaria alla quale i giudici della Corte Suprema potevano sottrarsi solo richiedendo una proroga al Presidente della Repubblica che, in via del tutto discrezionale, poteva concederla o meno[59].
Oltre ai giudici della Suprema Corte, le riforme non hanno risparmiato anche i magistrati ordinari. Anche per loro l’abbassamento repentino dell’età pensionabile è stato lo strumento per innovare le fila del giudiziario selezionando i giudici da far permanere, su richiesta di proroga quest’ultimi e con valutazione discrezionale e insindacabile del Ministro della Giustizia[60]. Considerato che lo stesso Ministro della giustizia (già anche procuratore generale e membro dell’organo di autogoverno) è inoltre titolare della nomina dei presidenti dei tribunali, si apprezza la totale pervasività dell’azione dell’esecutivo nei confronti di tutta la magistratura polacca.
Anche il Consiglio Nazionale della Magistratura non è stato risparmiato da profonde modifiche operate dalla compagine governativa guidata dal PiS. La legge del 20 dicembre 2017 ha infatti previsto la cessazione dei membri del Consiglio entro tre mesi per azzerare eventuali membri avversi della precedente consiliatura ed ha innovato le modalità d’elezione dei membri togati, prima eletti dalla magistratura ed oggi dalla Sejm. Ciò ha ovviamente affidato alla scelta della maggioranza guidata dal PiS l’elezione dei membri togati del Consiglio, a sua volta responsabile della proposizione delle nomine dei giudici al Presidente.
Posto che il Presidente Duda (riconfermato alle ultime elezioni del 2020) è esponente del PiS, allo stato attuale, il partito di maggioranza ha di fatto la possibilità di incidere sull’elezione di 22 su 25 consiglieri dell’organo di autogoverno polacco. La separazione dei poteri, pur affermata dall’art. 10 della Costituzione, risulta in questo contesto meramente virtuale e poco più che una clausola di stile[61].
4. La risposta dell’Unione europea
A seguito della stagione di riforme avviata dal “Pacchetto giustizia” e della regressione delle garanzie del giudiziario, le istituzioni eurounitarie sono intervenute azionando tutti gli «anticorpi esterni»[62] messi a disposizione dal diritto dell’Unione. In primo luogo, con il mezzo più “tradizionale” della procedura di infrazione di cui all’art. 258 TFUE[63], ottenendo sentenze di condanna della Polonia da parte della Corte di giustizia rimaste, per la maggior parte, ignorate nella sostanza dalle istituzioni polacche[64]. Il riferimento è, tra le altre, alla sentenza del 24 giugno 2019 sull’indipendenza della Corte Suprema polacca[65], alla sentenza del 5 novembre 2019, causa C-192/18 avente ad oggetto l’indipendenza dei tribunali ordinari ed alle decisioni relative alle modifiche al procedimento disciplinare, con l’ordinanza dell’8 aprile 2020[66] e la sentenza del 15 luglio 2021[67].
Accanto a questa risposta esterna, si devono ricordare anche le reazioni interne alla Polonia[68]. Oltre a mobilitazioni di piazza spontanee e coordinate dall’opposizione, alla marcia delle toghe di Varsavia del gennaio 2020, alle prese di posizione della stampa contraria alla svolta illiberale, di alcune università e di organizzazioni non governative nazionali, si può richiamare anche la reazione “giudiziaria” di diversi giudici polacchi che hanno visto nella Corte di Giustizia un interlocutore naturale a cui rivolgersi. Ne è un esempio il caso A.K. e a., deciso con sentenza del 19 novembre 2019 e originato da rinvii pregiudiziali proveniente dalla stessa Corte Suprema polacca, sezione lavoro e previdenza, nell’ambito di giudizi instaurati da giudici della Corte Suprema e della Corte Suprema amministrativa rimasti vittima del pensionamento anticipato e del diniego alla successiva richiesta di proroga[69]. In tale occasione, la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha tra l’altro stabilito che l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e la direttiva 2000/78[70] ostano alla sottoposizione di controversie aventi ad oggetto l’applicazione del diritto dell'Unione alla competenza esclusiva di un organo non indipendente e imparziale[71].
Le autorità polacche hanno per la verità adottato alcuni limitati interventi di revisione a seguito delle indicazioni provenienti dalle istituzioni unionali ma si è trattato per lo più di limature di facciata, del tutto inidonee a far rientrare il paese sui binari dell’indipendenza complessiva del sistema giudiziario[72].
Questa risposta insufficiente della Polonia ha spinto l’Unione a valutare “unprecedented measures” nel quadro dei meccanismi preventivi di salvaguardia dello stato di diritto concessi dai trattati[73]. Si tratta dell’ulteriore procedura – complementare a quella di infrazione[74] – prevista dall’art. 7 comma 1 TUE, che consente di reagire a rischi di violazione dei valori fondanti dell’Unione di cui all’art. 2 TUE. Tra questi, infatti, figura anche il rispetto dello stato di diritto[75].
Il procedimento è pensato per assicurare il rispetto dei valori eurounitari da parte degli Stati che sono già membri dell’Unione. Mentre per gli aspiranti Stati membri sono infatti presenti rigorosi meccanismi di condizionalità in entrata che consentono un vaglio scrupoloso sul rispetto dei valori fondanti, tra cui la rule of law, più difficile è l’accertamento di violazioni sopravvenute da parte di Stati membri che partecipano (e votano) già ai lavori delle istituzioni europee[76].
Anche per tali ragioni e sulla scorta delle esperienze di Polonia e Ungheria[77], si è registrata negli ultimi anni la tendenza ad una maggiore precisazione dei contenuti del principio dello Stato di diritto all’interno del diritto derivato dell’UE, come dimostra l’approvazione del Regolamento 2020/2092 del 16 dicembre 2020. Tale regolamento introduce un sistema generale di condizionalità a protezione del bilancio dell'Unione che comprende, tra l’altro, il rispetto dei principi di legalità, certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, tutela giurisdizionale effettiva, compreso «l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali» e la separazione dei poteri[78]. L’indipendenza del giudiziario è del resto un tratto fondamentale della rule of law oltre che un elemento strettamente riconnesso ai principi cardine del costituzionalismo, quali la tutela dei diritti[79].
Nell’attivare la misura dell’art. 7 TUE, peraltro, l’Unione si è orientata sul meccanismo più moderato previsto dal comma 1 ed è stata per questa scelta oggetto di critica da chi avrebbe voluto una reazione più decisa, ad esempio sulla base della diversa procedura di cui al comma secondo dell’art. 7. Quest’ultima consente di far fronte ad una violazione grave e persistente dei valori fondanti e di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro dall’applicazione dei trattati, tra cui i diritti di voto del rappresentante nel Consiglio[80].
Il problema di questa diversa procedura è che richiede per la sua dichiarazione l’unanimità del Consiglio Europeo su proposta di un terzo degli Stati membri. Di contro, la necessità dell’unanimità si scontrava con l’annunciata opposizione dell’Ungheria, orientata su posizioni di veto reciproco con la Polonia e ciò ha probabilmente contribuito a far accantonare l’ipotesi[81].
Significative sono state anche le reazioni di altre istituzioni del contesto europeo e dei giudici di altri Stati membri. Riguardo al primo aspetto, l’ENCJ – dopo aver rivolto plurimi moniti al governo e al parlamento della Polonia con riguardo al venir meno delle fondamentali garanzie di indipendenza del giudiziario – è stata tra le prime istituzioni ad agire energicamente, sospendendo il Consiglio Nazionale del giudiziario polacco dalla rete europea dei Consigli di Giustizia[82].
Quanto al secondo profilo, in pendenza della procedura ex art. 7 TUE, i Tribunali di alcuni Stati membri hanno ritenuto opportuno inoltrare rinvii pregiudiziali ex art. 267 TFUE per evitare “complicità involontarie” nella violazione dei principi di indipendenza del giudiziario alla base della rule of law in caso di cooperazione giudiziaria con autorità giurisdizionali polacche.
Emblematico, nella sua peculiarità, è il caso LM, originato da un rinvio pregiudiziale della Corte Suprema irlandese alla Corte di Giustizia[83]. Destinataria di un ordine di esecuzione per un MAE (mandato d’arresto europeo) su richiesta della Polonia, la Corte irlandese domandava alla Corte di Lussemburgo se fosse in effetti tenuta a dar seguito a tale ordine e disporre l’estradizione dell’imputato in favore della Polonia. Atteso che verso quest’ultima era già infatti stata attivata la procedura di cui all’art. 7 c. 1 TUE, la Corte irlandese si chiede se il trasferimento dell’imputato in Polonia non esponesse al rischio di violazioni ai principi del giusto processo, vista la situazione delle corti in atto in Polonia[84].
La Corte di Giustizia conferma l’impostazione del giudice rimettente e dei propri precedenti[85], ribadendo l’obbligo di tutti i giudici degli Stati membri di rispettare i valori comuni europei e affermando che è proprio il giudice nazionale a dover valutare, in concreto, la sussistenza di una violazione dello Stato di diritto[86]. Questa valutazione avviene da un lato, accertando l’esistenza di violazioni sistemiche della rule of law e, dall’altro, verificando se l’esecuzione della condanna dell’imputato nello Stato richiedente non esponga a sua volta ad una violazione della rule of law[87]. Per la Corte, in particolare, il giudice deve verificare «l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo, connesso a una mancanza di indipendenza dei giudici di detto Stato membro, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in quest’ultimo Stato»[88].
L’orientamento della Corte di Giustizia è stato salutato da commenti molteplici in dottrina[89]. Le diverse posizioni si polarizzano tra letture più caute che tendono a far prevalere l’esigenza di mantenere la fiducia tra autorità giurisdizionale come valore fondamentale della cooperazione giudiziaria europea (almeno fino alla conclusione della procedura ex art. 7 TUE)[90] e commenti di plauso al richiamo del ruolo dei giudici degli Stati membri[91]. La scelta della Corte ha in effetti il pregio di contribuire a realizzare un controllo allargato nel contesto europeo dell’operato di autorità giudiziarie “malate” di uno Stato membro. Se la valutazione della violazione dello Stato di diritto viene posta in capo ai diversi giudici nazionali, infatti, si moltiplicano le occasioni per portare alla luce mancanze strutturali nelle garanzie dei valori fondanti dell’Unione. In un contesto in cui le Corti diventano sempre più soggette ad ingerenze degli altri poteri, del resto, il rischio è che risultino più rari i rinvii pregiudiziali di autorità giudiziarie polacche alla Corte di Giustizia. D’altro canto, va considerato anche l’ulteriore rischio derivante da orientamenti difformi tra giudici degli Stati membri sulla valutazione del rispetto dello Stato di diritto oltre che delle possibili “ritorsioni” sul piano della collaborazione giudiziaria ad opera delle autorità giudiziarie di realtà illiberali[92]. Una soluzione intermedia, con una limitazione della discrezionalità favorita da indici oggettivi fissati dalla Corte di Giustizia e non ancorati solo a valutazioni politiche della Commissione, potrebbe forse orientare la valutazione sul grado di indipendenza delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri, riducendo il rischio di letture difformi[93].
5. Rule of law, indipendenza della magistratura e identità nazionali: la distanza crescente tra Varsavia e Bruxelles
Diversamente dall’Ungheria, in Polonia il PiS non ha ottenuto una maggioranza tale da poter consentire un programma a colpi di riforme costituzionali. L’assetto delle garanzie costituzionali sulla magistratura, così, è stato semplicemente svuotato o «degradato al rango di un documento politico privo di valore vincolante, come lo era stata nei decenni del socialismo reale»[94].
Non dissimile, in questa prospettiva, è anche il tentativo di svuotare di significato principi fondamentali dell’Unione europea come quello del primato del diritto eurounitario sul diritto nazionale[95]. Tale processo è avvenuto attraverso un'interpretazione illiberale della Costituzione polacca[96] fondata su un’enfatizzazione dell’identità nazionale che ha raggiunto il proprio culmine[97] con la decisione del 7 ottobre 2021 del Tribunale Costituzionale (di seguito anche “TC”)[98]. La decisione origina da un articolato ricorso al giudice costituzionale proposto dal Primo ministro oltre che dal Presidente della Repubblica, il Sejm ed altre figure istituzionali[99].
Nel dispositivo[100], il TC dichiarava alcune disposizioni del TUE incompatibili con la Costituzione polacca, affermando la prevalenza di quest’ultima. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento del principio del primato del diritto eurounitario e non già di una semplice rivendicazione dei c.d. controlimiti[101]. Non si contesta infatti la presenza di un’antinomia irrisolvibile tra singole disposizioni unionali e la Costituzione ma si denuncia l’avvio di una presunta «nuova fase» dell’Unione tra popoli europei che esorbiterebbe dalle competenze attribuite dalla Polonia in virtù dei trattati e si porrebbe radicalmente in contrasto con la Costituzione polacca[102].
Per il giudice costituzionale questa nuova fase sarebbe in conflitto con gli articoli 1 commi 1 e 2 e 4.3. del TUE, offuscando la supremazia della Costituzione polacca e facendo perdere alla Polonia la possibilità di agire alla stregua di uno stato sovrano democratico[103].
Inoltre, la Costituzione polacca sarebbe ulteriormente incompatibile con l’art. 19, par. 2, c. 2 del TUE, anche in combinato disposto con l’art. 2 TUE, permettendo ai giudici nazionali comuni e di legittimità di aggirare le disposizioni costituzionali ed emettere decisioni sulla base di disposizioni da ritenersi non vincolanti siccome abrogate ad opera del Sejm ovvero dichiarate incostituzionali dal TC[104].
Da ultimo, il punto 3 del dispositivo censura ancora gli artt. 2 e 19 del TUE nella parte in cui attribuiscono ai giudici nazionali la competenza a controllare la legalità delle procedure di nomina dei giudici da parte del Presidente della Repubblica e verificare la legittimità delle delibere del Consiglio nazionale della magistratura ed eventualmente rifiutare di accettare una nomina a giudice avvenuta nelle forme della Costituzione[105].
La decisione presenta numerose anomalie, a partire dai soggetti promotori, con il lungo ricorso promosso da attori istituzionali di primo piano già definito «un trattato di diritto “sovranista”»[106], passando per le modalità di comunicazione (dispositivo e successivo comunicato stampa). La frattura con il diritto eurounitario è radicale e, tuttavia, la sentenza sembra porsi in contraddizione con le disposizioni costituzionali oltre che con i precedenti dello stesso TC[107] e le posizioni espresse nell’ambito dell’integrazione europea. Oltre al fatto che la Costituzione del 1997 era già da tempo in vigore all’epoca della versione attuale dei Trattati, la clausola di limitazione internazionale di sovranità di cui all’art. 90 della Suprema Carta polacca consente la delega ad organizzazioni internazionali[108]. In questo quadro, non appare casuale lo sforzo del TC di sostenere che alla base dell’attuale situazione di frizione vi sia non già un difetto genetico dei trattati bensì una loro interpretazione a traiettorie sghembe da parte della Corte di Giustizia[109].
Le contraddizioni già menzionate sono state evidenziate e contestate in un comunicato redatto dai giudici del TC in regime di pensionamento[110]. Il comunicato denuncia innanzitutto la contrarietà della decisione con la Costituzione[111] e contesta l’esistenza di un’incompatibilità tra l’applicazione del diritto dell’Unione da parte delle corti polacche e della Costituzione nei termini indicati dal TC[112]. Di particolare interesse appare anche la lettura sulla vera finalità della decisione: quest’ultima non sarebbe di fatto destinata a sortire altro effetto legale se non esercitare una forma di pressione sui giudici polacchi minacciandoli con la spada di Damocle del procedimento disciplinare[113].
La Costituzione polacca, svuotata della sostanza delle sue garanzie per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri[114], viene in questa fase utilizzata dal TC, in accoglimento della prospettazione di esponenti della maggioranza del PiS, come grimaldello per forzare le resistenze provenienti dall’ordinamento eurounitario in nome di una presunta identità costituzionale nazionale da far prevalere[115].
L’enfasi sull’argomento identitario di cui all’art. 4 TUE, comune in parte anche al caso ungherese, omette convenientemente di considerare che l’indipendenza delle corti e dei singoli giudici nazionali costituisce un valore comune dell’Unione europea da tenere in considerazione anche nell’interpretazione e applicazione del principio del primato del diritto unionale[116]. I giudici degli Stati membri, infatti, facendosi garanti dell’applicazione del diritto unionale agiscono anche nell’interesse dell’Unione europea, la quale deve poter contare su un corpus giudiziario indipendente. Di contro, l’identità nazionale non può rappresentare una «clausola di esonero» del diritto dei trattati da invocare a mo’ di exemption culturale a fronte di previsioni poco gradite agli ordinamenti nazionali[117].
6. Perché le corti? Alcune note conclusive
Il caso polacco rientra in una tendenza più generale in atto in alcuni ordinamenti nell’area dell’est europeo che, ormai da diversi anni, si sono posizionati «in una zona grigia, dove i principi del costituzionalismo sembrano essere messi decisamente alla prova, minando in questo modo l’ubi consistam dell’integrazione sovranazionale europea»[118].
Se è vero che già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino si affermava che «Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione»[119], si apprezza la profondità della lesione all’ordinamento costituzionale polacco derivante dalla completa erosione delle garanzie del giudiziario e dell’autonomia di questo dagli altri poteri[120].
Tra le molte riflessioni che lo strappo in atto in Polonia suggerisce, pare interessante soffermarsi sulle ragioni che hanno indotto ad orientare la compagine governativa guidata dal PiS ad un attacco così pervicacemente condotto nei confronti della magistratura e del Tribunale costituzionale. Sebbene non si tratti certo di un disegno nuovo[121], il tentativo portato avanti in Polonia e Ungheria pare indicativo del ruolo assunto dalle corti nei sistemi giuridici contemporanei, specialmente nel contesto europeo.
In un quadro giuridico contemporaneo in cui le corti hanno da tempo svestito i panni di quella bouche de la loi evocata da Montesquieu, di fronte alla crisi del parlamentarismo i tribunali ordinari e costituzionali diventano sempre più interlocutori primari e motore dell’evoluzione dell’ordinamento in una pluralità di settore quali i nuovi diritti, la bioetica[122] e le sfide derivanti dall’innovazione tecnologica. Si tratta infatti di argomenti che spesso mal si coniugano con i tempi delle assemblee parlamentari o con le difficoltà ad individuare soluzioni normative generali condivise su temi divisivi[123].
Dall’altra parte, si apprezza anche un’esacerbazione della tendenza a spostare sul piano giudiziario i conflitti politici. Basti pensare al ruolo delle corti sul tema Brexit[124], in materia di verifica delle elezioni e con riguardo alle istanze separatiste[125].
L’integrazione sovranazionale e il ruolo dei giudici nazionali nel sistema eurounitario e nell’applicazione del diritto dell’Unione hanno ulteriormente arricchito la funzione del giudice e le ipotesi in cui quest’ultimo può discostarsi dalla legge nazionale, consentendo la disapplicazione del diritto interno contrario a quello unionale.
Tutto ciò non fa che contribuire ad un’accresciuta presenza del giudiziario sulla scena pubblica che si accompagna, tuttavia, ad una maggiore esposizione della magistratura. Quest’ultima, infatti, non può più vedersi come un potere nullo o, per quanto riguarda il giudice costituzionale, come un mero legislatore negativo, ma assume una centralità crescente che la rende anche un bersaglio naturale per un regime illiberale[126].
È dunque in questo contesto che deve leggersi l’attacco alle radici dell’indipendenza della magistratura nel cuore del continente europeo e si deve riflettere sulle condizioni (e le carenze) che lo hanno reso possibile, oltre che sulle contromisure da adottare. L’attuazione delle garanzie di indipendenza della magistratura dagli atri poteri, nella maggior parte delle costituzioni affidata alla legislazione ordinaria con lo strumento della riserva di legge, deve essere circondata da cautele e meccanismi di controllo. I casi di Polonia e Ungheria suggeriscono infatti che sono molti gli strumenti di pressione ed i meccanismi di interferenza che maggioranze illiberali possono utilizzare per minare l’indipendenza dei giudici, a partire da temi sensibili quali l’età pensionabile, le condizioni e i carichi di lavoro fino ad arrivare alla disciplina degli incarichi direttivi, dei trasferimenti, del trattamento economico, oltre che delle stesse caratteristiche dei procedimenti di nomina.
Riserve di legge troppo ampie, come sembra suggerire il caso polacco, possono sottrarre importanti aspetti dell’organizzazione del giudiziario dalle garanzie della rigidità costituzionale e finanche arrivare a paralizzare gli organi di controllo costituzionale, primi custodi delle carte. Ma anche un inadeguato sistema di pesi e contrappesi può rischiare di consegnare a forze illiberali margini di azione tali da stravolgere il sistema e svuotare di significato le conquiste dello stato di diritto.
In questo contesto, l’integrazione sovranazionale ha consentito di affiancare alle garanzie interne altri organismi di controllo esterni, custodi ultimi di valori facenti parte del patrimonio comune europeo. Non sorprendono allora risposte come la sentenza K 3/21 che tentano di sterilizzare il principio del primato e dissuadere i giudici nazionali dall’utilizzare uno degli ultimi strumenti rimasti per sindacare le scelte del legislatore. Neppure sorprende l’accusa rivolta alla Corte di Giustizia di aver dato avvio ad una nuova fase “imprevista”, nella misura in cui quest’ultima è venuta a propria volta ad assumere il ruolo (inedito) di possibile garante dell’indipendenza dei giudici nazionali.
L’inasprimento della conflittualità tra Polonia, Ungheria e Unione europea ha comunque avuto il merito, secondo alcuni commentatori, di promuovere un affinamento degli strumenti di garanzia dell’acquis europeo in materia di rule of law, oltre che delle misure di enforcement[127]. Se per il momento alla punta del conflitto rappresentata dalla sentenza K 3/21 non è seguito un subitaneo e serio sviluppo dell’opzione POLEXIT[128], costante è stato l’orientamento seguito dalla Corte di Giustizia nell’ambito della c.d. condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione europea di cui al regolamento 2020/2092 e ferma la volontà di ancorare l’accesso ai fondi europei alla garanzia della rule of law[129].
Le misure senza precedenti adottate dall’Unione, in questo senso, sembrano volte a far passare l’idea che, contrariamente da quanto rivendicato dalle democrazie illiberali, l’identità nazionale non può porsi in antitesi con l’indipendenza della magistratura perché proprio quest’ultima, nel sistema valoriale europeo, «concorre a creare l’identità nazionale quale fondamento della ‘struttura costituzionale’ di cui parla l’art 4, paragrafo 2, TUE»[130].
[1] M. CARTABIA, The rule of law and the role of courts, in Italian Journal of Public Law, 1, 2018, 2.
[2] «Si può riconoscere la qualità di Stato di diritto quando i poteri pubblici siano soggetti alla legge e siano previste ed efficaci la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo (diritti civili, politici, sociali) e delle libertà fondamentali, nonché la indipendenza dei giudici (strumentale rispetto alla garanzia dei diritti). Nel corso del tempo, la libertà di stampa ha acquisito una importanza centrale e riconosciuta, come condizione del controllo sulla correttezza della azione dei poteri pubblici (e privati)». V. ZAGREBELSKY, L’Unione Europea e lo Stato di diritto. Fondamento, problemi, crisi, in Giustizia Insieme, 28 maggio 2021.
[3] Valore fondante dell’Unione in base all’art. 2 TUE, che gli Stati membri si impegnano a promuovere nel resto del mondo.
[4] Si vedano ex multis J. SAWICKI, Democrazie illiberali? L’Europa centro-orientale tra continuità apparente della forma di governo e mutazione possibile della forma di Stato, Milano, 2018; M.A. ORLANDI, La “democrazia illiberale”. Ungheria e Polonia a confronto, in Dir. pubbl. comp. eur., 2019, 167. M. BÁNKUTI, G. HALMAI, K.L. SCHEPPELE, Hungary’s Illiberal Turn: Disabling the Constitution, in Journal of Democracy, 2012, 138 ss.; R. UITZ, Can you tell when an illiberal democracy is in the making? An appeal to comparative constitutional scholarship from Hungary, in International Journal of Constitutional Law, 2015, spec. 296 ss. Tra gli studi più recenti al momento della scrittura del presente saggio, menziona un cosciente e diffuso “contesto ideologico illiberale” E. CUKANI, "Polish Gate" e il rafforzamento del diritto dell'UE, in DPCE online, 2022 fasc. 1, pp. 29 – 50.
[5] F. ZAKARIA, The rise of illiberal Democracy, in Foreign Affairs, Nov/Dec 1997.
[6] Termine vicino, sebbene non sovrapponibile, a quello di “democratura” di P. HASSNER, Démocrature” et “Réfolution” ou la transition bouleversée, in P. GREMION, P. HASSNER (a cura di), Vents d’Est. Vers l’Europe des États de droit?, Paris, 1990 che indica un sistema formalmente strutturato con modalità democratiche ma sostanzialmente autoritario. Occorre rilevare in dottrina una varietà di ricostruzioni e definizioni del processo di decadimento democratico che, alle più diffuse espressioni di “democrazia illiberale” e “democrature”, ne accosta altre come “costituzionalismo autoritario o populista”. Osserva al riguardo A. DI GREGORIO, I fenomeni di degenerazione delle democrazie contemporanee: qualche spunto di riflessione sullo sfondo delle contrapposizioni dottrinali, in Nad-Nuovi Autoritarismi e democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 2, 2019, 2 ss. come siano stati contate sino a 80 termini per definire i fenomeni di decadimento democratico. Sulla categoria del costituzionalismo illiberale si veda ancora T. DRINÒCZI, A. BIEŃ, Illiberal Constitutionalism: The Case of Hungary and Poland, in German Law Jurnal, 20, 2019.
[7] Ormai definite “usual suspects” tra le democrazie illiberali, cfr. L. PIERDOMINICI, La riforma della giustizia israeliana: cronache dall’ultima frontiera costituzionale, in Giustizia Insieme, 31.3.2023.
[8] G. DELLEDONNE, Ungheria e Polonia: punte avanzate del dibattito sulle democrazie illiberali all’interno dell’Unione Europea, in DPCE Online, 3, 2020, 3999 ss. Si veda anche R. TARCHI, Le “democrazie illiberali” nella prospettiva comparata: verso una nuova forma di stato? Alcune riflessioni di sintesi, in DPCE online, n. 3, 2020.
[9] F. ZAKARIA, cit., 29 ss. Sulle transizioni democratiche si vedano anche S. GAMBINO, Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, Giuffrè, 2003, E. CECCHERINI, G. ROLLA, Scritti di diritto costituzionale comparato, Genova, 2005, 11 ss. e, per quanto riguarda le transizioni degli stati ex URSS, M. GANINO, Dall’URSS alla Comunità di Stati Indipendenti, Milano, 1992 e S. BARTOLE, P. GRILLI DI CORTONA (a cura di), Transizione e consolidamento democratico nell'Europa centro-orientale, edito da Torino, 1997.
[10] Discorso riportato da M.A. ORLANDI, La “democrazia illiberale”. Ungheria e Polonia a confronto, in Dir. pubbl. comp. eur., 2019, 167.
[11] Ricorda ancora V. ZAGREBELSKY, cit., al riguardo, come «La forma di stato che va sotto il nome di Stato di diritto ha alle spalle eventi storici diversi: dalla Rivoluzione inglese (1688-89) alla Rivoluzione americana (1776), dalla Rivoluzione francese (1789) alle Rivoluzioni europee del 1848 e poi lo sviluppo dello Stato costituzionale di diritto. Il risultato ha contenuti che possono ritenersi acquisiti, anche se i loro contorni possono apparire non definiti. Si tratta infatti di una nozione storica e politica, che può assumere caratteri diversi, più o meno marcati. (…) Si può riconoscere la qualità di Stato di diritto quando i poteri pubblici siano soggetti alla legge e siano previste ed efficaci la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo (diritti civili, politici, sociali) e delle libertà fondamentali, nonché la indipendenza dei giudici (strumentale rispetto alla garanzia dei diritti). Nel corso del tempo, la libertà di stampa ha acquisito una importanza centrale e riconosciuta, come condizione del controllo sulla correttezza della azione dei poteri pubblici (e privati)». Sulle garanzie fondamentali della magistratura si veda ancora R. GUASTINI, A. PIZZORUSSO, La Magistratura, tomo I (artt. 101-103), in Commentario alla Costituzione, Bologna, 1994.
[12] M. BASILICO, Dopo la marcia delle mille toghe a Varsavia «per noi giudici polacchi un futuro ancora a rischio», in Giustizia Insieme, 17.02.2020.
[13] Cfr. S. BENVENUTI, Dodici anni di riforme della giustizia in Ungheria, in Giustizia Insieme, 29.04.2023.
[14] L. PIRANDELLO, Il Fu Mattia Pascal, Milano, 1919, capitolo xii.
[15] S. TROILLO, Controlimiti versus Stato di diritto? Gli esiti della giurisdizionalizzazione dello scontro fra Unione europea e Polonia sull’indipendenza della magistratura, in Consulta Online, 1, 2022, 115 ss.
[16] Per un inquadramento, S. CECCANTI, Il costituzionalismo polacco dal 1791 ad oggi, in federalismi.it, 10/2006.
[17] Costituzione della Repubblica Popolare Polacca, nota anche come “Costituzione di luglio”.
[18] E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021, 131.
[19] M. MAZZA, Le garanzie istituzionali della magistratura in Polonia: un presente difficile, un futuro incerto, in DPCE Online, 4, 2020, 4970 ss.
[20] L. 7 aprile 1989. In argomento M. MIŻEJEWSKI, La crisi della democrazia in Polonia, in Federalismi, 21 novembre 2018.
[21] Legge 20 dicembre 1989 (Dz. U. 73, 436).
[22] Di seguito “NCJ”.
[23] E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021, 189 ss. Per un inquadramento, si veda anche M. VOLPI, I Consigli della magistratura in Europa, in Cosmopolis, 1, 2009.
[24] Cfr. M. MAZZA, cit., 4970.
[25] La quale non rappresentò però un significativo avanzamento nelle garanzie di indipendenza della magistratura come osserva E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021.
[26] In argomento, C. FILIPPINI, Polonia, Bologna, 2013, 48-53.
[27] La rigidità della Costituzione, prima garanzia formale dell’autonomia del giudiziario ivi affermata, è garantita dal procedimento aggravato di revisione costituzionale previsto dall’art. 235 Cost.
[28] Disciplinato agli artt. 186 e 187 della Costituzione.
[29] Ma la stessa previsione era già presente nella legge sul Consiglio Nazionale della Magistratura del 20 dicembre 1989.
[30] In base all’art. 187, sono 15 i membri togati, scelti tra i giudici della Corte Suprema, dei tribunali comuni, dei tribunali amministrativi ed anche tra i giudici dei tribunali militari.
[31] M. MAZZA, cit., 4971.
[32] Nel dettaglio, l’art. 88 attribuisce in particolare la competenza a decidere sulla conformità della legge e degli accordi internazionali alla Costituzione; sulla compatibilità tra una legge e gli accordi internazionali ratificati dalla Polonia; della conformità a Costituzione di altre fonti emanate dagli organi centrali dello Stato; la compatibilità dei partiti con il sistema costituzionale. Accanto alle funzioni di legittimità, il Tribunale è anche competente a dirimere le controversie insorte tra organi dello Stato.
[33] F. FEDE, Il Tribunale costituzionale nella nuova Costituzione polacca, in Quaderni costituzionali, 1, 1999, 169-182.
[34] Cfr. A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, in A. DI GREGORIO (cur.), I sistemi costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale, baltica e balcanica, Padova, 2019, 378 ss.
[35] S. MORETTI, La riforma del sistema giudiziario polacco e le risposte del Consiglio d’Europa: un quadro dal 2015 ad oggi, in Questione Giustizia, 15/05/2021.
[36] M. BASILICO, Dopo la marcia delle mille toghe a Varsavia «per noi giudici polacchi un futuro ancora a rischio», intervista a Monika Frackowiak, giudice distrettuale di Poznan, in Giustizia Insieme, 17 febbraio 2020, M. DICOSOLA, La crisi costituzionale del 2015-16 in Polonia: il fallimento della transizione al costituzionalismo liberale?, in Osservatorio AIC, n. 1, 2016.
[37] La legislatura uscente aveva anche approvato una nuova legge sul Tribunale costituzionale il 25 giugno 2015.
[38] Č. PIŠTAN, Giustizia costituzionale e potere giudiziario. Il ruolo delle corti costituzionali nei processi di democratizzazione ed europeizzazione, in A. DI GREGORIO (a cura di), I sistemi costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica (Trattato di diritto pubblico comparato, fondato e diretto da G.F. Ferrari), Walters Kluwer, Milano, 2019, 357 ss.
[39] Sentenza K 35/15 del 9 dicembre 2015.
[40] Cfr. B. BANASZAK, The Changes to the Act on the Constitutional Tribunal and the Changes in the Make-up of the Constitutional Tribunal in Poland, in Osteuropa Recht, 2016, 94 ss., J. SAWICKI, La conquista della Corte costituzionale ad opera della maggioranza che non si riconosce nella Costituzione, in Nomos, 3, 2016.
[41] Tale vicinanza è stata ulteriormente favorita dall’elezione di Julia Przyłębska quale presidente del Tribunale Costituzionale, a partire dal dicembre 2016. Cfr. M. BASILICO, cit., passim.
[42] Č. PIŠTAN, cit., 359.
[43] Cfr. parere n. 833/2015.
[44] Cfr. legge del 30 novembre 2016 sullo status dei giudici della Tribunale costituzionale; legge del 30 novembre 2016 sull'organizzazione e le procedure di fronte al Tribunale costituzionale e legge del 13 dicembre 2016 recante previsioni introduttive sull'organizzazione e le procedure davanti al Tribunale costituzionale.
[45] Nell’ordine, si è verificato il ritiro anticipato di due mesi del vicepresidente uscente Stanisław Biernat con posizioni lontane dalla maggioranza e, in seguito, i tre giudici costituzionali nominati prima della vittoria elettorale del PiS sono stati esclusi dalle loro funzioni.
[46] M. MAZZA, cit., 4971 ss.
[47]In argomento, P. PASQUINO, Uno e trino – Indipendenza della magistratura e separazione dei poteri. Perché le maggioranze democratiche possono rappresentare una minaccia per la libertà, Milano, 1994.
[48] M. MAZZA, cit., 4973.
[49] Anch’essa censurata dalla Commissione di Venezia come osservano A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 381.
[50] Cfr. legge 10 giugno 2016.
[51] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 382 ss.
[52] È stata emendata la disciplina della Scuola nazionale della magistratura con la legge dell’11 maggio 2017.
[53] La legge istituiva presso la Sąd Najwyższy (Corte suprema) la Sezione disciplinare presieduta dal Presidente della Corte Suprema. In base all’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema i giudici disciplinari nelle cause disciplinari relative a giudici della Corte suprema sono giudici della stessa Corte Suprema riuniti, in primo grado, in un Collegio composto da due giudici della Sezione disciplinare e da un giurato e in grado d’appello in un collegio composto da tre giudici della Sezione disciplinare e da due giurati.
[54] Camera per il controllo straordinario degli affari pubblici. Cfr. Legge 8 dicembre 2017 sulla Corte Suprema (Sadzie Najwoszym z dnia).
[55] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 150.
[56] Relazione del giugno 2018 “Ad hoc report on Poland”.
[57] Č. PIŠTAN, cit., 361.
[58] Si veda amplius in argomento L. PECH, P. WCHOWIEC, D. MAZUR, Poland’s Rule of Law Breakdown: A Five-Year Assessment of EU’s (In)Action, in Hague J. Rule of Law, 2021.
[59] Ciò ha rappresentato un ulteriore strumento a disposizione del Presidente (esponente del PiS) per selezionare i giudici da mantenere presso la Suprema Corte. Da notare che l’utilizzo del pensionamento anticipato per promuovere una forzata sostituzione dei giudizi sembra rappresentare «uno strumento ricorrente per poter dare forma alle cosiddette democrazie illiberali», come osserva E. CECCHERINI, L’indipendenza del potere giudiziario come elemento essenziale dello stato di diritto. La Corte di giustizia dell’Unione europea esprime un severo monito alla Polonia, in DPCE Online, 3, 2019, 2207 ss. Infatti, anche in Ungheria si è registrato un intervento simile sull’età di quiescenza dei giudici con l’abbassamento da 70 a 62 anni ed il conseguente pensionamento di circa un terzo di magistrati interessati. Sul punto si è pronunciata con toni censori la Corte di Giustizia in Commissione v. Ungheria, 6 novembre 2011, C-286/12.
[60] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 153.
[61] G. RAGONE, La Polonia sotto accusa. Brevi note sulle circostanze che hanno indotto l’Unione europea ad avviare la c.d. opzione nucleare, in Osservatorio costituzionale, 1, 2018, 4. È questa, del resto, la percezione degli stessi magistrati polacchi come si osserva fra l’altro in M. BASILICO, cit., passim e M. KALISZ, The time of trial. How do changes in justice system affect Polish Judges, Warsaw, 2019.
[62] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 386 ss.
[63] Per un inquadramento dello strumento anche nel quadro della vicenda polacca si veda E. ALBANESI, Pluralismo costituzionale e procedura d’infrazione dell’Unione Europea, Torino, 2018.
[64] Lo stesso è accaduto del resto con l’ordinamento ungherese.
[65] Causa C-619/18.
[66] Causa C-791/19 R.
[67] Causa C-791/19. Tra le sentenze più recenti si vedano ancora ordinanza del 14 luglio 2021 e del 6 ottobre 2021, causa C-204/21 R, Commissione c. Polonia; ordinanza del 21 maggio. Tra gli interventi più recenti, si segnala l’avvio della procedura di infrazione con l’inoltro avvenuto lo scorso 26 gennaio 2023 di una nuova lettera di messa in mora alla Polonia (INFR(2021)2001).
[68] [68] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 385 ss.
[69] Cause riunite C 585/18, C 624/18 e C 625/18.
[70] Era stata postulata infatti una questione relativa alla violazione del divieto di discriminazione sulla base dell’età.
[71] Ad avviso della Corte, ciò si verifica se l'organo è soggetto a influenze esterne, ad opera del potere legislativo ed esecutivo e, in generale, se non attua in una posizione di neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Compatibilmente con i limiti che contraddistinguono il controllo della Corte di Lussemburgo, la valutazione sull’indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema polacca, rispetto ai criteri enucleati, viene lasciata al giudice del rinvio. La Corte precisa che, in caso di ritenuto difetto di indipendenza, «il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice del rinvio di disapplicare la disposizione di diritto nazionale che riservi a detto organo la competenza a conoscere delle controversie di cui ai procedimenti principali, di modo che esse possano essere esaminate da un giudice che soddisfi i summenzionati requisiti di indipendenza e di imparzialità e che sarebbe competente nella materia interessata se la suddetta disposizione non vi ostasse». Cfr. punto 172 della sentenza.
[72] A seguito all'ordinanza provvisoria del 19 ottobre 2019 e della successiva sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia del 17 dicembre 2018, è stata emendata la legge sulla Corte suprema con l’abrogazione degli artt. 37, commi 1-4 e 111, c. 1, con conseguente reintegro di parte dei giudici della Corte suprema, tra cui il primo presidente, vittime del precedente pensionamento anticipato. Cfr. A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 389 ss.
[73] G. RAGONE, cit., passim.
[74] Cfr. E. ALBANESI, Pluralismo costituzionale e procedura di infrazione dell’Unione Europea, Torino, 2018, 178 ss.
[75] Secondo cui, su proposta di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, a maggioranza dei quattro quinti dei membri e con l’approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori fondanti di cui all’articolo 2 TUE da parte di uno Stato membro e rivolgere a questo delle raccomandazioni. In argomento vedasi anche M. ARANCI, La reazione dell’Unione europea alla crisi polacca: la Commissione attiva l’art. 7 TUE, in Federalismi, 18 luglio 2018 e G. RAGONE, cit., passim. Cfr. anche M.A. ORLANDI, La Polonia di Kaczyński: l’approvazione del “pacchetto giustizia” e l’avvio della procedura dell’art. 7 TUE, in DPCE Online, 4, 2017.
[76] I c.d. Criteri di Copenaghen, oggi menzionati all’art. 49 TUE, sono stati oggetto di evoluzione proprio a seguito della vicenda polacca e, soprattutto, della precedente esperienza ungherese. A fronte di un’iniziale presenza di soli 5 capitoli all’epoca del quinto allargamento dell’Unione del 2004, con l’ingresso di Bulgaria e Romania, il numero dei capitoli sui quali si incentra la condizionalità del rispetto dei valori fondanti di cui all’art. 2 TUE è salito a 35. Il capitolo 23, inoltre, è espressamente dedicato al rapporto tra stato di diritto e riforme della giustizia. E. CUKANI, cit., 11 ss.
[77] Si vedano in particolare sul caso ungherese S. BENVENUTI, Dodici anni di riforme della giustizia in Ungheria, in Giustizia Insieme, 29.04.2023 e, per quanto riguarda in generale il tema dell’accesso alla magistratura, A. MADARASI, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria, in Giustizia Insieme, 28.04.2023.
[78] V. ZAGREBELSKY, cit., passim.
[79] E. CUKANI, Il “Polish Gate” e il rafforzamento del diritto dell’UE, in DPCE Online, 1, 2022, 11. Si tratta tuttavia di uno dei settori ove si registra la maggiore distanza tra gli Stati membri oltre che la mancanza di un modello univoco, anche in ragione del fatto che gli Stati sono storicamente piuttosto restii ad accettare l’adeguamento a parametri comuni nell’ambito della giustizia. È in questo senso che ci si esprime con riguardo al «Dilemma di Copenhagen», su cui si vedano F. PALERMO, J. WOELK, L’indipendenza della magistratura e le sue garanzie negli ordinamenti dei Balcani occidentali, in M. CALAMO SPECCHIA, M. CARLI, G. DI PLINIO, R. TONIATTI, (a cura di), I Balcani occidentali. Le costituzioni della transizione, Torino, 2008, 202 ss. Sul legame tra indipendenza della magistratura e rule of law si veda ancora J.M. CASTELLA ANDREU, Judicial Independence and the Rule of Law According to the Venice Commission, in T. GROPPI, V. CARLINO, G. MILANI, Framing and Diagnosing Constitutional Degradation, Genova, 2022, 225 ss.
[80] Sul punto cfr. E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 197 ss.
[81] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 198.
[82] Ciò è avvenuto con deliberazione del 17 settembre 2018 dell’Assemblea Generale dell’ENCJ.
[83] C-216/18 PPU, sentenza (Grande sezione) 25 luglio 2018.
[84] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 201 e C. PINELLI, Violazioni sistemiche dei diritti fondamentali e crisi di fiducia tra Stati membri in un rinvio pregiudiziale della High Court d’Irlanda, in Quad. cost., 2, 2018, 510 ss.
[85] Cfr. ad esempio il caso C-404/15, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu.
[86] Il principio è stato poi ripreso anche nella sopra citata sentenza A.K.
[87] In argomento, S. BARTOLE, La crisi della giustizia polacca davanti alla Corte di giustizia: il caso Celmer, in Quaderni costituzionali, 4, 2018, 921-923.
[88] Cfr. punto 89 della sentenza LM, C- 216/18.
[89] Per una ricostruzione più approfondita, cfr. E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 202-203.
[90] S. BARTOLE, cit., 922 ss.
[91] A. VON BOGDANDY et al., Un possibile «momento costituzionale» per lo Stato di diritto europeo. L’importanza delle linee rosse, in Forum Quaderni Costituzionali, 12 luglio 2018, 865 ss.
[92] È questo il rischio che sembra paventato da S. BARTOLE, cit., 922 ss., il quale rileva altresì che non può essere sufficiente a fondare la valutazione del giudice nazionale la raccomandazione di un organo (la Commissione) che non ha l’ultima parola sull’esito della procedura dell’art. 7 c. 1 TUE, spettante al Consiglio.
[93] Peraltro, anche in S. BARTOLE, cit., 922 ss., si aggiungeva che diverso sarebbe il caso di una precedente affermazione della violazione dei principi di indipendenza e della rule of law da parte di un organo terzo come la Corte di Giustizia.
[94] A. ANGELI, A. DI GREGORIO, J. SAWICKI, La controversa approvazione del “pacchetto giustizia” nella Polonia di “Diritto e Giustizia”: ulteriori riflessioni sulla crisi del costituzionalismo polacco alla luce del contesto europeo, in DPCE Online, 3, 2017, 788 ss.
[95] Ma anche di altri trattati internazionali come la Cedu. In argomento si veda la sentenza Xero Flor, caso n. 4907/18 del 7 maggio 2021 della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
[96] Cfr. J. SAWICKI, La nuova interpretazione illiberale della Costituzione come base per dichiararne l’incompatibilità con il diritto primario dell’Unione europea, nonché per affrontare in modo innovativo la crisi umanitaria al confine con la Bielorussia, in Nomos, 3, 2021, 4 ss.
[97] Il percorso poteva già dirsi intrapreso con la precedente sentenza del 14 luglio 2021, Causa P 7/20 del 14.07.2021 con la quale il Tribunale costituzionale aveva già in sostanza affermato l’incompatibilità con la Costituzione delle decisioni emesse in via provvisoria dalla Corte di giustizia ex art. 279 TFUE. In argomento, C. SANNA, Dalla violazione dello Stato di diritto alla negazione del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno: le derive della “questione polacca”, in Eurojus, 31.12.2021.
[98] Sentenza K 3/21 del 7 ottobre 2021 del Tribunale costituzionale. In argomento M. COLI, Sfida al primato del diritto dell’Unione europea o alla giurisprudenza della Corte di giustizia sulla "rule of law"? Riflessioni a margine della sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 7 ottobre 2021. In Osservatorio sulle fonti, 3, 2021, 1083, P. MANZINI, Verso un recesso "de facto" della Polonia dall’Unione europea? in Eurojus, 2021 fasc. 4, pp. 1 – 8, A. FESTA, Indipendenza della magistratura e non-regressione nella garanzia dei valori comuni europei. Dal caso "Repubblika" alla sentenza K 3/21 del Tribunale costituzionale polacco in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2021 fasc. 3, pp. 72 – 94, G. CURTI, In cammino verso la "Polexit"? Prime considerazioni sulla sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 7 ottobre 2021, in federalismi.it, 2021 fasc. 24, pp. 4 – 29.
[99] Si tratta del Ministero degli esteri, del Procuratore generale e dell’Ombudsman. E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 7.
[100] Le motivazioni complete non sono disponibili sebbene il dispositivo sia stato accompagnato da un comunicato stampa che offre qualche elemento ulteriore, reperibile al sito https://trybunal.gov.pl/en/news/press-releases/after-the-hearing/art/11664-ocena-zgodnosci-z-konstytucja-rp-wybranych-przePiSow-traktatu-o-unii-europejskiej. In base alla Costituzione polacca, in assenza delle motivazioni, il dispositivo è considerato comunque vincolante e produttivo di effetti.
[101] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 6 ss. Parzialmente diversa sembra la lettura di S. TROILO, Controlimiti versus Stato di diritto, cit., passim, la quale riconduce la decisione nel quadro della teoria dei controlimiti, pur osservando il distacco della Corte polacca dalla giurisprudenza di altre Corti sugli atti c.d. ultra vires.
[102] Segnatamente con gli articoli gli articoli 2, 8 e 90, paragrafo 1, della Costituzione della Repubblica di Polonia.
[103] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 7 ss.
[104] Con conseguente presunta violazione degli artt. 2, 7, 8, paragrafo 1, 90, paragrafo 1, e 178, paragrafo 1, e 190 par. 1 della Costituzione polacca.
[105] Per asserita violazione degli artt. 2, 8, paragrafo 1, 90, paragrafo 1, e 186, paragrafo 1, della Costituzione polacca.
[106] J. SAWICKI, La collisione insanabile tra diritto europeo primario e diritto costituzionale interno come prodotto della manomissione ermeneutica di quest’ultimo, in DPCE Online, 4, 2021.
[107] Su tutte, stride il confronto con la sentenza K 32/09 del 24 novembre del 2010 con la quale il TC aveva affermato la compatibilità tra i valori del Trattato di Lisbona e quelli della Repubblica di Polonia.
[108] Verbatim «The Republic of Poland may, by virtue of international agreements, delegate to an international organization or international institution the competence of organs of State authority in relation to certain matters». Cfr. E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 10-11.
[109] Che potrebbe strumentalmente giustificare l’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte del TC, peraltro chiesto dall’Ombudsman. Cfr. J. SAWICKI, cit.
[110] I firmatari sono i giudici Stanisław Biernat, Teresa Dębowska-Romanowska, Kazimierz Działocha, Lech Garlicki, Mirosław Granat, Wojciech Hermeliński, Adam Jamróz, Stefan Jaworski, Leon Kieres, Biruta Lewaszkiewicz-Petrykowska, Wojciech Łączkowski, Ewa Łętowska, Marek Mazurkiewicz, Andrzej Mączyński, Janusz Niemcewicz, Małgorzata Pyziak-Szafnicka, Stanisław Rymar, Ferdynand Rymarz, Andrzej Rzepliński, Jerzy Stępień, Piotr Tuleja, Sławomira Wronkowska-Jaśkiewicz, Mirosław Wyrzykowski, Bohdan Zdziennicki, Andrzej Zoll, Marek Zubiki. Il comunicato è reperibile al seguente indirizzi Statement of Retired Judges of the Polish Constitutional Tribunal, VerfBlog, 2021/10/11, https://verfassungsblog.de/statement-of-retired-judges-of-the-polish-constitutional-tribunal.
[111] “It is not true that the judgment of the Constitutional Tribunal of 7 October 2021 itself falls within the competence of the Tribunal and is consistent with the Constitution”.
[112] “It is not true that the application of EU law by Polish courts cannot be reconciled with their application of the Constitution”.
[113] Verbatim, ancora dal comunicato “it is not true that the judgment of the Constitutional Tribunal of 7 October 2021 will be able to produce legal effects other than exerting pressure on the judicial activity of Polish judges and threatening them with disciplinary proceedings”.
[114] Anche grazie alla sostanziale cattura dei suoi custodi.
[115] Quella stessa identità nazionale menzionata dall’art. 4.2 del Tue. Anche in questo caso, peraltro, vi è un ulteriore svuotamento di significato delle disposizioni costituzionali che hanno consentito l’integrazione sovranazionale della Polonia, operato dallo stesso organo tenuto a salvaguardarle.
[116] S. SCIARRA, Identità nazionale e corti costituzionali. il valore comune dell’indipendenza, in AA.VV., Identità nazionale degli stati membri, primato del diritto dell’unione europea, stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali, 6 ss., reperibile al sito web https://cortecostituzionale.it/jsp/consulta/convegni/5_sett_2022/Giornata-Studio-Cc-Cgeu-Def.pdf. Il nesso è evidente anche nella sentenza Repubblika, del 20.3.2021, causa C-869/16.
[117] Ancora S. SCIARRA, cit., 6, citando le conclusioni dell’Avv. Generale Emiliou dell’8 marzo 2022 nella causa Boriss Cilevičs e a. contro Latvijas Republikas Saeima, C- 391/20 (punto 86).
[118] E. CECCHERINI, L’indipendenza del potere giudiziario, cit., 2207.
[119] Art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789.
[120] Occorre considerare altresì che questo processo in Polonia è stato inoltre realizzato con l’acquiescenza degli organi rappresentativi. La limitazione dell’indipendenza della magistratura e del Tribunale costituzionale incide così anche sul piano dell’equilibrio tra poteri laddove viene meno una forma fondamentale di controllo dell’operato della maggioranza.
[121] Celebre è il «The First Thing we Do, Let's Kill All Lawyers», qui intesi come giuristi, o esperti di diritto più che avvocati presente nell’Enrico VI di Shakespeare, parte 2, atto IV, scena 2. Si tratta di un passaggio che si presta a interpretazioni non univoche ma, come affermato nell’interpretazione del giudice Stevens della Corte Suprema statunitense, «Shakespeare insightfully realized that disposing of lawyers is a step in the direction of a totalitarian form of government». Cfr. Walters v. Nat’l Ass’n of Radiation Survivors, 473 U.S. 305, 371 n. 24 (1985) (Stevens, J., dissenting).
[122] Il dato è particolarmente evidente nell’ordinamento italiano come dimostrato, fra gli altri, dal caso Cappato. Si apprezza però la stessa tendenza anche in altri settori come quello dei diritti delle persone LGBTQ+, a partire dalla sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale.
[123] Sul punto, ex multis, E. CECCHERINI, L'integrazione fra ordinamenti e il ruolo del giudice, in Dir. pubbl. comp. eur., fasc. 2, 2013, 470 ss.; V. BARSOTTI, Tra il dialogo e la cooperazione. Il nuovo ruolo delle Corti nell'ordine globale, in L. ANTONIOLLI, A BENACCHIO, R. TONIATTI (a cura di), Le nuove frontiere della comparazione, Trento, 2012 e M. CARTABIA, cit., 3 ss.
[124] Il riferimento è in particolare al caso Miller della Supreme Court del Regno Unito. In argomento, Tra i contributi più recenti E. PARISI, Recesso dall'Unione (procedimento ex art. 50 TUE - diritto costituzionale britannico - "Crown's prerogative" - "sovereignty of the Parliament") Nota a High Court of Justice, Queen's Division, R (Miller) c. Secretary of State for Exiting the European Union 3 novembre 2016, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2016, fasc. 6, 1647-1649; C. MARTINELLI, La Brexit come vaso di Pandora della Costituzione britannica, in DPCE online, 3, 2019, XVIII; F. SGRÒ, Il caso” Brexit”: qualche considerazione sulla sovranità parlamentare e sul sistema delle fonti nell’ordinamento costituzionale britannico dopo la sentenza della Supreme Court of the United Kingdom, in www.federalismi.it., 8 marzo 2017.
[125] Sul punto si può richiamare ad esempio la vicenda catalana.
[126] M. CARTABIA, cit., 4, la quale considera che non vale più in questa fase l’idea di Hamilton di una magistratura come «least dangerous branch».
[127] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 14 ss. Si vedano al riguardo anche le considerazioni più generali di A. PIN, Il rule of law come problema, Napoli, 2021.
[128] Le cause sono complesse e vanno dalla necessità di disporre di un consenso politico non sufficiente per l’attuale maggioranza, anche a seguito delle ultime elezioni del 2019 e alle criticità della situazione geopolitica seguita alla deflagrazione del conflitto in Ucraina.
[129] Si vedano in particolare le sentenze della Corte di Lussemburgo 16 febbraio 2022, causa C-157/21, Polonia/ Parlamento e Consiglio e 16 febbraio 2022, cause C-156/21, Ungheria / Parlamento e Consiglio. In argomento, B. NASCIMBENE, Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La condizionalità, in Eurojus, 2021, 171 ss.
[130] S. SCIARRA, cit., 17.
ἄνδρες γὰρ πόλις, καὶ οὐ τείχη
gli uomini sono la città, e non le mura
Tucidide, VII, 77, 7
Sommario: 1. Comunità in un momento critico. - 2. Il giudizio civile di cassazione e il PNRR. - 3. Il riformato perimetro dell’esame del ricorso e del controricorso. - 4. Il nuovo filtro di ammissibilità: la soppressione della Sezione sesta civile e il rito camerale 2023. - 5. Il ruolo dell’Ufficio spoglio e dell’Ufficio per il processo. - 6. Il sindacato preliminare sul ricorso: 6.1. L’inammissibilità, 6.2. L’improcedibilità, 6.3. La manifesta infondatezza. - 7. La tecnica redazionale del ricorso secondo il nuovo protocollo d’intesa 1.3.2023. - 8. Il vaglio sul controricorso alla luce del nuovo processo civile telematico di legittimità. - 9. Conclusioni.[2]
1. Comunità in un momento critico.
In un momento molto critico per la democrazia ateniese, durante una delle fasi peggiori della guerra del Peloponneso e della spedizione ateniese in Sicilia, Tucidide mette sulle labbra di Nicia, comandante della spedizione, queste parole di incoraggiamento: “gli uomini e non le mura costituiscono la città”. Di fronte ad ogni grande nuova sfida, come membri di una comunità ci è dato scegliere, se ritirarci dietro alle mura esistenti in una logica di retroguardia limitando al massimo l’impatto previsto e temuto, o accettare a viso aperto il confronto, collaborare e contribuirne agli esiti. Nel caso che oggi ci occupa, la comunità è composta da oltre 50 mila avvocati cassazionisti in Italia e da alcune centinaia di magistrati presso la Corte di Cassazione e la Procura Generale, cancellieri e membri dell’ufficio per il processo, oltre ad Avvocati dello Stato. A noi tutti non è dato scegliere se vivere la grande prova dell’applicazione del PNRR e della riforma del processo di legittimità, in un momento assai critico per la Corte come per il Paese. Possiamo però scegliere come viverla, se cercare di rifugiarci dietro diritti quesiti e rendite di posizione o se provare a far funzionare la riforma, nel rispetto dei diritti costituzionali e fondamentali, nonostante le criticità che sono emerse da tempo e verosimilmente ulteriormente emergeranno[3].
2. Il giudizio civile di cassazione e il PNRR.
Una nitida e recente immagine delle condizioni in cui opera questa complessa comunità è data dalla relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario, offerta dal Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione il 26 gennaio 2023, la quale ha posto sotto i riflettori gli obiettivi concordati dalla Repubblica Italiana con la Commissione Europea nell’ambito del PNRR[4], da raggiungere entro giugno 2026, i quali riguardano per la giustizia civile la riduzione del “disposition time” complessivo (baseline 2019) nella misura del 40%, pari a 1.507 giorni (-40% di 2.512, di cui ben 1.302 giorni dovuti alle pendenze in Cassazione)[5], oltre all’abbattimento dell’arretrato. Non si tratta di un’endiadi in quanto - il diavolo soprattutto nel diritto si annida nei dettagli - l’indicatore anglicizzato “disposition time” fornisce una stima del tempo medio atteso di definizione dei procedimenti, mettendo a confronto il numero dei pendenti alla fine del periodo di riferimento con il flusso dei definiti nel periodo e, dunque, non coincide con quanto giace negli armadi e non viene deciso.
Si apprende dalla Relazione che nell’anno giudiziario 2021-22 risultano pendenti in Corte 106.763 processi civili, di cui una buona metà (oltre 50.000 nel 2020) costituiti da ricorsi in materia tributaria, cui si aggiungono per la sola materia tributaria circa 10.000 ricorsi ogni anno, dato che a sua volta costituisce un terzo dei 30.459 complessivi nuovi ricorsi civili iscritti nell’anno giudiziario 2021-22[6].
Già sulla base di queste sintetiche, ma ineludibili premesse fattuali, si può apprezzare l’enorme sforzo svolto negli ultimi anni, che ha portato la Corte e le difese a definire nel solo anno giudiziario 2021-22 ben 42.574 ricorsi, a fronte dei 34.550 dell’anno precedente, il che ha determinato una cospicua diminuzione delle pendenze in Cassazione del 10,2% sul solo versante civile. E’ stato condivisibilmente osservato che i risultati quantitativi raggiunti non devono indurre alla conclusione che questi ritmi di lavoro siano ottimali o anche soltanto sostenibili. Al contrario, la qualità del giudizio di legittimità e del suo prodotto sono inconciliabili con la quantità abnorme di provvedimenti continuamente sollecitati alla Corte suprema[7].
3. Il riformato perimetro dell’esame del ricorso e del controricorso.
E’ in questo contesto che è intervenuta la riforma processuale che sinteticamente chiamiamo “Cartabia” la quale, avuto riguardo per il solo rito civile avanti alla Corte di Cassazione, è originata dalla legge n.206/2021, con cui il Parlamento ha conferito delega al Governo, tra l’altro, per l'efficientamento del processo civile.
Sia consentito in questa sede brevemente ricordare che il d.lgs. n.149/2022 ha dato attuazione delle previsioni della legge delega, introducendo numerose novità, tra l’altro in tema di impugnazioni avanti al giudice di legittimità e regolando all’art.35 la disciplina transitoria.
Successivamente, la legge di Bilancio di previsione dello Stato, n.197/2022 ha modificato la disciplina transitoria dettata dal citato art.35. Inoltre, il cd. decreto Milleproroghe, d.l. n 198/2022, convertito con modificazioni in l. n.14/2023, ha prorogato la vigenza di determinate disposizioni normative introdotte durante l'emergenza pandemica.
E’ poi intervenuta la l. n.41/2023, legge di conversione del cd. decreto PNRR3, d.l. n.41/2023, il quale ha introdotto, tra l’altro e per quanto qui interessa, disposizioni in materia di digitalizzazione del processo civile e degli atti processuali.
Oggi ogni sindacato sull’ammissibilità di un ricorso e di un controricorso in cassazione deve tener conto che, con riferimento ai novellati artt.360, 362, 366, 369, 370, 371 cod. proc. civ., relativi rispettivamente ai motivi del ricorso, altri casi di ricorso, contenuto del ricorso, deposito del ricorso, controricorso e ricorso incidentale la riforma trova applicazione dal 1° gennaio 2023 ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data, in applicazione dell’art.35 comma 5 del d.lgs. n.149/2022, come modificato dalla l. n.197/2022.
Come vedremo, compone il quadro in misura rilevante anche il nuovo protocollo di intesa siglato a quattro mani il 1° marzo 2023 dalla Corte di Cassazione, Procura Generale, Ordine Forense, Avvocatura dello Stato sul contenuto del ricorso e del controricorso e immediatamente entrato in vigore[8].
4. Il nuovo filtro di ammissibilità: la soppressione della Sezione sesta civile e il rito camerale 2023.
Il legislatore ha introdotto strumenti specifici per tentare di fronteggiare la sempre più allarmante situazione del numero dei ricorsi pendenti avanti alla Corte, un’eccezione assoluta nel novero di ciascuna Corte suprema, a Costituzione invariata dal momento che l’art.111 comma 7 Cost. prevede: “Contro le sentenze e conto i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”. Qui l’aspetto organizzativo si rivela decisivo.
L’intervento riformatore è consistito innanzitutto nella semplificazione dei riti camerali attraverso l’unificazione dei riti preesistenti presso la sezione sesta civile, nell’adunanza camerale della corrispondente sezione semplice e presso le Sezioni Unite, disciplina infusa nel nuovo testo dell’art.380 bis.1 cod. proc. civ. e nel suo adeguamento al processo telematico, per effetto del quale gli atti di parte successivi al ricorso sono depositati nel fascicolo informatico ex art.36 disp. att. cod. proc. civ.[9], che equivale a quello d’ufficio e, dunque, sono noti al giudice e alla controparte, con conseguente non necessità della loro notifica.
La riforma è stata condotta attraverso la soppressione della sesta sezione stessa di cui agli artt.376 e 380 bis cod. proc. civ., introdotta con la legge 18 giugno 2009, n. 69 per svolgere la funzione di “filtro” dei ricorsi e scremarne un congruo numero con alterne fortune[10], e l’importazione della funzione di filtro di ammissibilità dei ricorsi all’interno della sezione semplice. Sempre quanto al rito, per quanto qui interessa, sono stati riformati gli artt.372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380 bis, 380 bis 1, 380 ter, 390, 391 bis cod. proc. civ., rispettivamente relativi alla produzione di altri documenti, pronuncia in udienza pubblica o in camera di consiglio, assegnazione dei ricorsi alle sezioni, fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente, deposito di memorie, discussione del ricorso, deliberazione della sentenza, procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, procedimento per la decisione in camera di consiglio, procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza, rinuncia al ricorso, correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione. La novella trova applicazione dal 1° gennaio 2023 ai giudizi introdotti con ricorso già notificato a tale data per i quali non è stata ancora fissata udienza o camera di consiglio, per effetto dell’art. 35 comma 6 del d.lgs. n.149/2022, come modificato dalla l. n.197/22[11].
In quest’ottica, è stata recepita e codificata una prassi ormai radicata in Corte, secondo la quale l’udienza pubblica è ormai riservata ad ipotesi residuali, individuate dal nuovo testo dell’art.375 cod. proc. civ.[12] nella trattazione di ricorsi che sollevino questioni di diritto di particolare rilevanza, oltre ai casi di cui all’art.391 quater cod. proc. civ.. Con riferimento alla pubblica udienza la Corte di Cassazione ha già affrontato problemi di diritto intertemporale, soprattutto per l’udienza c.d. cartolare “pandemica” fissata entro il 30.6.2023: al proposito le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di udienza disciplinata dall'art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020[13], in caso di tardiva richiesta di discussione orale, l'omessa indicazione della trattazione cartolare "pandemica" nell'avviso di fissazione dell'udienza assume rilievo ai fini dell'accoglimento dell'istanza di rimessione in termini, in ragione dell'esigenza di salvaguardare l'affidamento riposto nella celebrazione dell'udienza[14] e degli interessi da considerare, posto che la prorogata trattazione cartolare - attualmente rispondente, prevalentemente, ad esigenze di carattere organizzativo - è sostenuta da una finalità meno pregnante rispetto al valore che si compendia nella pubblicità dell'udienza in presenza[15].
Quanto alle adunanze camerali, sul versante quantitativo dei ricorsi trattati, va menzionato il fatto che per controbilanciare la diminuzione delle decisioni conseguente alla soppressione della sezione sesta, all’interno di ciascuna sezione semplice a partire dal mese di marzo 2023 sono stati previsti a scadenze periodiche c.d. “cameroni” in cui vengono portati in decisione anche dodici ricorsi per ciascun relatore, processi che l’Ufficio spoglio sezionale reputa di agile definizione.
5. Il ruolo dell’Ufficio spoglio e dell’Ufficio per il processo.
Nel quadro organizzativo attuale della Corte, successivo alla soppressione della Sezione sesta e all’adozione del “Programma di gestione per il 2023”[16], il modello adottato per lo spoglio del singolo ricorso è unicamente accentrato nell’ufficio spoglio sezionale, che è stato nei primi mesi del 2023 potenziato ed è attualmente composto, oltre che dal presidente titolare della sezione e dai coordinatori delle aree specialistiche interne, da consiglieri esperti e da membri dell’ufficio per il processo.
Prima della riforma, la vita di un ricorso era piuttosto complessa e, in una certa misura, lo spoglio era diffuso tra i magistrati anche se in modo non molto funzionale. Dopo l’iscrizione a ruolo presso la Cancelleria centrale civile il ricorso veniva lavorato e traslato presso la sezione sesta, spogliato sommariamente dal coordinatore di ciascuna delle cinque sottosezioni presso la sezione “filtro”, corrispondenti alle cinque sezioni semplici civili, e da questi immediatamente devoluto alla sezione semplice dopo aver verificato “se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio” ex art. 376 cod. proc. civ., oppure attribuito ad un relatore in forza presso la sottosezione perché ritenuto passibile di essere “filtrato”, ad es. per il numero ridotto di motivi di impugnazione e la presenza di precedenti sulla questione. Il consigliere delegato effettuava un secondo spoglio del ricorso, più approfondito, valutando in concreto se si trattava di una causa di pronta soluzione da “filtrare”[17] per la quale fare una proposta di decisione da comunicare alle parti o, in difetto dei presupposti, rimetteva il fascicolo alla sezione semplice. Ivi il ricorso veniva recuperato dall’ufficio spoglio interno alla sezione, talvolta interveniva una sommaria schedatura scritta ad opera di un magistrato del Massimario e, quindi, su indicazione dell’ufficio spoglio, veniva inserito in un cluster destinato ad una udienza pubblica o adunanza camerale con designazione di un nuovo relatore, il quale, infine, compiva lo spoglio finale e formulava la bozza di decisione da sottoporre al collegio.
La soppressione della Sezione filtro in Cassazione ha perseguito innanzitutto la logica di ridurre il numero degli spogli del medesimo ricorso da parte di più consiglieri, ma ha mantenuto la funzione di “filtro” che viene ora svolto all’interno delle sezioni semplici, in primo luogo attraverso il nuovo meccanismo della proposta di decisione accelerata, predisposta da un magistrato esperto delegato dal Presidente titolare della sezione, in senso all’ufficio spoglio sezionale, nel caso il delegato ravvisi l’inammissibilità, improcedibilità, manifesta infondatezza del ricorso[18].
Secondo il nuovo modulo di lavoro l’Ufficio per il processo svolge un ruolo importante in Corte, nonostante una prima “dimenticanza” del legislatore non ne avesse fatto una priorità per la Cassazione. Fortunatamente, la legge delega n. 206/21 sull’efficienza del processo civile - come l’omologa l. n. 134/21 relativa all’efficienza del processo penale - è andata oltre il d.l. n. 80/2021, prevedendo l’istituzione dell’UPP anche presso la Corte Suprema[19]. I membri dell’ufficio per il processo sono, tra le altre attività, addetti alla schedatura dell’imponente arretrato (il c.d. “magazzino”), ciascuno sotto la supervisione di uno o più consiglieri e, dall’altro, lavorano alla schedatura dei nuovi ricorsi iscritti a ruolo e aiutano i consiglieri addetti allo spoglio nell’individuazione dei ricorsi da destinare alla definizione accelerata; la scrittura della proposta di decisione è invece rimessa ai Consiglieri addetti all’ufficio spoglio.
E’ chiaro l’intento di abbreviazione dei tempi di definizione del giudizio mediante la pronta definizione dei ricorsi aventi facile soluzione, attraverso un particolare meccanismo decisionale, sostanzialmente monocratico, sull’ammissibilità del ricorso che, per la prima volta, introduce anche presso la Corte di cassazione la possibilità che sia un giudice unico a formulare il contenuto decisorio su ricorsi allorquando per una pluralità di ragioni macroscopicamente non hanno prospettive di successo[20].
Diversa era la proposta di sesta prevista dal rito di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ. oggi soppresso, innanzitutto perché aveva potenzialmente ad oggetto non solo il ricorso ritenuto inammissibile o manifestamente infondato, ma anche quello manifestamente fondato. Inoltre, attraverso la notifica del decreto contenente la proposta almeno 20 giorni prima dell’adunanza e la facoltà delle parti di presentare memorie almeno 5 giorni prima, si salvaguardava il diritto al contraddittorio e la proposta decisione contenente la “concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia” ex art. 380-bis cod. proc. civ. vecchio testo era comunque destinata ad essere vagliata da un collegio di 5 consiglieri e, va detto, di regola confermata nonostante l’interlocuzione con le difese, attraverso un’ordinanza succintamente motivata ex art. 134 cod. proc. civ.. Al contrario, la proposta di definizione accelerata del giudizio di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. nuovo testo, se non opposta, diviene definitiva e il ricorso si intende rinunciato sulla base di quanto stabilito da un unico consigliere[21].
Non si vedono per ciò solo particolari lesioni del diritto costituzionale di difesa delle parti, né frizioni insanabili con i diritti fondamentali, come del resto non lo sarebbe la rimodulazione dei collegi, attualmente sempre composti da cinque giudici, in collegi ridotti di due consiglieri ed un presidente. La stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel 2009, per far fronte all’enorme mole di ricorsi pendenti ritenuta non più sostenibile, ha d’urgenza adottato il Protocollo n. 14-bis alla Convenzione, unitamente a un accordo sull'applicazione provvisoria di alcune disposizioni del Protocollo n. 14 relativamente alle competenze del giudice unico (single judge) e dei collegi di tre giudici (three judges panels), soluzione che ha dato grande impulso al “filtro” di inammissibilità dei ricorsi presso la Corte EDU e che, unitamente ad altri rimedi, ha gradualmente recuperato efficienza e tempestività delle decisioni presso il giudice di Strasburgo[22].
L’incentivo all’adesione alla proposta è dato dal venir meno in tal caso del raddoppio del contributo unificato, mentre, in caso di conferma da parte del collegio all’esito della adunanza camerale ex art.380 bis.1 cod. proc. civ., instaurata per effetto della richiesta della parte ex art.380 bis secondo comma cod. proc. civ.[23] entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta, è prevista l’applicazione del terzo e quarto comma dell’art.96 cod. proc. civ..
Vi sarà dunque la possibilità molto concreta di una condanna della parte soccombente al pagamento, a favore di controparte, di una somma equitativamente determinata: la misura dell’importo non è indicata, ma l’interpretazione condivisa della norma sia da parte della Corte costituzionale[24] che della Corte di Cassazione[25] è nel senso che la quantificazione va ragionevolmente calibrata sulla misura del rimborso spese riconosciuto, o su di un suo multiplo, affinché sia proporzionata.
Inoltre, novità introdotta dalla riforma, è prevista la condanna al pagamento di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5000 a favore della cassa delle ammende. Benché la relazione governativa al nuovo testo dell’art.380 bis cod. proc. civ. specifichi che “la previsione non risponde ad un intento punitivo o sanzionatorio, ma è la realistica presa d'atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata”, la previsione ha destato critiche da parte della dottrina[26]. A tutto questo si aggiunge la soccombenza circa le spese di lite, liquidate sulla base delle nuove tabelle parametriche di cui al D.M. n. 147/2022. Le pesanti conseguenze che si profilano per la parte che non aderisca alla proposta sono alla base della ragione per cui è previsto che la richiesta di decisione camerale sia sottoscritta dalla difesa della parte costituita munita di una nuova procura speciale, in modo che sia resa edotta del rischio attuale che si profila.
Vi sono margini per interpretare la previsione: in particolare non è chiaro se l’espressione “in conformità alla proposta” si riferisca alla traiettoria decisoria o alle ragioni alla base dell’esito sfavorevole al destinatario della proposta e, a parere di chi scrive, è preferibile evitare eccessi di rigidità nell’applicare le sanzioni processuali che potrebbero anche rimettere in discussione la costituzionalità del meccanismo di decisione accelerato, con grave incertezza per le parti e nocumento del principio di effettività del diritto.
Inoltre, la giurisprudenza dovrà valutare se all’applicazione della condanna di cui all’art.96 terzo comma cod. proc. civ. debba far necessariamente seguito anche l’applicazione della condanna ai sensi del quarto comma o se, piuttosto, la duplice condanna richieda un aggiuntivo vaglio e apprezzamento da parte della Corte.
6. Il sindacato preliminare sul ricorso: inammissibilità, improcedibilità, manifesta infondatezza.
Parlare del vaglio preliminare di ammissibilità del ricorso significa inevitabilmente anche ripercorrere brevemente e senza alcuna pretesa di esaustività delle categorie note, senza dimenticare l’adagio caro ad Hegel secondo il quale ciò che è noto, proprio perché noto, non è affatto conosciuto.
Il sindacato preliminare sul ricorso previsto dal nuovo 380 bis cod. proc. civ., entrato in vigore dal primo gennaio 2023 alla luce dell’anticipazione disposta dalla Legge di Bilancio 2023 volta a rassicurare la Commissione Europea circa l’effettivo impegno del Paese verso il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal PNRR[27], prevede che “quando non sia stata ancora fissata la data della decisione” al 1° gennaio 2023, un consigliere delegato dal Presidente titolare della sezione possa “formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio”, nei casi di “inammissibilità, improcedibilità, manifesta infondatezza” del ricorso principale o incidentale, “comunicata ai difensori delle parti”.
6.1. L’inammissibilità.
L’inammissibilità, come sanzione processuale al vizio in cui è incorso il ricorso, può innanzitutto essere espressamente prevista dalla legge, come ad esempio nel caso della mancata esecuzione dell’ordine di integrazione del contraddittorio in presenza dei presupposti di cui all’art.331 cod. proc. civ..
In altri casi, la sanzione opera in ragione della nullità originaria insanabile del ricorso, come ad esempio allorquando il ricorso è proposto da un soggetto privo della capacità processuale, o la carenza del presupposto processuale non è sanata, come nel caso di notifica nulla in assenza della costituzione della controparte e del raggiungimento dello scopo ex art.156 cod. proc. civ. e, a maggior ragione, in caso di inesistenza come nel caso in cui il ricorso non abbia neppure i requisiti minimi di legge per la sua individuazione (contenuto-forma) e di violazione delle regole sul contenuto essenziale del ricorso[28].
Per effetto della riforma il ricorso, tendenzialmente in formato nativo digitale, dev’essere notificato telematicamente dai difensori o, in alternativa, tramite il ricorso all’ufficiale giudiziario nei casi in cui la prima opzione non sia possibile, ad es. per la tipologia di destinatario, notifica che deve comunque essere provata dopo il 1.1.2023 esclusivamente attraverso il deposito telematico in busta presso la Cancelleria della Corte e il mancato rispetto della regola fa scattare la sanzione processuale.
Il principio di autosufficienza è poi uno snodo delicato ai fini della valutazione dell’ammissibilità del ricorso civile in Cassazione[29], ed ha conosciuto una significativa evoluzione nella giurisprudenza della Corte, anche alla luce degli insegnamenti della Corte EDU, che ha portato alla ridefinizione del principio secondo specificazione e quindi, ultima evoluzione, di localizzazione della deduzione negli atti del giudizio, ai fini del superamento del vaglio di ammissibilità. Molto rilevante in materia è la giurisprudenza di Strasburgo Succi[30] la quale ha riconosciuto la legittimità di filtri o meccanismi articolati su requisiti di accesso anche rigorosi, purché applicati in modo non eccessivamente formalistico, al punto di precludere il diritto di accesso al giudice ex art.6 § 1 CEDU, essendo richiesto allo Stato responsabile di garantire che le procedure per le impugnazioni siano chiare, prevedibili e proporzionate.
In applicazione di questo insegnamento la Corte a Sezioni Unite ha precisato la portata del principio di autosufficienza e specificità, escludendo che possa essere applicato in modo da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e statuendo che non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all'interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito[31].
Resta da valutare anche se e come l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti a partire dal 1.1.2023 e la stipula di convenzioni con altre giurisdizioni per l’accesso ai rispettivi processi telematici - si pensi al caso della Cassazione come giudice regolatore della giurisdizione o al caso della Corte come giudice tributario di ultima istanza non essendo il giudice tributario di merito giudice ordinario - modificheranno approdi in costante evoluzione in materia di autosufficienza, specificazione e localizzazione. Attualmente, con riferimento al processo telematico amministrativo (PAT), della corte dei conti (GIU.DI.CO), del giudice tributario (PTT), non è possibile avere un accesso immediato al fascicolo del merito attraverso il Desk del Consigliere, ossia il PCT di legittimità, trattandosi di applicativi diversi e in un caso, il PTT, realizzato sulla base di tecnologie diverse non omogenee[32].
L’inammissibilità può poi trarre origine da altre ragioni processuali, come per violazione delle regole sui termini per impugnare, erronea ricognizione della materia giustiziabile[33] o assenza di legittimazione o, ancora, assenza di interesse alla decisione ex art.100 cod. proc. civ., profili rilevabili d’ufficio e, quest’ultimo, anche configurabile come causa di inammissibilità sopravvenuta[34].
Un ulteriore caso frequente di causa di inammissibilità del ricorso riguarda la mancata impugnazione di tutte le rationes decidendi che concorrono a determinare l’esito della sentenza impugnata, rationes tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a reggerla sul piano logico e giuridico[35]. Ciò è conseguenza del fatto che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti[36]. Si badi che la causa di inammissibilità del ricorso in parola può anche sopravvenire in conseguenza del precedente rigetto dei motivi attinenti ad una delle concorrenti rationes che, da sola, resta idonea alla conferma della sentenza impugnata.
L’inammissibilità può di frequente anche derivare dal fatto che il ricorso pone questioni in fatto non ammissibili in sede di legittimità e che non sia sussumibile neppure sotto la categoria della falsa applicazione di legge ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ.. Ad esempio, Cass. n.2220/2000 in parte motiva puntualizza che “la sussistenza di un’attività pericolosa forma oggetto di una quaestio iuris solo quando si sostenga che tale qualificazione derivi da una valutazione normativa, mentre negli altri casi può costituire l’oggetto di una quaestio facti”[37].
In altri casi il ricorso, prima facie, non si rivela riconducibile ad alcuno dei paradigmi processuali previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. e da questo deriva l’inammissibilità, mentre, più spesso, viene prospettato un vizio motivazionale al di fuori del rigoroso perimetro di censura del n.5 del primo comma del citato articolo. E’ ormai principio tralaticio quello secondo il quale la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione[38].
Altra classica causa di inammissibilità riguarda la valutazione della prova, specie se presuntiva. Al proposito va innanzitutto rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento[39]. Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, per consolidata interpretazione della Corte[40], l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti.
Va quindi ricordato che, mentre i requisiti, statuiti a pena di inammissibilità, ai punti nn.1, 2 e 5 dell’art.366 cod. proc. civ. (“indicazione delle parti”, “indicazione della sentenza o della decisione impugnata” e “indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto”) sono rimasti invariati, la riforma ha modificato i numeri 3, 4 e 6 dell’articolo, insistendo sulla necessità della chiarezza, sinteticità ed essenzialità dell’esposizione dei fatti della causa e dei motivi per i quali si chiede la cassazione. Nel dettaglio, al punto n.3, in luogo dell’”esposizione sommaria dei fatti di causa” è stata inserita la “chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso”. Al punto 4, la locuzione “motivi per i quali si chiede la cassazione, con indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, è sostituita con la “chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”. Al punto n.6 al posto della “specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” vi è ora la “specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrando il contenuto rilevante degli stessi”[41].
La riformulazione dell’articolo 366 cit. ha di fatto recepito istituti pretori enucleati o confermati dalla giurisprudenza sovranazionale, non solo quanto all’autosufficienza, profilo già sopra considerato, ma anche ad esempio in materia declaratoria di inammissibilità per mancata formulazione di sintetico quesito di diritto. A questo proposito, la Corte EDU ha statuito che chiedere al ricorrente di concludere il proprio motivo di ricorso con un paragrafo di sintesi, che riassuma il ragionamento seguito ed espliciti il principio di diritto che egli ritiene sia stato violato, non comporta alcuno sforzo particolare supplementare da parte di quest’ultimo. Pertanto, la decisione di inammissibilità da parte della Corte di Cassazione non è stata considerata, alla luce della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo una interpretazione troppo formalistica della legalità ordinaria che impedisce, effettivamente, l’esame sul merito del ricorso esercitato dall’interessato[42].
Infine, la riforma “Cartabia” ha ristretto gli spazi per la declaratoria di inammissibilità per “doppia conforme”. L’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Superando alcune incertezze interpretative, con la riforma il perimetro dell’inammissibilità in questo ambito è stato ridefinito e ristretto, dal momento che il vizio motivazionale è ora precluso in tutti i casi in cui la sentenza del giudice di prime cure sia confermata dal giudice d’appello per le “stesse ragioni”, inerenti ai “medesimi fatti”, fatta eccezione per le cause di cui all’art. 70, primo comma, cod. proc. civ. in cui è obbligatorio l’intervento del Pubblico Ministero.
6.2. L’improcedibilità.
Anche il riformato art.369 cod. proc. civ. prevede, come in precedenza, l’improcedibilità del ricorso che non venga depositato entro il termine di venti giorni dall’ultima notificazione alle parti contro il quale è proposto.
Identica sanzione processuale è riservata al mancato deposito, unitamente al ricorso, del decreto di concessione del gratuito patrocinio, della copia autentica della sentenza impugnata, della procura speciale conferita con atto separato, e degli atti processuali documenti contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda. E’ stata eliminata la richiesta del fascicolo d’ufficio, in diretta conseguenza dell’operatività del PCT.
Già prima della riforma Cartabia, in relazione alla “proposta di sesta”, in via interpretativa e in assenza di esplicita previsione dell’art.380 bis vecchio testo cod. proc. civ. si era ritenuto che anche le cause di improcedibilità fossero passibili di proposta, nei casi previsti dall’art. 369 cod. proc. civ., anche per lo stretto collegamento con l’art. 366, n. 6 cod. proc. civ.. Tale interpretazione aveva raccolto il plauso solo di parte della dottrina, in particolare di chi seguiva quell’opinione abbastanza accreditata secondo la quale l’improcedibilità sarebbe una sottospecie di inammissibilità[43], mentre era criticata da quanti la rigettavano, sia per la diversa ratio dal momento che l’inammissibilità attiene al momento genetico dell’impugnazione mentre l’improcedibilità ne contrassegna il momento funzionale, sia per essere idonea a confondere le categorie, sia per le diverse sanzioni processuali da un punto di vista storico[44].
Oggi il testo dell’art.380 bis cod. proc. civ. è esplicito a riguardo e, tuttavia, esiste un difetto di coordinamento tra il riformato art.380 bis cod. proc. civ. e la disciplina delle comunicazioni alle parti da parte della Cancelleria della Cassazione che incide, tra l’altro, su un nutrito numero di casi di improcedibilità del ricorso.
Si pensi al caso, che è già capitato in sede di spoglio e di formulazione della proposta ex art.380 bis cod. proc. civ. post Cartabia, di un ricorso iscritto a ruolo nel 2022 che, dopo la sua notifica non sia stato depositato nel termine di 20 giorni. Il ricorso è improcedibile, è una delle cause tipiche di improcedibilità, il principio di diritto che governa la fattispecie è stato ribadito dalla Corte molte volte[45]. Tuttavia, pur essendo questa una classica ipotesi di improcedibilità, non può essere oggetto di proposta di decisione accelerata ex art.380 bis cod. proc. civ., perché non è disciplinata la comunicazione della proposta alla parte non costituita.
Nel caso descritto, è stato attribuito un numero di iscrizione a ruolo su impulso del controricorrente che, ricevuta la notifica del ricorso e accortosi del mancato tempestivo deposito dello stesso, ha sollevato la questione per ottenere il regolamento delle spese di lite a proprio favore, ma parte ricorrente non si è costituita. In ultima analisi, una classica ipotesi di definibilità in rito del ricorso per improcedibilità non può in concreto essere oggetto di proposta di decisione accelerata, allo stato dell’evoluzione normativa.
6.3. La manifesta infondatezza.
Più incerta dal punto di vista dogmatico e pratico è la categoria della manifesta infondatezza, dove la valutazione idonea al rigetto del ricorso è accompagnata dal rafforzativo che rivela il fatto che l’esito emerge “ictu oculi”. L’incertezza semantica ha generato talvolta anche qualche dubbio in giurisprudenza, se è vero che la stessa Corte di legittimità ha negli anni ricondotto le conseguenze della presenza di giurisprudenza consolidata, cui si è adeguata la sentenza impugnata, oggetto di un ricorso in Cassazione che non abbia offerto elementi validi a modificare i suddetti orientamenti, vuoi alla categoria della pronuncia nel merito vuoi, più spesso e condivisibilmente, a quella della pronuncia in rito di inammissibilità per manifesta infondatezza[46]. La differenza non è irrilevante ai fini delle conseguenze pratiche per la parte, anche ai fini dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R. n.115/2002 per quanto riguarda il raddoppio del contributo unificato[47].
7. La tecnica redazionale del ricorso secondo il nuovo protocollo d’intesa 1.3.2023.
La riforma ha reso necessario aggiornare e ricalibrare i vari Protocolli d’intesa già intercorsi tra la Corte di cassazione, la Procura Generale, l’Avvocatura Generale dello Stato e il Consiglio Nazionale Forense, i quali hanno cessato di avere validità il 1° marzo 2023, sostituiti dal nuovo “Protocollo d’intesa sul processo civile in cassazione”[48].
Tra l’altro, nell’innovativo protocollo sono individuati anche dei criteri quantitativi idonei alla confezione degli atti funzionali all’ottimale utilizzo del nuovo PCT obbligatorio in legittimità. E’ stato tra l’altro previsto che, di regola, in ricorso l’esposizione dello svolgimento del processo debba estendersi per un massimo di 5 pagine e che i motivi di impugnazione contenenti gli argomenti a sostegno delle censure siano contenuti in 30 pagine di regola. Si tratta di un intervento di soft-law, dal momento che le “Note a chiarimento del protocollo”[49] specificano come il mancato rispetto dei criteri dimensionali degli atti e delle indicazioni contenute nel protocollo stesso non comporti l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso, salvo che non sia stato espressamente previsto dalla legge. Il riferimento va operato in primo luogo al riformato art.366 cod. proc. civ., da cui scaturisce un ridisegnato contenuto del ricorso imperniato sui requisiti di chiarezza, sinteticità e completezza[50].
Tanto i fatti processuali quanto i motivi devono essere esposti con precisa sintesi e particolare cura alla chiarezza espositiva, affinché tutte le ragioni, ma solo queste, a fondamento dell’impugnazione risultino esplicitate e riferite con chiarezza ad uno o più motivi e sorrette dall’esposizione mai necessariamente testuale, bensì ragionata e critica, del contenuto di atti processuali o documenti - come contratti e accordi collettivi menzionati dal nuovo n.6, ma anche, in via interpretativa, atti impositivi ed amministrativi - su cui ciascuno dei mezzi di ricorso si fonda. E’ evidente che richiede maggiore sforzo la ragionata sintesi rispetto al copia-incolla dagli atti e provvedimenti dei gradi di merito, ma questo non deve essere inteso come un nuovo ostacolo all’impugnazione, aggiuntivo rispetto alla già notevole fatica della difesa tecnica in sede di legittimità ma, all’opposto, è il vero strumento per rendere maggiormente celere e prevedibile la decisione della Cassazione e per prepararsi alle ardue sfide dell’applicazione dell’intelligenza artificiale al processo.
Non va sottovalutata affatto l’importanza del metodo condiviso e l’utilità pratica dell’intervenuto nuovo Protocollo d’intesa, il quale concretizza la volontà comune di costruire una prassi organizzativa e un’interpretazione condivisa di alcune delle modifiche normative, nella convinzione che il modo più efficace per produrre il cambiamento culturale richiesto dalla riforma sia quello del pieno e fattivo coinvolgimento di tutti i soggetti del processo sui quali ricade la comune responsabilità di farlo funzionare, e che nessuna significativa modifica del modo di essere e funzionare può prescindere dal consenso e dal contributo delle difese[51].
Va dunque ribadita l’importanza dei protocolli stipulati dalla Corte e dalla Procura con gli Avvocati e l’Avvocatura, tenuto anche conto che in tal modo si evita il rischio dell’applicazione di buone prassi a macchia di leopardo sul territorio nazionale, senza che la temuta inammissibilità o, al contrario, la presenza di una norma minus quam perfecta siano il fattoretoglie dirimente. Ciò che è importante è che la nuova scrittura si coniughi con l’informatizzazione, realizzando quella puntuale esposizione dei motivi di diritto e chiarezza finalizzata ad ottenere una decisione più celere e succinta da parte della Corte.
Speculare sforzo di sintesi e chiarezza è richiesto al giudice, obiettivo però raggiungibile solo a partire da atti difensivi di nuova concezione, in linea con il Protocollo. A chi scrive, negli anni di servizio presso la Corte, è capitata la decisione come relatore di ricorsi anche molto lunghi, in un caso di oltre 640 pagine per 45 motivi complessivi, e il lavoro dell’estensore della decisione non può che coprire, sia pure succintamente ciascun motivo pena l’omessa pronuncia. Per quanto complessa possa essere la materia del contendere, una simile prolissità non è compatibile con una decisione lineare, concisa e prevedibile quale quella da cui dipenderà il successo della riforma e il raggiungimento di obiettivi almeno vicini a quelli fin troppo ambiziosi posti dal PNRR.
Ecco allora che, se rispettato, il Protocollo può contribuire, con l’elasticità tipica della soft-law, a individuare criteri predeterminati idonei a ridurre non tanto la libertà della di espressione e comprimere la possibilità di difesa, quanto, piuttosto, la discrezionalità di chi decide: vi è un interesse comune alle parti più attente dell’Avvocatura e della Magistratura a far funzionare la riforma in punto di semplificazione. Questo metodo può dare frutti importanti, idonei anche a ridurre gli spazi per l’applicazione dell’inammissibilità per difetto di autosufficienza/specificità/localizzazione, ove venga fatto un utilizzo non meccanico ma virtuoso del deposito telematico obbligatorio, che in prospettiva può rendere immediatamente disponibile il materiale del processo di merito. Anche in questo ambito “tecnico”, protocolli di intesa possono fornire elementi conoscitivi ulteriori alle difese e ai giudici per rendere consultabili in concreto atti e documenti, dal momento che un file pdf immagine depositato rispetta i requisiti minimi del PCT, ma è scarsamente leggibile e, talvolta, per la sua stessa pesantezza, non si riesce neppure a tenere aperto al video-terminale. Al contrario, un file “searchable pdf” consente una ragionata ricerca nel documento di parole chiave, e ciò in potenza toglie in radice il fondamento alla critica di mancata localizzazione di una deduzione, domanda o difesa. E’ auspicabile che protocolli evolutivi introducano maggiori indicazioni “tecniche” concordate, e che ne venga fatta ampia diffusione conoscitiva tra i 50.000 avvocati cassazionisti, perché è comune interesse attuare i principi di chiarezza e sinteticità degli atti e di collaborazione tra le parti e il giudice.
8. Il vaglio sul controricorso alla luce del nuovo processo civile telematico di legittimità.
Buona parte delle categorie dell’inammissibilità già esaminate con riferimento al ricorso valgono anche per il controricorso, con i necessari adattamenti, come ad esempio l’applicazione del principio di specialità e localizzazione, non alle domande bensì alle eccezioni, intese quali fatti giuridici introdotti nel processo estintivi, modificativi o impeditivi dei fatti sui quali si fonda la domanda di chi ha esercitato l’azione.
Vi è poi l’elemento distintivo secondo il quale il controricorso non è il primo atto introduttivo del giudizio e su di esso il nuovo PCT di legittimità, esteso e rafforzato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, gioca un ruolo importante perché consente di individuare il deposito in luogo della notificazione quale adempimento che dev’essere compiuto entro il termine perentorio, a pena di inammissibilità.
Va rammentato che l’estensione della telematizzazione non si è spinta ad assicurare il mantenimento di una delle innovazioni maggiormente vistose e discusse conseguenti alla pandemia Covid-19, ossia la facoltà di celebrare le adunanze camerali da remoto[52] che, al momento, in concreto è sostanzialmente venuta meno ed è riservata essenzialmente alle riconvocazioni del collegio per emendare decisioni già prese. Le camere di consiglio, e dunque anche le adunanze camerali, secondo il riformato art.140 bis disp. att. cod. proc. civ. da gennaio 2023 si svolgono di regola in presenza e solo eccezionalmente il Presidente del collegio per motivate “esigenze di tipo organizzativo” può autorizzare la celebrazione da remoto. Laicamente, non vanno sottovalutati i rischi di un eccesso di utilizzo dello strumento e l’importanza della presenza costante in Ufficio per assicurare il servizio giustizia. D’altro canto, è importante ad avviso di chi scrive conservare un certo margine di flessibilità e lasciare aperta nei fatti questa valvola, alla luce della composizione della Corte in cui si esprimono Consiglieri provenienti da tutta Italia, elemento essenziale per una reale giurisdizione nazionale e per perseguire una logica di duttile efficienza vista la pluralità degli adempimenti da compiere per giungere tempestivamente alla decisione di un singolo ricorso, moltiplicato per il loro numero, senza del resto che si profili alcuna lesione dei diritti fondamentali, incluso il diritto di difesa[53], poiché lo strumento è riservato alla camera di consiglio.
Proseguendo per punti con concisione, all’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, anche nel giudizio avanti alla Corte di Cassazione[54], ha fatto da contraltare l’introduzione nel 2023 anche per i Consiglieri della Corte l’obbligo di deposito telematico di ogni provvedimento decisorio, a chiusura di una lunga fase sperimentale iniziata ad aprile 2021. Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte ha già statuito che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 369 cod. proc. civ., in tutti i procedimenti civili pendenti in Cassazione a decorrere dal 1° gennaio 2023 è ormai improcedibile il ricorso che, al di fuori dei casi tassativi in cui è consentito, sia depositato con modalità non telematiche[55].
Per effetto della riforma, il controricorso diretto contro il ricorrente va semplicemente depositato telematicamente e non più notificato, entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso, termine ormai unificato. Entro il medesimo termine può essere proposto anche ricorso incidentale, il quale, a sua volta, va unicamente depositato e non notificato, secondo quanto disposto dall’art.371 cod. proc. civ.[56].
Tuttavia, un problema di litis denuntiatio si può porre nei casi in cui il ricorso incidentale sia proposto nei confronti di una parte non ancora costituita. L’incidentale non costituisce un atto distinto dal controricorso in applicazione del principio di unità delle impugnazioni e, quando presente, sia esso un ricorso incidentale condizionato o autonomo, è un tutt’uno con il controricorso. Quindi, data l’unitarietà dell’atto, nel caso suddetto, infrequente ma non estremamente raro, ad avviso di chi scrive per una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata[57] della previsione normativa, dovrà ragionevolmente essere notificato l’atto contenente il ricorso incidentale, perché diretto contro soggetto diverso dalla parte costituita, che altrimenti potrebbe non averne tempestiva conoscenza, con nocumento del proprio diritto di difesa.
Inoltre, nell’art.371 cod. proc. civ., vi è probabilmente un difetto di coordinamento con riferimento al controricorso che eventualmente venga depositato in risposta al ricorso incidentale, nella parte in cui sfugge l’espressione “a norma dell’articolo precedente”. L’espressione rimasta fa riferimento alla notificazione, ma come visto il ricorso incidentale di regola non viene più notificato e, dunque, ragionevolmente e in attesa di un intervento da parte di decreti correttivi, in via interpretativa pare preferibile ad avviso di chi scrive ritenere che il controricorso debba essere depositato entro quaranta giorni dal deposito e non dalla notificazione dell’atto, per non gravare la difesa di un irragionevole onere di controllo quotidiano dell’adempimento di controparte.
9. Conclusioni.
Ci si può chiedere se e come la qualità del servizio giustizia per il cittadino - al di là delle moltiplicazioni statistiche che non sempre corrispondono ad una prestazione efficace a lungo attesa - e il rispetto dei diritti fondamentali, a partire da quelli di difesa, siano coniugabili con gli obbiettivi quantitativi concretamente perseguiti attraverso gli strumenti processuali e materiali assegnati alla Corte sulla base del PNRR e della riforma.
L’eliminazione della sezione sesta civile, divenuta in parte separata dalle sezioni semplici, soprattutto in una materia specialistica come quella tributaria, pare una cosa positiva, dal momento che le assegnazioni di Consiglieri talvolta non erano promiscue ma esclusive né la rotazione era automatica, e questo modulo organizzativo contribuiva a generare una certa ripetitività di sotto-filoni giurisprudenziali, tra l’altro proprio in materia di inammissibilità dei ricorsi che, non di rado, venivano esaminati e decisi prima in sesta piuttosto che nella sezione semplice per il meccanismo cronologico di plurimo spoglio descritto, costituendo di fatto precedenti involontari non sempre funzionali alla nomofilachia. Inoltre, la riduzione del numero degli spogli del medesimo ricorso, effettuati alla ricerca soprattutto, anche se non solo, dell’inammissibilità è una cosa positiva.
E’ ora molto importante che il “filtro” riformato e ricondotto nell’alveo della sezione semplice, affidato all’ufficio spoglio sezionale per scelta organizzativa dei vertici lavori nel senso di diventare laboratorio tematico per le adunanze camerali, cosa possibile solo attraverso un attento studio del fascicolo. Ai Consiglieri della sezione cui l’ufficio spoglio assegna i ricorsi è certo richiesto un aggiuntivo requisito di sintesi per la confezione delle sentenze e delle ordinanze, e del resto le tabelle della Cassazione individuano la sinteticità come un parametro rilevante per l’individuazione dei consiglieri da destinare alle Sezioni Unite.
E’ inutile nascondersi però che la realizzazione dei grandi numeri richiesti dal PNRR è affidata dal legislatore in misura considerevole ai magistrati dell’ufficio spoglio, attraverso il modulo decisorio della proposta accelerata. Vi sono ostacoli al funzionamento del rito monocratico accelerato nei ricorsi tributari, ossia nella buona metà del contenzioso civile pendente, per un difetto di coordinamento con la disciplina sostanziale che regola la definizione agevolata prevista dalla legge n.197/2022. Il ricorso tributario è ormai di regola soggetto a sospendibilità dei termini per la definizione agevolata, essendo disposto: “le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata”[58]. I termini sono stati da ultimo differiti sino a fine ottobre 2023 dal d.l. n.51/2023 e, nel momento in cui venga formulata e comunicata la proposta da parte della Corte, di contenuto necessariamente sfavorevole al ricorrente, c’è una ragionevole possibilità che questi immediatamente depositati un’istanza di sospensione del processo, precludendo così sia il funzionamento della proposta, sia la decisione camerale.
Inoltre, per tutti i ricorsi civili vale il criterio secondo il quale, sino a quando non è depositato il controricorso o scaduto il termine per il deposito, è sempre possibile la proposizione di un ricorso incidentale e, dunque, una proposta di decisione formulata anteriormente potrebbe non tener conto dell’intera materia del contendere.
A ciò si aggiunge che aggravi processuali consistenti al funzionamento della proposta sono da mettere in conto nei casi in cui in seno al medesimo processo siano state formulate più domande giudiziali provenienti da una pluralità di parti, elementi che depongono nel senso di un cauto utilizzo della procedura accelerata in tali fattispecie.
In conclusione, il rito monocratico della proposta di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza dev’essere riconosciuto come mezzo per recuperare efficienza alla Corte ed omogeneità giurisprudenziale, ma evitando che diventi un fine, con grave compressione del diritto di difesa, in violazione degli artt.111, 25 Cost. e 6 CEDU. In questa prospettiva, saranno importanti anche le determinazioni organizzative che la Corte adotterà su chi dovrà decidere in caso di mancata quiescenza alla proposta e richiesta di decisione collegiale, ossia se il magistrato proponente potrà comporre il collegio in camera di consiglio e, in caso affermativo, se potrà essere nominato anche relatore o meno sul fascicolo.
Vorrei riprendere in conclusione il pensiero iniziale: sono sicuro che la Corte farà il possibile per non richiudersi dietro le mura e per affrontare insieme alla Procura Generale, all’Avvocatura dello Stato e all’Ordine forense in modo costruttivo il confronto con una riforma che, tra elementi positivi, presenta molte incognite. Noi, insieme, siamo la città di cui parla Tucidide e sta a noi deciderne le sorti, senza vuoti proclami, astratte petizioni di principio sugli obiettivi, ricerca di capri espiatori, con il nostro concreto e sostenibile impegno quotidiano. Questo decreterà il successo o il fallimento della riforma, a partire dal vaglio di ammissibilità delle impugnazioni.
Dev’essere chiaro che i numeri con cui ci si confronta ogni giorno in Corte da anni, e cui ho fatto cenno all’inizio, non sono sostenibili, nonostante tutta la cura e l’impegno profusi da colleghi di grande valore. Ritengo che non tanto la proposta monocratica di definizione accelerata, quanto piuttosto il PCT obbligatorio in legittimità, operativo dal 2023, con tutti i suoi limiti, oggi ci dia alcune nuove carte da giocare.
E’ essenziale che alla luce della telematizzazione del processo civile venga ripensata la scrittura dei ricorsi e dei controricorsi, anche nella prospettiva della sfida che pone al processo l’intelligenza artificiale, e che, senza attesa, vengano organizzati capillari incontri di formazione sul tema, se possibile in composizione mista per favorire l’orizzontale circolazione delle esperienze.
Anche per questo ringrazio il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano, per aver organizzato questo importante incontro di studi interdisciplinare, confermando anche nell’occasione la nota e apprezzata lungimiranza e collaborazione con la Magistratura per il buon funzionamento della giustizia.
[1] Consigliere della Corte di Cassazione. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo la Corte.
[2] Il presente contributo raccoglie alcune riflessioni svolte nella relazione presentata all’incontro di studi organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Milano il 30.5.2023 sul tema “La riforma Cartabia del Processo Civile: Il nuovo Giudizio di Cassazione”, e cui hanno partecipato il Prof. Avv. Alberto Tedoldi, il Prof. Avv. Francesco Paolo Luiso, e la Prof. Simona Caporusso; l’incontro è stato organizzato a cura del Pres. del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano Avv. Antonino La Lumia, del Vice Pres. Avv. Francesca Zanasi, della Coordinatrice Avv. Valentina Masi e dell’Avv. Silvia Toffoletto.
[3] Per una recente ragionata e organica lettura degli apparati che compongono la riforma, cfr. F. P. Luiso, Il nuovo processo civile (Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile), Giuffré, Milano, 2023; AA.VV. (a cura di A. Didone e F. De Santis), Il processo civile dopo la riforma Cartabia, Cedam, Padova, aprile 2023; per un’interessante contestualizzazione comparativa, con uno sguardo alla riforma Cartabia, si veda anche R. Caponi, Processo civile: modelli europei, riforma Cartabia, interessi corporativi, politica, in https://questionegiustizia.it, ultimo accesso 30.5.2023.
[4] Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato nel 2021, fa parte del programma dell'Unione europea “Next Generation EU”, un dotato di 750 miliardi di euro per la ripresa europea (recovery fund), di cui all'Italia sono stati assegnati 191,5 miliardi, parte in sovvenzioni a fondo perduto e parte in prestiti, da cui dipende una frazione molto consistente della crescita pluriennale del Paese dopo la pandemia Covid-19 e in vista della sua transizione energetica e digitale. Le tranches di erogazione dei finanziamenti sono legate al progresso delle riforme concordate con l’Unione Europea al momento dell’approvazione del PNRR.
[5] Cfr. la Circolare 12 novembre 2021 - Piano Nazionale di ripresa e resilienza – Indicatori di raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), documento M_dg_DOG.12/11/2021.0238068.U, disponibile su https://www.giustizia.it/, ultimo accesso 26.5.2023.
[6] Il Ministero della Giustizia ha messo a disposizione i dati statistici generali sulla giustizia civile per il periodo 1° luglio 2021 - 30 giugno 2022, e a tale arco temporale la citata Relazione 2023 fa riferimento anche per la Corte di cassazione, allorché occorre prendere in considerazione le complessive iscrizioni, definizioni e pendenze del settore civile della giustizia. Il flusso dei ricorsi e il lavoro della Corte di cassazione viene esaminato in dettaglio dalla Relazione del Primo Presidente, con riguardo all’anno solare, utilizzando i dati dell’ufficio di statistica della Corte, cfr. pp.21. 26 e 39 relazione cit., disponibile su https://www.cortedicassazione.it ultimo accesso 26.5.2023.
[7] Così F. De Stefano, La riforma del processo civile in Cassazione, Note a prima lettura, disponibile su https://www.giustiziainsieme.it/ultimo accesso 25.5.2023.
[8] L’apparato è disponibile su https://www.consiglionazionaleforense.it/ unitamente all’elenco dei codici materia integralmente revisionato ai fini di una razionale iscrizione a ruolo e agli atti di parte ed allegati certificati.
[9] Le disposizioni hanno effetto e decorrono dal 28.2.2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, ai sensi dell’art.35 comma 1 del d.lgs. n.149/2022.
[10] Cfr. P. Curzio, Il ricorso per cassazione. Viaggio all’interno della Corte, in AA.VV. (a cura di M. Acierno, P. Curzio, A. Giusti), La Cassazione Civile, 3ed, Cacucci Bari, 2020, pp.34 e ss..
[11] In particolare, l’art.8 comma 8 del d.l. n.198/2022, c.d. Milleproroghe 2023, ha previsto che anche in deroga alle disposizioni di cui al d.lgs. n.149/2022 continua ad applicarsi alle udienze e alle camere di consiglio da svolgere fino al 30 giugno 2023 la disposizione di cui all’art.23 comma 8 bis primo, secondo, terzo e quarto periodo, del d.l. n.137/2020 conv. in legge n.176/2020. La l. n.14/2023, che ha convertito il d.l. n.198/2022 e ha disposto che le parole “e alle camere di consiglio” siano soppresse. La disposizione è stata interpretata dalla Corte, attraverso un decreto del Primo Presidente nel senso che la pubblica udienza cartolare “pandemica” trova applicazione sino al 30.6.2023 e, conseguentemente, almeno 25 giorni prima della fissata PU le parti devono fare richiesta di discussione orale della controversia, altrimenti questa resta cartolare secondo la normativa della pandemia.
[12] L’articolo 375 cod. proc. civ. riformato ha significativamente invertito l’ordine “camera di consiglio”/“pubblica udienza” adoperato dalla precedente versione.
[13] Conv., con modif., dalla l. n. 176 del 2020, prorogato ex art. 8, comma 8, del d.l. n. 198 del 2022, conv., con modif., dalla l. n. 14 del 2023.
[14] Nel caso di specie ciò era stato indotto da un atto proveniente dalla cancelleria del giudice procedente.
[15] Cfr. Cass. SS.UU., sentenza n. 8034 del 21/03/2023.
[16] Il programma è redatto ai sensi dell’art.37 del d.l. n.98/2011, convertito in legge n.111/2021.
[17] Ossia dichiarare l’inammissibilità del ricorso principale (e di quello incidentale eventualmente proposto) ex art. 375, n. 1 cod. proc. civ. oppure accogliere o rigettare il ricorso principale (e l’eventuale ricorso incidentale) per manifesta fondatezza o infondatezza ex art. 375, n. 5 cod. proc. civ..
[18] Cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. n.149/2022, Supplemento straordinario n.5 alla G.U. 19 ottobre 2022, Serie Generale n.245, p.44.
[19] Al contrario, in precedenza era previsto sulla base del d.l. da ultimo citato, piuttosto genericamente, che 400 del 16.500 nuovi reclutati fossero destinati alla Corte di cassazione “con l'obiettivo prioritario del contenimento della pendenza nel settore civile e del contenzioso tributario”.
[20] Si veda B. Capponi, Il giudice monocratico in Cassazione, in Foro it., 2023, II, 1.
[21] Conseguentemente, seguirà provvedimento di estinzione con decreto del Presidente ex art.391 primo comma cod. proc. civ., non essendo ancora stata fissata la data della decisione.
[22] Le pendenze avanti alla Corte EDU sono così passate da oltre 150.000 a metà del 2012, a 54.350 al 30 giugno 2018; per una interpretazione delle cause di tale risultato, sia consentito il rinvio a P. Gori, Organizzazione del lavoro nella Corte Edu, riforme e buone prassi per l’Italia, in AA.VV., La Corte di Strasburgo, Key Editore, ISBN 978-88-279-0390-2, Milano, 2019.
[23] Si consideri che la richiesta di udienza è facoltà della parte che non dev’essere motivata in alcun modo, non essendo ciò richiesto esplicitamente dalla novella.
[24] Corte cost. 6 giugno 2019, n. 139.
[25] Cfr. Cass. SS.UU. 16601/2017; Cass. 25177/2018.
[26] B. Capponi, 2023: Odissea nel Palazzaccio, su https://www.giustiziainsieme.it/, ultimo accesso 28.5.2023; F.M. Giorgi, Riforma del processo civile in Cassazione: unificazione dei riti camerali e procedimento accelerato (focus sulle controversie lavoristiche), in https://giustiziacivile.com/, ultimo accesso 28.5.2023.
[27] F. Troncone, Riforma processo civile: le novità del giudizio per cassazione, disponibile su https://www.altalex.com, ultimo accesso 26.5.2023.
[28] Per una ragionata casistica giurisprudenziale e sistemazione dogmatica, cfr. R. Frasca, Ricorso, controricorso, ricorso incidentale, in AA.VV., La Cassazione Civile, cit., pp.103 e ss..
[29] Cfr. A. Giusti, L’autosufficienza del ricorso, in AA.VV., La Cassazione Civile, cit., pp.213 e ss..
[30] Corte EDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c. Italia, Nos. 55064/11, 37781/13, 26049/14.
[31] Cfr. Cass. SS.UU., Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022.
[32] Eventualmente, si rinvia a P. Gori, Processo telematico in Cassazione, a che punto siamo?, in https://www.questionegiustizia.it/, ultimo accesso 28.5.2023.
[33] Cass. SS. UU, Sentenza n. 27435 del 2017.
[34] A. Proto Pisani, Violazione di norme processuali, sanatoria ex nunc o ex tunc e rimessione in termini, in Foro it., 1992, I, 1721.
[35] Ex plurimis, Cass. SS. UU. 29 marzo 2013 n. 7931; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019.
[36] Tra le tante, si veda Cass. Sentenza n. 4293 del 04/03/2016.
[37] Cfr. P. D’Ascola, Falsa applicazione di norme di diritto, in AA.VV., La Cassazione Civile, cit., pp.293-294.
[38] Resta il riferimento Cass. SS. UU., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014.
[39] Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017.
[40] Cfr. Cass. SS. UU., Sentenza n. 8053/2014 cit., giurisprudenza mai successivamente superata sul punto.
[41] Anche la soppressione dell’art. 366 ultimo comma cod. proc. civ. sulle comunicazioni della cancelleria alle parti è conseguenza dell’introduzione del processo civile telematico ex artt. 36, ultimo comma, e 196-bis - 196-duodecies disp. att. cod. proc. civ..
[42] Cfr. Corte EDU 15 settembre 2016 Trevisanato c. Italia, No. 32610/07, §§ 42-44 e, a contrario, 24 aprile 2008, Kemp e altri c. Lussemburgo, No. 17140/05, § 59; Corte EDU, RTBF c. Belgio, No. 50084/06, § 71.
[43] A. Lugo, (voce) Inammissibilità (dir. proc. civ.), in Noviss. dig. it., vol. VIII, Torino, 1962, pp. 483-485.
[44] G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, Giappichelli, Torino, 2016, pp.611-12 e dottrina ivi citata.
[45] Cfr., da ultimo, Cass. n. 29889 del 12/10/2022, secondo cui l'omesso o tardivo deposito del ricorso per Cassazione dopo la scadenza del ventesimo giorno dalla notifica del gravame comporta l'improcedibilità dello stesso, rilevabile anche d'ufficio e non esclusa dalla costituzione del resistente, salva la possibilità di rimessione in termini, ai sensi dell'art. 153, comma 2, cod. proc. civ., ove il mancato tempestivo deposito sia dipeso da causa non imputabile al ricorrente.
[46] Cfr. Cass. SS. UU., Sentenza n. 8923 del 19/04/2011; Cass. SS. UU., Sentenza n. 7155 del 21/03/2017.
[47] Il profilo può porsi anche in rapporto alla declaratoria di improcedibilità, questione sulla quale è intervenuta la remissione alle Sezioni Unite ad opera di Cass. 11 novembre 2022 n.33270 e ancora al vaglio alla data del 31.5.2023.
[48] Cfr. nota 8; il documento è disponibile anche sul sito della Corte, https://www.cortedicassazione.it, ultimo accesso 25.5.2023.
[49] Cfr. il paragrafo 1.6 del Protocollo.
[50] F. De Stefano, La riforma del processo civile in Cassazione, cit..
[51] Cfr. Comunicato stampa adottato dalla Corte di cassazione il 1.3.2023 in accompagnamento all’adozione del Protocollo d’intesa in pari data, disponibile su https://www.cortedicassazione.it/, ultimo accesso 26.5.2023.
[52] Volendo, P. Gori, Covid-19: la Cassazione apre alle udienze da remoto, 2020, in https://www.questionegiustizia.it/, ultimo accesso 26.5.2023.
[53] P. Gori – A. Pahladsingh, Fundamental rights under Covid-19: an European perspective on videoconferencing in court, in ERA Forum (2021) 21:561–577, https://link.springer.com/article/10.1007/s12027-020-00643-5, ultimo accesso 26.5.2023.
[54] In base all'art. 196 quater, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., applicabile, ai sensi dell'art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2022, a tutti i procedimenti civili pendenti davanti alla Corte di Cassazione a decorrere dall'1° gennaio 2023, tale deposito da parte dei difensori, ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, salvi i casi eccezionali previsti dall'art. 196 quater, comma 4, disp. att. cod. proc. civ..
[55] Cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10689 del 20/04/2023.
[56] Ciò vale anche nel caso in cui proviene da una parte nei cui confronti è stato notificato il ricorso per integrazione a norma degli artt. 331 e 332 cod. proc. civ. e, per interpretazione sistematica, si può ritenere valga anche per quello proposto dalla parte nei cui confronti è rinnovata la notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ..
[57] Cfr. gli artt.111, 25 Cost. e 6 § 1 CEDU.
[58] Così l’art.1 comma 197 della l. n.197/2022.
“Buongiorno a tutti, mi chiamo Tina e sono la mamma di un ragazzo con sindrome di Down. Non ho paura di pronunciare questa parola, e sono felice di essere qui a raccontare la mia storia…”.
Tina non ha paura; neppure di dimostrare ai suoi concittadini che è possibile riprendersi con orgoglio il maltolto per fare del bene là dove è stato seminato per anni il male. Ha messo su una cioccolateria sociale, “Dulcis in Fundo”, in un immobile confiscato alla camorra, proprio quella del suo paese, Casal di Principe, e vi fa lavorare ragazzi disabili; combatte ogni giorno la sua battaglia per dare una possibilità a persone che vivono spesso nascoste e prive di prospettive, e offre piccoli assaggi di felicità prodotti dove un tempo c’era solo prevaricazione.
“Io sono Roberto, e mi occupo di quelli che per tanti sono gli “scarti”… Con i minori entrati nel circuito penale, che per parte della società vanno abbandonati, produciamo bellissimi oggetti da materiali riciclati…”
A Roberto brillano gli occhi quando parla dei ragazzi a cui, con i suoi collaboratori, cerca di trasmettere una nuova consapevolezza di sé. Una vita possibile, lontana dalla violenza: un “Altromodo” -questo è il nome della cooperativa- di affermare se stessi.
C’è poi anche la N.C.O. all’incontro dell’ANM napoletana a Casal di Principe con i giovani e le associazioni impegnate nel sociale: per parlare di beni confiscati e restituiti alla collettività in un luogo simbolo quale è la villa che era stata di Walter Schiavone, fratello del capo clan, Francesco. Quella villa odiosamente nota come Villa Scarface, citata da Roberto Saviano in Gomorra, e oggi destinata alla cura e alla riabilitazione di persone con disabilità. Ma non si tratta della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, così come i casalesi presenti non sono quelli delle cronache giudiziarie. E lo gridano forte.
Oggi a occupare il territorio è una immensa onda che sanifica ciò che era stato intossicato, e si riprende ciò che illecitamente e violentemente le è stato negato per troppo tempo.
N.C.O. sta qui e ora per Nuova Cooperazione Organizzata; e anche Nuova Cucina Organizzata: su beni confiscati, un incredibile numero di realtà produttive e sociali che rappresentano nel modo più concreto la vera offesa alle regole incivili del crimine organizzato.
Il contrasto alle mafie sottraendo loro i patrimoni illecitamente accumulati, ma soprattutto destinandoli a un “ri-uso” sociale che porta nuovo e solido benessere -tanto più solido in quanto conquistato con l’orgoglio consapevole di chi vuole rinascere- in terre troppo a lungo massacrate da una asfissiante presenza criminale.
La Nuova Cooperazione Organizzata è una associazione che non raccoglie gruppi criminali ma straordinarie realtà che operano su beni confiscati; o liberati, come tengono a dire: una sala di incisione (“Etiket”) , luoghi di accoglienza e cura per utenti della salute mentale (“Eureka”), terreni dove si produce uva autoctona, dalla quale nascono ottimi vini (“Vitematta”); e, ancora, una casa per donne rifugiate, soprattutto africane (“Casa di Alice”); produzione di caffè da parte delle detenute del carcere femminile di Pozzuoli (“Le Lazzarelle”).
Pasquale, che parla per tutti loro, ci racconta di quando qualche decennio fa si piazzava per strada, nei luoghi più esposti di Casal di Principe, a fare politica a modo suo: e ai comizi contro coloro che violentavano la sua terra erano soltanto in tre, due sul palco e uno giù ad ascoltare! Tanti concittadini, però, nascosti dietro le finestre. Ora, dopo anni di impegno sociale, è l’orgoglioso esponente di una forza che non si arrende e che in fondo rappresenta un segno tangibile di democrazia partecipata.
Il contrasto alle mafie deve essere ancora al centro dell’agenda del Paese[1], e l’esperienza giudiziaria di questo trentennio dimostra quanto siano insostituibili gli strumenti di aggressione ai patrimoni illeciti da quelle accumulati, oggetto nel tempo di evoluzione normativa sempre più dettagliata ma non sempre ordinata e sistemica oltre che di critiche in punto di teoria del diritto e di politica giudiziaria -da parte di molte voci della dottrina- soprattutto sotto il profilo della prevenzione patrimoniale: ritenuta da alcuni “la stampella di una giustizia penale che ha perso efficienza ed è diventata incapace di concretizzare i suoi scopi[2]”. Opinione in ordine alla quale è lecito motivatamente dissentire, posto che l’attuale architettura regolativa delle misure di prevenzione patrimoniale, grazie soprattutto a una illuminata elaborazione giurisprudenziale, ha spostato l’asse verso una decisa giurisdizionalizzazione che offre adeguate garanzie anche nell’ambito di quel procedimento.
Ma sono soprattutto da riconoscere le criticità di cui quegli strumenti soffrono tuttora non tanto nella fase dell’ablazione -che risente comunque delle lungaggini e delle necessità proprie dell’accertamento, sia esso penale o di prevenzione- quanto in quella dell’affidamento e della gestione dei beni: amministrazione, destinazione e utilizzazione quali momenti topici, durante i quali si gioca la partita decisiva per la efficacia o il fallimento di tutto il sistema.
Sono più che note le scottanti difficoltà da affrontare per “proteggere” questa fase dalle mire predatorie di sodalizi che tentano di riappropriarsi, in modo surrettizio, dei beni a loro sottratti dallo Stato con tanto sforzo e impiego di risorse; così come quelle insite nella individuazione di professionisti accorti e indipendenti, capaci di opporsi alle tentazioni e alle minacce; e, infine, nella scelta dei soggetti destinatari e delle forme di utilizzazione. E su tale piano tutte le istituzioni coinvolte -magistratura, Agenzia Nazionale Beni Confiscati e Sequestrati, enti pubblici- devono garantire attenzione e visione.
E’ per questo che le esperienze di Casal di Principe e di tanti altri comuni del casertano ci sono apparse tanto più virtuose e degne di racconto poiché rappresentative di una effettiva possibilità di vittoria sull’Antistato, di riscatto del territorio, e di esercizio diffuso e democratico del “ri-uso”: dovendosi pertanto prestare grande attenzione alle preoccupazioni che quelle associazioni e imprese sociali hanno manifestato, ad esempio, rispetto a progetti di possibile accentramento politico-amministrativo della gestione dei beni già destinati alle cooperative, recentemente emersi nel dibattito pubblico[3]. Ferma restando la necessità di costanti controlli di legalità, resta forse determinante la salvaguardia di una responsabilità di gestione diffusa e orizzontale: maggiormente orientata verso una pluralità democratica, volta a dare spazio alle diversificate forze sane della società e anche -probabilmente- meno attaccabile da pericolose spinte devianti, sempre in agguato.
Uno dei beni liberati dalla oppressione della mafia casertana è stato destinato a una cooperativa di donne (“E.V.A.”) che gestisce centri antiviolenza, servizi per la prevenzione e il contrasto degli abusi e dei maltrattamenti all’infanzia, asili-nido e case per donne maltrattate: quelle che grazie alla mano che è stata tesa verso di loro hanno abbandonato le proprie abitazioni, con annesse violenze, per provare a recuperare il sentimento di sé; e oggi si dedicano a sostenerne altre, e i loro figli, e gestiscono con la cooperativa “Casa Lorena” laboratori di prodotti alimentari commerciati nelle reti locali di economia sociale. Per loro ha preso la parola Valeria, testimone di tante piccole e grandi vittorie contro una violenza di genere che viene esaltata e rinforzata, se possibile, quando è agita in contesti criminali organizzati. Nei quali tutte, ma proprio tutte le vie di scampo appaiono sbarrate.
E, ancora, Elisabetta: che all’interno di un bene confiscato ha dato vita a un caffè letterario, “Artespressa”, un centro di aggregazione giovanile per instillare e diffondere i virus benefici dell’arte e della cultura tra ragazzi abituati a respirare mortificazione e brutalità. Una scommessa di libertà e bellezza, puntando su coloro ai quali nessuno aveva finora dato fiducia e alternative.
Nella sala destinata al dibattito -che era il grande e inquietante salone di ingresso della villa del capo mafia- viene a un certo punto ripetutamente pronunciata la parola “follia”: alla domanda sul perché si faccia tutto questo, perché tanti ragazzi, tante donne e tanti uomini abbiano deciso di impegnarsi nel volontariato e nel sociale in modo del tutto disinteressato, sfidando anche chi sarebbe in grado di esercitare ritorsioni, la risposta quasi unanime è nella pulsione verso sentimenti e comportamenti di umanità solidale che in certi contesti possono apparire in contrasto con la ragionevolezza di scelte di autoconservazione e di tutela del proprio ristretto e cieco confine.
La risposta, o meglio una delle tante, è nell’amore, un po' matto ma tanto benefico, per una giustizia sociale che per essere realizzata richiede a ciascuno una piccola e coraggiosa cessione di egoistica sovranità.
[1] Con la Legge 2 marzo 2023, n. 22 l’attuale Parlamento ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Tra i compiti, la verifica dell’attuazione del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, e l’indicazione di eventuali iniziative di carattere normativo o amministrativo necessarie per rafforzarne l’efficacia
[2] MURONE, Aggressione dei patrimoni illeciti ed esigenze deflattive: una dicotomia soltanto apparente, ARCHIVIO PENALE 2016, n. 3
[3]Così nel dibattito svoltosi al secondo “Forum Espositivo dei Beni Confiscati” tenutosi a Napoli dal 21 al 23 aprile 2023
Sommario: 1. Il caso e l’ordinanza di rimessione della III Sezione n. 5921/2022 – 2. La nuova soluzione adottata dalla Plenaria n. 10/2023 - 3. Qualche appunto critico sull’idea di farne una questione tra sezioni dello stesso giudice – 4. Una motivazione alternativa.
1. Il caso e l’ordinanza di rimessione della III Sezione n. 5921/2022
Ricevuta dal Tar Sicilia sezione staccata di Catania una sentenza di rigetto del ricorso, la difesa del ricorrente intesta l’appello al Consiglio di Stato e poi sempre al Consiglio di Stato indirizza il modulo di deposito telematico.
Assegnato l’appello alla IIIª Sezione, in esito all’udienza di discussione il giudice constata che l’impugnazione doveva essere all’evidenza proposto avanti al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia.
La regola – una volta tanto - è sicura.
Già lo diceva l’art. 40 della legge istitutiva del Tribunali amministrativi regionali, che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975, suona nel senso che contro ogni sentenza del Tar per la Sicilia l’appello “è portato al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana”.
La disposizione è stata poi ribadita dall’art. 4, comma 3, del d. lgs n. 373/2003 (recante Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato): “In sede giurisdizionale il Consiglio di giustizia amministrativa esercita le funzioni di giudice di appello contro le pronunce del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia”.
Quanto al Codice del processo amministrativo, l’art. 6, comma 6, non potrebbe essere più chiaro: “Gli appelli avverso le pronunce del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sono proposti al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, nel rispetto delle disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione”. E così ancora l’art. 100 del Codice si cura di tener ferma “la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia”.
Se la regola è sicura un po' meno sicure sono però le conseguenze di questo singolare errore.
La IIIª Sezione, con l’ordinanza n. 5921/2022, ricorda infatti che la dimensione problematica della questione era già stata portata nel 2013 all’attenzione dell’Adunanza plenaria con una ordinanza di rimessione della stessa Sezione.
Vero è che la giurisprudenza largamente maggioritaria sosteneva che la fase di gravame in simili casi dovesse necessariamente chiudersi con una sentenza di inammissibilità dell’appello pronunciata dal Consiglio di Stato, rincarando poi la dose con la precisazione (per il vero a quel punto un poco superflua) che il potere di impugnazione si era irrimediabilmente consumato[1].
Tuttavia, un precedente del 2009 aveva invece espresso l’avviso che “nel caso di specie trovi comunque applicazione la disposizione contenuta nell’articolo 50 c.p.c., a norma del quale, in caso di pronuncia di incompetenza del giudice adito, la causa prosegue davanti al giudice competente qualora sia tempestivamente riassunta nel termine fissato dalla sentenza (di incompetenza) ovvero di sei mesi dalla stessa”[2].
L’Adunanza plenaria, con la sentenza 22 aprile 2014 n. 12 aveva però rispedito il dubbio al mittente facendosi scudo dell’orientamento in allora prevalente presso il giudice civile. La Cassazione, con un orientamento che si potrebbe definire parentetico[3], in quegli anni propendeva infatti per l’idea che l’individuazione del giudice dell’appello non ponesse una questione legata alla nozione di competenza propria dell’art. 50 c.p.c. Per conseguenza, non trovando applicazione la meccanica della riassunzione a seguito di declinatoria prevista da quella norma, il giudizio d’appello non avrebbe che potuto chiudersi con una sentenza di inammissibilità. Secondo la Plenaria n. 12/2014 un siffatto orientamento avrebbe dovuto trovare ancor più pacifica applicazione nel caso dell’appello nel processo amministrativo, posto che il criterio di collegamento con il Consiglio di giustizia piuttosto che con il Consiglio di Stato qui dipendeva dal giudice a quo. Un criterio che secondo la Plenaria andava ricostruito nei termini di una attribuzione funzionale più che non di competenza.
Ma ecco che a qualche anno di distanza la IIIª Sezione vede molto bene che i tempi sono maturi per sparigliare le carte.
Nel 2016 le Sezioni Unite, recuperando il più risalente e consolidato orientamento, sono infatti tornate ad insegnare che “l’appello proposto dinanzi ad un giudice diverso da quello indicato dall'art. 341 cod. proc. civ. non determina l'inammissibilità dell'impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell'ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame”[4].
Nel sollecitare un nuovo esame della questione alla Plenaria, l’ordinanza di rimessione non manca di osservare che la stessa Cassazione ha dato pure rilievo al fatto che la translatio iudicii ha conquistato anche il difetto di giurisdizione[5] come pure i rapporti tra giudici ed arbitri[6]. Quand’anche pertanto si reputasse che il giudice non correttamente evocato in appello ponga un tema di carenza di attribuzione giurisdizionale[7], cionondimeno i benefici effetti della translatio ben potrebbero applicarsi.
Infine, la IIIª Sezione osserva che ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 24 dicembre 2003, n. 373, le due sezioni del Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione siciliana sono definite quali “Sezioni staccate del Consiglio di Stato”, “con la conseguenza che più che di impugnazione erroneamente proposta “ad un giudice diverso da quello legittimato a riceverlo” si tratterebbe di appello proposto a diversa Sezione dello stesso giudice”.
Per mero inciso, nel formulare il quesito posto alla Plenaria il giudice non ha invocato l’applicazione in fase d’appello delle norme del processo amministrativo sulla translatio tra i Tribunali amministrativi regionali – vale a dire l’art. 15, comma 4, c.p.a. -, ma ha richiamato il meccanismo della riassunzione a norma dell'art. 50 cod. proc. civ. La Plenaria è stata infatti interpellata per sapere “se l'appello proposto dinanzi al Consiglio di Stato avverso una sentenza del Tar Sicilia (sede di Palermo o Sezione staccata di Catania) configuri una ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione e di conseguente passaggio in giudicato della impugnata sentenza, ovvero valga ad instaurare un valido rapporto processuale suscettibile di proseguire dinanzi al competente Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana attraverso il meccanismo della riassunzione a norma dell'art. 50 cod. proc. civ.”.
2. La nuova soluzione adottata dalla Plenaria n. 10/2023
Nel formulare un responso che è certamente innovativo, la sentenza dell’Adunanza plenaria che qui si segnala trae il destro dall’unico spunto dell’ordinanza di rimessione che le consenta di non dire a chiare lettere che il costrutto giuridico su cui si appoggiava la stessa Plenaria del 2014 era sbagliato.
Il caso andrebbe molto semplicemente e solo deciso traendo i debiti corollari dal principio affermato dalla legge che configura le sezioni del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana quali sezioni staccate del Consiglio di Stato, non senza tuttavia subito appresso osservare che le sezioni del Consiglio di Stato con sede in Roma non possono decidere la causa “poiché la competenza funzionale della Sezione staccata di Palermo è inderogabile, in quanto prevista da una disposizione attuativa dello Statuto regionale”.
Ed ecco allora quali corollari la Plenaria viene ora a trarre da questa premessa: “per evitare il differimento della definizione del giudizio, la Presidenza del Consiglio di Stato deve trasmettere alla Segreteria della Sezione staccata di Palermo l’appello proposto al Consiglio di Stato avente sede in Roma, proposto avverso una sentenza del TAR per la Sicilia. Qualora l’appello sia stato però assegnato dalla Presidenza ad una delle Sezioni del Consiglio di Stato, rilevano i principi generali desumibili dall’art.15, commi 2 e 4, del codice del processo amministrativo, sicché la Sezione avente sede in Roma non può decidere in sede cautelare e con ordinanza deve dichiarare la propria incompetenza, affinché il giudizio possa essere riassunto innanzi alla Sezione staccata”.
Si enuncia poi così il seguente principio di diritto “l’appello proposto avverso una sentenza del Tar per la Sicilia (Sede di Palermo o Sezione staccata di Catania) può essere deciso unicamente dalla sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, la quale a tutti gli effetti è una sezione del Consiglio di Stato”.
Sennonché, va notato, curiosamente poi la stessa Adunanza plenaria demanda al Presidente del Consiglio di Stato di assegnare l’appello alla sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
Curiosamente, si diceva, perché qui l’appello era all’evidenza già stato assegnato alla IIIª Sezione, che non a caso era giunta ad un’ordinanza di rimessione in esito all’udienza di discussione celebratasi a circa tre anni di distanza dal gravame. Vi era allora da attendersi che, facendo coerente seguito alle sue stesse parole, nel caso si dovesse applicare il principio di cui al comma 4 dell’art. 15 c.p.a. e che quindi a mettere in moto il processo verso il Consiglio di giustizia fosse un’ordinanza declinatoria della competenza, con onere delle parti di un atto di riassunzione.
3. Qualche appunto critico sull’idea di farne una questione tra sezioni dello stesso giudice
Questa sentenza è sicuramente influenzata dalla volontà di non confutare in modo aperto l’argomentare della Plenaria del 2014. Tuttavia tale preoccupazione ha prodotto il risultato di una pronuncia assai criptica che elude gli interrogativi giuridici posti dall’articolata ordinanza della IIIª Sezione.
Ciò posto, e per quanto la constatazione possa apparire banale, su almeno un punto occorre uscir dal vago.
Avendo la Plenaria affermato che l’art. 15 del c.p.a. è applicabile alla fattispecie, norma che anzi viene addirittura detto racchiudere un principio generale, con consequenziale onere di declinare la competenza “affinché il giudizio possa essere riassunto” presso il CGARS, nessun dubbio può sussistere in merito a due conseguenze intimamente connesse.
La translatio iudicii può operare anche in questo peculiare caso. Ex necesse – e contrariamente a quanto sembrerebbe forse ventilare la stessa Plenaria nel dichiarare il principio di diritto – l’appello non potrà più essere dichiarato inammissibile per difetto di competenza una volta giunto in Sicilia. E ciò per la semplice ragione che una tale pronuncia sarebbe possibile solo a decidere l’appello fosse il Consiglio di Stato con sede in Roma, mentre non lo è più una volta che l’appello sia transitato (e nemmeno importa come) al giudice competente.
Ferma questa conclusione, l’idea che per risolvere la questione assuma valore dirimente la possibilità di configurare il Consiglio di giustizia quale sezione del Consiglio di Stato non sembra del tutto convincente.
Se infatti con questo si volesse dire che trattandosi di rapporto tra sezioni il caso debba necessariamente subire un trattamento giuridico diverso dal caso del difetto di competenza, si verrebbe a dire una cosa se non proprio errata, almeno eccessiva.
La configurazione di un regime del rapporto tra sezioni sensibilmente diverso da quello dei rapporti di competenza, e financo per ipotesi da riguardarsi come un problema di pura specificazione organizzativa, è certo possibile. Ma spetta al legislatore configurarlo come tale[8].
Ebbene nel caso che occupa non sembra proprio che le norme giuridiche rilevanti arrivino a questo esito.
Basti considerare che l’art. 10 del d.lgs. n. 373/2003 stabilisce che “Le questioni inerenti alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa in sede giurisdizionale sono rilevabili anche d'ufficio”. La stessa norma al comma 5 stabilisce che è devoluta all'Adunanza plenaria in composizione integrata “la cognizione dei conflitti di competenza, in sede giurisdizionale, tra il Consiglio di giustizia amministrativa ed il Consiglio di Stato”.
D’altro canto è la stessa Plenaria qui in commento ad affermare che quella del CGARS è una competenza funzionale inderogabile. Stando così le cose, l’idea di ricorrere ad una misura presidenziale organizzatoria quando l’appello non è stato ancora assegnato a sezione ed al trattamento sulla declinatoria di competenza se invece è stato assegnato, non riesce a persuadere del tutto. Ove si tratti di risolvere un dubbio di disciplina, il trattamento processuale, infatti, necessariamente segue (e non precede) al fenomeno nella sua dimensione statica. E se dalle norme emerge che questo fenomeno è di un rapporto di competenza funzionale, il suo trattamento processuale non può essere divaricato a seconda di una contingenza così episodica.
Del resto non sarà del tutto superfluo ricordare che stando all’art. 47 c.p.a. anche in merito al riparto tra diverse sezioni dei TTAARR, il regime processuale della competenza vince sempre sul trattamento del riparto tra sezioni quando la causa spetta ad una data sezione per un criterio che lo stesso legislatore definisce di competenza funzionale inderogabile (art. 14 c.p.a.)[9].
Anzi, l’idea che qui rileva è resa molto bene proprio dal linguaggio che il legislatore adotta al comma 1 dell’art. 47 c.p.a., da cui si comprende che in taluni casi la ripartizione di controversie tra sezioni è da considerarsi “questione di competenza”.
In definitiva, il fatto che il Consiglio di giustizia amministrativa sia una sezione del Consiglio di Stato non è del tutto privo di rilievo, ma va recuperato in una prospettiva diversa da quella eletta in questa occasione dalla Plenaria.
4. Una motivazione alternativa
Per chi conosca la storia della translatio iudicii, viene pressoché spontaneo risolvere in senso favorevole il dubbio sulla possibilità di farne utile applicarne nel caso che occupa.
Nel contesto processuale italiano, la translatio si può dire sia stata, se non proprio inventata, quantomeno imposta grazie a Mortara inizialmente proprio nel campo dell’appello a giudice incompetente, benché con coerenza da Mortara stesso ritenuta applicabile anche al giudizio di primo grado[10].
Non a caso chi scriveva di appello a giudice incompetente appena dopo l’emanazione del nuovo codice di procedura civile non poteva non notare che l’art. 50 stava lì a rafforzare l’orientamento precedente e favorevole alla tesi mortariana[11].
La giurisprudenza civile moderna che ogni tanto devia da quell’antica dottrina è probabilmente influenzata da una lettura superficiale di un noto contributo di Attardi[12]. Attardi infatti giungeva sì a negare l’interferenza tra l’art. 50 c.p.c. e l’appello, ma muovendo dall’idea che l’impugnazione fosse un proseguimento del processo ancora pendente e per la verità già presso il giudice dalla legge investito della funzione di gravame. Ricostruito quindi l’appello come atto di mero impulso processuale, la sua inefficacia se rivolto al giudice sbagliato derivava semplicemente dal fatto che l’atto di mero impulso, per avere un qualche effetto, deve essere inserito in quel dato e preciso processo. Ma Attardi stesso non esitava ad ammettere che concependo invece l’appello come giudizio autonomo si doveva arrivare a tutt’altra conclusione. E d’altro canto l’idea di appiattire l’impugnazione a mero atto di impulso processuale non ha convinto nemmeno i processualcivilisti[13].
Ora, tornando all’invenzione di Mortara occorre ricordare che il ricorso alla meccanica della translatio in fase d’appello nacque da due concomitanti convinzioni che ne spiegano anche il significato più profondo.
Mortara non era persuaso da una soluzione, molto ricorrente nella giurisprudenza dell’epoca, che accordava in questo caso l’interruzione del termine per appellare. Contemporaneamente era però convinto del fatto che l’appello, purchè proposto ad un giudice di grado superiore a quello appellato, fosse in tutto e per tutto un appello valido. Una validità concepita anche in una direzione specifica, come intrinseca attitudine a preservare dalla decadenza. La possibilità di far trasmigrare l’appello al giudice competente purché entro il termine di perenzione si pose allora come una modalità per declinare l’effetto che altra dottrina chiamava conservativo dell’appello a giudice incompetente, come soluzione che surrogava quella dell’interruzione del termine per appellare, al contempo evitando di dover trarre dal concetto di impedimento della decadenza tutto il dovuto[14].
Ed in effetti l’aspetto più intrigante dei moderni approdi della transaltio iudicii, come pure del trattamento recentemente imposto dalla Corte costituzionale in tema di disciplina della nullità della notifica nel processo amministrativo[15], sta proprio in una nota comune che esce da questi episodi di affermazione dell’effetto conservativo del termine di un atto processualmente viziato e che per certi versi recupera questo antico approccio.
La espressa previsione di una sanatoria processuale non è essa stessa la sola ragione dell’effetto dell’atto. È piuttosto l’intrinseca idoneità di esso ad incidere sulla decadenza che, prima o poi, si deve sfogare nella necessaria introduzione, anche solo per via interpretativa, di una sanatoria processuale.
Ma fortunatamente per risolvere il caso riapprodato alla Plenaria non occorre impegnare un tema così complesso.
Già Oriani, all’indomani da Corte cost. n. 77/2007 suggeriva alla giurisprudenza civile di rimeditare l’orientamento inaugurato nel 2005 dalla Cassazione e propenso a non applicare l’art. 50 c.p.c. all’appello[16]. L’avrebbe imposto anche solo il forte richiamo della Corte costituzionale verso una visione del processo, propria dell’insegnamento di Virgilio Andrioli travasato in più di una pronuncia della medesima Corte[17], quale strumento funzionale a stabilire torto e ragione e perciò proteso per quanto possibile verso una pronuncia di merito. Ed è quello che fatalmente è avvenuto con le richiamate Sezioni Unite del 2016 che non hanno mancato di dare grande risalto a questo aspetto.
Ebbene alla luce di tali concomitanti coordinate la vera domanda da porsi è allora se nel processo amministrativo esista una norma che vieti la transaltio tra il Consiglio di Stato ed il Consiglio di giustizia. E poiché tale norma non c’è, mentre certamente esistono disposizioni che disciplinano la translatio per incompetenza in primo grado, l’unico modo corretto per il giudice di condursi secondo Costituzione è quello di adoperarsi privilegiano la via del merito. Nel caso, il percorso per assecondare questa via meno esposto alla critica di un uso disinvolto delle norme processuali esistenti, è proprio quello di fare applicazione alla fase d’appello di quelle stesse disposizioni sulla declinatoria di competenza e successiva translatio nel giudizio avanti al Tar. Poco conta dire se ciò avvenga poi in virtù del c.d. rinvio interno o perché tali norme esprimono un principio generale.
In questo contesto, se proprio si vuole, l’interesse per il fatto esaltato dalla Plenaria che vede nel Consiglio di giustizia una sezione del Consiglio di Stato sta in ciò.
Nessuno potrà sognarsi di dire che l’errore nell’individuazione della sede qui trasmodi in un errore sul mezzo di impugnazione[18]. Appello era, appello rimane.
[1] Contrariamente alla vulgata giurisprudenziale, tale orientamento non sembra però addebitabile alla decisione dell’Adunanza plenaria n. 21/1978. Chi si curi di leggere quella motivazione noterà infatti che la Plenaria nell’occasione si concentrò tutta sul tema della competenza del Consiglio di giustizia a decidere anche gli appelli su sentenze rese dal Tar Sicilia su ricorsi contro provvedimenti emessi da organi centrali dello Stato in materie estranee alla sfera di interessi della Regione. Vero è che chiudendo la decisione, con poche righe la Plenaria riconobbe la scusabilità dell’errore e si premurò di accordare la rimessione in termini affinché l’appello potesse essere riproposto al Consiglio di giustizia amministrativa. Ora, si potrà certo dire che il rimedio della rimessione in termini per errore scusabile presuppone che la translatio non si applichi. Ma addebitare ad una motivazione che decide di accordare la rimessione e nulla argomenta in punto di translatio di essere la capofila di un orientamento negativo quanto alla sua applicazione al caso, pare francamente discutibile. Piuttosto, semmai si può ricordare che nel contesto dell’abrogata legge Tar un quesito come quello che ora si pone sarebbe stato fortemente condizionato dal fatto che la translatio non operava nemmeno in primo grado per i casi di incompetenza c.d. assoluta (o funzionale), come si poteva desumere dall’art. 34, comma 2, l. Tar che per tali ipotesi accordava la rimessione in termini per errore scusabile.
[2] Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2009, n. 4580.
[3] L’altalenare degli orientamenti della cassazione in punto di appello a giudice incompetente è ben ricostruito da Cass., Sez. Un., 14 settembre 2016, n. 18121, dove si ricorda che l’orientamento favorevole all’applicazione della translatio era prevalente fino a Cass., sez. III., 10 marzo 2005, n. 2709, che invece si pose a capofila di un filone propenso a ritenere che l’art. 50 c.p.c. fosse del tutto escluso in materia di appello.
[4] Cass., Sez. Un., n. 18121/2016.
[5] Grazie a Corte cost. n. 77/2007.
[6] Grazie a Corte cost. n. 223/2013.
[7] Nella dottrina del processo civile si tratta di una tesi che vanta autorevoli sostenitori, sebbene declinata con linguaggio non sempre coincidente. Cfr. E. Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1949, II, 1, 82, secondo cui l’individuazione del giudice d’appello pone un tema non di competenza, ma di attribuzioni istituzionali. Di mancanza di giurisdizione si parla invece in M. T. Zanzucchi, Diritto processuale civile, VI ed., Milano, 1964, I, 282; P. D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, 1957, I, 581.
[8] Per inciso il Consiglio di Stato dovrebbe essere più consapevole di altri del fatto che l’essere sezioni dello stesso giudice non basta a decidere la questione. Viene immediato ricordare che nel torno di tempo in cui alla IV ed alla V sezione vennero affidate competenze diverse dalla riforma del 1907, fu proprio il Consiglio di Stato, animato dall’idea che le due sezioni dessero vita a giurisdizioni speciali nettamente distinte, a ritenere – contro l’avviso pressochè unanime della dottrina – che non vi potesse essere alcuna sorta di translatio nel caso di ricorso rivolto alla IV anziché alla V sezione, ma solo rimessione in termini per errore scusabile. In arg. si rilegga F. D’Alessio, Rapporti e conflitti fra le due sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, Milano, 1912.
[9] Per un’analisi dell’art. 47 c.p.a. si veda ora L. Piscitelli, Commento sub art. 47, in Falcon-Cortese-Marchetti, Commentario breve al Codice del processo amministrativo, Padova, 2021, 495 ss.
[10] Per l’origine dell’istituto della translatio, nonché per l’analisi della dottrina di Mortara in argomento, sia consentito richiamare A. Squazzoni, Declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine, Milano, 2013 a cui si fa rinvio anche per gli ulteriori temi qui solo evocati.
[11] V. Andrioli, L’appello avanti a giudice incompetente e l’art. 450 c.p.c., in Giur.it., 1946, I, 2, 241.
[12] A. Attardi, Sulla traslazione del processo dal giudice incompetente a quello competente, in Riv. dir. proc., 1951, 142 ss. in part. 160 ss.
[13] Per una critica alla tesi di Attardi, cfr. G. Tarzia, Opposizione a decreto ingiuntivo davanti a giudice incompetente, in Giur. it., 1963, I, 2, in part. 125 ss.; A. Saletti, La riassunzione del processo civile, Milano, 1981, 75 ss. Favorevoli ad applicare l’art. 50 c.p.c. all’appello, tra altri, E.T. Liebman, Corso di diritto processuale civile, Milano, 1952, n. 139, p. 217; A. Massari, Del regolamento di giurisdizione e di competenza, in E. Allorio (diretto da), Commentario al codice di procedura civile, Torino 1973, I, 609; S. Chiarloni, Appello. I) Diritto processuale civile, Enc. giur., Roma, 1988, II, § 7, p. 4; tra i più recenti, A. Carratta, Incompetenza del giudice d’appello e translatio iudicii: la parola alle sezioni unite, in Giur. it., 2016, 1615 e ss.
[14] In un regime processuale, come quello del c.p.c. del 1865, dove il diritto di appellazione della sentenza, in carenza di notifica, era soggetto a prescrizione, il concetto di impedimento della decadenza tecnicamente inteso (ossia secondo alla regola che poi si esprimerà nell’art.2967 dell’odierno codice civile) se applicato al caso dell’appello a giudice incompetente avrebbe comportato il passaggio dal termine di decadenza a quello prescrizionale. Lo ricorda, nel contesto di una tesi critica agli insegnamenti di Mortara, G. Scaduto, Sugli effetti c.d. conservativi della domanda davanti a giudice incompetente, in Studi di diritto processuale in onore di Chiovenda, Padova, 1927, in part. 747-748. Per ragioni intuibili tale soluzione non trovò riscontro in giurisprudenza (né per il vero in dottrina).
[15] Corte cost. n. 148/2021 annotata da chi scrive in questa Rivista, e con nota di E. Romani, Il regime della rinnovazione delle notificazioni nulle e il declino del principio di autoresponsabilità processuale, in Dir. proc. amm., 2022, 119 e ss.
[16] R. Oriani È possibile la «translatio iudicii» nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, in Foro it., 2007, I, 1013 ss., in part. 1025.
[17] L’affermazione più nitida, come noto, rimonta a Corte cost., n. 220/1986 (rel. Andrioli): “Il giusto processo civile vien celebrato non già per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano - siano esse attori o convenuti - ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell'azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, né deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che ciò si verifichi si deve adoperare il giudice”.
[18] Non è qui il caso di intrattenersi sul tema delle difficoltà di coniugare la tecnica della vera translatio quando l’errore cade sul mezzo di impugnazione. Basti notare che in qualche caso sembra che mezzo e giudice si identifichino. Eclatante e curioso l’esempio fornito da Cass., 16 gennaio 2004, n. 590, in Foro it., Rep. 2004. Contro una sentenza del giudice di pace si propose un preteso ricorso per Cassazione avanti al Tribunale (!) pretendendo poi di riassumerlo rivolgendosi alla Corte di cassazione. Per qualche indicazione sul tema, sia consentito rinviare ancora a A. Squazzoni, Declinatoria, cit., 164 ss.
Cosa si intende quando si parla di soggetto moderno?
Il soggetto moderno è – essenzialmente – un Io desiderante, autocosciente, capace di autodeterminarsi, dotato di autonomia morale, della capacità di scegliere, di fabbricarsi un destino da sé.
Questo Io non si forma subito nella storia.
La stessa parola soggetto rivela qualcosa della sua faticosa emersione nella vita dello spirito, il soggetto è colui che sta sotto, la radice è latina, è il sub-iacere che lo connota alle origini, la storia del soggetto è la storia della sua lenta e poi prorompente emersione.
La storia del diritto moderno è essenzialmente storia di questa emersione.
L’intreccio fra queste dimensioni è illustrato in modo affascinante nel recente e ricchissimo libro di Donato Carusi “Sua maestà legge? Tre secoli di potere, diritto e letteratura”, un docente di diritto civile presso l’Università di Genova convinto che la letteratura sia un “insostituibile fattore di promozione del diritto” come anche è vero – all’inverso - che la vita giuridica è costantemente oggetto di attenzione da parte di poeti e romanzieri (magari per mostrane il lato oscuro) del che il libro dà ampiamente prova.
Gli studi di diritto e letteratura sono parte dei c.d. Critical Studies sorti nell’ambito delle facoltà statunitensi.
Ovviamente la common law – con la sua natura casistico problematica – è terreno d’elezione per l’innesto di cases tratti dalla vita letteraria.
Non solo un movimento di amanti del giallo e di poeti mancati (come argutamente dice Carusi) ma un “sano anche se vago impulso all’interdisciplinarietà”. Si può aggiungere una metodologia di approccio agli studi giuridici tesa a valorizzarne il retroterra basato sugli studi umanistici spesso unica chiave per fare emergere la densità semantica delle parole della legge (parole che hanno sempre dietro una storia e delle speranze come delle concrete sofferenze).
In Gargantua e Pantagruele il giudice Brigliadoca decide le cause gettando i dadi.
Rabelais voleva senz’altro mostrarci la sua sfiducia nella giustizia umana più che nei giudici.
Borges ripeterà la fantasia nella Lotteria di Babele che organizza un principio di giustizia sociale sul gioco della lotteria e sul caso che rovescia le fortune; evidentemente sul presupposto della fallacia di ogni tentativo arrogante di giustizia umana.
L’impossibilità di un giudizio senza misericordia è testimoniata dal passo del Don Chisciotte sul responso di Sancio Pancia giudice in un remoto lembo di mondo, compulsato da un messaggero:
Signore, un largo fiume divideva due province d'un medesimo stato.
Stia bene attenta la Signoria Vostra, perché il caso è di grande importanza e un po' difficile.
Dico dunque che sopra questo fiume c'era un ponte, e in cima a questo ponte una forca e un tribunale, dove di solito stavano quattro giudici, che giudicavano secondo la legge fatta dal padrone del fiume, del ponte e dello stato; la qual legge era cosi formulata:
"Se uno passa su questo ponte da una riva all'altra, deve prima dichiarare con giuramento dove va e quel che va a fare. Se giura il vero, sia lasciato passare, ma se mente, sia impiccato sulla forca qui inalzata senza alcuna remissione".
Conosciuta questa legge e la rigorosa condizione, molti passavano lo stesso, perché dopo che s'era riscontrato che quanto dichiaravano sotto giuramento era perfettamente vero, i giudici li lasciavano passare liberamente.
Ora accadde una volta che un tale, invitato a giurare, giurò e disse:
"Giuro che passo di qui per andare a morire su quella forca laggiù,e non per altra ragione".
I giudici rifletterono a questo giuramento e dissero:
"Se quest'uomo lo lasciamo passare liberamente, ha giurato il falso e secondo la legge deve morire; ma se noi l'appicchiamo, siccome egli ha giurato che passava per andare a morire su quella forca, allora ha detto verità, e secondo la stessa legge, avendo giurato la verità, deve esser lasciato il libero".
Ora, si domanda alla Signoria Vostra, signor governatore, che cosa faranno i giudici di quest'uomo? Poiché essi sono ancora lì, incerti e dubitosi. Siccome son venuti a conoscere l'acuta ed elevata intelligenza della Signoria Vostra, mi hanno inviato a supplicarla da parte loro a voler dare il suo parere in un caso cosi intricato e dubbio.
-Quei signori giudici avrebbero potuto risparmiarsi l'incomodo -rispose Sancio- perché io son uomo più rozzo che fino. Tuttavia, ripetetemi il caso in maniera che lo intenda bene, e chissà che non possa dar nel segno.
L'inviato ripeté un'altra volta e poi un'altra ancora il racconto, e Sancio finalmente disse:
-A parer mio, questo caso si risolve in due battute, e precisamente così. Quell'uomo giura che passa per andare a morire sulla forca, non è vero? E se egli ci muore veramente, avrà detta la verità, e in virtù della legge merita d'esser lasciato libero e di passare il ponte. Ma se non l'appiccano, egli avrà spergiurato e, sempre in virtù della medesima legge, meriterà d'essere appeso alla forca: non è cosi?
-Benissimo- riprese il messaggero. -Ella, signor governatore, ha interamente capito come stanno le cose, e non c'è più alcun dubbio, né più nulla da domandare.
-Ebbene- replicò Sancio -la mia opinione è che, di quell'uomo, la parte che ha detto la verità si debba lasciar passare, e quella che ha mentito sia impiccata. Cosi saranno letteralmente rispettate le condizioni del passaggio.
-Ma, signor governatore- replicò l'altro, allora bisognerebbe dividere quell'uomo in due parti, la sincera e la bugiarda; e se si dividesse davvero, bisognerebbe che morisse per forza; e quindi non si otterrebbe nulla di quello che esige la legge e che deve essere inesorabilmente eseguito.
-O sentite un po', brav'uomo- riprese Sancio -questo passeggero di cui mi parlate, o io sono una bestia, o tanto è giusto che muoia come che viva e passi il ponte. Perché se la verità lo salva, la menzogna lo condanna, e quindi il mio parere è che rispondiate a quei signori che vi hanno mandato, che siccome le ragioni di condanna e di assoluzione qui si bilanciano, lo lascino passare liberamente, perché è sempre meglio far del bene che del male; e questo lo sottoscriverei di mio pugno, se sapessi firmare. Ma, per dire il vero, in questo caso non ho parlato di mia testa; ma m'è tornato in mente un avvertimento che insieme con molti altri mi dette il signor Don Chisciotte la sera avanti che partissi per venire a prendere il governo di quest'isola. E l'avvertimento fu: che quando la giustizia non fosse chiara, mi piegassi e mi appigliassi alla misericordia. Dio ha voluto che in questo momento me ne ricordassi, perché qui l'avvertimento calza come un guanto.
-Oh, sì!- disse il maggiordomo -e per conto mio credo che lo stesso Licurgo, che dette le leggi agli Spartani, non avrebbe potuto dare miglior sentenza di quella che ha data il gran Sancio. E qui per stamani mettiamo fine all'udienza.
Rabelais e Cervantes esprimono bene la diffidenza e l’insofferenza della società medievale al tramonto verso il diritto comune europeo.
Anche Swift usa la sferza:
Dissi che c’era tra noi una categoria di persone educate sin dalla giovinezza nell’arte di dimostrare con parole moltiplicate per lo scopo che il bianco è nero, e il nero è bianco, secondo come erano pagate. Tutto il resto della popolazione è schiavo di questo gruppo.
«Per esempio: se al mio vicino salta in mente di prendersi la mia vacca, assolda un legale per dimostrare la fondatezza delle sue pretese. lo devo allora assoldarne un altro per difendere il mio diritto, perché sarebbe contro ogni norma di legge che a un uomo sia concesso di parlare a propria difesa. Ora, in questo caso, io che sono il giusto proprietario mi trovo di fronte a due grandi svantaggi. Innanzi tutto, essendo il mio avvocato abituato quasi fin dalla culla a difendere la menzogna, egli si trova del tutto fuori del proprio elemento ove voglia essere il difensore della giustizia, che come compito innaturale egli affronta sempre con grande disagio, se non con riluttanza. Il secondo svantaggio consiste nel fatto che il mio legale deve procedere con grande cautela, altrimenti sarà ripreso dai giudici e aborrito dai confratelli come uno che voglia sminuire l’esercizio della legge. E perciò mi restano soltanto due metodi per conservare la mia vacca. Il primo consiste nel comperare l’avvocato del mio avversario con un doppio onorario, e allora egli tradirà il suo cliente insinuando che la giustizia è dalla sua parte. La seconda via consiste, per il mio legale, nel far si che la mia causa appaia quanto più ingiusta possibile, ammettendo che la vacca appartiene al mio avversario; e questo, se abilmente fatto, assicurerà certamente il favore della corte.
Ora, Vostro Onore deve sapere che questi giudici sono persone incaricate di decidere tutte le controversie della proprietà cosi come i processi dei criminali, e sono scelti tra gli avvocati più abili divenuti vecchi o pigri; ed essendo questi stati inclini per tutta la vita ad agire contro la verità e l’equità, si trovano a tal punto nella fatale necessità di favorire la frode, lo spergiuro e l’oppressione, che alcuni di loro da me conosciuti hanno rifiutato una grossa somma dalla parte che era nel giusto pur di non recare ingiuria alla Facoltà facendo una cosa disdicevole alla loro natura e al loro ufficio.»
I giuristi non godono di buona letteratura e gli avvocati ed i giudici di Swift sono i predecessori dell’Azzeccagarbugli dei Promessi Sposi.
Donato Carusi si chiede le ragioni di tanto astio e conclude argutamente che la “storia della letteratura pullula di grandi autori che prima di essere tali furono avviati a studi giuridici” senza entusiasmo, studi abbandonati con un senso di liberazione ( fra questi Balzac, Proust, Kafka e Marquez ).
Può essere che vi siano ragioni biografiche dell’astio, anche ricorrenti.
Ma il punto è – lo ammette anche Donati - che il diritto nasce per limitare il potere ma spesso si trasforma nel suo strumento.
Questa ambiguità costitutiva del diritto deve essere presente alla coscienza dei giuristi perché essi possano svolgere il loro lavoro con qualche antidoto, a garanzia dell’autodeterminazione del soggetto moderno e non della sua oppressione.
Un errore da non compiere assolutamente è poi pensare che il diritto sia il centro del mondo.
Mentre il diritto si comprende bene quando non si è solo giuristi ma anche un po' filosofi, letterati, sociologi, economisti e perfino un po' medici o epistemologi.
L’eclettismo fa bene al giurista purché non sia all’insegna del fai da te ma del confronto con le scienze ed i saperi di ogni epoca.
Il processo amministrativo aperto allo scrutinio della discrezionalità tecnica è una scommessa aperta in questo senso.
Né può dirsi che il diritto con il suo formalismo sia nemico della cultura.
Ne è anzi uno strumento di essenziale promozione e protezione.
Piuttosto è vero il contrario i giuristi (spesso temperamenti pedanti) sono sensibili alla cultura, alla letteratura ed all’arte mentre gli spiriti artistici disdegnano il diritto a sensazione, senza forse nemmeno del tutto conoscerlo (nota Donati e si deve ammettere che ci sia della ragione in questa notazione).
Il diritto ha anche spesso la tentazione di chiudersi nella sua autosufficienza (la dottrina pure del diritto come reazione difensiva in tempi difficili di avvento dei totalitarismi) ma sempre profondo ed ineliminabile è il rapporto fra il diritto e la storia (come crocianamente fra la storia e l’arte e quindi alla fine fra diritto ed arte). Tutto ciò Kelsen lo sapeva assai meglio di certi kelseniani di vedute ristrette.
Kelsen infatti scrive su Dante Alighieri per andare a fondo nello studio delle origini dello Stato.
E tanto questo è vero che sino ad oggi questo rapporto non si è perso : Calamandrei, Betti, Pugliatti, Cordero, Rescigno e Zagrebelsky sono maestri radicati nell’umanesimo che costituisce la prima radice degli studi giuridici.
A parte sta Salvatore Satta che ha tenuto insieme il diritto e l’arte del romanziere, non senza che la seconda forse ne soffrisse per emergere ed essere riconosciuta quasi che al giurista a tutto tondo non convegna essere anche un artista.
Ma certamente questo nesso fra il diritto e la letteratura serve a promuovere la coscienza della centralità del Soggetto moderno come uomo che anela alla bellezza ed alla felicità attraverso istituzioni decenti.
Inoltre il mantenimento di tale nesso può far conoscere il diritto praticato in altri tempi o in altre società e contesti culturali e geografici, può far sviluppare la fantasia facoltà utile per comprendere cosa sta dietro le “fredde carte” di un processo, ricorda perennemente cosa sia un principio universale di giustizia, come anelito ed attività adeguata all’uomo (il sabato è per l’uomo non l’uomo per il sabato); ricorda che non esiste una sola idea di giustizia ma tante idee quante società che la coltivano, abituando al pluralismo dei valori ed ad un relativismo non nichilistico.
Ricorda Carusi che ciascuna di queste ragioni per studiare le relazioni fra diritto e letteratura è valida ma a ciascuna possono muoversi obiezioni.
La letteratura nell’occuparsi del diritto non mira a descriverlo fedelmente sicché per questo occorrono storici del diritto o antropologi o sociologi del diritto.
Resta vero che la letteratura stimola la fantasia e che il diritto in ogni branca si giova più o meno intensamente della fantasia (nel diritto criminale si tratterà di ricostruire la scena di un crimine ed all’inquirente giova nel sopralluogo avere fantasia immaginare cosa possa essere accaduto dalle tracce rimaste visibili, perché questo aiuta a individuare anche le tracce più nascoste; al civilista giova fare ipotesi e domande che vadano oltre la narrazione del cliente; all’amministrativista giova ad es. ricostruire gli scenari del potere anche politico che possono ispirare a volte legittimamente a volte no le decisioni amministrative).
Certo anche nel contesto di civil law giova la fantasia che non deve essere mai usata per decampare dal dettato della legge ma piuttosto per ricostruirne i presupposti applicativi con la necessaria finezza.
Si tratta della lecita creatività della giurisprudenza messa spesso sotto accusa dall’illusione metodologica che il diritto possa risolversi nello studio pacificante degli universali.
Un ultimo punto: la letteratura, coltivata nella lettura, porta al buon uso del linguaggio, ci rende confidenti del suo uso onesto ma anche – siamo uomini – del suo uso disonesto.
Anche di questo essere immerso nei giochi linguistici è fatto il Soggetto moderno (Wittgenstein docet con il suo scrivere aforistico letterario tanto apprezzato da George Steiner).
Non si tratta solo di un coltivare un gesto, una esperienza, un fatto estetico, ma, attraverso l’estetica, di compiere un tirocinio morale consistente nella ricerca perenne della abissalità dei significati, dell’insufficienza del linguaggio a cogliere la cosa, in definitiva, del limite del nostro operare nella giustizia umana.
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