Sommario: 1. La vicenda - 2. L’appello avverso le ordinanze rese a definizione di istanze ex art. 116, comma 2, c.p.a. - 3. La disciplina generale dell’accesso agli atti nelle procedure a evidenza pubblica: il “triplice livello di protezione” - 4. I segreti tecnici e commerciali sottratti all’accesso - 5. Il criterio della stretta indispensabilità - 6. Conclusioni.
1. La vicenda
Il Consiglio di Stato è tornato di recente a esprimersi sui casi in cui debba essere consentito l’accesso alla documentazione prodotta da un concorrente nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica, quando il concorrente stesso dichiari che la propria offerta o le giustificazioni rese in sede di verifica dell’anomalia contengono segreti tecnici o commerciali.
L’occasione ci è data da un ricorso avente ad oggetto la gara per l’affidamento di alcuni servizi educativi, assistenziali e di mediazione in favore di alcuni enti locali dell’imolese: la seconda classificata ha formulato istanza di accesso all’offerta tecnica dell’aggiudicataria e la stazione appaltante ha parzialmente rigettato tale richiesta, oscurando quasi integralmente il progetto della prima graduata.
Tale rigetto è stato impugnato, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., dinanzi al T.A.R. Bologna, che – con specifica ordinanza a ciò dedicata – ha accolto l’istanza, non ritenendo comprovata la presenza di segreti tecnici e commerciali ostativi all’esercizio del diritto di accesso.
Il provvedimento del giudice di primo grado è stato poi impugnato avanti il Consiglio di Stato, che ha integralmente confermato la pronuncia del Giudice di prime cure: entrambe le pronunce affermano alcuni importanti principi in tema di accesso agli atti nell’ambito di procedure a evidenza pubblica, su cui vale la pena indugiare.
2. L’appello avverso le ordinanze rese a definizione di istanze ex art. 116, comma 2, c.p.a.
Prima di entrare “nel vivo” della vicenda, è necessario spendere qualche parola su una questione in punto di rito: la possibilità di appellare quei provvedimenti che decidono, separatamente dal merito, le istanze proposte ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.a., esattamente come è avvenuto nel caso qui di interesse.
La questione è stata di recente risolta dall’Adunanza Plenaria in senso affermativo[1].
Come noto, in base all’art. 116, comma 2, c.p.a., “in pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso di cui al comma 1” – ossia quello avanzato “[c]ontro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi” – “può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale … L’istanza è decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio”.
Sul significato da attribuire a tale disposizione si sono formati tre orientamenti: in base al primo, l’ordinanza che conclude il sub-procedimento ex art. 116, co. 2, c.p.a. avrebbe natura decisoria, dato che l’istanza che lo ha originato avrebbe “i tratti di una vera e propria domanda di accesso ai documenti amministrativi”; di conseguenza, tale ordinanza dovrebbe essere autonomamente impugnabile[2]; un secondo orientamento ritiene che l’ordinanza avrebbe natura solamente istruttoria e quindi, come tutti i provvedimenti istruttori, non sarebbe appellabile[3]; un terzo orientamento reputa che la natura dell’ordinanza varierebbe di volta in volta (sarebbe decisoria e appellabile, quando è adottata applicando la normativa in materia di accesso ai documenti “senza passare al vaglio della pertinenza dei documenti in relazione al giudizio in corso”; istruttoria e non impugnabile, quando è adottata avendo riguardo alla rilevanza della documentazione ai fini della decisione)[4].
Sulla base dei criteri di interpretazione letterale, storica, sistematica e conforme a Costituzione l’Adunanza Plenaria ha concluso che l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio abbia sempre valenza decisoria, in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma, e che pertanto debba essere appellabile dinnanzi al Giudice di secondo grado.
Senza dilungarsi troppo sulla questione, non può che condividersi l’opinione di chi, tra i primi a commentare questa pronuncia, ha affermato che la dicotomia tra natura istruttoria e decisoria, che costituisce il fondamento della pronuncia della Plenaria, altro non sia che un “espediente argomentativo” per estendere a questo genere di ordinanze la tutela del doppio grado di giudizio, benché il rimedio dell’impugnazione non sia previsto dal codice del processo[5].
Espediente che si è reso necessario perché il dettato legislativo evidentemente ha inteso concepire l’istanza di cui all’art. 21 della legge T.A.R. e poi dell’art. 116, co. 2, c.p.a. come eminentemente istruttoria.
Andando con ordine, non può fare a meno di notarsi che né la pronuncia della Plenaria né l’ordinanza di rimessione indagano sulla ratio del rimedio in discorso e sulle differenze dello stesso rispetto al ricorso “ordinario” in materia di accesso.
Vale allora la pena fare un passo indietro. Originariamente, l’istituto era concepito in questi termini: in base all’art. 21 della legge T.A.R., se era stato proposto un ricorso, l’impugnativa per lamentare il diniego all’accesso connessa a quel ricorso poteva essere proposta “con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso” e la stessa veniva “decisa con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio”.
Prima che di tale istanza si occupasse il codice del processo amministrativo, tra il 2005 e il 2010 la sua disciplina è stata trasfusa nel comma 5 dell’art. 25 della L. n. 241/1990, con un dettato sostanzialmente analogo a quello dell’art. 21 della legge T.A.R.; indi, è subentrato l’art 116, co. 2, c.p.a., che tuttavia non ha innovato di molto la disciplina: ha meglio esplicitato che la richiesta di accesso deve essere connessa al giudizio pendente, è stata rimossa la precisazione che l’istanza va presentata al presidente ed è stato altresì eliminato il riferimento al fatto che l’ordinanza che decide sull’istanza sia “istruttoria”, disponendosi invece che l’istanza è decisa “con ordinanza separatamente dal giudizio principale, ovvero con la sentenza che definisce il giudizio”.
Il sol fatto che sia stata eliminata la specificazione che l’ordinanza è istruttoria non pare, tuttavia, sufficiente per concludere che essa non lo sia.
Per comprendere la natura del sub-procedimento di cui al secondo comma dell’art. 116, non si deve dimenticare che tanto l’art. 21 che l’art. 116 prevedono una facoltà, non un obbligo in capo al ricorrente: in altre parole, nel momento in cui un provvedimento di diniego all’accesso venga emesso ed esso sia connesso a un ricorso già pendente, il ricorrente può scegliere se proporre un ricorso autonomo ovvero un’istanza incidentale[6].
Le conseguenze dell’una o dell’altra opzione sono di non poco conto: innanzitutto, nel caso in cui venga proposto un ricorso in via ordinaria, il Tribunale avrà l’obbligo di fissare l’udienza di discussione “d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate”; nel caso in cui, invece, il ricorso venisse veicolato attraverso l’istanza ex art. 116, co. 2, c.p.a., non sussisterebbe alcun obbligo in tal senso: conferma se ne può trarre dal fatto che la stessa disposizione prevede che la decisione sulla richiesta di accesso possa essere assunta con la sentenza che definisce il merito della causa e pertanto all’esito dell’udienza pubblica di discussione.
Il che conduce a un’altra conseguenza connessa alla scelta di proporre un ricorso di tal fatta in via “incidentale”: lo stesso potrebbe non essere mai deciso, e ciò accadrà tutte le volte in cui il ricorso fosse irricevibile, inammissibile ovvero improcedibile oppure ancora lo stesso dovesse andare perento o venire rinunciato. Insomma, la decisione dell’istanza ex art. 116, co. 2, c.p.a., diversamente da quella proposta in via autonoma, potrebbe essere nella disponibilità del ricorrente[7].
Eventualità che, invece, come si è detto sopra, è impossibile per il ricorso “ordinario” in materia d’accesso, dato che l’udienza di discussione deve essere fissata d’ufficio, e in tempi rapidissimi, caratteristica comune a tutti i giudizi camerali.
Insomma, il ricorrente insoddisfatto dalla risposta dell’amministrazione a una richiesta di accesso, la quale sia “connessa” a un giudizio pendente o di futura instaurazione avanti il T.A.R., ha a sua scelta due rimedi diversi: il ricorso “classico” ovvero il ricorso “incidentale”, i quali seguono due “binari” diversi. Mentre il primo procede in via autonoma, il secondo, essendo funzionale alla definizione del ricorso principale, ne segue le sorti.
Anche dal punto di vista temporale, al proponente l’istanza ex art. 116, co. 2, c.p.a. non è data alcuna garanzia di definizione accelerata o rapida: ma, del resto, ciò non costituisce un problema, atteso il fatto che il soddisfacimento della richiesta di accesso è connesso al ricorso principale.
Tale differenza di regimi – di cui non v’è cenno nella sentenza della Plenaria né nell’ordinanza di rimessione – pare di non poco conto e, al contempo, sembra sufficiente a giustificare una diversità di regimi per i due procedimenti e per l’impugnazione del provvedimento pronunciato all’esito.
Un secondo elemento che si vuole evidenziare è di carattere letterale: il comma 2 dell’art. 116 dequota “il ricorso di cui al comma 1” a “istanza” da depositarsi “presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale”: previsione che si è tradotta, nella prassi, a deposito nel medesimo giudizio cui la richiesta è collegata.
La scelta specifica di qualificare il rimedio giurisdizionale classico del ricorso avverso il diniego quale istanza pare non possa dirsi casuale: l’impugnazione del diniego veicolata attraverso lo speciale meccanismo processuale dell’art. 116, co. 2, c.p.a., anche in ragione della scelta lessicale da parte del legislatore, sembra doversi ritenere una “speciale” richiesta istruttoria al giudice, la quale, senza alcuna urgenza, ben potrà essere definita insieme alle restanti richieste istruttorie all’esito dell’udienza di trattazione del merito.
Quanto fin qui detto, peraltro molto succintamente, probabilmente non supera le perplessità che la Plenaria ha inteso risolvere con la sua sentenza, la maggiore delle quali risiede nel fatto che “l’istanza di accesso proposta nel corso di giudizio ha valenza decisoria, in quanto incide su situazioni giuridiche diverse rispetto a quelle oggetto del giudizio principale, così come avviene nel caso di ricorso proposto in via autonoma”.
È indubitabile che sia così, ma è altrettanto indiscutibile che ciò non possa costituire argomento per giungere alla conclusione dell’autonoma impugnabilità di tali provvedimenti, che per loro natura sono inidonei a passare in giudicato e che pertanto ben potrebbero essere appellati in uno con la sentenza che definirà il merito della vertenza[8]: non fosse altro per il fatto che alla loro autonoma impugnabilità ha rinunciato lo stesso ricorrente, che ha veicolato la sua richiesta con uno specifico strumento processuale che segue le sorti del giudizio principale.
Senza dilungarsi sul tema, che involge una serie di questioni non affrontate nell’ordinanza in commento (anche se implicitamente risolte in senso conforme a quello espresso dalla Plenaria nella sentenza n. 4/2023), pare doversi affermare che la disciplina dell’istanza ex art. 116, co. 2, c.p.a. meriti alcune precisazioni da parte del legislatore, che chiariscano in via definitiva se essa altro non è che una modalità alternativa per promuovere un autonomo ricorso in materia di accesso ovvero se debba essere intesa quale “speciale” istanza istruttoria.
3. La disciplina generale dell’accesso agli atti nelle procedure a evidenza pubblica: il “triplice livello di protezione”
Le due ordinanze in commento prendono le mosse da questo presupposto in punto di fatto: la seconda classificata ha proposto istanza di accesso agli atti, chiedendo, tra l’altro, il rilascio di copia dell’offerta tecnica presentata dall’aggiudicataria; la stazione appaltante ha accolto parzialmente la richiesta di accesso disponendo il diniego rispetto al contenuto integrale dell’offerta, così motivando: “Per quanto riguarda invece l’ostensione dell’offerta tecnica in forma integrale, non si ritiene che questo documento presenti caratteri di stretta indispensabilità in relazione all’esigenza di tutela manifestata dall’istante e che pertanto la compressione del diritto di riservatezza di segreti tecnici e commerciali dell’impresa prima in graduatoria non risulti pienamente giustificato. Non si consente quindi l’accesso a tale documento”. Osserva quindi il Giudice che “nella sostanza, nulla dell’offerta tecnica è stato reso disponibile, con la conseguenza che la seconda classificata non ha alcuna possibilità di comprendere con quali criteri sono stati attribuiti i punteggi alla prima”.
Per comprendere appieno le ragioni del diniego e, soprattutto, le motivazioni che hanno condotto al loro annullamento, è opportuno fare un passo indietro e ricordare, almeno per sommi capi, le specificità della disciplina concernente l’accesso degli atti di gara.
La disposizione di riferimento è l’art. 53 del codice dei contratti pubblici, il quale a sua volta rinvia, per quanto non espressamente previsto dallo stesso codice, agli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990: l’art. 53 non reca infatti una disciplina completa dell’accesso in tale materia, ma pone solo alcune limitazioni, di carattere temporale e di carattere oggettivo.
Quanto al suo ambito di applicazione, l’art. 53 concerne tutte le procedure a evidenza pubblica, nei settori ordinari sia sopra che sotto soglia, così come nei settori speciali, pure con riguardo alle concessioni. Dal punto di vista soggettivo, l’accesso è consentito nei confronti di tutti i soggetti aggiudicatori, ossia tutte le stazioni appaltanti, così come tutti i privati soggetti all’applicazione del codice dei contratti pubblici (società a partecipazione pubblica, soggetti privati che fruiscono di finanziamenti pubblici, titolari di permesso di costruire che indicono gare per l’esecuzione di opere di urbanizzazione assunte a scomputo degli oneri di urbanizzazione, enti aggiudicatori nei settori speciali).
Per quel che riguarda i soggetti legittimati all’accesso, un interesse giuridicamente rilevante sussiste, ordinariamente, in capo ai partecipanti alla gara ovvero a chi da essa è stato escluso, o ancora agli operatori economici cui è preclusa la partecipazione.
L’art. 53 detta quindi una disciplina più restrittiva di quella generale, in particolare in base a quel che è previsto all’art. 24, L. n. 241/1990: innanzitutto, dal punto di vista soggettivo, come si è appena detto, è solo il concorrente che ha partecipato alla selezione ad avere diritto all’accesso, e non quindi qualsiasi terzo che possa comunque vantare un interesse differenziato; dal punto di vista oggettivo, il codice dei contratti pubblici richiede che l’accesso vada consentito a chi possa comprovare un’esigenza di carattere processuale, laddove invece l’art. 24 della L. n. 241/1990 offre un ventaglio più ampio di possibilità, consentendo l’accesso ove necessario per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza preclusioni di sorta.
L’altra particolarità dell’accesso agli atti in materia di appalti è il differimento dell’ostensione: precisamente, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, per avere accesso all’elenco dei soggetti che ne hanno presentato una (nell’ambito di una procedura aperta) ovvero che hanno fatto richiesta di invito o che hanno manifestato il loro interesse (nelle procedure ristrette e negoziate e nelle gare informali); fino all’aggiudicazione, in relazione alle offerte e a tutti gli atti del procedimento di verifica della anomalia dell’offerta.
Lo scopo di tali limitazioni è duplice: da un lato, la tutela della riservatezza dei partecipanti alle procedure di scelta; dall’altro, la salvaguardia della libera concorrenza e della trasparenza delle offerte. Difatti, l’effettività della concorrenza e la genuinità delle offerte potrebbero venire pregiudicate dalla conoscenza, prima della scadenza dei termini per la presentazione delle medesime, dei nominativi degli operatori economici partecipanti.
Altra particolarità dell’accesso agli atti di gara è che ve ne sono alcuni che sono sottratti. Tra questi, i pareri legali acquisiti dagli enti aggiudicatori, le relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; nonché – così come prevede l’art. 53, comma 5, lett. a), “le informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”.
È interessante comprendere ove tale limitazione si collochi rispetto al cosiddetto “triplice livello di protezione dei dati”, così come è stato ricostruito in giurisprudenza[9].
Il primo livello corrisponde alle informazioni non qualificate, ossia quelle che non costituiscono oggetto di una specifica esigenza di riservatezza: in questi casi, l’interesse che legittima l’accesso è quello di cui all’art. 22, comma 1, lett. b), L. n. 241/1990 e deve pertanto essere connotato dai requisiti di immediatezza, concretezza e attualità e corrispondere “ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Come ricordato dalla giurisprudenza, in tal caso “il collegamento tra l’interesse legittimante l’accesso e la situazione giuridica finale si presenta nella forma più blanda”[10], sulla base del fatto che “la tutela giurisdizionale del diritto di accesso assicura all’interessato trasparenza ed imparzialità, indipendentemente dalla lesione, in concreto, da parte della p.a., di una determinata posizione di diritto o interesse legittimo, facente capo alla sua sfera giuridica; difatti l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi è di suo un bene della vita autonomo, meritevole di tutela separatamente dalle posizioni sulle quali abbia poi ad incidere l’attività amministrativa, eventualmente in modo lesivo”[11].
In una fascia intermedia si colloca l’esigenza di protezione connessa, ex art. 24, comma 6, lett. d), L. n. 241/1990, alla salvaguardia degli “interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari” i soggetti cui i documenti oggetto di accesso si riferiscono. In tale ipotesi, il diritto all’accesso supera quello alla segretezza, soltanto se il richiedente dimostri che l’interesse si fonda sulla necessità di “curare o difendere i propri interessi giuridici” ovvero, laddove i documenti contengano dati sensibili e giudiziari, quando l’accesso “sia strettamente indispensabile”[12].
Si ha infine il terzo livello di protezione, così come regolato dall’art. 53, comma 5, lett. a), del codice dei contratti pubblici: ai cosiddetti “segreti tecnici e commerciali” il concorrente può accedere solo ove agisca “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”. Di questo terzo livello ci si deve ora occupare.
4. I segreti tecnici e commerciali sottratti all’accesso
Il fondamento di tale previsione si rinviene nell’art. 21 della direttiva UE 2014/24, ove si può leggere che “l’amministrazione aggiudicatrice non rivela informazioni comunicate dagli operatori economici e da essi considerate riservate, compresi anche, ma non esclusivamente, segreti tecnici o commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte”, salvo che non sia altrimenti previsto nella legislazione nazionale.
La previsione si caratterizza per essere una forte limitazione all’accesso agli atti, tesa a far fronte a un’esigenza specifica: escludere dall’ostensione tutta quella documentazione suscettibile di rivelare il know-how industriale e commerciale contenuto nelle offerte delle imprese partecipanti. Così facendo, operatori economici in diretta concorrenza tra loro non possono giovarsi delle specifiche conoscenze possedute da altri al fine di conseguire un indebito vantaggio commerciale all’interno del mercato.
La documentazione in discorso può essere esclusa dall’ostensione solo se l’impresa cui le informazioni si riferiscono ha fornito motivata dichiarazione che effettivamente vi siano delle informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali; in caso di mancata dichiarazione, l’accesso andrà consentito, senza quindi alcun obbligo da parte dell’amministrazione di svolgere un controllo autonomo su ciò che sarebbe idoneo a rivelare il know how dell’operatore economico[13]: la dichiarazione di segretezza è richiesta perché l’esclusione dall’accesso è posta a tutela di interessi privati, non pubblici. Il fatto che la dichiarazione debba essere “comprovata e motivata” comporta implicitamente che l’amministrazione possa consentire l’accesso quando non condivida la motivazione addotta o comunque quando le ragioni non appaiano manifestamente infondate[14].
Vi è un ulteriore precisazione da fare. Si ritiene che la tutela del segreto tecnico-commerciale non possa essere opposta per la prima volta in sede di opposizione all’istanza di accesso, dovendo tale indicazione essere oggetto di esplicita dichiarazione in sede di offerta[15]. Tale conclusione si desume, sul piano letterale, dal fatto che la lettera a) del comma 5 discorre di “informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte” e, in senso ancora più decisivo, dal fatto che la “dichiarazione” va resa “dall’offerente”. Sul piano, poi, della ragionevolezza interpretativa, si ritiene che tale indicazione non possa costituire un impedimento frapposto ex post dall’aggiudicatario, a tutela della posizione conseguita.
Ciò detto, è importante chiarire cosa si intenda per segreti tecnici e commerciali: né la direttiva europea 2014/24, né il codice dei contratti pubblici (nemmeno l’abrogato “codice appalti” del 2006) forniscono una definizione. Si dovrebbe dunque inferire che l’amministrazione goda di una discrezionalità piena nel valutare ciò che costituisce segreto tutelabile con la mancata ostensione e ciò che non lo è[16].
La giurisprudenza, nel ricostruire la ratio legis, ha fissato dei veri e propri canoni: si ritiene che debba essere esclusa dall’ostensibilità “quella parte dell’offerta o delle giustificazioni della anomalia che riguardano le specifiche e riservate capacità tecnico-industriali o in genere gestionali proprie dell’impresa in gara (il know how), vale a dire l’insieme del «saper fare» e delle competenze ed esperienze, originali e tendenzialmente riservate, maturate ed acquisite nell’esercizio professionale dell’attività industriale e commerciale e che concorre a definire e qualificare la specifica competitività dell’impresa nel mercato aperto alla concorrenza”[17].
Vi è anche una certa giurisprudenza più restrittiva, per cui l’amministrazione sarebbe vincolata a quanto dispone sul punto il codice della proprietà industriale[18]. Appartiene a questo filone anche l’ordinanza del T.A.R. Bologna in commento, ove si può leggere che, “pur nella discrezionalità concessa all’amministrazione, nel valutare la effettiva sussistenza di un segreto tecnico-commerciale, l’amministrazione non può discostarsi dalla definizione normativa contenuta nel Codice della proprietà Industriale”.
Ebbene, la disposizione di riferimento è l’art. 98, in base al quale i segreti commerciali sono tutte le informazioni aziendali, commerciali, le esperienze tecnico-industriali, che sono segrete, rilevanti dal punto di vista economico e che sono soggette, da parte del legittimo detentore, a misure di protezione ragionevolmente adeguate perché ne sia mantenuta la segretezza[19].
Su questa specifica tematica, l’ordinanza pronuncia del T.A.R. Bologna e il principio ivi espresso non paiono condivisibili, non rintracciandosi alcuna ragione che fondi l’obbligo di applicare una disciplina più restrittiva, quale è quella contenuta nell’art. 98 del codice della proprietà industriale, rispetto a una definizione di maggior ampiezza che include nel concetto di segreto tecnico-industriale il patrimonio esperienziale accumulato da un’impresa, frutto della sua originalità e che non è di dominio pubblico.
È comunque indiscusso che nella definizione di segreti tecnici o commerciali non può ricadere qualsiasi elemento di originalità dei profili tecnici e qualitativi del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, idee e soluzioni differenti da proporre al committente. Ne consegue che la “qualifica di segreto tecnico o commerciale deve … essere riservata a elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti, e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza”[20].
Tuttavia, come ricordano le due ordinanze qui annotate, il divieto di accesso non è assoluto: come previsto dal comma 6 dell’art. 53, proprio in relazione alle informazioni contenenti segreti tecnici e commerciali e per ciò segretate, “è consentito l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”.
La norma sembra codificare l’esito del bilanciamento tra diritto alla segretezza e diritto all’accesso difensivo a favore del secondo classificato (a patto, ovviamente, che quest’ultimo abbia proposto la sua richiesta perché intenzionato a impugnare atti della procedura di affidamento per ottenerne l’annullamento o, comunque, a fini risarcitori, anche in via autonoma)[21].
In questi termini, si esprime in modo cristallino l’ordinanza del T.A.R. Bologna in commento: “Nello specifico caso in cui sia il «concorrente che ha partecipato alla gara» … a presentare l’istanza a fini difensivi, il bilanciamento tra accesso difensivo e tutela del segreto tecnico-commerciale è stato … risolto a monte dal legislatore che ha … riconosciuto la prevalenza della prima esigenza”.
Il Giudice di primo grado va oltre e trae, dal combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 53, un corollario di non poco spessore: “l’unica ragione che può essere opposta all’accesso è, ad avviso del Collegio, che l’amministrazione fornisca una esauriente motivazione sul fatto che, contrariamente a quanto affermato dall’istante, l’istanza di accesso non sia proposta dal «concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto»”.
Insomma, l’amministrazione, una volta verificata la veridicità (o la verosimiglianza?) delle finalità sottese alla richiesta d’accesso, non potrebbe opporre all’istante l’esistenza di alcun segreto tecnico e dovrebbe ostendere l’offerta per intero.
Benché la pronuncia del Consiglio di Stato sull’impugnazione avverso questa ordinanza sia di conferma piena, il Giudice di secondo grado, a una lettura attenta, afferma però qualcosa di diverso: il Collegio d’appello, infatti, dà applicazione al criterio della “stretta indispensabilità” per cui non è sufficiente affermare di aver impugnato l’aggiudicazione (o altro provvedimento inerente la gara) ovvero di essere in procinto di farlo per avere diritto all’accesso all’offerta tecnica di uno o più dei concorrenti, segreti tecnico-commerciali inclusi. È necessario infatti che si sia dimostrato che la documentazione rivelante il know-how sia “strettamente indispensabile” ai fini dell’esercizio della tutela in sede giudiziale: diversamente, alla stessa non vi è diritto all’accesso.
A comprova di ciò, si legga questo estratto dell’ordinanza del Consiglio di Stato in commento: la “mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale non legittima l’accesso, che sarebbe meramente esplorativo, a informazioni riservate, perché difetterebbe la dimostrazione della specifica e concreta indispensabilità a fini di giustizia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64); in questo caso, la differenza di punteggio complessivo tra la prima e la seconda classificata è di 3,29 punti ed è pacifico che vi sia l’interesse a comprendere le modalità di attribuzione dei punteggi dell’offerta tecnica”.
Ben diverso da quel che afferma il T.A.R. Bologna, convinto che l’istanza di accesso possa essere rigettata solo se non sia proposta dal “«concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto»”.
5. Il criterio della stretta indispensabilità
Come si è anticipato, il provvedimento del T.A.R. Bologna e del Consiglio di Stato qui in commento sembrano affermare due concetti distanti. Per comprendere se effettivamente sono tali è bene approfondire quale significato abbia il criterio della “stretta indispensabilità”, per cui, al fine di esercitare il diritto di accesso con riguardo a informazioni contenute nell’offerta tecnica o nelle giustificazioni rese in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta che riportino eventuali segreti tecnici o commerciali, è necessario dimostrare “la concreta necessità (da riguardarsi, restrittivamente, in termini di stretta indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio”[22], non potendo quindi ritenersi sufficiente la mera intenzione di verificare e sondare l’eventuale opportunità di proporre ricorso giurisdizionale.
Si deve partire dal principio affermato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 4 del 2021: “a) in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare; b) la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”[23].
All’interno di questa cornice (per cui, da un lato, non è sufficiente addurre generiche esigenze difensive e, dall’altro, non è possibile negare l’accesso perché all’apparenza il documento parrebbe non rilevante ai fini del giudizio) l’indispensabilità conoscitiva si dimostra essere lo “snodo strumentale indefettibile per il concreto esercizio delle prerogative di difesa, nel senso che, a fronte di dati dell'offerta tecnica presidiati da segreti industriali e commerciali, si rivela essenziale dimostrare non già un generico interesse alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti quanto, piuttosto, la «stretta indispensabilità» della ridetta documentazione per apprestare determinate difese all'interno di in uno specifico giudizio”[24].
In altre parole, la parte interessata ha l’onere “di dimostrare in modo intelligibile il collegamento necessario fra la documentazione richiesta e le proprie difese. E tanto, come evidenziato in diverse occasioni dalla giurisprudenza amministrativa, attraverso una sia pur minima indicazione delle «deduzioni difensive potenzialmente esplicabili». In questo quadro l'onere della prova del suddetto nesso di strumentalità incombe – secondo il consueto criterio di riparto – su colui che agisce, ossia sul ricorrente (in sede procedimentale, il richiedente l'accesso agli atti); in assenza di tale dimostrazione circa la «stretta indispensabilità» della richiesta documentazione, la domanda di accesso finisce per tradursi nel tentativo «meramente esplorativo» di conoscere tutta la documentazione versata agli atti di gara, come tale inammissibile”[25].
È utile allora comprendere quando tale onere venga considerato assolto.
In un recente caso deciso dal T.A.R. Veneto, in cui l’amministrazione aveva rigettato l’istanza di accesso alle parti dell’offerta tecnica oscurate, è stato affermato che il diniego “non poteva … trovare giustificazione nella genericità dell’istanza, dovuta all’impossibilità di poter ulteriormente circostanziare le proprie esigenze di difesa in un momento in cui la richiedente l’accesso non conosceva il contenuto dell’offerta dell’aggiudicatario e, quindi, non solo gli aspetti tecnici della stessa, ma nemmeno l’opposizione all’accesso già formulata in quell’occasione rispetto a specifiche parti di essa. La stazione appaltante avrebbe, pertanto, dovuto considerare che la società ricorrente, avendo partecipato alla procedura competitiva e intendendo contestare i punteggi attribuiti alla propria offerta, aveva la necessità, per poter svolgere le proprie difese, di conoscere gli elementi sui quali la commissione giudicatrice ha svolto le proprie valutazioni ritenendo di premiare l’offerta dell’aggiudicatario”[26].
Similmente, nel caso affrontato dalle due ordinanze in commento, in cui l’offerta tecnica risultava per la maggior parte oscurata, tale onere è stato considerato assolto per il sol fatto che l’istanza è stata presentata dal “concorrente che ha partecipato alla gara” e non da un qualsiasi “operatore economico concorrente nel mercato”.
Nel caso in cui, invece, l’offerta tecnica sia in parte conoscibile e venga in parte ostesa, l’onere diventa più stringente. La stretta indispensabilità, infatti, è un “concetto che, pur dovendo essere declinato «in concreto», sconta l’inevitabile carattere «relativo» del momento nel quale viene avanzata la richiesta di accesso, e della documentazione della quale il ricorrente si trova già in possesso”[27].
Detto con altre parole: “quanto più l’interessato abbia già a disposizione documentazione di gara e quanto più la sua «proiezione giudiziale» si sia fatta concreta attraverso la proposizione di un ricorso avverso gli atti della procedura, tanto più stringente dovrà essere la deduzione e la prova della indispensabilità, ma, allo stesso modo, tanto più chiaramente l’interprete potrà avere contezza di quello stretto collegamento (o nesso di strumentalità necessaria) che deve ricorrere tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa per ammettere integralmente l’accesso anche a documenti contenenti segreti tecnici e commerciali”[28].
Insomma, nel momento in cui l’amministrazione chiarisce che l’offerta tecnica della controinteressata verrà resa accessibile con parti oscurate secondo la “dichiarazione sulla riservatezza dell’offerta tecnica”, non è più sufficiente invocare la propria qualifica di concorrente, di secondo classificato ovvero di ricorrente in giudizio per ottenere pieno accesso: sarà invece necessario esplicitare le ragioni che rendono indispensabile, ai fini della propria difesa in giudizio, l’accesso integrale ovvero in termini maggiori rispetto a quelli effettivamente concessi[29]. Tale onere potrà essere assolto in modo “progressivo”, “in corrispondenza con la parimenti progressiva e parziale consegna da parte della P.a. della documentazione richiesta”.
6. Conclusioni
Appare evidente che l’onere della prova che grava sul richiedente accesso a quella parte dell’offerta tecnica o delle giustificazioni rese in sede di verifica dell’anomalia che contengono segreti tecnico-commerciali è stato variamente risolto dalla giurisprudenza.
Sulla base di un primo orientamento, cui appartiene l’ordinanza del T.A.R. Bologna qui in commento, da reputarsi il più estensivo in materia, se a presentare l’istanza di accesso è un concorrente che ha partecipato alla gara e motiva la sua richiesta in relazione alla esigenza di difesa in giudizio dei propri interessi, l’unica ragione che potrebbe opporre l’amministrazione è che tale dichiarazione non corrisponda al vero, ossia che la richiesta “non sia proposta dal «concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto»”. Diversamente, per il sol fatto di aver partecipato alla gara e di avere l’esigenza di tutelare i propri interessi, nessun segreto tecnico può essere addotto[30].
All’estremo opposto si collocano quelle pronunce che invece esigono un quid pluris rispetto alla mera intenzione di contestare l’aggiudicazione, dovendo l’istanza di accesso contenere almeno un accenno alla strumentalità della chiesta documentazione tecnica rispetto alle esigenze difensive e una sia pur minima indicazione delle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili: a questo “filone” si può ricondurre l’ordinanza del Consiglio di Stato qui annotata.
In una posizione intermedia si colloca invece quell’orientamento per cui non è sufficiente dimostrare la propria qualifica di concorrente alla gara che voglia difendersi in giudizio, ma è invece necessario ottemperare all’onere di provare la stretta indispensabilità della documentazione richiesta proporzionalmente a quanto già è stato osteso. Più precisamente, sia l’amministrazione che il giudice sono chiamati a valutare come, nel corso del tempo e dell’eventuale giudizio, il concorrente sia stato in grado di progressivamente specificare la necessità di avere accesso a quella parte della documentazione che è oscurata.
Ad avviso di chi scrive, quest’ultima tesi appare la più convincente, benché necessiti di una precisazione. Essa ha il pregio di non richiedere una probatio diabolica al concorrente, per il quale potrebbe essere impossibile fornire anche quella minima indicazione dei propri motivi di ricorso, se l’offerta tecnica gli è stata sostanzialmente oscurata per intero; ciò che è esigibile dall’operatore economico, invece, è esattamente – e solamente – ciò che egli può fornire: se l’aggiudicatario ha affermato che l’intera offerta contiene segreti tecnico-commerciali, ben sarà sufficiente che l’istante dichiari l’esigenza di voler contestare il punteggio attribuito dalla commissione per ottenere pieno accesso[31]. Se, invece, sono solo alcune porzioni dell’offerta a non venire ostese, allora l’onere da assolvere sarà maggiore e al richiedente si domanderà di dimostrare perché proprio quella tal parte gli è necessaria. Si potrebbe opporre che, alla vista di un paragrafo oscurato, sia impossibile assolvere tale onere: il che è condivisibile.
La tesi in discorso, pertanto, richiede effettivamente un correttivo: è necessario che la stazione appaltante conceda all’istante “accesso al contenuto essenziale delle … informazioni” oscurate, così come di recente stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[32]. Se la stazione appaltante si attiene a tale prescrizione, certamente si evita il rischio di ledere il diritto dell’istante a un ricorso effettivo e, al contempo, si può esigere che egli integri – progressivamente – la propria richiesta di accesso in ordine all’indispensabilità della documentazione richiesta.
Tale conclusione si palesa in linea con il dettato del comma 6 dell’art. 53. È indubbio che la norma, nel momento in cui chiede di dimostrare che la documentazione è stata richiesta “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”, non impone semplicemente – come, invece, ritiene il T.A.R. Bologna nell’ordinanza in commento – di dichiarare di avere questa intenzione e di essere un concorrente della gara: è evidente, infatti, che un onere di tal contenuto sarebbe sostanzialmente privo di contenuto, essendo sempre ottemperabile[33], e pare concreto il rischio di concedere accesso anche tutti coloro che vogliano fare un uso emulativo di questo diritto, unicamente per giovarsi di specifiche conoscenze industriali o commerciali acquisite e detenute da altri concorrenti.
Sulla base di questa ricostruzione, pertanto, è auspicabile che si instauri un “dialogo” tra l’istante e l’amministrazione, laddove il primo specifica le proprie esigenze in modo progressivo, aggiungendo ulteriori dettagli relativi alla stretta indispensabilità della documentazione, man mano che la stessa viene ostesa, anche a mezzo di sintetici riferimenti al suo contenuto[34].
Resta, tuttavia, un problema, di natura strettamente processuale: il Giudice si troverà a decidere dell’ostensione (o meno) di parti dell’offerta tecnica contenenti segreti tecnico-commerciali, senza poter effettivamente verificare se esse riportino informazioni meritevoli di protezione.
Mentre, infatti, l’amministrazione è nella posizione di valutare se, ai fini della difesa e delle esigenze prospettate dal ricorrente, la parte dell’offerta di cui è stato chiesto l’oscuramento abbia una rilevanza e sia funzionale agli interessi del richiedente e, soprattutto, contenga veramente segreti tecnico-commerciali, il giudice si trova nella medesima posizione del concorrente pretermesso dall’accesso. Non a caso, nella maggioranza dei casi affrontati dalla giurisprudenza, la decisione è nel senso di concedere ostensione all’intera offerta ovvero di negarla in toto, essendo alquanto arduo, per non dire impossibile, per il giudice distinguere tra le varie porzioni della documentazione che sono oscurate, non potendone conoscere il contenuto[35].
L’unica soluzione a questo problema è la cosiddetta “istruttoria riservata”, che consente al giudice – e solo al giudice – di conoscere per intero la documentazione, anche nella parte oscurata. Tale possibilità, tuttavia, nota in giurisprudenza, anche se sperimentata di rado[36], non è stata adottata dal nuovo codice dei contratti pubblici, perdendo così un’occasione per consentire una delibazione consapevole da parte dell’organo giudicante su aspetti così delicati, quali la conoscenza dell’offerta tecnica e dei giustificativi da parte degli operatori economici.
[1] Ci si riferisce alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del 24 gennaio 2023, n. 4, commentata su questa Rivista: cfr. C. Napolitano, Sull’appellabilità dell’ordinanza pronunciata sulla richiesta di accesso documentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2023, n. 4).
[2] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2019, n. 3936; Cons. Stato, Sez. V, 21 maggio 2018, n. 3028. Tale ricostruzione – ricorda la Plenaria – “valorizza la previsione che impone la notificazione dell’istanza all’Amministrazione e ai controinteressati. Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, si applica integralmente la disciplina dell’accesso, anche per quanto attiene alla portata dell’accesso difensivo, nel senso che la documentazione può essere rilasciata «senza verificare la concreta pertinenza degli atti con l’oggetto della controversia principale … ii) sul piano processuale, l’ordinanza è autonomamente impugnabile con ricorso al Consiglio di Stato ed è suscettibile di esecuzione coattiva con la proposizione del ricorso per ottemperanza”.
[3] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1878; nonché Cons. Stato, Sez. III, 21 ottobre 2015, n. 806, e Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2013, n. 3579. Come ricorda la Plenaria, “tale ricostruzione valorizza il riferimento, contenuto nell’art. 116, alla «connessione» dell’istanza con il giudizio in corso, che presuppone sempre un rapporto di «strumentalità in senso stretto» della documentazione richiesta per la definizione del giudizio principale e tiene conto dell’esigenza di evitare il «rischio di impugnazioni autonome su ordinanze istruttorie che in seguito potrebbero rivelarsi comunque superflue, qualora l’esito del giudizio di primo grado fosse favorevole a prescindere». … Essa comporta che: i) sul piano sostanziale, non si applica la disciplina dell’accesso; ii) sul piano processuale, si applica il regime delle ordinanze istruttorie, con esclusione della loro appellabilità, con la possibilità della loro modifica e revoca da parte del giudice che le ha adottate (art. 177 cod. proc. civ. e art. 39 cod. proc. amm.) e con la possibilità, in caso di mancata esecuzione, di trarre argomenti di prova dal comportamento dell’amministrazione (art. 64, comma 4, cod. proc. amm.)”.
[4] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 agosto 2020, n. 5036; si v. anche Cons. Stato, Sez. III, 7 ottobre 2020, n. 5944; Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5765; Cons. Stato, Sez. III, 25 giugno 2010, n. 4068
[5] Cfr. ancora C. Napolitano, Sull’appellabilità dell’ordinanza pronunciata sulla richiesta di accesso documentale ex art. 116, co. 2, c.p.a. (nota a Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2023, n. 4), in questa Rivista.
[6] Non fosse altro per il fatto che l’art. 116, co. 2, c.p.a. certo non consente di derogare alle regole sulla competenza del Giudice, a meno di non voler considerare il provvedimento di diniego all’accesso quale “atto presupposto” rispetto al provvedimento impugnato col ricorso “principale”: per il che – come afferma, non condivisibilmente, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III Quater, ord. 17 aprile 2023, n. 6581 – potrebbe trovare applicazione il comma 4-bis dell’art. 13 c.p.a. e quindi aversi uno spostamento della competenza avanti il medesimo giudice, ossia quello competente a conoscere del ricorso “principale”, in ossequio ai principi di economicità, satisfattività, effettività della tutela e ragionevolezza rispetto all’esigenza di congiunta trattazione manifestata dal legislatore con la disposizione testé citata.
[7] Sfugge alla disponibilità del ricorrente solo nel caso in cui il T.A.R. decida di fissare una camera di consiglio per la sola trattazione dell’istanza ex art. 116, co. 2, c.p.a.
[8] Sembra che il primo provvedimento che si è espresso per l’inammissibilità dell’appello contro l’ordinanza con cui il T.A.R. ha deciso l’impugnativa avverso il diniego di accesso ai documenti sia Cons. Stato, Sez. VI, ord. 22 gennaio 2002, n. 403, in Il Foro Amministrativo – Consiglio di Stato, I, 2002, 179, commentata da Anna Romano. Il Consiglio di Stato svolge un ragionamento ineccepibile: l’impugnativa per conseguire l’accesso agli atti non può considerarsi autonoma, ma strumentale alle esigenze difensive del giudizio in corso. Infatti, il giudizio cui è chiamato il Giudice di primo grado deve basarsi sul presupposto della acclarata esigenza dei documenti ai fini della decisione, non sulla sola riscontrata sussistenza delle condizioni di cui alla L. n. 241/1990.
[9] Così Cons. Stato, Sez. III, ord. 7 febbraio 2023, n. 1321.
[10] Così Cons. Stato n. 1321/2023 cit.
[11] Così Cons. Stato, Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930.
[12] Resta ovviamente ferma la previsione di cui al comma 7 dell’art. 24, per cui “in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”, l’accesso è consentito “nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
[13] Cfr. R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Bologna, 2017, 1268.
[14] Sulla questione si veda L. Minervini, Accesso agli atti e procedure di affidamento ed esecuzione di contratti pubblici, Foro Amm., 5, 2019, 949 ss.
[15] Cfr. R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici cit., 1269.
[16] Fermo, ovviamente, quanto affermato dalla Corte di Giustizia Europea, con la pronuncia della Sez. IV del 17 novembre 2022, ove è stato chiarito che “l’amministrazione aggiudicatrice non può essere vincolata dalla semplice affermazione di un operatore economico secondo la quale le informazioni trasmesse sono riservate, ma deve esigere che tale operatore dimostri la natura realmente riservata delle informazioni alla cui divulgazione esso si oppone (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2021, Klaipėdos regiono atliekų tvarkymo centras, C-927/19, EU:C:2021:700, punto 117)”. Sul tema si veda anche C.G.U.E., Grande Sezione, 7 settembre 2021, causa C-927/19, per cui “un’amministrazione aggiudicatrice, alla quale un operatore economico abbia presentato una richiesta di accesso alle informazioni riservate contenute nell’offerta del concorrente aggiudicatario, non è tenuta a comunicare tali elementi qualora la loro trasmissione comporti una violazione delle norme del diritto dell’Unione relative alla tutela delle informazioni riservate e, qualora rifiuti di trasmettere tali informazioni, l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a effettuare un bilanciamento tra il diritto del richiedente a una buona amministrazione e il diritto del concorrente alla tutela delle sue informazioni riservate in modo che la sua decisione di rifiuto siano motivate e il diritto ad un ricorso efficace di cui beneficia un offerente escluso non venga privato di effetto utile”; cfr. A. Magliari, Diritto di accesso agli atti di gara e tutela della riservatezza, in Giornale di diritto amministrativo, 1, 2022, 79 ss.; si veda anche S. Vitali, Trasparenza amministrativa ed accesso agli atti riservati nelle procedure ad evidenza pubblica, in Urb. App., 1, 2022, 41 ss.
[17] Così Cons. Stato, Sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64.
[18] Da ultimo, si veda T.A.R. Lazio, Roma, 26 settembre 2022, n. 12156; si veda anche Cons. Stato n. 64/2020 cit., ove si può leggere quanto segue: “nella definizione di segreti tecnici o commerciali non può ricadere qualsiasi elemento di originalità dello schema tecnico del servizio offerto, perché è del tutto fisiologico che ogni imprenditore abbia una specifica organizzazione, propri contatti commerciali, e idee differenti da applicare alle esigenze della clientela. La qualifica di segreto tecnico o commerciale deve invece essere riservata a elaborazioni e studi ulteriori, di carattere specialistico, che trovano applicazione in una serie indeterminata di appalti, e sono in grado di differenziare il valore del servizio offerto solo a condizione che i concorrenti non ne vengano mai a conoscenza (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 24/02/2020, n. 270)”.
[19] Le informazioni tecniche oggetto di tutela possono riferirsi sia a procedimenti che prodotti, siano essi brevettabili o meno; tra le informazioni non tecniche proteggibili vi sono le liste clienti e, tra quelle amministrative, tutta la documentazione relativa alla certificazione di qualità, così come le procedure attinenti all’amministrazione interna dell’azienda; sono inoltre da ritenersi tutelabili i risultati ottenuti in via automatica attraverso processi di intelligenza artificiale. Sulla questione, si veda, ex multis, Commento all’art. 98 in L.C. Umbertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, 2019, 603-605. In giurisprudenza, da ultimo, si veda T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 13 giugno 2022, n. 598. In linea con questa definizione è anche la più recente giurisprudenza eurounitaria: cfr. C.G.U.E., Sez. IV, 17 novembre 2022, causa C 54/21, per cui “l'amministrazione aggiudicatrice deve, al fine di decidere se rifiutare, a un offerente la cui offerta ammissibile sia stata respinta, l'accesso alle informazioni presentate dagli altri offerenti in merito alla loro esperienza pertinente e alle relative referenze, all'identità e alle qualifiche professionali del personale proposto per eseguire l'appalto o dei subappaltatori, nonché alla concezione del progetto la cui realizzazione è prevista nell'ambito dell'appalto e alle modalità di esecuzione di quest'ultimo, valutare se tali informazioni abbiano un valore commerciale che non si limita all'appalto pubblico di cui trattasi, informazioni la cui divulgazione può pregiudicare legittimi interessi commerciali o la concorrenza leale. L'amministrazione aggiudicatrice può, inoltre, rifiutare l'accesso a tali informazioni qualora la divulgazione di queste ultime, ancorché prive di siffatto valore commerciale, ostacoli l'applicazione della legge o sia contraria all'interesse pubblico”.
[20] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. IV, 6 maggio 2022, n. 5714, che richiama T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, n. 9363/2021, e T.A.R. Campania, Salerno, n. 270/2020.
[21] Deve tuttavia precisarsi che l’accesso difensivo non prevale ex se sulla tutela del segreto tecnico o commerciale; ad esempio, quando l’istanza di accesso è fondata su interessi quali il diritto di azione in sede civile nei confronti di soggetti privati per risarcimento danni da concorrenza sleale, per illecito extracontrattuale ovvero per sollecitare l’intervento del giudice penale: tali fattispecie sfuggono infatti alla previsione normativa per cui l’accesso difensivo e gli interessi da tutelare devono inerire la “procedura di affidamento del contratto”. Parimenti la richiesta di esibizione dovrà essere rigettata se essa si basa sull’esigenza di sollecitare poteri di autotutela dell’amministrazione, essendo ciò escluso dalla menzione, al comma 6 dell’art. 53, del fatto che l’accesso deve essere finalizzato alla “difesa in giudizio dei propri interessi”: in questi termini, cfr. R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici cit., 1270.
[22] Così Cons. Stato n. 1321/2013 cit.
[23] Per un primo commento si veda T. Raimo, Le potenzialità probatorie dell’accesso difensivo, in Urb. App., 6, 2021, 791 ss.
[24] Così T.A.R. Veneto, Sez. III, ord. 7 febbraio 2023, n. 1321.
[25] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 20 gennaio 2022, n. 369; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472.
[26] Così T.A.R. Veneto, Sez. III, 19 luglio 2022, n. 1174.
[27] Cfr. T.A.R. Veneto n. 1484/2022.
[28] Cfr. T.A.R. Veneto n. 1484/2022. Sulla questione si veda anche L. Minervini, Accesso agli atti cit., 949 ss.
[29] In questi termini cfr. T.A.R. Veneto, Sez. III, ord. 13 dicembre 2022, n. 1891, confermata da Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2023, n. 3379.
[30] In questi termini si esprime anche V. Mirra, Accesso agli atti di gara e segretezza industriale: una conciliazione impossibile?, in Urb. App., 2, 2020, 181.
[31] Il che, peraltro, ha l’indiretto effetto di scoraggiare richieste di oscuramento ingiustificate ed estese a parti dell’offerta che manifestamente non contengono segreti.
[32] C.G.U.E., Sez. IV, 17 novembre 2022, causa C 54/21, par. 85.
[33] A maggior ragione dopo la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 12 del 12 luglio 2020, che “vieta” i ricorsi “al buio” e consente la proposizione del gravame una volta che si ha avuto accesso alla documentazione rilevante. Insomma, il concorrente non aggiudicatario ben può attendere il riscontro all’accesso, anche oltre i consueti 30 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, per impugnare questo provvedimento.
[34] Sulla questione si veda F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, infederalismi.it, 22 maggio 2019, in particolare a p. 23, ove l’Autore afferma che è “irragionevole pretendere di anteporre il momento della costruzione della strategia difensiva a quello della conoscenza degli elementi necessari per la sua elaborazione”. Parrebbe di potersi ritenere che il temperamento proposto dalla ricostruzione qui sostenuta sia in grado di evitare il rischio di un’inversione logica, oltre che temporale, ossia di dover enucleare i motivi di ricorso, quando essi non sono ancora immaginabili.
[35] Fa eccezione T.A.R. Veneto n. 1174/2022 cit., in cui si apprezza una delibazione da parte del giudice, paragrafo per paragrafo tra quelli oscurati, cui dare accesso.
[36] I casi noti sono pochi: Cons. St., Sez. III, ord. 20 maggio 2021 n. 3897; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, ord. 30 novembre 2010, n. 34; T.A.R. Basilicata, Sez I, ord. 4 ottobre 2013, n. 18.