ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
di Lilli Arbore
Gli uffici giudiziari del lavoro meridionali sono caratterizzati e gravati, da un lato, da un contenzioso previdenziale del tutto proprio e specifico, cioè il lavoro agricolo (avente ad oggetto il riconoscimento delle giornate prestate in agricoltura dai braccianti) e, dall’altro, da numeri elevatissimi, e oggettivamente non del tutto comprensibili, in materia di procedimenti ex art. 445 bis e ss. C.p.c. , ovvero in materia di accertamento tecnico preventivo, di invalidità civile, invalidità INPS e handicap ai sensi della l.104/92.
sommario: 1.Il contenzioso in materia di lavoro agricolo. -2. L’accertamento tecnico preventivo in materia assistenziale
1.Il contenzioso in materia di lavoro agricolo
Con riguardo al lavoro agricolo, che significativamente, ad esempio presso la sezione lavoro di Foggia, rappresenta il trenta per cento delle pendenze, può dirsi oramai ius receptum che il tema centrale sia quello dell’onere probatorio circa l’effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali.
Sul punto, la giurisprudenza, pure di legittimità, ha sperimentato in passato interpretazioni tra loro difficilmente conciliabili, sino a quando le Sezioni unite della Suprema Corte, al fine di comporre il contrasto esistente fra le tesi suddette, sono intervenute nel dibattito e hanno condivisibilmente statuito che: 1. il lavoratore agricolo il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l’onere di provare, mediante l’esibizione di un documento che accerti l’iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2. soltanto a fronte della prova contraria, eventualmente fornita dall’ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell’esistenza dell’iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (Cass, sez. un., 26.10.2000, n. 1133).
A fronte di questo scenario di fondo è ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l'effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell'iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell'iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877).
A maggior ragione, l’onere probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione.
Pertanto in tale contenzioso appare legittima e condivisibile la preoccupazione espressa in ultime pronunce della Corte d’ Appello di Bari che “ In un ambiente operativo e sociale connotato da violazioni di rilevante entità, perché un rapporto disconosciuto dall’INPS venga riabilitato in sede giudiziaria, è necessario che il processo dissipi ogni perplessità circa la sua effettiva esistenza come fatto storico”.
Trattasi di un contenzioso dai numeri abnormi in alcuni territori e letteralmente sconosciuto in altri, che, per la sua delicatezza, ha visto sovente l’ attivazione anche di procedimenti penali, così come reazioni da parte dell’ avvocatura dinnanzi a decisioni sfavorevoli, ciò comportando non poche problematiche, sul piano gestionale ed organizzativo, per le dirigenze degli uffici e per i colleghi addetti alla sua trattazione.
2. L’accertamento tecnico preventivo in materia assistenziale
Gli uffici giudiziari meridionali sono gravati anche da numeri elevatissimi di siffatti ricorsi nella materia assistenziale; tantissime le sopravvenienze, tantissime le definizioni.
Presso la sezione lavoro di Trani, ad esempio, su un carico di controversie previdenziali di quasi 9000 cause, 6000 ed oltre riguardano dette procedure, caratterizzate, per la volontà del legislatore del 2011 che le ha introdotte, da rapidità e quindi da finalità deflattiva.
Numeri sui quali in varie sedi sono state già avviate riflessioni sulla loro natura, sulla loro genesi, nell’assoluta consapevolezza che la fase giudiziale rappresenti solo l’ anello “terminale” di evidenti disfunzioni, se non di patologie, riguardanti ad esempio l’ operato delle Commissioni Invalidi, oltre all’adozione di molteplici prassi virtuose ed organizzative , quali (nel Tribunale di Napoli Nord e in quello di Trani ) l’ adozione di un protocollo per l’ accentramento delle visite peritali in locali “neutri “ messi a disposizione dalle ASL , ovvero , in svariate sedi, l’ adozione di linee guida per siffatti procedimenti condivise con tutti gli operatori ed i soggetti coinvolti.
Nel distretto della Corte d’ Appello di Bari si sta cercando di stimolare delle prassi uniformi tra i tre Tribunali del lavoro del territorio, nell’assoluta consapevolezza di quanto sia importante per l’ avvocatura e per l’ utenza un’uniformità decisionale e gestionale.
Sono tematiche queste,di natura e di impatto certamente sociale, incidenti certamente su diritti di rilevanza costituzionale , che si prestano però alla evidenza di abusi, di distorsioni, se non di vere e proprie creazioni di “sacche“ di illiceità, rispetto alle quali si impone l’ adozione di misure organizzative efficaci, improntate al rigore assoluto, senza ovviamente intendimenti persecutori.
di Dino Petralia
Lacrime sul trucco allo specchio di uno squallido camerino di periferia. Sangue sul trucco in un pulpito urbano, re per una notte per un’orda umana solidale e inneggiante. Inizio e fine di una parodia filmica per un Joker che poco ha di burlesco e tanto invece di dolorosamente reale. Arthur Fleck, figlio psicotico di una madre psicotica che assiste e alimenta, sopravvive mutandosi in clown per attrarre clienti dal marciapiede di un locale commerciale di Gotham City, bat-metropoli isolana e isolata, contaminata dal più becero convenzionalismo dell’accordo sociale tra ricchezza e successo, tra conformismo e morale, dove il rifiuto urbano e umano è ghettizzato perché non attrae; e ridere di perbenistiche banalità è purificante diluizione del brutto. In Arthur, afflitto da una malattia mentale che germoglia su una ferita esistenziale, collidono senza accordo l’onnipotente sogno del bambino e l’adulta realtà sfregiata da una disillusione sociale, cinica e implacabile. Speranza/spettanza, angeli custodi e protettori del sogno, cedono così alla frustrazione di Fleck, rapidamente conducendolo, col concorso miope di un servizio socio-sanitario che gli espropria i buoni farmaci, lungo un itinerario di follia attiva che consentirà solo a Joker di ascendere al podio di una notorietà negata. Un’ascesa, in un’acuta sequenza filmica, destinata a trasfigurarsi nel suo opposto: la discesa danzata dalle scale cittadine. Il miliardario Thomas Wayne e l’anchorman televisivo Murray Franklin, icone ambedue del successo sociale, irridono a loro modo la diversità di Arthur, che al primo aveva chiesto conferma della presunta paternità idealizzata dalla mamma, sua ex collaboratrice, e dal secondo, per un ticchio di risate improprie, era riuscito a strappare una comparsa nel programma della sera. E la canzonano con la violenza di uno sprezzante ripudio (Wayne) e l’egocentrica perfidia di un uso televisivo dell’escluso come occasione plateale di scherno irriverente e patetico (Franklin). Una risata, quella di Arthur, indotta da un male misterioso, fuori tempo e fuori luogo, scomposta e rantolosa, ai confini di una logica sociale infastidita e respingente; una risata capace di attrarre curiosità nei bambini ancora illesi dalle spire del conformismo (la scena nella metro della mamma e del suo bimbo e quella del figlioletto di Wayne al di qua e al di là del sontuoso cancello residenziale) e allo stesso tempo d’invogliare sdegnosa violenza verbale e fisica (l’infame aggressione sempre in metro ad opera di rampanti yuppies della city). Una risata che va ricondotta allora al suo ordine naturale, ad una maschera che la giustifichi discolpandola. Una maschera buona, dunque, su una respinta. E’ Joker adesso, autorizzato a ridere, correre e ballare, propiziando l’odio rancoroso che nasce dai sogni spezzati, a convertirlo in riscossa sociale che, senza conati anarchici, Phillips punteggia sul modello di Travis Bickle (Taxi Driver), senza però lo smalto dell’originalità eternamente consacrata a Scorsese. Maschera che ridendo sanguina dei corpi di Wayne e Franklin, sanzionati per tutti gli emarginati con l’omicidio dei simboli che essi incarnano; maschera che, con micidiale silenzio e danze ascetiche di salvazione universale, spiega rancori e ingiustizie di una società che sprofonda nell’evanescente ectoplasma dell’apparenza; maschera, ancora, che ripete se stessa in tutti i suoi fans, propagandando propositi di libertà ed uguaglianza piuttosto che di ribellione. La fisicità deformata, acutamente estenuata per esigenze di contrasti, nel grandioso Joaquin Pheonix (Il Gladiatore, A Beautiful Day, The Master ed altri), la magistrale padronanza di un De Niro eternamente perfetto e la fotografia di Lawrence Sher sui territori umani e urbani completano la responsabilità di un film che, più che turbare e disturbare, con delicato impeto invita a togliere, non a mettere, la nostra maschera invisibile.
di Andrea Apollonio
Per grandi linee, e al di là delle ipotesi colpose, si può delinquere: per lucrare, per conseguire un profitto o una qualsiasi utilità; per invidia o gelosia, o amore "malato" (ipotesi che mi sembra combacino nel loro movente di fondo); per puro sadismo; per esasperazione. In quest'ultimo caso, chi delinque fa improvvisamente saltare il tappo delle proprie repressioni, e lo fa in modo plateale. Anche per questo, viene considerato folle, o almeno incapace a contenersi, e - molto linearmente, senza troppo pensarci - riconduciamo alla sua psicosi le ragioni del crimine. D'altronde, è indubbio che molti di coloro che delinquono in queste forme siano davvero affetti da disturbi della personalità, da nevrosi e paranoie che, pure se certificati, non bastano quasi mai affinché il pubblico ministero inquirente ritenga fin da subito scriminata la sua condotta.
Fatta questa premessa di "diritto vivente" - almeno per come osservato attraverso l'esperienza quotidiana di chi scrive - rimane sempre un sub-strato della persona del tutto inesplorato, in quelle vicende delittuose che abbiano come protagonista il delinquente "esasperato". Non tanto ci si chiede cosa lo abbia portato a maturare i suoi disturbi, quanto piuttosto: qual è il retroterra del fatto? Come e perché il personale vissuto si è d'improvviso trasformato in crimine plateale? A dire il vero, l'asettico fascicolo che viene presentato al pubblico ministero (ne parliamo perché egli è il primo magistrato a "valutare" il delitto) non stimola quasi mai questi interrogativi; fortuna che, tra le tante funzioni del cinema, vi è anche quella di stimolare i giuristi, a contatto ogni giorno con un'umanità dolente.
"The Joker" è un film che nulla c'entra con la saga di Batman, salvo essersi - molto liberamente - ispirato a quel personaggio; un film che ci tocca molto più da vicino di quanto si pensi. Fa il paio con un altro grande capolavoro del cinema americano, che maggiormente ci disarma di fronte alla complessità del disturbo mentale che sfocia nell'esasperazione e nel crimine: "Qualcuno volò sul nido del cuculo" (1975), che di "The Joker" ricalca la storia e i messaggi. In entrambe le pellicole il protagonista è un emarginato che viene spinto a sopprimere l'altro per la cronica indifferenza con cui viene trattato, ed il tragico finale, in entrambi i film, certifica il fallimento della società nei confronti degli ultimi, che privi di reti sociali e terapeutiche adeguate, vanno fatalmente incontro al loro epilogo. Già il raffronto temporale tra i due film è impietoso, perché si può dire che a distanza di quarant'anni e oltre nulla sia davvero cambiato: gli ultimi, gli emarginati, magari con qualche disturbo di base, o qualche insuperabile paranoia od ossessione, sono lasciati a loro stessi: sono corpi fluttuanti in un ambiente senza gravità che prima o poi urteranno qualcosa con conseguenze imprevedibili.
Ma "The Joker" è un film anche più forte, anche più invasivo. Anzitutto perché le cose vengono dette con una tragica, cristallina chiarezza - ed in questo, si dimostra ben consapevole del messaggio principale di cui è portatore. Quando Joachin Phoenix si sente dire dalla psicologa che l'ha in cura: "Ho una brutta notizia, questo è l'ultimo incontro, il comune ha tagliato i fondi", il futuro "The Joker" risponde: "E adesso con chi parlo?"; e poi: "E adesso chi mi prescriverà le medicine?". Da lì a poco comincerà il suo percorso criminale. Forse ancora più eloquente la scena in cui lui commenta la sua terribile evoluzione (di cui pare sia consapevole - altro che malattia mentale): "Per tutta la vita, non ho mai saputo se esistevo veramente, ma esisto. E le persone iniziano a notarlo". Aveva appena ucciso (tre ragazzi ricchi e arroganti), per la prima volta, e per una distorsione mediatica, quel suo atto veniva acclamato, quasi come una forma di giustizia riparatrice, dalla fetta più arrabbiata e delusa di Gotham City.
Ed infatti Joker, l'assassino, il criminale, nasce dalla personale esasperazione di un soggetto disturbato, ma cresce e si sviluppa nel conflitto sociale: nella rabbia collettiva. A ben vedere, nulla poteva essere più vicino alla realtà: a Beirut, nelle manifestazioni in corso in questi giorni, i protestanti si sono dipinti la faccia come Joaquin Phoenix in "The Joker": e possiamo scommettere che questa trasposizione, dalla pellicola alla vita, non rimarrà un caso isolato.
Proprio perché il film non si colloca appieno nella Gotham di Batman (ma, piuttosto, in una New York anni Ottanta), non c'è alcun bilanciamento tra bene e male da mostrare, non essendoci un eroe ed un anti-eroe. Anzi, Joker è allo stesso tempo eroe ed anti-eroe, come tanti altri che, anche ai giorni nostri, nonostante il crimine sono esaltati dai media e sui social-network. L'indifferenza a monte ha paradossalmente prodotto un'indifferenza a valle ben più pericolosa anche perché collettiva: quella per il crimine, visto persino come crimine "giusto", inevitabile conseguenza dell'esasperazione.
Un film per gli arrabbiati, i delusi, gli esasperati; ed anche, un film che chiunque sia attaccato alla classica, vecchia, noiosa e polverosa idea di giustizia quale applicazione della legge, volta al superamento delle disparità e delle diseguaglianze - e degli ostacoli sociali: cfr. art. 3 Cost. - per evitare il prodursi di irreversibili conseguenze, dovrebbe vedere: un film per la magistratura tutta.
di Remo Trezza
L’autore tratta il tema della natura giuridica dell’atto di scioglimento della comunione ereditaria anche con riguardo allo scioglimento della comunione avente ad oggetto beni immobili abusivi: atto inter vivos, nullità testuale, divisione ereditaria parziale ed espropriazione dei beni indivisi: il revirement sistematico-teleologico della Cassazione (nota a Cass. civ., Sez. Unite, 7 ottobre 2019, n. 25021)
Sommario: 1. Il caso 2. I motivi di ricorso 3. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ordinaria 4. Segue. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria 5. Criticità rilevate dalla Corte di legittimità 6. La divisione testamentaria: natura giuridica ed effetti 7. La teoria della retroattività e l’art. 757 c.c.: la natura meramente dichiarativa o costituiva dell’atto divisorio 8. La “funzione eccettuativa” dell’art. 30, co. 10, del d.P.R. n 380 del 2001 9. Estensione della disciplina alla divisione giudiziale 10. Divisione ereditaria parziale e principio di universalità. Bilanciamento. 11. Segue. L’opposizione alla divisione parziale 12. La divisione “endoesecutiva” e la divisione “endoconcorsuale” 13. Segue. L’interpretazione letterale degli artt. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 della legge n. 47 del 1985 e il plurale grammaticale che fa la differenza 14. Conclusioni
1.Il caso
La controversia generatrice di questa rilevante pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione è relativa ad una curatela fallimentare che convenne in giudizio i soci per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria esistente tra il fallito ed i convenuti relativamente ad un fabbricato destinato a civile abitazione, proveniente dalla successione legittima del comune genitore dei soci, germani del medesimo. La curatela fallimentare chiese l’assegnazione a se stessa della quota di proprietà del cespite spettante al fallito; in subordine, per il caso di non comoda divisibilità e di mancata richiesta di attribuzione, chiese la vendita del fabbricato e la ripartizione del ricavato; domandò, inoltre, la condanna dei soci fratelli al pagamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile. Il Tribunale rigettò le domande della Curatela. La Corte di Appello confermò la pronuncia di primo grado. Le ragioni addotte dalla Corte di secondo grado sono state le seguenti: lo scioglimento della comunione ereditaria non poteva essere disposto, perché il fabbricato di cui si chiedeva la divisione, originariamente costituito dal solo piano terra, era stato sopraelevato[1] nel periodo compreso tra il 1970 e il 1976 in assenza di concessione edilizia. La corte di merito ha affermato che lo scioglimento della comunione ereditaria rientrerebbe a pieno titolo tra gli atti inter vivos e, come tale, sarebbe assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, che vietano la stipulazione di atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici dai quali non risultino gli estremi della concessione edilizia[2] o della concessione in sanatoria o ai quali non sia allegata copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione[3]. La corte del merito ha ritenuto che, nella specie, sarebbe inapplicabile l’art. 46, co. 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che esclude la nullità degli atti posti in essere nell’ambito di procedure esecutive immobiliari, dovendo tale norma intendersi riferita solo alle vendite disposte nell’ambito di procedure esecutive e non essendo estensibile alle divisioni. I giudici del gravame, infine, hanno ritenuto che la domanda di condanna dei convenuti soci al pagamento di una indennità per il godimento dell’immobile non poteva essere accolta, non essendovi prova che gli stessi avessero avuto l’esclusiva disponibilità del cespite.
Data la particolarità della questione, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria[4], ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, avvenuta ai sensi dell’art. 374, co. 2, c.p.c.
È bene porre l’attenzione su quanto dedotto dall’ordinanza suddetta, la quale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui la nullità prevista dall’art. 17 della legge n. 47 del 1985[5] per i negozi aventi ad oggetto immobili privi di concessione edificatoria[6] deve ritenersi limitata ai soli atti tra vivi e non riguarda, invece, gli atti mortis causa e quelli non autonomi rispetto ad essi, tra i quali deve ritenersi compresa la divisione ereditaria quale atto conclusivo della vicenda successoria[7]. L’ordinanza in questione ha rilevato delle perplessità in merito alla giurisprudenza precedente menzionata ed ha ritenuto che essa meriti di essere rimediata, soprattutto alla luce delle critiche avanzate dalla dottrina[8], sia con riferimento alla inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti mortis causa, sia con riferimento alla presupposta efficacia meramente dichiarativa dell’atto divisorio.
2.I motivi di ricorso
La curatela fallimentare, nel presentare ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, confermativa della statuizione di primo grado, ha censurato la medesima con due motivi di doglianza. Il primo attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 46, co. 1 del d.P.R. menzionato e dell’art. 40, co. 2, della legge n. 47 del 1948[9]. La curatela ha lamentato che la corte di merito, dopo aver accertato che le opere abusive erano state realizzate tra l’anno 1970 e 1976, non ha poi considerato che l’art. 40 di cui sopra non prevede espressamente gli atti di scioglimento della comunione tra quelli per i quali commina la sanzione della nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche ovvero non sia prodotta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l’inizio della costruzione in epoca anteriore al 1° settembre 1967. La curatela ricorrente, inoltre, ha lamentato che la Corte territoriale abbia qualificato gli atti di scioglimento della comunione ereditaria come atti inter vivos, come tali sottostanti alle previsioni di cui agli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 ut supra se relativi a fabbricati abusivi, in contrasto con i principi enunciati, nella materia, dalla giurisprudenza di legittimità.
Il secondo motivo, analizzato dalla sentenza in commento nelle ultime pagine, attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 46, co. 5, d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, commi 5 e 6 della legge n. 47 del 1985. La curatela ricorrente si è lamentata del fatto che la Corte del merito abbia ritenuto di dover negare la divisione dell’edificio abusivo chiesta dalla stessa nell’interesse dei creditori, sul presupposto che dovesse escludersi che tale divisione rientrasse tra gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali che le disposizioni menzionate sopra sottraggono alla comminatoria di nullità di cui agli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 già ampiamente richiamati.
3.La natura giuridica dello scioglimento della comunione ordinaria[10]
La prima rilevante questione posta all’attenzione della Corte a Sezioni Unite è stata quella di stabilire se, tra gli atti tra vivi per i quali l’art. 40, co. 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità al ricorrere delle condizioni ivi previste, debbano ritenersi compresi o meno gli atti di scioglimento delle comunioni. Ove la riposta a tale prima questione fosse positiva, ha sottolineato la Corte, si tratterebbe di risolvere un’altra conseguente questione di diritto: se possano considerarsi atti inter vivos, come tali soggetti alla comminatoria di nullità prevista dall’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985[11], solo gli atti di scioglimento della comunione ordinaria o anche quelli di scioglimento della comunione ereditaria.
A tal proposito, la Corte ha posto a raffronto l’art. 17, co. 1[12] della legge 28 febbraio 1985, n. 47[13], ora art. 46, co. 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e l’art. 40, co. 2[14] della medesima legge del 1985.
Le Sezioni Unite, per redimere la prima questione di diritto, hanno riportato una nota sentenza della medesima Corte, la quale ha affermato che: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., co. 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”[15].
La Corte, a tal proposito, però, ha specificato che si tratti di una nullità che costituisce la sanzione per la violazione di norme imperative in materia urbanistico-ambientale[16], dettate a tutela dell’interesse generale all’ordinato assetto del territorio[17]. In tal modo, si spiega, ha aggiunto la Corte, perché tale nullità[18] sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio[19].
Dal confronto delle due disposizioni risulta come soltanto nella prima (art. 46, co. 1 d.P.R. n. 380 del 2001) gli atti di scioglimento della comunione sono espressamente contemplati tra quelli colpiti da nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche; nella seconda disposizione (art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985), invece, nessun riferimento espresso vi è agli atti di scioglimento della comunione.
Proprio questo, ha indotto la Corte in passato ad affermare, facendo applicazione del canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, che l’art. 40, co. 2 non è applicabile agli atti di scioglimento della comunione[20] di qualsiasi tipo relativa ad edifici abusivi, non sanati, realizzati prima dell’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985. A tal proposito, le Sezioni Unite hanno deciso di rivedere tale conclusione.
La Corte ha affermato, attraverso una interpretazione letterale e semantica, che mentre l’art. 46 individua gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi, per i quali commina la nullità, avendo riguardo al loro effetto giuridico, l’art. 40, invece, individua gli atti inter vivos per i quali commina la nullità avendo riguardo solo al loro oggetto, prescindendo dal loro effetto giuridico. Sul piano dell’interpretazione teleologica e avuto riguardo alla ratio legis, va considerato, come ha detto la Corte, che sia l’art. 46 che l’art. 40 disciplinano comunque atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi o a loro parti. Non potrebbe comprendersi allora, in mancanza di espressa previsione di legge, perché lo scioglimento della comunione di un immobile abusivo e non sanabile dovrebbe ritenersi consentito per il solo fatto che il fabbricato sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore delle legge n. 47 del 1985. La Corte, a tal proposito, ha preso atto che l’art. 40, co. 2 della legge appena richiamata, sia pure attraverso un diverso percorso semantico, ha la medesima estensione applicativa dell’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nulla autorizza pertanto, come hanno ribadito le Sezioni Unite, a ritenere che gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi o loro parti siano esclusi, alle condizioni stabilite, dalla comminatoria di nullità, considerato che essi rientrano comunque nella classe degli atti contemplati nella disposizione di cui all’art. 40, co. 2 della legge citata; nulla, ancora, autorizza a ritenere, ha sottolineato ancora la Corte di legittimità, che il legislatore abbia inteso prevedere una disciplina differenziata per gli atti di scioglimento di comunione aventi ad oggetto edifici, a seconda che la costruzione sia stata realizzata in data anteriore o successiva rispetto all’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Queste considerazioni hanno portato la Suprema Corte a concludere che l’art. 40, co. 2 è applicabile anche agli atti di scioglimento della comunione[21]. Restano fuori dal campo di applicazione della norma solo gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale, gli atti costitutivi o di servitù e gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali.
Queste considerazioni hanno permesso alle Sezioni Unite di formulare un primo principio di diritto, secondo cui: “Gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione di nullità prevista dall’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della legge n. 47 citata dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita una copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”.
4.Segue. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria[22]
Un’altra questione rilevante affrontata dalla sentenza in esame è stata la natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria. L’interrogativo posto, dunque, è se l’atto di scioglimento possa considerarsi mortis causa[23] o inter vivos[24], con non poche implicazioni di carattere pratico.
Com’è noto, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha affermato in varie occasioni che l’atto di scioglimento della comunione ereditaria è un negozio assimilabile agli atti mortis causa[25], come tale sottratto alla disciplina della legge n. 47 del 1985. Inoltre, la giurisprudenza di nomofilachia ha anche sottolineato che l’art. 757 c.c., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale, rafforza la tesi secondo cui la divisione non ha efficacia traslativa, cioè non è un atto di alienazione, ma ha natura puramente dichiarativa[26].
Le Sezioni Unite, anche in tal caso, hanno ritenuto di non condividere quanto stabilito dalla sua stessa giurisprudenza. A tal proposito, ha posto l’attenzione su tutti i principi regolatori della comunione ereditaria, specie quelli della contitolarità[27], della c.d. communio incidens[28], dei crediti del de cuius[29] e dei debiti[30], del disaccordo dei compartecipi[31], della divisione contrattuale e giudiziale[32], della natura del negozio divisorio e del c.d. apporzionamento[33].
Ha ripreso, poi, evidenziando che la giurisprudenza risalente al 2001, secondo cui l’atto di divisione ereditaria non sarebbe un atto inter vivos, bensì mortis causa è da superare, in quanto l’unico negozio che è per eccellenza mortis causa è il testamento, con la dispensa dalla collazione[34] e la dispensa dalla imputazione[35].
Il punto decisivo e centrale, il c.d. “nocciolo duro” della sentenza de qua, è rappresentato dal fatto che le Sezioni Unite hanno ribadito che il contratto di divisione ereditaria produce i propri effetti indipendentemente dalla morte del de cuius[36]. Esso produce i propri effetti immediatamente, col mero scambio dei consensi espresso dai condividenti nelle forme della legge; il suo contenuto, ha sottolineato specificamente la Corte, dipende dalla volontà degli eredi, non da quella del de cuius: ciò ne determina, indubbiamente, il carattere di negozio inter vivos.
5.Criticità rilevate dalla Corte di legittimità
La Corte, con un incedere lineare ed un’argomentazione del tutto priva di lacune, ha affermato che se si assimilasse l’atto di divisione ereditaria ai negozi mortis causa, così da sottrarlo alla comminatoria di nullità prevista, per gli edifici abusivi, dagli artt. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 40, co. 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, si avrebbero conseguenze incongrue ove, non potendosi addivenire all’assegnazione dei beni ai compartecipi[37], si deve far luogo alla divisione civile mediante la vendita all’incanto[38], la quale, in quanto atto indubitanter inter vivos, sarebbe colpita dalla sanzione delle nullità ex art. 46 cit. e 40 cit.; con la conseguenza, ed è questa la criticità rilevante posta in essere dalla Corte, che risulterebbe consentita la divisione naturale[39], mentre sarebbe vietata la divisione civile, con conseguente contraddittorietà ed illogicità del sistema.
6.La divisione testamentaria: natura giuridica ed effetti
La Corte, ad un certo punto della disquisizione, si è trovata di fronte ad un’altra criticità sistemica. La divisione testamentaria, che si ritiene omogenea alla divisione ereditaria, che natura giuridica ha?
Le Sezioni Unite, dopo aver chiarito, attraverso l’analisi dell’art. 734 c.c., la c.d. titolarità solitaria di ciascun erede[40], ha statuito che la divisione testamentaria costituisce certamente un atto mortis causa, perché scaturisce dalla volontà del testatore e produce i propri effetti, ipso iure, con la morte del testatore e con l’apertura della successione; la divisione contrattuale, invece, non può che essere un negozio tra vivi, in quanto scaturisce dalla volontà degli eredi ed i suoi effetti sono indipendenti dall’evento della morte del de cuius.
A tal punto, le Sezioni Unite hanno affermato che la ratio delle disposizioni di cui all’art. 46 e all’art. 40 è quella di rendere i diritti reali sugli edifici abusivi non negoziabili con atto tra vivi e, nel contempo, di assicurare la loro trasmissibilità iure hereditatis. Gli eredi subentrano nella medesima posizione del defunto ed acquistano il fabbricato abusivo nel medesimo stato di fatto e di diritto in cui era posseduto dal de cuius. È naturale, ha ribadito a tal proposito la Corte, che, come il de cuius non avrebbe potuto alienare l’immobile abusivo a terzi o dividerlo con l’eventuale comproprietario di esso, anche i coheredes non possano alienare a terzi o dividere tra loro il fabbricato abusivo edificato dal loro dante causa, essendo tale immobile destinato a rimanere in comunione fino a quando non sia sanato o fino a quando l’abuso edilizio non sia materialmente eliminato.
7.La teoria della retroattività e l’art. 757 c.c.: la natura meramente dichiarativa o costituiva dell’atto divisorio
Ulteriore aspetto che hanno affrontato le Sezioni Unite che, anche in questo caso, hanno superato con delle più che condivisibili argomentazioni giuridiche, riguarda la retroattività discendente dall’art. 757 c.c.[41].
La Corte, dopo aver ripreso la definizione di retroattività[42], ha affermato che l’efficacia retroattiva della divisione si traduce nella negazione di una successione tra i compartecipi, nel senso che il condividente viene considerato proprietario esclusivo del bene assegnatogli con effetto ex tunc, fin dal momento dell’apertura della successione, come se su quel bene non vi fosse stato un rapporto di comunione tra gli eredi. La vis retroactiva, ha continuato la Corte, tuttavia, opera solo sul piano dell’effetto distributivo proprio della divisione, ossia solo per quanto riguarda l’acquisto della titolarità dei beni assegnati; ma essa non cancella gli altri effetti della comunione e le situazioni attive e passive acquisite dal condividente o dai terzi durante lo stato di comunione[43].
Si è ritenuto, ha scritto la Corte, che l’efficacia retroattiva della divisione deponesse per la natura meramente dichiarativa dell’atto divisorio, con esclusione di ogni efficacia costitutiva o traslativa, in quanto, in forza dell’effetto previsto dall’art. 757 c.c., ciascun singolo erede acquista direttamente dal de cuius e non dagli altri condividenti ed è come se la comunione non fosse mai esistita[44]. L’efficacia retroattiva delle divisione escluderebbe che l’atto divisorio possa avere efficacia traslativa, quale atto di alienazione, dovendosi l’efficacia traslativa retrodatare al momento dell’apertura della successione; dal che troverebbe conferma l’esclusione della sua natura di atto inter vivos. Questo, però, secondo la Corte, è un “dogma” privo di fondamento.
Non possono retroagire gli effetti di un atto che si limita a dichiarare o accertare la situazione giuridica già esistente; possono retroagire, invece, gli effetti dell’atto che immuta la realtà giuridica. È per tale ragione, hanno argomentato le Sezioni Unite, che non hanno effetto retroattivo le sentenze che accertano la nullità di un negozio, mentre hanno effetto retroattivo le sentenze che pronunciano l’annullamento o la risoluzione di un contratto. L’art. 757 c.c. attribuisce espressamente l’efficacia retroattiva ad atti con effetti costituitivi-traslativi, come l’acquisto dei beni in comunione che il compartecipe faccia mediante compravendita o all’incanto. Lo scioglimento della comunione, ha aggiunto ancora la Corte, non accerta o dichiara affatto una situazione giuridica preesistente, ma immuta sostanzialmente la realtà giuridica.
Nella parte più argomentativa in punto di diritto, le Sezioni Unite hanno affermato che sul piano della modificazione della sfera giuridica dei condividenti, è indubbio come nel fenomeno divisorio sia insito un effetto costitutivo, sostanzialmente traslativo, perché con la divisione ogni condividente perde la comproprietà sul tutto e acquista la proprietà individuale ed esclusiva sui beni a lui assegnati: le quote ideali spettanti a ciascun condividente su tutti i beni facenti parte della comunione sono convertite in titolarità esclusiva su taluni singoli beni. Inoltre, l’acquisto che il compartecipe consegue tramite la divisione non è diverso, sul piano effettuale, da quello che il compartecipe potrebbe ottenere ove acquistasse la proprietà esclusiva dello stesso cespite in virtù di un normale negozio traslativo per volontà unanime dei coeredi.
È rilevante l’affermazione delle Sezioni Unite, secondo cui la legge fa retroagire l’efficacia della divisione al momento dell’apertura della successione, ma tale effetto giuridico, ha sottolineato, non è dichiaratività, bensì semplice retroattività. È il legislatore che, per assicurare continuità tra la posizione giuridica del defunto e quella dell’erede attributario del bene diviso, fa retroagire gli effetti dell’acquisto al momento dell’apertura della successione. Questa retrodatazione, ha sostenuto la Corte, è limitata agli effetti della divisione, ma non incide sulla natura dell’atto, la quale è e rimane costitutiva[45]. Inoltre, ha ricordato la Corte, che il principio dell’efficacia retroattiva della divisione ereditaria ex art. 757 c.c. si applica anche agli atti di scioglimento della comunione ereditaria[46], che indubbiamente sono sottoposti alla comminatoria di nullità ex art. 46, co. 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. In maniera conclusiva, sul punto, le Sezioni Unite hanno stabilito che la divisione non ha natura ricognitiva di effetti giuridici già verificatasi, ma ha causa attributiva e distributiva, in quanto ciascun condividente può divenire l’unico titolare di questo o di quel bene ricadente in comunione solo se vi sia stato un procedimento che abbia determinato, con effetti costituitivi, lo scioglimento di quella comunione[47].
8.La “funzione eccettuativa” dell’art. 30, co. 10, d.P.R. n. 380 del 2001
La Corte, nella parte centrale dell’argomentazione, si è trovata ad affrontare il tema dell’interpretazione letterale dell’art. 46 d.P.R. n. 280 del 2001, il quale include espressamente l’atto di scioglimento della comunione avente ad oggetto edifici abusivi tra gli atti inter vivos colpiti da nullità; ed analoga inclusione deve ritenersi, secondo le Sezioni Unite, anche con riferimento all’art. 40 della legge n. 47 del 1985. È dunque la legge che commina expressis verbis la nullità dell’atto di scioglimento della comunione che abbia ad oggetto edifici abusivi. La previsione di un unico regime giuridico per ogni tipo di scioglimento di comunione comporta che lo scioglimento della comunione ereditaria, ove abbia ad oggetto fabbricati abusivi, deve ritenersi sottoposto al medesimo trattamento giuridico previsto per lo scioglimento delle comunione ereditaria[48]. Per le Sezioni unite, dunque, non vi sono valide ragioni per ritenere lo scioglimento delle comunione ereditaria sottratto alla comminatoria della nullità. Piuttosto, ha aggiunto la Corte, si deve rilevare che l’inclusione degli atti di scioglimento della comunione ereditaria relativa a fabbricati abusivi tra quelli colpiti da nullità è coerente con la ratio legis e con la scelta del legislatore di contrastare gli abusi edilizi mediante sanzioni civilistiche che colpiscono la negoziabilità dell’immobile[49].
La Corte, ancora, si è soffermata sull’art. 30[50] del d.P.R. n. 380 del 2001 in materia di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio.
Il comma 10 dell’articolo ut supra svolge, secondo la Cassazione, una funzione eccettuativa rispetto al resto della disposizione, essendo destinata ad escludere dalla comminatoria di nullità una serie di atti espressamente elencati, tra i quali proprio le divisioni ereditarie: ciò non altro significa che, hanno argomentato le Sezioni Unite, in mancanza di tale previsione derogatoria, anche le divisioni ereditarie sarebbero state sottoposte al regime dettato dall’art. 30.
Tale conclusione, ha ancora aggiunto la Corte, corroborata da un’interpretazione di carattere teleologico, si persegue anche se si pensa che la comminatoria di nullità della lottizzazione abusiva svolge una funzione non repressiva degli illeciti edilizi già consumati, ma preventiva rispetto ad illeciti edilizi ancora da consumarsi, presumendo la legge che la divisione del fondo in lotti sia finalizzata alla realizzazione di edifici abusivi[51]. Tale funzione, ha scritto la Corte, è meramente preventiva degli abusi edilizi e spiega perché la legge sottragga una serie di atti aventi ad oggetto la lottizzazione di terreni alla comminatoria di nullità. Si tratta, infatti, di atti che il legislatore, in considerazione della loro natura e della qualità soggettiva dei contraenti, non reputa indici espressivi di un pericolo di abusivismo edilizio.
Queste sono le principali ragioni[52] che hanno spinto le Sezioni Unite a formulare il seguente ulteriore principio di diritto: “Gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità, prevista dall’art. 46, co. 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria”.
9.Estensione della disciplina alla divisione giudiziale[53]
Le Sezioni Unite si sono, poi, soffermate sulle implicazioni di quanto detto fin ad ora sulla divisione giudiziale dell’eredità. Esse ricordano che la disposizione ex art. 46, co. 1 d.P.R. n. 380 del 2001 si applica non solo alle divisioni volontarie, ossia a quelle contrattuali, ma anche alle divisioni giudiziali, risultando, in caso contrario, oltremodo agevole per i condividenti, mediante il ricorso al giudice, l’elusione della norma imperativa de qua[54].
La questione, in realtà, era stata anche affrontata a proposito dell’art. 2932 c.c., in quanto non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo ai sensi del citato articolo, in assenza di dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia, che costituisce requisito a pena di nullità dell’art. 17 della legge n. 47 del 1985 ed integra una condizione del medesimo articolo, non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale[55].
La Corte ha aggiunto anche che la regolarità edilizia del fabbricato in comunione, come costituisce presupposto giuridico della divisione convenzionale, parimenti costituisce presupposto giuridico della divisione giudiziale[56].
Alla luce delle precedenti considerazioni, la Suprema Corte ha affermato che il giudice non può disporre lo scioglimento di una comunione avente ad oggetto fabbricati, senza osservare le prescrizioni dettate dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, co. 2 legge n. 47 del 1985, rispettivamente applicabili a seconda che l’edificio sia stato costruito successivamente o anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Si sarebbe potuto arguire che le Sezioni Unite avessero fatto diventare il giudice-interprete un giudice-notaio, onerandolo con quanto sopra detto, se non avesse corretto il tiro statuendo che la regolarità edilizia del fabbricato è posta a presidio dell’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio[57] e, dunque, la carenza della documentazione attestante tale regolarità è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio[58]. Parimenti, ha continuato la Corte, è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, il mancato esame di tale documentazione da parte del giudice.
Pare che la Corte, nel bilanciamento di interessi, abbia postulato la rilevanza dell’interesse pubblico, onerando, in definitiva, il giudice, che prima si è definito notaio, ovverosia controllore della legittimità e della legalità formale degli atti presentati dalle parti in giudizio, di verificare ulteriori incombenze documentali[59].
In tal senso, dunque, la Corte ha espresso ulteriormente un principio di diritto, a mente del quale: “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione, il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dagli artt. 46 e 40, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della possibilità giuridica, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quelli che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.
10.Divisione ereditaria parziale e principio di universalità. Bilanciamento.
La Corte suprema, verso le pagine finali della sentenza, ha affrontato anche il tema relativo alla possibilità di procedere ad un divisione parziale dell’asse ereditario, con esclusione dell’edificio abusivo che ne faccia parte. Tale opportunità, hanno scritto le Sezioni Unite, potrebbe apparire prima facie preclusa per il fatto di porsi in contrasto con il principio della universalità delle divisione ereditaria[60].
Ora, ha argomentato la Corte, si è concordi nell’affermare che tale principio non è assoluto e inderogabile, in quanto, oltre a trovare eccezioni legislativamente previste[61], può essere derogato dall’accordo unanime dei condividenti.
Per le Sezioni Unite, il fondamento di quanto detto si trova nell’art. 762 c.c., il quale, stabilendo che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non dà luogo a nullità della divisione, ma determina solo la necessità di procedere ad un supplemento della stessa, sancisce, implicitamente, la piena validità ed efficacia della divisione parziale ed esclude la possibilità di considerare tale divisione come una struttura negoziale provvisoria e priva di autonomia[62].
Dunque, è possibile una divisione parziale dei beni ereditari[63], sia per via contrattuale, allorquando vi sia apposito accordo tra tutti i coeredi, sia per via giudiziale, quando, essendo stata richiesta tale divisione da uno dei coeredi, gli altri non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse[64].
La parte davvero interessante della sentenza sul punto[65] è quella in cui le Sezioni Unite hanno affermato che con la divisione parziale dei beni ereditari, ciò che viene attribuito a ciascun partecipante assume la natura di acconto sulla porzione spettante in sede di divisione definitiva. I beni non divisi rimangono in comunione[66] e tale comunione conserva la sua originaria natura ereditaria, con la conseguenza che al suo scioglimento sono applicabili i principi, anche di carattere processuale, propri della divisione ereditaria[67] e che l’ultima porzione da attribuirsi va determinata, salvo patto contrario, attraverso una valutazione globale di tutti i beni, quelli già divisi e quelli rimasti in comunione, secondo un criterio uniforme e riferito allo stesso momento temporale[68].
La Corte, in definitiva, ha stabilito che è certamente ammissibile la divisione giudiziale parziale dell’asse ereditario con esclusione del fabbricato abusivo che ne faccia parte, quando vi sia la concorde volontà di tutti i coeredi. Il giudice, infatti, non può sottrarsi al dovere di procedere alla divisione parziale con esclusione del fabbricato abusivo, quando uno dei coeredi abbia proposto domanda in tal senso e vi sia il consenso degli altri coeredi convenuti, nel senso che questi ultimi si astengano dal chiedere la divisione dell’intero asse[69].
11.L’opposizione alla divisione parziale
La Corte, come conseguenza logica di quanto affrontato nel paragrafo immediatamente precedente, si è occupata anche di stabilire se uno dei coeredi possa validamente opporsi alla domanda di divisione giudiziale dell’asse ereditario, proposta da altro coerede, con la sola esclusione del fabbricato abusivo.
A tal punto, le Sezioni Unite hanno considerato che la necessità del consenso di tutti i coeredi alla divisione parziale dell’eredità ha come suo presupposto logico la giuridica divisibilità di tutti i beni ereditari. Ciascuno dei partecipanti, infatti, ha aggiunto la Corte, è titolare di un apposito diritto potestativo di ottenere la divisione[70] e l’esercizio di tale diritto è indipendente dal consenso degli altri compartecipi[71]. È il diritto di ciascuno, ha continuato la Corte, ad ottenere la divisione di tutti i beni ereditari ad implicare che possa accedersi alla divisione parziale solo con la concorde volontà di ogni partecipante alla comunione[72]. Diverso è il caso in cui tra i beni del patrimonio del de cuius vi sia un fabbricato abusivo. In tale ipotesi, hanno sottolineato le Sezioni Unite, il coerede che limita la domanda di divisione ai beni diversi dall’edificio abusivo non compie una scelta di convenienza, ma si adegua semplicemente a quanto statuito dagli artt. 46 e 40, che vietano lo scioglimento della comunione relativa ad un tale immobile, per il quale non è possibile indicare nell’atto gli estremi del titolo abilitativo. In via di sintesi, non vi è ragione di dar rilievo alla volontà degli altri coeredi, convenuti nel giudizio di divisione, e di consentire loro di opporsi alla domanda di divisione che investa tutti i beni dell’asse ereditario con la sola esclusione di quelli che per legge non sono divisibili[73].
12.La divisione “endoesecutiva” e la divisione “endoconcorsuale”
Verso la parte finale della sentenza, le Sezioni Unite si sono interrogate circa l’applicabilità o meno della comminatoria della nullità di cui agli artt. 46 e 40 citati in precedenza allo scioglimento della comunione ereditaria relativa ad un edificio abusivo che sia chiesto[74], in sede di procedura esecutiva immobiliare, dai creditori di uno dei coeredi ai fini della liquidazione della quota a quest’ultimo spettante[75].
La Corte ha osservato che sia per la divisione “endoesecutiva[76]” che per la divisione “endoconcorsuale[77]”, essendo entrambe accomunate dalla necessità, nell’ambito delle rispettive procedure esecutive, di far cessare lo stato di comunione e di liquidare la quota spettante al debitore, la questione si ponga nei medesimi termini.
Le Sezioni Unite hanno posto l’accento sulla lettera dell’art. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001[78] e su quella dell’art. 40, co. 5 e co. 6 delle legge n. 47 del 1985[79] e sono state chiamate a dirimere una rilevante criticità, ovverosia se la divisione di un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione dei beni indivisi[80] o nell’ambito delle procedure concorsuali, sia vietata in quanto colpita dalla comminatoria di nullità prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi ovvero sia sottratta a tale comminatoria in forza delle disposizioni eccettuative di cui agli artt. 46, co. 5 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 e 6 della legge n. 47 del 1985.
La Corte, evocando tutta una serie di articoli del codice di rito[81] ed approfondendone l’esame in chiave sistematica, ha ritenuto che la divisione endoesecutiva[82] e quella endoconcorsuale vadano ricomprese tra gli atti sottratti alla comminatoria di nullità.
Più nello specifico, la Corte ha ritenuto applicabile, nel caso di specie, il novellato art. 600 c.p.c.[83], a tenore del quale il nuovo testo del secondo comma del medesimo articolo si applica anche alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore[84], salvo che sia stata già ordinata la vendita[85].
Per le Sezioni Unite, la nuova disposizione deve ritenersi applicabile al giudizio di divisione, nel quale la vendita del cespite non è stata disposta[86].
Ha continuato sul punto la Suprema Corte che, mentre il testo originario dell’art. 600 c.p.c. prevedeva che il giudice potesse ordinare indifferentemente la vendita della quota indivisa o la divisione del bene, scegliendo tra tali due opzioni secondo criteri di opportunità e convenienza[87], il nuovo testo del medesimo articolo configura, invece, il giudizio divisorio come lo sviluppo normale di ogni procedura di espropriazione di beni indivisi. In sostanza, ha aggiunto la Corte, sulla base del vigente testo dell’art. 600 c.p.c., deve ritenersi che la liquidazione della quota di comproprietà indivisa su di un bene avviene, di norma, proprio tramite lo scioglimento della comunione su quel bene.
Ulteriore aspetto di primaria importanza è rappresentato dal fatto che il legame di dipendenza strumentale del giudizio divisorio rispetto al procedimento espropriativo è confermato, oltre che dall’art. 181 disp. att. c.p.c.[88], anche dalla speciale legittimazione ad agire per lo scioglimento della comunione che è riconosciuta al creditore procedente; legittimazione che trova, secondo le Sezioni Unite, il proprio fondamento nel credito per la soddisfazione del quale l’azione esecutiva è esercitata, di tal che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all’attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e lo stesso interesse ad agire[89]. In via di sintesi, il giudizio di divisione endoesecutiva non è affatto autonomo dal processo di espropriazione, ma si trova in rapporto di c.d. “strumentalità necessaria” rispetto ad esso[90].
Infine, la Corte ha statuito che non avrebbe senso una comminatoria di nullità che si estende agli atti traslativi posti in essere nell’ambito delle procedure esecutive individuali o concorsuali, perché una comminatoria di tal fatta, piuttosto che svolgere la sua tipica funzione di sanzione nei confronti del proprietario dell’edificio abusivo, finirebbe per avvantaggiare quest’ultimo in pregiudizio dei creditori. La possibilità di espropriare i fabbricati abusivi, ha aggiunto ancora la Corte di legittimità, nell’ambito delle procedure esecutive individuali e concorsuali, è necessaria per assicurare ai creditori di chi è proprietario esclusivamente di fabbricati abusivi la medesima tutela giurisdizionale dei diritti che è assicurata ai creditori di chi è proprietario di fabbricati urbanisticamente legittimi[91].
In definitiva, gli artt. 46, co. 5 e 40, commi 5 e 6 non pongono assolutamente norme che possano essere definite eccezionali[92].
13.Segue. L’interpretazione letterale degli artt. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 della legge n. 47 del 1985 e il plurale grammaticale che fa la differenza
L’ultimo aspetto, anch’esso rilevante, toccato ed affrontato dalle Sezioni Unite, ha riguardato cosa debba intendersi per “atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” e per “trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali” di cui agli artt. 46, co. 5 e 40, co. 5 già menzionati.
Sulla natura eccettuativa si è già diffusamente parlato nei paragrafi precedenti. Ora, invece, la Corte è arrivata ad enucleare il principio per cui le disposizioni eccettuative si applicano anche alle divisioni endoesecutive e a quelle endoconcorsuali. Le Sezioni Unite, logicamente, hanno fatto notare che il plurale grammaticale (“le nullità” di cui all’art. 46, co. 5; “gli atti” e “i trasferimenti” di cui all’art. 40, co. 5), fa intendere chiaramente che il legislatore ha inteso riferirsi all’intera serie degli atti colpiti dalla sanzione della nullità. In sintesi, come ribadito dalla Corte, la legge ha inteso esentare dalla comminatoria di nullità tutti gli atti finalizzati a portare a termine la procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale[93].
L’ultimo principio di diritto, dunque, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, espresso dalle Sezioni Unite è quello secondo cui: “In forza delle disposizioni eccettuative di cui all’art. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione cd. endoesecutiva) o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd. endoconcorsuale) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall’art. 46, co. 1, d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, co. 2, della legge n. 47del 1985[94]”.
14.Conclusioni
La sentenza delle Sezioni Unite, i cui principi di diritto sono del tutto condivisibili, viene a far cadere un orientamento ormai decennale in tema di scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto edifici abusivi.
La natura giuridica, quindi, alla luce delle argomentazioni svolte, dell’atto di scioglimento della comunione ereditaria è “inter vivos”, al pari di quella ordinaria, con assoggettabilità alla stessa delle norme in tema di nullità ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001 e della legge n. 47 del 1985.
La divisione testamentaria, invece, è l’unica che continua ad avere, al contrario di quelle ereditaria ed ordinaria, natura di atto “mortis causa”, in quanto la volontà dipende totalmente dal testatore e non dagli eredi, mentre, nei casi contrari, la volontà dipende direttamente dagli eredi e non già dal de cuius.
È superata la teoria della retroattività che la precedente giurisprudenza ancorava alla lettera dell’art. 757 c.p.c. che faceva dell’atto divisorio un atto meramente dichiarativo, oggi assolutamente traslativo-costitutivo.
Viene consolidata la funzione eccettuativa dell’art. 30, co. 10 d.P.R. n. 380 del 2001 ed ancora viene prevista la possibilità di divisione parziale dell’asse ereditario, con la permanenza in comunione dell’edificio abusivo e la non necessità dell’unanimità dei compartecipanti a tale tipologia di comunione, con esclusione “relativa” dell’opposizione.
In ultima analisi, viene stabilito che le divisioni endoesecutiva e endoconcorsuale non sono sottoposte alla disciplina della nullità per una funzione di salvaguardia della procedura esecutiva fino alla sua conclusione.
Inoltre, e non è di poco conto, viene ritoccata la funzione del giudice, che in alcuni casi, come quello in cui “deve” verificare la documentazione agli atti del processo riguardante le menzioni urbanistiche e della mancanza di verifica da parte di altro giudice, rilevabile ex officio in ogni stato e grado del procedimento, diviene giudice con funzioni di notaio e, dunque, supervisore dell’interesse pubblico rappresentato dal corretto utilizzo e dalla corretta gestione del territorio.
È questa una pronuncia davvero rilevante che, sempre attraverso una interpretazione sistematica, teleologica ed assiologica, è riuscita a fare chiarezza su alcuni istituti disomogenei, creando una reductio ad unum logica, coerente con l’ordinamento tout court considerato ed estremamente lineare.
[1] In tema di sopraelevazione, proprio come nel caso di specie, si rinvia a M. De Tilla, Amministratore, regolamento, millesimi e spese, sopraelevazione, comunione ordinaria e casi particolari, Giuffrè, 1992. Sempre in tema e dello stesso autore, vedi M. De Tilla, Il regolamento, millesime e spese, la comunione ordinaria, Giuffrè, 1997. Inoltre, solo per completezza, con degli spunti interessanti, vedi M. De Tilla, Il condominio: il regolamento, millesime e spese, la comunione ordinaria, Giuffrè, 2001.
[2] In tema, vedi A. Albamonte, La concessione edilizia, Milano, 1998, p. 185 ss.
[3] Si sottolinea che il Testo Unico dell’Edilizia (articolo 46) e la L. 47/1985 (l’articolo 40, comma 2) prevedono l’obbligo di inserire negli atti di trasferimento di diritti reali la dichiarazione dell’alienante che reca l’elenco dei permessi che hanno consentito la costruzione (c.d. menzioni urbanistiche). L’omissione di questa dichiarazione rende il contratto nullo, a meno che non sia possibile procedere con un atto successivo di convalida. A tal proposito, si rinvia alla relazione illustrativa al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia ed in generale, per un commento al Testo Unico sotto il profilo della definizione dei suoi contenuti essenziali ed alla successione di leggi nel tempo, si rinvia a G. Casu, Testo Unico sull’edilizia. I suoi contenuti essenziali. Novità rispetto alla precedente disciplina, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato, 2004, 1 p. 449. Per i contributi successivi all’approvazione del Testo Unico, vedi M. Annunziata, La costruzione edilizia nei vari rami dell’ordinamento giuridico, Milano, 2003, p. 111 e ss; L. Bisori, Riflessi penali delle modifiche al Testo Unico edilizia in Urbanistica e appalti, 2003, n. 4, p. 378; G. Casu, L’art.30 del Testo Unico, pregevole studio a tutt’oggi inedito; G. Casu, voce Terreni (Trasferimento di ) in C. Falzone, A. Alibrandi, Dizionario Enciclopedico del Notariato Roma, 2003, vol. V aggiornamento p. 653; AaVv, Testo Unico sull’Edilizia, Milano, 2002, (in particolare sull’argomento pag.394 e ss.); N. Centofanti, L’abusivismo edilizio ed urbanistico, Milano, 2002, p. 146 e ss.; A. Liserre, La lottizzazione abusiva e il commercio giuridico dei terreni, relazione al Convegno della società Paradigma s.r.l. di Milano, 10-11 maggio 2004, e di Roma, 20-21 maggio 2004, pubblicata agli atti del Convegno medesimo. F. Parente, Trasformazione del territorio e tipologie lottizzatorie abusive, in Riv. Not., 2003, 5, p. 1145; A. Ruotolo, La Corte costituzionale ribadisce la non confermabilità degli atti relativi a terreni privi di certificato di destinazione urbanistica, in Notariato; E. Toma, Esame di fattispecie particolari. Applicazione del Testo Unico sull’Edilizia in Urbanistica ed Edilizia Giornata di studio, in Bari, 30 maggio 2003, 2004, p. 272.
[4] Si veda l’ordinanza interlocutoria n. 25836 del 16 ottobre 2018, recuperabile su italgiureweb.
[5] Si tenga presenta che questo articolo è stato sostituito con l’attuale art. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[6] La Cassazione fa notare che tra i negozi aventi ad oggetto beni immobili privi di concessione edificatoria vi possono rientrare anche quelli di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti.
[7] La Corte, con molta precisione, fa notare che su questo tema ha già ha avuto modo di soffermarsi Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2003, n. 630; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2010, n. 2313, recuperabili su italgiureweb.
[8] La questione, che denota una spiccata rilevanza notarile, è stata affrontata da A. Albamonte, Il reato di lottizzazione abusiva nella L. n. 47 del 1985, in Cass. pen., 1986, p. 2015; A. Albamonte, Lottizzazione abusiva e suoi soggetti: aspetti e profili giuridici, in Cons. Stato, 1987, II, p. 719; A. Albamonte, Responsabilità dei notai e lottizzazioni abusive, in Cass. Pen., 1990, p. 586; A. Albamonte, Il reato di lottizzazione abusiva: una riflessione su alcuni aspetti di fondo, in Cass. pen., 1993, p. 2432; G. Alpa, Commento all’art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1986, p. 1088; N. Assini, P.V. Lucchese, Attività urbanistico edilizia, Padova 1987, p.309 e s.s. ; N. Assini, P. Mantini, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1997, p.706; E. Atorino, Convenzione di lottizzazione e obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica, in Riv. Not., 1996, p.222; G. Baralis, P. Ferrero, D. Podetti, Prime considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la l.28 febbraio 1985 n.47, in Riv. Not., 1985, p.521; G. Baralis, Atto traslativo di stazione di servizio carburanti e adempimenti ai sensi della legge 47/1985, in AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, Milano, 1999, p.279; G. Baralis, Lottizzazione abusiva negoziale e responsabilità notarile dopo la legge 47/1985, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato IV, Milano, 1995, p.134; G. Baralis, Lottizzazione abusiva negoziale e responsabilità notarile dopo la legge 47/1985, in Riv. Not., 1995, p.71; M. Bassani, V. Italia, Sanatoria e condono edilizio, Milano, 1985, p.118 e ss. ; A. Berra, Brevi osservazioni in merito al reato di lottizzazione abusiva, in Riv. Giur., 1988, p.481; D. Bertolami, L’evoluzione del reato di lottizzazione abusiva dalla legge urbanistica a quella sul condono edilizio e la responsabilità penale del notaio, in Temi Rom., 1985, p.418; O. Bottaro, L’ipotesi di concorso del notaio nel reato di lottizzazione abusiva alla luce della legge 28 febbraio 1985, n.47, in Vita Not., 1985, p.125; O. Bottaro, Notariato e lottizzazione di terreni (ricostruzione storica di una discussa figura giuridica), in Riv. Not., 1996, p.441; M. Bresciano, I reati edilizi ed urbanistici, Milano, 1993, p.203; I. Cacciavillani, La posizione del notaio rogante nella contravvenzione della lottizzazione per atti, in Vita Not., 1985, p.137; I. Cacciavillani, La definizione di lottizzazione (abusiva) nella legge 28 febbraio 1985, n.47, in Giur. Mer., 1985, p.1262; R. Campo, La nullità degli atti giuridici e la responsabilità del notaio come strumenti inibitori della realizzazione dei risultati e dei profitti dell’attività urbanistico edilizia abusiva, op. cit., p.828; F. Caprioli, La commerciabilità degli immobili abusivi nella legge 47/1985, in Riv. Not., 1994, p.585; S. Cardarelli, La legge 28 febbraio 1985, n.47 nei suoi riflessi sull’attività notarile, in Riv. Not. 1986, p.269; G. Casu, Legge Bassanini e competenza al rilascio del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato V, Milano 1998, p.643; G. Casu, Donazione con accettazione separata e autocertificazioni di parte richieste a pena di nullità studio n. 2168, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato VI.1, Milano, 2001, p. 277; G. Casu, N. Raiti, Condono edilizio e attività negoziale, in Quaderno 1, Milano, 1999, p. 107 e ss.; A. Fiale, Diritto urbanistico, Napoli, 2002, p. 1059 e ss.; G. Lucantonio, La lottizzazione abusiva nella abrogata e nella vigente normativa urbanistica, una figura di “reato giurisprudenziale”, in Dir. e Giur., 1985, p.316; P.V. Lucchese, Lottizzazione di terreni e funzione notarile, in Vita Not., 1985, p. 1064.
[9] Per precisione, si evidenzia che l’articolo citato è relativo agli abusi edilizi realizzati entro il 1 ottobre 1983.
[10] Vedi, in tema, lo studio approfondito di G. Trapani, La divisione ordinaria o comune e la divisione ereditaria: regola ed eccezione nella circolazione dei terreni, in Studi e materiali, 1, 2005, p. 135; inoltre, vedi, G. Trapani, La circolazione dei terreni: analisi delle linee direttrici dello statuto di tali beni, in Riv. Not., 2003, p. 1483; G. Trapani, La lottizzazione abusiva quale violazione delle regole giuridiche di circolazione e fruizione dei terreni, in Vita Not., 2004, 2, p. 791; vedi, ancora, C. Cicero, Della comunione. Artt. 1100-1116, Giuffrè, 2017.
[11] Ovviamente, aggiunge la Corte, anche dall’art. 46, co. 1 del d.P.R. n. 380 del 2001.
[12] Per meglio fare il raffronto, è opportuno citare l’art. 17 come sopra identificato e l’art. 40. Il vecchio art. 17, rubricato “nullità degli atti giuridici relativi ad edifici” stabiliva che: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’articolo 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”. Il nuovo articolo 46, invece, stabilisce che: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”.
[13] La legge, denominata “Norma in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, ha predisposto un complesso sistema sanzionatorio degli abusi edilizi, che si muove su tre direttrici, molto ben individuate dalla sentenza: le sanzioni penali (arresto e ammenda), le sanzioni amministrative (demolizione e acquisizione al patrimonio comunale) e le sanzioni civili (non negoziabilità con atti tra vivi). La sentenza, a tal proposito, sottolinea che le sanzioni penali non possono trasmettersi agli eredi di colui che ha commesso l’abuso edilizio, mentre quelle amministrative e civili, avendo carattere c.d. ambulatorio, sono propter rem e valgono anche nei confronti degli eredi dell’autore dell’abuso.
[14] L’art. 40, co. 2 della legge del 1985, invece, afferma che: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967”.
[15] Vedi Cass. civ., Sez. Un., 22 marzo 2019, n. 8230, recuperabile su italgiureweb. Tra i primi commenti in dottrina, vedi F. Toschi Vespasiani, Immobile abusivo: trasferimento valido, nullità solo testuale, in il Quotidiano Giuridico, 12 aprile 2019; L. Zanon, La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si esprime sul tema della nullità degli atti negoziali per violazione della disciplina urbanistica, in ildiritto.it, 10 giugno 2019.
[16] A tal punto, si veda G. Alpa, op. cit., p. 1088.
[17] Vedi, a tal riguardo, Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2011, n. 13969, recuperabile su italgiureweb.
[18] Si rimanda a N. Guaragnella, Lo scioglimento della comunione ereditaria di un bene privo di titolo abilitativo è affetto da nullità?, in Diritto24, 5 novembre 2018.
[19] In tema di rilevabilità ex officio di tale tipo di nullità, si veda Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23835; Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2019, n. 6684, recuperabili su italgiureweb.
[20] Si parla di Cass. civ., sez. II, 13 luglio 2005, n. 14764, reperibile su italgiureweb.
[21] Sul tema della divisione ordinaria e sul suo relativo scioglimento, si veda M. Sesta, Comunione di diritti, scioglimento, lesione, Jovene, 1988; C. Miraglia, Gli atti estintivi della comunione, ex art. 764 c.c: vendita di quota e transazione tra coeredi, Giuffrè, 1995; R. Favale, La comunione ordinaria, Giuffrè, 1997; G. R. Filograno, Quota e bene nella comunione ordinaria, ESI, 2011; R. Mazzon, Dividere i beni in comunione: le problematiche dello scioglimento delle comunioni ordinarie, ereditarie e “speciali”, Wolters Kluwer, 2017.
[22] Sul punto, senza alcuna pretesa di esaustività, si veda M. R. Morelli, La comunione e la divisione ereditaria, Utet, 1998, C. Ceccobelli, G. Palmieri, Guida al testamento: testamento ordinario, testamenti speciali, successione legittima, comunione ereditaria, formulario, giurisprudenza, appendice legislativa, Giuffrè, 2004; L. Bullo, Nomina et debita hereditaria ipso iure non dividuntur: per una teoria della comunione ereditaria come comunione a mani riunite, Cedam, 2005; V. Lenoci, La divisione, Utet, 2006; G. Bonilini, Comunione e divisione ereditaria, Giuffrè, 2009; ancora, G. Bonilini, La comunione ereditaria, ESI, 2013.
[23] Sul punto, vedi A. Ferrucci, C. Ferrentino, Atti mortis causa: prova scritta concorso notarile; AA.VV., Atti mortis causa, Simone, 1991.
[24] Si veda AA.VV., Atti inter vivos: società, Simone, 1993; AA.VV., Atti inter vivos: negozi giuridici diversi dalle società, Simone, 1993. Vedi, inoltre, L. Genghini, La forma degli atti notarili: tecniche redazionali degli atti: inter vivos, moris causa e societari, Cedam, 2009.
[25] Vedi, in tal senso, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2010, n. 2313, reperibili su italgiureweb.
[26] A tal riguardo, si rinvia a Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9659; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2017, n. 26351, rinvenibili su italgiureweb.
[27] Vedi nello specifico p. 15 della sentenza.
[28] Per un maggiore approfondimento, si veda la sentenza in commento a p. 16. Inoltre, sulla c.d. comunione incidentale, vedi Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2011, n. 355; Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1995, n. 1085, rinvenibili in italgiureweb.
[29] Si veda, in tale dimensione, Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657; Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1992, n. 11128; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2013, n. 15894, reperibili su italgiureweb.
[30] La Corte prende in esame il brocardo “debita hereditaria ipso iure dividuntur”.
[31] In tal caso, la Corte, con la sentenza in esame, pone l’attenzione sull’art. 1111 c.c. e il relativo principio secondo cui: “in communione nemo compellitur invitus detineri”.
[32] Per una maggiore cogenza dei temi trattati, si veda p. 17 della sentenza, in cui si fa un excursus romanistico e civilistico.
[33] La sentenza è molto completa sul piano, pertanto, si rinvia a p. 18 della stessa.
[34] Vedi, per tale istituto, l’art. 737 c.c.
[35] Vedi, per una maggiore chiarezza dell’istituto in esame, l’art. 564, co. 2 c.c.
[36] Vedi, a tal punto, P. Perlingieri, La comunione ereditaria, ESI, 2013; C. Cerrai, S. Ciocchetti, P. La Vecchia, I. E. Pipponzi, E. Vargiu, Successione ereditaria, divisione dei beni e donazioni, Maggioli, 2017; S. Patti, G. Amadio, La divisione ereditaria, IPSOA, 2013.
[37] Questo, dice la Corte, è il caso della c.d. divisione naturale.
[38] In tal caso, la sentenza fa riferimento alla vendita con incanto ai sensi dell’art. 720 c.c.
[39] Sull’istituto della divisione, si rinvia a A. Mora, La divisione. Effetti, garanzie e impugnative. Artt. 757-768., Giuffrè, 2014; F. Maffei, Giudizio di divisione. Orientamenti, annotazioni processuali e formule per gli adempimenti dell’avvocato, La tribuna, 2012.
[40] Per una visione di insieme sul punto, vedi la sentenza, specie a p. 22.
[41] Stando alla lettera della norma, ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.
[42] Essa viene definita come un fenomeno giuridico di tutto rilievo nella successione mortis causa, cui il legislatore ricorre per ricondurre gli effetti di determinati atti al momento dell’apertura della successione e assicurare così la continuità della titolarità dei beni tra il defunto e l’erede.
[43] Per comprendere meglio questo passaggio della sentenza in commento, si rinvia a p. 24.
[44] Vedi, a tal proposito, Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2017, n. 26351; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9659, reperibili su italgiureweb.
[45] Per seguire meglio le argomentazioni della Corte, si veda p. 28 della sentenza.
[46] Vedi, in tal senso, Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. II, 16 agosto 1990, n. 8315, rinvenibili su italgiureweb.
[47] Più specificamente, vedi p. 29 della sentenza.
[48] Inevitabilmente, la Suprema Corte fa applicazione del canone interpretativo secondo cui “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”.
[49] La Corte, in tal senso, a p. 30 della sentenza, osserva, in maniera del tutto condivisibile, che la non negoziabilità con atti inter vivos dei diritti reali su edifici costituisce proprio un importante deterrente alla realizzazione degli abusi edilizi; e tale deterrente risulterebbe depotenziato, aggiunge ancora, ove gli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 dei provvedimenti normativi già citati fossero interpretati nel senso di consentire agli eredi di colui che ha realizzato la costruzione abusiva di sciogliersi dalla comunione ereditaria. Né avrebbe senso, enfatizza la Corte, sul piano della formazione delle quote in natura tra i condividenti, sciogliere la comunione su un edificio abusivo, attribuendolo in titolarità esclusiva ad uno dei coeredi, quando un tale edificio deve essere comunque demolito o acquisito al patrimonio dell’ente comunale.
[50] L’articolo recita così: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata”. La Corte, in maniera sistematica, lo pone a confronto con l’ultimo comma (il decimo), secondo la cui previsione: “Le disposizioni di cui sopra si applicano agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati ai competenti uffici del catasto dopo il 17 marzo 1985, e non si applicano comunque alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù”.
[51] Sul punto, vedi P.V. Lucchese, Il certificato di destinazione urbanistica e la responsabilità del pubblico ufficiale, in Vita Not., 1986, p. 49; A. Luminoso, Contrattazione immobiliare e disciplina urbanistica, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1993, p. 975 e in Atti del Convegno Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, Milano, 1994, p. 5; G. Mengoli, Compravendita immobiliare e normativa urbanistica, op. cit., p. 331 e ss. ; M. Milone, Realizzazione di opere sportive e lottizzazione abusiva, in Riv. Giur., 1996, p.1214; V. Morricelli, G. Lo Sciavo, Trasferimenti e lottizzazioni di terreni alla luce della legge 28 febbraio 1985 n.47, in Vita Not. 1985, p. 106; F. Novarese, Lottizzazione abusiva: forme e modalità di accertamento, in Riv. Giur. Edil., 1996, p. 127; M. Pallottino, Il notaio e la lottizzazione abusiva negoziale, in Riv. Not., 1996, p. 999; N. Raiti, Atti del Comune e obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali III, Milano, 1992, p. 178; N. Raiti, Cessione volontaria di terreno soggetto ad espropriazione e certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato III, Milano, 1992, p. 92; N. Raiti, Autorità competente alla sottoscrizione del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato V, Milano, 1998, p. 137; N. Raiti, Certificato di destinazione urbanistica previsto dall’art. 18, II comma L. 47/85 e usi civici, in Studi e materiali II, Milano, 1992, p. 186.
[52] Per ulteriori argomentazioni svolte, in maniera approfondita, dalla Corte nella sentenza, si veda p. 34.
[53] Per tutti, si veda A. G. Diana, Scioglimento giudiziale della comunione, Giuffrè, 2016.
[54] Si veda, a tal punto, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2003, n. 630, consultabili su italgiureweb.
[55] A tal riguardo, si veda Cass. civ., sez. VI-II, 29 aprile 2016, n. 8489. Più di recente, di veda Cass. civ., sez. VI-II, 22 gennaio 2018, n. 1505, reperibili su italgiureweb.
[56] Aspetto rilevantissimo della sentenza in commento. Si veda, per completezza, p. 36 laddove la Corte dice che la regolarità edilizia del fabbricato in comunione costituisce condizione dell’azione ex art. 713 c.c. sotto il profilo della possibilità giuridica. Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23825 e, da ultimo, Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2019, n. 6684, rinvenibili su italgiureweb.
[57] Vedi, in tal senso, O. Bottario, Il regime di circolazione dei beni immobili abusivi: sanatoria mediante silenzio-assenso e regime vincolistico di cui agli artt. 32 e 33 della legge 47/1985, Giuffrè, 1999; inoltre, in termini più generali, ma di approfondimento sull’interesse pubblico sotteso e di cui trattasi, vedi V. Italia, La sicurezza della città: la sicurezza integrata e il decoro urbano, i nuovi regolamenti di polizia urbana e le nuove ordinanze di urgente necessità, il divieto di accesso a determinate aree, le occupazioni arbitrarie di immobili e i parcheggiatori abusivi, lo spaccio di stupefacenti e le misure di prevenzione personale, Giuffrè, 2017.
[58] A tal riguardo, si veda la già menzionata Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23825, rinvenibile su italgiureweb.
[59] Vedi AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, op. cit., p. 180; N. Raiti, Terreni di pertinenza condominiale e art. 18 della L. 47/1985 , in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato IV, Milano, 1995, p. 142 ed in AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, op. cit. p. 252; S. Rezzonico, I reati edilizi Pirola, Milano, 1996, p. 127 e ss.; G. Santarcangelo, Condono edilizio, Milano, 1991, p. 209 e ss. ; G. Santarcangelo, Allegazione in copia autentica della domanda di condono edilizio e del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali III, Milano, 1992, p. 140; G. Santarcangelo, La dichiarazione di vigenza del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato III, Milano, 1992, p. 130; G. Santarcangelo, Le nullità nella legge 28 febbraio 1985, n. 47 casi e questioni, in Atti del Convegno Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, op. cit, p. 131; S. Tondo, P. Falcone, Commento all’art. 18 in Abusivismo edilizio, condono e nuove sanzioni a cura di A. Prendieri, Roma, 1985, p. 245; S. Tondo, Trasferimenti coattivi di terreni nella legge 47/1985 (modificata dalla legge 289/1985), in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato II, Milano, 1990, p. 133; M. Velletti, Legge Bassanini e durata del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato, V, Milano, 1998, p. 678; F. P. Volpe, Lottizzazione abusiva in zona agricola, in Riv. Giur. Edil., 1992, p. 195. In generale, sui profili penali della fattispecie dell’abusivismo edilizio, M. Bresciano, I reati edilizi ed urbanistici, op. cit., p. 203; R. Mendoza, P. Quarto, Il reato di lottizzazione abusiva, in Cons. Stato, 1989, II, p. 111; R. Mendoza, Lottizzazione abusiva: confisca obbligatoria e sentenza di accertamento, in Cass. Pen., 1992, p. 1308; R. Mendoza, Ipotesi autonome di reato e circostanze di reato, in Cass. Pen, 1992 p. 1311; S. Rezzonico, I reati edilizi, op. cit., p. 127 e ss.; E. Selvaggi, I profili penali del condono edilizio: una navigazione difficile tra questioni di ordine sistematico e problemi pratici, in Cass. Pen., 1985, p. 787; C. M. Zampi, Condono edilizio e lottizzazione abusiva negoziale nel giudizio della Corte Costituzionale, in Cass. Pen., 1989 p. 1954. In generale, sulla fattispecie della lottizzazione abusiva ed ammessa A. Sgrò, L’edilizia nel Comune Milano, 1999, p. 123 e ss..
[60] Com’è noto, il principio di universalità stabilisce che la divisione ereditaria deve comprendere tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario.
[61] Si pensi agli artt. 713, co. 3; 720; 722; 1112 c.c.
[62] Si veda, a proposito, per esempio, dell’esperibilità dell’azione di rescissione per lesione oltre il quarto, ai sensi dell’art. 763 c.c., Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1997, n. 8448, reperibile su italgiureweb.
[63] Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 16 marzo 1978, n. 1323; Cass. civ., Sez. Un., 24 marzo 1977, n. 1145, consultabili su italgiureweb.
[64] A tal proposito, vedi Cass. civ., sez. II, 8 aprile 2016, n. 6931; Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016,n. 5869; Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2011, n. 573; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1994, n. 10220, reperibili su italgiureweb. Inoltre, per quanto attiene il carattere c.d. “abnorme” dell’ordinanza del giudice che approvi un progetto di divisione parziale dei beni ereditari in difetto di consenso esplicito di tutti i condividenti, si veda Cass. civ., sez. II, 24 maggio 1990, n. 4699; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1980, n. 1297; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1980, n. 1012, rinvenibili su italgiureweb.
[65] Vedi p. 39 della sentenza.
[66] A tal proposito, si veda Cass. civ., sez. II. 9 febbraio 1980, n. 905; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 1973, n. 1398, riscontrabili su italgiureweb.
[67] Si veda, in tale direzione, Cass. civ., Sez. Un., 16 marzo 1978, n. 1323; Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1997, n. 8448, consultabili su italgiureweb.
[68] Si veda la già citata Cass. civ., Sez. Un., 24 marzo 1977, n. 1145, consultabile su italgiureweb.
[69] Per completezza, si rinvia a p. 39 della sentenza.
[70] Si veda l’art. 1111, co. 1 c.c.
[71] Il principio utilizzato è quello secondo cui “in communione nemo compellitur invitus detineri”.
[72] Le argomentazioni sono più approfonditamente profuse a p. 40 della sentenza.
[73] Vedi p. 41 della sentenza, laddove le Sezioni Unite esprimono anche il seguente principio di diritto: “Allorquando tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713, co. 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.
[74] Qualcosa era stata già detta da R. Rosapepe, La tutela del compratore nell’acquisto di immobili abusivi, Salerno, 1979.
[75] Per approfondire il tema, vedi p. 42 della sentenza.
[76] Con il termine divisione endoesecutiva si intende una divisione disposta nel corso del processo di espropriazione individuale.
[77] Con il termine divisione endoconcorsuale si intende, invece, una divisione chiesta in seno alla procedura fallimentare, ma anche alle altre procedure concorsuali.
[78] Esso recita così: “Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria”.
[79] Il comma 5 stabilisce che: “Le nullità di cui al secondo comma del presente articolo non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa”. Il comma 6, invece, che: “Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge”.
[80] Si ricorda che questa tipologia di espropriazione è disciplinata dal capo V del titolo I del libro III del codice di rito civile. Vedi, a tal riguardo, S. Sansa, Il pignoramento di beni indivisi: vendita e scioglimento della comunione, Key editore, 2018.
[81] La Corte, infatti, cita e mette in correlazione, gli artt. 599 e 600 c.p.c.
[82] È interessante il contributo, sul tema, di M. Sica, Sanatoria degli immobili abusivi e procedure esecutive immobiliari, in Riv. Dir. Proc., 1, 42, 1987, p. 576
[83] L’art. 600 c.p.c. è stato novellato dalla legge n. 51 del 2006.
[84] L’entrata in vigore è rappresentata dal 1 marzo 2006.
[85] Nella fattispecie concreta, la domanda è stata proposta con atto di citazione il 22 luglio 2003.
[86] La Corte inevitabilmente richiama il brocardo “tempus regit actum”, che regola, oltretutto, l’efficacia temporale delle norme processuali.
[87] A tal proposito, vedi Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334, consultabile su italgiureweb.
[88] Detto articolo assegna al giudice dell’esecuzione, previa sospensione della procedura esecutiva ai sensi dell’art. 601 c.p.c., la competenza c.d. “funzionale” alla trattazione del giudizio di divisione, da svolgersi secondo l’ordinaria disciplina di cui agli artt. 784 ss. c.p.c.
[89] Sul punto, si rinvia a Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072, riscontrabile su italgiureweb.
[90] Per approfondimenti sulle ulteriori argomentazioni dai risvolti processuali, vedi pp. 48-50 della sentenza.
[91] È d’uopo sottolineare come la Corte, in questa parte della sentenza, come in altre, abbia fatto uso della interpretazione c.d. adeguatrice o conforme a costituzione, in quanto ha recuperato i principi costituzionali di cui agli artt. 3, co. 1 e 24 cost.
[92] Sul punto della eccezionalità, le Sezioni Unite affrontano il problema specie a p. 49 della sentenza.
[93] Le Sezioni Unite, oltre ad affrontare la questione di diritto intertemporale in merito all’art. 600 c.p.c., hanno anche detto che nel caso di specie non si applicano le nuove disposizioni del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in quanto non applicabili alle procedure di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore.
[94] Per gli ultimi approfondimenti sul punto, si rinvia a p. 54 della sentenza.Sommario: 1. Il caso 2. I motivi di ricorso 3. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ordinaria 4. Segue. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria 5. Criticità rilevate dalla Corte di legittimità 6. La divisione testamentaria: natura giuridica ed effetti 7. La teoria della retroattività e l’art. 757 c.c.: la natura meramente dichiarativa o costituiva dell’atto divisorio 8. La “funzione eccettuativa” dell’art. 30, co. 10, del d.P.R. n 380 del 2001 9. Estensione della disciplina alla divisione giudiziale 10. Divisione ereditaria parziale e principio di universalità. Bilanciamento. 11. Segue. L’opposizione alla divisione parziale 12. La divisione “endoesecutiva” e la divisione “endoconcorsuale” 13. Segue. L’interpretazione letterale degli artt. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 della legge n. 47 del 1985 e il plurale grammaticale che fa la differenza 14. Conclusioni
1.Il caso
La controversia generatrice di questa rilevante pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione è relativa ad una curatela fallimentare che convenne in giudizio i soci per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria esistente tra il fallito ed i convenuti relativamente ad un fabbricato destinato a civile abitazione, proveniente dalla successione legittima del comune genitore dei soci, germani del medesimo. La curatela fallimentare chiese l’assegnazione a se stessa della quota di proprietà del cespite spettante al fallito; in subordine, per il caso di non comoda divisibilità e di mancata richiesta di attribuzione, chiese la vendita del fabbricato e la ripartizione del ricavato; domandò, inoltre, la condanna dei soci fratelli al pagamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile. Il Tribunale rigettò le domande della Curatela. La Corte di Appello confermò la pronuncia di primo grado. Le ragioni addotte dalla Corte di secondo grado sono state le seguenti: lo scioglimento della comunione ereditaria non poteva essere disposto, perché il fabbricato di cui si chiedeva la divisione, originariamente costituito dal solo piano terra, era stato sopraelevato[1] nel periodo compreso tra il 1970 e il 1976 in assenza di concessione edilizia. La corte di merito ha affermato che lo scioglimento della comunione ereditaria rientrerebbe a pieno titolo tra gli atti inter vivos e, come tale, sarebbe assoggettato alle disposizioni di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 1985, che vietano la stipulazione di atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici dai quali non risultino gli estremi della concessione edilizia[2] o della concessione in sanatoria o ai quali non sia allegata copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione[3]. La corte del merito ha ritenuto che, nella specie, sarebbe inapplicabile l’art. 46, co. 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che esclude la nullità degli atti posti in essere nell’ambito di procedure esecutive immobiliari, dovendo tale norma intendersi riferita solo alle vendite disposte nell’ambito di procedure esecutive e non essendo estensibile alle divisioni. I giudici del gravame, infine, hanno ritenuto che la domanda di condanna dei convenuti soci al pagamento di una indennità per il godimento dell’immobile non poteva essere accolta, non essendovi prova che gli stessi avessero avuto l’esclusiva disponibilità del cespite.
Data la particolarità della questione, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria[4], ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, avvenuta ai sensi dell’art. 374, co. 2, c.p.c.
È bene porre l’attenzione su quanto dedotto dall’ordinanza suddetta, la quale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui la nullità prevista dall’art. 17 della legge n. 47 del 1985[5] per i negozi aventi ad oggetto immobili privi di concessione edificatoria[6] deve ritenersi limitata ai soli atti tra vivi e non riguarda, invece, gli atti mortis causa e quelli non autonomi rispetto ad essi, tra i quali deve ritenersi compresa la divisione ereditaria quale atto conclusivo della vicenda successoria[7]. L’ordinanza in questione ha rilevato delle perplessità in merito alla giurisprudenza precedente menzionata ed ha ritenuto che essa meriti di essere rimediata, soprattutto alla luce delle critiche avanzate dalla dottrina[8], sia con riferimento alla inclusione dello scioglimento della comunione ereditaria tra gli atti mortis causa, sia con riferimento alla presupposta efficacia meramente dichiarativa dell’atto divisorio.
2.I motivi di ricorso
La curatela fallimentare, nel presentare ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, confermativa della statuizione di primo grado, ha censurato la medesima con due motivi di doglianza. Il primo attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 46, co. 1 del d.P.R. menzionato e dell’art. 40, co. 2, della legge n. 47 del 1948[9]. La curatela ha lamentato che la corte di merito, dopo aver accertato che le opere abusive erano state realizzate tra l’anno 1970 e 1976, non ha poi considerato che l’art. 40 di cui sopra non prevede espressamente gli atti di scioglimento della comunione tra quelli per i quali commina la sanzione della nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche ovvero non sia prodotta la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante l’inizio della costruzione in epoca anteriore al 1° settembre 1967. La curatela ricorrente, inoltre, ha lamentato che la Corte territoriale abbia qualificato gli atti di scioglimento della comunione ereditaria come atti inter vivos, come tali sottostanti alle previsioni di cui agli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 ut supra se relativi a fabbricati abusivi, in contrasto con i principi enunciati, nella materia, dalla giurisprudenza di legittimità.
Il secondo motivo, analizzato dalla sentenza in commento nelle ultime pagine, attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 46, co. 5, d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, commi 5 e 6 della legge n. 47 del 1985. La curatela ricorrente si è lamentata del fatto che la Corte del merito abbia ritenuto di dover negare la divisione dell’edificio abusivo chiesta dalla stessa nell’interesse dei creditori, sul presupposto che dovesse escludersi che tale divisione rientrasse tra gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali che le disposizioni menzionate sopra sottraggono alla comminatoria di nullità di cui agli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 già ampiamente richiamati.
3.La natura giuridica dello scioglimento della comunione ordinaria[10]
La prima rilevante questione posta all’attenzione della Corte a Sezioni Unite è stata quella di stabilire se, tra gli atti tra vivi per i quali l’art. 40, co. 2, della legge n. 47 del 1985, commina la sanzione della nullità al ricorrere delle condizioni ivi previste, debbano ritenersi compresi o meno gli atti di scioglimento delle comunioni. Ove la riposta a tale prima questione fosse positiva, ha sottolineato la Corte, si tratterebbe di risolvere un’altra conseguente questione di diritto: se possano considerarsi atti inter vivos, come tali soggetti alla comminatoria di nullità prevista dall’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985[11], solo gli atti di scioglimento della comunione ordinaria o anche quelli di scioglimento della comunione ereditaria.
A tal proposito, la Corte ha posto a raffronto l’art. 17, co. 1[12] della legge 28 febbraio 1985, n. 47[13], ora art. 46, co. 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e l’art. 40, co. 2[14] della medesima legge del 1985.
Le Sezioni Unite, per redimere la prima questione di diritto, hanno riportato una nota sentenza della medesima Corte, la quale ha affermato che: “La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., co. 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”[15].
La Corte, a tal proposito, però, ha specificato che si tratti di una nullità che costituisce la sanzione per la violazione di norme imperative in materia urbanistico-ambientale[16], dettate a tutela dell’interesse generale all’ordinato assetto del territorio[17]. In tal modo, si spiega, ha aggiunto la Corte, perché tale nullità[18] sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio[19].
Dal confronto delle due disposizioni risulta come soltanto nella prima (art. 46, co. 1 d.P.R. n. 380 del 2001) gli atti di scioglimento della comunione sono espressamente contemplati tra quelli colpiti da nullità ove da essi non risultino le menzioni urbanistiche; nella seconda disposizione (art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985), invece, nessun riferimento espresso vi è agli atti di scioglimento della comunione.
Proprio questo, ha indotto la Corte in passato ad affermare, facendo applicazione del canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, che l’art. 40, co. 2 non è applicabile agli atti di scioglimento della comunione[20] di qualsiasi tipo relativa ad edifici abusivi, non sanati, realizzati prima dell’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985. A tal proposito, le Sezioni Unite hanno deciso di rivedere tale conclusione.
La Corte ha affermato, attraverso una interpretazione letterale e semantica, che mentre l’art. 46 individua gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi, per i quali commina la nullità, avendo riguardo al loro effetto giuridico, l’art. 40, invece, individua gli atti inter vivos per i quali commina la nullità avendo riguardo solo al loro oggetto, prescindendo dal loro effetto giuridico. Sul piano dell’interpretazione teleologica e avuto riguardo alla ratio legis, va considerato, come ha detto la Corte, che sia l’art. 46 che l’art. 40 disciplinano comunque atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici abusivi o a loro parti. Non potrebbe comprendersi allora, in mancanza di espressa previsione di legge, perché lo scioglimento della comunione di un immobile abusivo e non sanabile dovrebbe ritenersi consentito per il solo fatto che il fabbricato sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore delle legge n. 47 del 1985. La Corte, a tal proposito, ha preso atto che l’art. 40, co. 2 della legge appena richiamata, sia pure attraverso un diverso percorso semantico, ha la medesima estensione applicativa dell’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nulla autorizza pertanto, come hanno ribadito le Sezioni Unite, a ritenere che gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi o loro parti siano esclusi, alle condizioni stabilite, dalla comminatoria di nullità, considerato che essi rientrano comunque nella classe degli atti contemplati nella disposizione di cui all’art. 40, co. 2 della legge citata; nulla, ancora, autorizza a ritenere, ha sottolineato ancora la Corte di legittimità, che il legislatore abbia inteso prevedere una disciplina differenziata per gli atti di scioglimento di comunione aventi ad oggetto edifici, a seconda che la costruzione sia stata realizzata in data anteriore o successiva rispetto all’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Queste considerazioni hanno portato la Suprema Corte a concludere che l’art. 40, co. 2 è applicabile anche agli atti di scioglimento della comunione[21]. Restano fuori dal campo di applicazione della norma solo gli atti mortis causa e, tra quelli inter vivos, gli atti privi di efficacia traslativa reale, gli atti costitutivi o di servitù e gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali.
Queste considerazioni hanno permesso alle Sezioni Unite di formulare un primo principio di diritto, secondo cui: “Gli atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione di nullità prevista dall’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della legge n. 47 citata dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ovvero ai quali non sia unita una copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell’opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967”.
4.Segue. La natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria[22]
Un’altra questione rilevante affrontata dalla sentenza in esame è stata la natura giuridica dello scioglimento della comunione ereditaria. L’interrogativo posto, dunque, è se l’atto di scioglimento possa considerarsi mortis causa[23] o inter vivos[24], con non poche implicazioni di carattere pratico.
Com’è noto, la giurisprudenza della Corte di legittimità ha affermato in varie occasioni che l’atto di scioglimento della comunione ereditaria è un negozio assimilabile agli atti mortis causa[25], come tale sottratto alla disciplina della legge n. 47 del 1985. Inoltre, la giurisprudenza di nomofilachia ha anche sottolineato che l’art. 757 c.c., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale, rafforza la tesi secondo cui la divisione non ha efficacia traslativa, cioè non è un atto di alienazione, ma ha natura puramente dichiarativa[26].
Le Sezioni Unite, anche in tal caso, hanno ritenuto di non condividere quanto stabilito dalla sua stessa giurisprudenza. A tal proposito, ha posto l’attenzione su tutti i principi regolatori della comunione ereditaria, specie quelli della contitolarità[27], della c.d. communio incidens[28], dei crediti del de cuius[29] e dei debiti[30], del disaccordo dei compartecipi[31], della divisione contrattuale e giudiziale[32], della natura del negozio divisorio e del c.d. apporzionamento[33].
Ha ripreso, poi, evidenziando che la giurisprudenza risalente al 2001, secondo cui l’atto di divisione ereditaria non sarebbe un atto inter vivos, bensì mortis causa è da superare, in quanto l’unico negozio che è per eccellenza mortis causa è il testamento, con la dispensa dalla collazione[34] e la dispensa dalla imputazione[35].
Il punto decisivo e centrale, il c.d. “nocciolo duro” della sentenza de qua, è rappresentato dal fatto che le Sezioni Unite hanno ribadito che il contratto di divisione ereditaria produce i propri effetti indipendentemente dalla morte del de cuius[36]. Esso produce i propri effetti immediatamente, col mero scambio dei consensi espresso dai condividenti nelle forme della legge; il suo contenuto, ha sottolineato specificamente la Corte, dipende dalla volontà degli eredi, non da quella del de cuius: ciò ne determina, indubbiamente, il carattere di negozio inter vivos.
5.Criticità rilevate dalla Corte di legittimità
La Corte, con un incedere lineare ed un’argomentazione del tutto priva di lacune, ha affermato che se si assimilasse l’atto di divisione ereditaria ai negozi mortis causa, così da sottrarlo alla comminatoria di nullità prevista, per gli edifici abusivi, dagli artt. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 40, co. 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, si avrebbero conseguenze incongrue ove, non potendosi addivenire all’assegnazione dei beni ai compartecipi[37], si deve far luogo alla divisione civile mediante la vendita all’incanto[38], la quale, in quanto atto indubitanter inter vivos, sarebbe colpita dalla sanzione delle nullità ex art. 46 cit. e 40 cit.; con la conseguenza, ed è questa la criticità rilevante posta in essere dalla Corte, che risulterebbe consentita la divisione naturale[39], mentre sarebbe vietata la divisione civile, con conseguente contraddittorietà ed illogicità del sistema.
6.La divisione testamentaria: natura giuridica ed effetti
La Corte, ad un certo punto della disquisizione, si è trovata di fronte ad un’altra criticità sistemica. La divisione testamentaria, che si ritiene omogenea alla divisione ereditaria, che natura giuridica ha?
Le Sezioni Unite, dopo aver chiarito, attraverso l’analisi dell’art. 734 c.c., la c.d. titolarità solitaria di ciascun erede[40], ha statuito che la divisione testamentaria costituisce certamente un atto mortis causa, perché scaturisce dalla volontà del testatore e produce i propri effetti, ipso iure, con la morte del testatore e con l’apertura della successione; la divisione contrattuale, invece, non può che essere un negozio tra vivi, in quanto scaturisce dalla volontà degli eredi ed i suoi effetti sono indipendenti dall’evento della morte del de cuius.
A tal punto, le Sezioni Unite hanno affermato che la ratio delle disposizioni di cui all’art. 46 e all’art. 40 è quella di rendere i diritti reali sugli edifici abusivi non negoziabili con atto tra vivi e, nel contempo, di assicurare la loro trasmissibilità iure hereditatis. Gli eredi subentrano nella medesima posizione del defunto ed acquistano il fabbricato abusivo nel medesimo stato di fatto e di diritto in cui era posseduto dal de cuius. È naturale, ha ribadito a tal proposito la Corte, che, come il de cuius non avrebbe potuto alienare l’immobile abusivo a terzi o dividerlo con l’eventuale comproprietario di esso, anche i coheredes non possano alienare a terzi o dividere tra loro il fabbricato abusivo edificato dal loro dante causa, essendo tale immobile destinato a rimanere in comunione fino a quando non sia sanato o fino a quando l’abuso edilizio non sia materialmente eliminato.
7.La teoria della retroattività e l’art. 757 c.c.: la natura meramente dichiarativa o costituiva dell’atto divisorio
Ulteriore aspetto che hanno affrontato le Sezioni Unite che, anche in questo caso, hanno superato con delle più che condivisibili argomentazioni giuridiche, riguarda la retroattività discendente dall’art. 757 c.c.[41].
La Corte, dopo aver ripreso la definizione di retroattività[42], ha affermato che l’efficacia retroattiva della divisione si traduce nella negazione di una successione tra i compartecipi, nel senso che il condividente viene considerato proprietario esclusivo del bene assegnatogli con effetto ex tunc, fin dal momento dell’apertura della successione, come se su quel bene non vi fosse stato un rapporto di comunione tra gli eredi. La vis retroactiva, ha continuato la Corte, tuttavia, opera solo sul piano dell’effetto distributivo proprio della divisione, ossia solo per quanto riguarda l’acquisto della titolarità dei beni assegnati; ma essa non cancella gli altri effetti della comunione e le situazioni attive e passive acquisite dal condividente o dai terzi durante lo stato di comunione[43].
Si è ritenuto, ha scritto la Corte, che l’efficacia retroattiva della divisione deponesse per la natura meramente dichiarativa dell’atto divisorio, con esclusione di ogni efficacia costitutiva o traslativa, in quanto, in forza dell’effetto previsto dall’art. 757 c.c., ciascun singolo erede acquista direttamente dal de cuius e non dagli altri condividenti ed è come se la comunione non fosse mai esistita[44]. L’efficacia retroattiva delle divisione escluderebbe che l’atto divisorio possa avere efficacia traslativa, quale atto di alienazione, dovendosi l’efficacia traslativa retrodatare al momento dell’apertura della successione; dal che troverebbe conferma l’esclusione della sua natura di atto inter vivos. Questo, però, secondo la Corte, è un “dogma” privo di fondamento.
Non possono retroagire gli effetti di un atto che si limita a dichiarare o accertare la situazione giuridica già esistente; possono retroagire, invece, gli effetti dell’atto che immuta la realtà giuridica. È per tale ragione, hanno argomentato le Sezioni Unite, che non hanno effetto retroattivo le sentenze che accertano la nullità di un negozio, mentre hanno effetto retroattivo le sentenze che pronunciano l’annullamento o la risoluzione di un contratto. L’art. 757 c.c. attribuisce espressamente l’efficacia retroattiva ad atti con effetti costituitivi-traslativi, come l’acquisto dei beni in comunione che il compartecipe faccia mediante compravendita o all’incanto. Lo scioglimento della comunione, ha aggiunto ancora la Corte, non accerta o dichiara affatto una situazione giuridica preesistente, ma immuta sostanzialmente la realtà giuridica.
Nella parte più argomentativa in punto di diritto, le Sezioni Unite hanno affermato che sul piano della modificazione della sfera giuridica dei condividenti, è indubbio come nel fenomeno divisorio sia insito un effetto costitutivo, sostanzialmente traslativo, perché con la divisione ogni condividente perde la comproprietà sul tutto e acquista la proprietà individuale ed esclusiva sui beni a lui assegnati: le quote ideali spettanti a ciascun condividente su tutti i beni facenti parte della comunione sono convertite in titolarità esclusiva su taluni singoli beni. Inoltre, l’acquisto che il compartecipe consegue tramite la divisione non è diverso, sul piano effettuale, da quello che il compartecipe potrebbe ottenere ove acquistasse la proprietà esclusiva dello stesso cespite in virtù di un normale negozio traslativo per volontà unanime dei coeredi.
È rilevante l’affermazione delle Sezioni Unite, secondo cui la legge fa retroagire l’efficacia della divisione al momento dell’apertura della successione, ma tale effetto giuridico, ha sottolineato, non è dichiaratività, bensì semplice retroattività. È il legislatore che, per assicurare continuità tra la posizione giuridica del defunto e quella dell’erede attributario del bene diviso, fa retroagire gli effetti dell’acquisto al momento dell’apertura della successione. Questa retrodatazione, ha sostenuto la Corte, è limitata agli effetti della divisione, ma non incide sulla natura dell’atto, la quale è e rimane costitutiva[45]. Inoltre, ha ricordato la Corte, che il principio dell’efficacia retroattiva della divisione ereditaria ex art. 757 c.c. si applica anche agli atti di scioglimento della comunione ereditaria[46], che indubbiamente sono sottoposti alla comminatoria di nullità ex art. 46, co. 1, del d.P.R. n. 380 del 2001. In maniera conclusiva, sul punto, le Sezioni Unite hanno stabilito che la divisione non ha natura ricognitiva di effetti giuridici già verificatasi, ma ha causa attributiva e distributiva, in quanto ciascun condividente può divenire l’unico titolare di questo o di quel bene ricadente in comunione solo se vi sia stato un procedimento che abbia determinato, con effetti costituitivi, lo scioglimento di quella comunione[47].
8.La “funzione eccettuativa” dell’art. 30, co. 10, d.P.R. n. 380 del 2001
La Corte, nella parte centrale dell’argomentazione, si è trovata ad affrontare il tema dell’interpretazione letterale dell’art. 46 d.P.R. n. 280 del 2001, il quale include espressamente l’atto di scioglimento della comunione avente ad oggetto edifici abusivi tra gli atti inter vivos colpiti da nullità; ed analoga inclusione deve ritenersi, secondo le Sezioni Unite, anche con riferimento all’art. 40 della legge n. 47 del 1985. È dunque la legge che commina expressis verbis la nullità dell’atto di scioglimento della comunione che abbia ad oggetto edifici abusivi. La previsione di un unico regime giuridico per ogni tipo di scioglimento di comunione comporta che lo scioglimento della comunione ereditaria, ove abbia ad oggetto fabbricati abusivi, deve ritenersi sottoposto al medesimo trattamento giuridico previsto per lo scioglimento delle comunione ereditaria[48]. Per le Sezioni unite, dunque, non vi sono valide ragioni per ritenere lo scioglimento delle comunione ereditaria sottratto alla comminatoria della nullità. Piuttosto, ha aggiunto la Corte, si deve rilevare che l’inclusione degli atti di scioglimento della comunione ereditaria relativa a fabbricati abusivi tra quelli colpiti da nullità è coerente con la ratio legis e con la scelta del legislatore di contrastare gli abusi edilizi mediante sanzioni civilistiche che colpiscono la negoziabilità dell’immobile[49].
La Corte, ancora, si è soffermata sull’art. 30[50] del d.P.R. n. 380 del 2001 in materia di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio.
Il comma 10 dell’articolo ut supra svolge, secondo la Cassazione, una funzione eccettuativa rispetto al resto della disposizione, essendo destinata ad escludere dalla comminatoria di nullità una serie di atti espressamente elencati, tra i quali proprio le divisioni ereditarie: ciò non altro significa che, hanno argomentato le Sezioni Unite, in mancanza di tale previsione derogatoria, anche le divisioni ereditarie sarebbero state sottoposte al regime dettato dall’art. 30.
Tale conclusione, ha ancora aggiunto la Corte, corroborata da un’interpretazione di carattere teleologico, si persegue anche se si pensa che la comminatoria di nullità della lottizzazione abusiva svolge una funzione non repressiva degli illeciti edilizi già consumati, ma preventiva rispetto ad illeciti edilizi ancora da consumarsi, presumendo la legge che la divisione del fondo in lotti sia finalizzata alla realizzazione di edifici abusivi[51]. Tale funzione, ha scritto la Corte, è meramente preventiva degli abusi edilizi e spiega perché la legge sottragga una serie di atti aventi ad oggetto la lottizzazione di terreni alla comminatoria di nullità. Si tratta, infatti, di atti che il legislatore, in considerazione della loro natura e della qualità soggettiva dei contraenti, non reputa indici espressivi di un pericolo di abusivismo edilizio.
Queste sono le principali ragioni[52] che hanno spinto le Sezioni Unite a formulare il seguente ulteriore principio di diritto: “Gli atti di scioglimento della comunione ereditaria sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità, prevista dall’art. 46, co. 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 40, co. 2 della legge n. 47 del 1985, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici o a loro parti dai quali non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria”.
9.Estensione della disciplina alla divisione giudiziale[53]
Le Sezioni Unite si sono, poi, soffermate sulle implicazioni di quanto detto fin ad ora sulla divisione giudiziale dell’eredità. Esse ricordano che la disposizione ex art. 46, co. 1 d.P.R. n. 380 del 2001 si applica non solo alle divisioni volontarie, ossia a quelle contrattuali, ma anche alle divisioni giudiziali, risultando, in caso contrario, oltremodo agevole per i condividenti, mediante il ricorso al giudice, l’elusione della norma imperativa de qua[54].
La questione, in realtà, era stata anche affrontata a proposito dell’art. 2932 c.c., in quanto non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo ai sensi del citato articolo, in assenza di dichiarazione sugli estremi della concessione edilizia, che costituisce requisito a pena di nullità dell’art. 17 della legge n. 47 del 1985 ed integra una condizione del medesimo articolo, non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale[55].
La Corte ha aggiunto anche che la regolarità edilizia del fabbricato in comunione, come costituisce presupposto giuridico della divisione convenzionale, parimenti costituisce presupposto giuridico della divisione giudiziale[56].
Alla luce delle precedenti considerazioni, la Suprema Corte ha affermato che il giudice non può disporre lo scioglimento di una comunione avente ad oggetto fabbricati, senza osservare le prescrizioni dettate dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, co. 2 legge n. 47 del 1985, rispettivamente applicabili a seconda che l’edificio sia stato costruito successivamente o anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.
Si sarebbe potuto arguire che le Sezioni Unite avessero fatto diventare il giudice-interprete un giudice-notaio, onerandolo con quanto sopra detto, se non avesse corretto il tiro statuendo che la regolarità edilizia del fabbricato è posta a presidio dell’interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio[57] e, dunque, la carenza della documentazione attestante tale regolarità è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio[58]. Parimenti, ha continuato la Corte, è rilevabile d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, il mancato esame di tale documentazione da parte del giudice.
Pare che la Corte, nel bilanciamento di interessi, abbia postulato la rilevanza dell’interesse pubblico, onerando, in definitiva, il giudice, che prima si è definito notaio, ovverosia controllore della legittimità e della legalità formale degli atti presentati dalle parti in giudizio, di verificare ulteriori incombenze documentali[59].
In tal senso, dunque, la Corte ha espresso ulteriormente un principio di diritto, a mente del quale: “Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione, il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dagli artt. 46 e 40, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della possibilità giuridica, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quelli che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.
10.Divisione ereditaria parziale e principio di universalità. Bilanciamento.
La Corte suprema, verso le pagine finali della sentenza, ha affrontato anche il tema relativo alla possibilità di procedere ad un divisione parziale dell’asse ereditario, con esclusione dell’edificio abusivo che ne faccia parte. Tale opportunità, hanno scritto le Sezioni Unite, potrebbe apparire prima facie preclusa per il fatto di porsi in contrasto con il principio della universalità delle divisione ereditaria[60].
Ora, ha argomentato la Corte, si è concordi nell’affermare che tale principio non è assoluto e inderogabile, in quanto, oltre a trovare eccezioni legislativamente previste[61], può essere derogato dall’accordo unanime dei condividenti.
Per le Sezioni Unite, il fondamento di quanto detto si trova nell’art. 762 c.c., il quale, stabilendo che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non dà luogo a nullità della divisione, ma determina solo la necessità di procedere ad un supplemento della stessa, sancisce, implicitamente, la piena validità ed efficacia della divisione parziale ed esclude la possibilità di considerare tale divisione come una struttura negoziale provvisoria e priva di autonomia[62].
Dunque, è possibile una divisione parziale dei beni ereditari[63], sia per via contrattuale, allorquando vi sia apposito accordo tra tutti i coeredi, sia per via giudiziale, quando, essendo stata richiesta tale divisione da uno dei coeredi, gli altri non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse[64].
La parte davvero interessante della sentenza sul punto[65] è quella in cui le Sezioni Unite hanno affermato che con la divisione parziale dei beni ereditari, ciò che viene attribuito a ciascun partecipante assume la natura di acconto sulla porzione spettante in sede di divisione definitiva. I beni non divisi rimangono in comunione[66] e tale comunione conserva la sua originaria natura ereditaria, con la conseguenza che al suo scioglimento sono applicabili i principi, anche di carattere processuale, propri della divisione ereditaria[67] e che l’ultima porzione da attribuirsi va determinata, salvo patto contrario, attraverso una valutazione globale di tutti i beni, quelli già divisi e quelli rimasti in comunione, secondo un criterio uniforme e riferito allo stesso momento temporale[68].
La Corte, in definitiva, ha stabilito che è certamente ammissibile la divisione giudiziale parziale dell’asse ereditario con esclusione del fabbricato abusivo che ne faccia parte, quando vi sia la concorde volontà di tutti i coeredi. Il giudice, infatti, non può sottrarsi al dovere di procedere alla divisione parziale con esclusione del fabbricato abusivo, quando uno dei coeredi abbia proposto domanda in tal senso e vi sia il consenso degli altri coeredi convenuti, nel senso che questi ultimi si astengano dal chiedere la divisione dell’intero asse[69].
11.L’opposizione alla divisione parziale
La Corte, come conseguenza logica di quanto affrontato nel paragrafo immediatamente precedente, si è occupata anche di stabilire se uno dei coeredi possa validamente opporsi alla domanda di divisione giudiziale dell’asse ereditario, proposta da altro coerede, con la sola esclusione del fabbricato abusivo.
A tal punto, le Sezioni Unite hanno considerato che la necessità del consenso di tutti i coeredi alla divisione parziale dell’eredità ha come suo presupposto logico la giuridica divisibilità di tutti i beni ereditari. Ciascuno dei partecipanti, infatti, ha aggiunto la Corte, è titolare di un apposito diritto potestativo di ottenere la divisione[70] e l’esercizio di tale diritto è indipendente dal consenso degli altri compartecipi[71]. È il diritto di ciascuno, ha continuato la Corte, ad ottenere la divisione di tutti i beni ereditari ad implicare che possa accedersi alla divisione parziale solo con la concorde volontà di ogni partecipante alla comunione[72]. Diverso è il caso in cui tra i beni del patrimonio del de cuius vi sia un fabbricato abusivo. In tale ipotesi, hanno sottolineato le Sezioni Unite, il coerede che limita la domanda di divisione ai beni diversi dall’edificio abusivo non compie una scelta di convenienza, ma si adegua semplicemente a quanto statuito dagli artt. 46 e 40, che vietano lo scioglimento della comunione relativa ad un tale immobile, per il quale non è possibile indicare nell’atto gli estremi del titolo abilitativo. In via di sintesi, non vi è ragione di dar rilievo alla volontà degli altri coeredi, convenuti nel giudizio di divisione, e di consentire loro di opporsi alla domanda di divisione che investa tutti i beni dell’asse ereditario con la sola esclusione di quelli che per legge non sono divisibili[73].
12.La divisione “endoesecutiva” e la divisione “endoconcorsuale”
Verso la parte finale della sentenza, le Sezioni Unite si sono interrogate circa l’applicabilità o meno della comminatoria della nullità di cui agli artt. 46 e 40 citati in precedenza allo scioglimento della comunione ereditaria relativa ad un edificio abusivo che sia chiesto[74], in sede di procedura esecutiva immobiliare, dai creditori di uno dei coeredi ai fini della liquidazione della quota a quest’ultimo spettante[75].
La Corte ha osservato che sia per la divisione “endoesecutiva[76]” che per la divisione “endoconcorsuale[77]”, essendo entrambe accomunate dalla necessità, nell’ambito delle rispettive procedure esecutive, di far cessare lo stato di comunione e di liquidare la quota spettante al debitore, la questione si ponga nei medesimi termini.
Le Sezioni Unite hanno posto l’accento sulla lettera dell’art. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001[78] e su quella dell’art. 40, co. 5 e co. 6 delle legge n. 47 del 1985[79] e sono state chiamate a dirimere una rilevante criticità, ovverosia se la divisione di un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione dei beni indivisi[80] o nell’ambito delle procedure concorsuali, sia vietata in quanto colpita dalla comminatoria di nullità prevista per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi ovvero sia sottratta a tale comminatoria in forza delle disposizioni eccettuative di cui agli artt. 46, co. 5 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 e 6 della legge n. 47 del 1985.
La Corte, evocando tutta una serie di articoli del codice di rito[81] ed approfondendone l’esame in chiave sistematica, ha ritenuto che la divisione endoesecutiva[82] e quella endoconcorsuale vadano ricomprese tra gli atti sottratti alla comminatoria di nullità.
Più nello specifico, la Corte ha ritenuto applicabile, nel caso di specie, il novellato art. 600 c.p.c.[83], a tenore del quale il nuovo testo del secondo comma del medesimo articolo si applica anche alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore[84], salvo che sia stata già ordinata la vendita[85].
Per le Sezioni Unite, la nuova disposizione deve ritenersi applicabile al giudizio di divisione, nel quale la vendita del cespite non è stata disposta[86].
Ha continuato sul punto la Suprema Corte che, mentre il testo originario dell’art. 600 c.p.c. prevedeva che il giudice potesse ordinare indifferentemente la vendita della quota indivisa o la divisione del bene, scegliendo tra tali due opzioni secondo criteri di opportunità e convenienza[87], il nuovo testo del medesimo articolo configura, invece, il giudizio divisorio come lo sviluppo normale di ogni procedura di espropriazione di beni indivisi. In sostanza, ha aggiunto la Corte, sulla base del vigente testo dell’art. 600 c.p.c., deve ritenersi che la liquidazione della quota di comproprietà indivisa su di un bene avviene, di norma, proprio tramite lo scioglimento della comunione su quel bene.
Ulteriore aspetto di primaria importanza è rappresentato dal fatto che il legame di dipendenza strumentale del giudizio divisorio rispetto al procedimento espropriativo è confermato, oltre che dall’art. 181 disp. att. c.p.c.[88], anche dalla speciale legittimazione ad agire per lo scioglimento della comunione che è riconosciuta al creditore procedente; legittimazione che trova, secondo le Sezioni Unite, il proprio fondamento nel credito per la soddisfazione del quale l’azione esecutiva è esercitata, di tal che il giudizio di divisione dei beni pignorati non può essere iniziato e, se iniziato, non può proseguire ove venga meno in capo all’attore la qualità di creditore e, con essa, la legittimazione e lo stesso interesse ad agire[89]. In via di sintesi, il giudizio di divisione endoesecutiva non è affatto autonomo dal processo di espropriazione, ma si trova in rapporto di c.d. “strumentalità necessaria” rispetto ad esso[90].
Infine, la Corte ha statuito che non avrebbe senso una comminatoria di nullità che si estende agli atti traslativi posti in essere nell’ambito delle procedure esecutive individuali o concorsuali, perché una comminatoria di tal fatta, piuttosto che svolgere la sua tipica funzione di sanzione nei confronti del proprietario dell’edificio abusivo, finirebbe per avvantaggiare quest’ultimo in pregiudizio dei creditori. La possibilità di espropriare i fabbricati abusivi, ha aggiunto ancora la Corte di legittimità, nell’ambito delle procedure esecutive individuali e concorsuali, è necessaria per assicurare ai creditori di chi è proprietario esclusivamente di fabbricati abusivi la medesima tutela giurisdizionale dei diritti che è assicurata ai creditori di chi è proprietario di fabbricati urbanisticamente legittimi[91].
In definitiva, gli artt. 46, co. 5 e 40, commi 5 e 6 non pongono assolutamente norme che possano essere definite eccezionali[92].
13.Segue. L’interpretazione letterale degli artt. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e 40, co. 5 della legge n. 47 del 1985 e il plurale grammaticale che fa la differenza
L’ultimo aspetto, anch’esso rilevante, toccato ed affrontato dalle Sezioni Unite, ha riguardato cosa debba intendersi per “atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” e per “trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali” di cui agli artt. 46, co. 5 e 40, co. 5 già menzionati.
Sulla natura eccettuativa si è già diffusamente parlato nei paragrafi precedenti. Ora, invece, la Corte è arrivata ad enucleare il principio per cui le disposizioni eccettuative si applicano anche alle divisioni endoesecutive e a quelle endoconcorsuali. Le Sezioni Unite, logicamente, hanno fatto notare che il plurale grammaticale (“le nullità” di cui all’art. 46, co. 5; “gli atti” e “i trasferimenti” di cui all’art. 40, co. 5), fa intendere chiaramente che il legislatore ha inteso riferirsi all’intera serie degli atti colpiti dalla sanzione della nullità. In sintesi, come ribadito dalla Corte, la legge ha inteso esentare dalla comminatoria di nullità tutti gli atti finalizzati a portare a termine la procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale[93].
L’ultimo principio di diritto, dunque, alla luce delle considerazioni fin qui svolte, espresso dalle Sezioni Unite è quello secondo cui: “In forza delle disposizioni eccettuative di cui all’art. 46, co. 5 d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione cd. endoesecutiva) o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd. endoconcorsuale) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall’art. 46, co. 1, d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, co. 2, della legge n. 47del 1985[94]”.
14.Conclusioni
La sentenza delle Sezioni Unite, i cui principi di diritto sono del tutto condivisibili, viene a far cadere un orientamento ormai decennale in tema di scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto edifici abusivi.
La natura giuridica, quindi, alla luce delle argomentazioni svolte, dell’atto di scioglimento della comunione ereditaria è “inter vivos”, al pari di quella ordinaria, con assoggettabilità alla stessa delle norme in tema di nullità ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001 e della legge n. 47 del 1985.
La divisione testamentaria, invece, è l’unica che continua ad avere, al contrario di quelle ereditaria ed ordinaria, natura di atto “mortis causa”, in quanto la volontà dipende totalmente dal testatore e non dagli eredi, mentre, nei casi contrari, la volontà dipende direttamente dagli eredi e non già dal de cuius.
È superata la teoria della retroattività che la precedente giurisprudenza ancorava alla lettera dell’art. 757 c.p.c. che faceva dell’atto divisorio un atto meramente dichiarativo, oggi assolutamente traslativo-costitutivo.
Viene consolidata la funzione eccettuativa dell’art. 30, co. 10 d.P.R. n. 380 del 2001 ed ancora viene prevista la possibilità di divisione parziale dell’asse ereditario, con la permanenza in comunione dell’edificio abusivo e la non necessità dell’unanimità dei compartecipanti a tale tipologia di comunione, con esclusione “relativa” dell’opposizione.
In ultima analisi, viene stabilito che le divisioni endoesecutiva e endoconcorsuale non sono sottoposte alla disciplina della nullità per una funzione di salvaguardia della procedura esecutiva fino alla sua conclusione.
Inoltre, e non è di poco conto, viene ritoccata la funzione del giudice, che in alcuni casi, come quello in cui “deve” verificare la documentazione agli atti del processo riguardante le menzioni urbanistiche e della mancanza di verifica da parte di altro giudice, rilevabile ex officio in ogni stato e grado del procedimento, diviene giudice con funzioni di notaio e, dunque, supervisore dell’interesse pubblico rappresentato dal corretto utilizzo e dalla corretta gestione del territorio.
È questa una pronuncia davvero rilevante che, sempre attraverso una interpretazione sistematica, teleologica ed assiologica, è riuscita a fare chiarezza su alcuni istituti disomogenei, creando una reductio ad unum logica, coerente con l’ordinamento tout court considerato ed estremamente lineare.
[1] In tema di sopraelevazione, proprio come nel caso di specie, si rinvia a M. De Tilla, Amministratore, regolamento, millesimi e spese, sopraelevazione, comunione ordinaria e casi particolari, Giuffrè, 1992. Sempre in tema e dello stesso autore, vedi M. De Tilla, Il regolamento, millesime e spese, la comunione ordinaria, Giuffrè, 1997. Inoltre, solo per completezza, con degli spunti interessanti, vedi M. De Tilla, Il condominio: il regolamento, millesime e spese, la comunione ordinaria, Giuffrè, 2001.
[2] In tema, vedi A. Albamonte, La concessione edilizia, Milano, 1998, p. 185 ss.
[3] Si sottolinea che il Testo Unico dell’Edilizia (articolo 46) e la L. 47/1985 (l’articolo 40, comma 2) prevedono l’obbligo di inserire negli atti di trasferimento di diritti reali la dichiarazione dell’alienante che reca l’elenco dei permessi che hanno consentito la costruzione (c.d. menzioni urbanistiche). L’omissione di questa dichiarazione rende il contratto nullo, a meno che non sia possibile procedere con un atto successivo di convalida. A tal proposito, si rinvia alla relazione illustrativa al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia ed in generale, per un commento al Testo Unico sotto il profilo della definizione dei suoi contenuti essenziali ed alla successione di leggi nel tempo, si rinvia a G. Casu, Testo Unico sull’edilizia. I suoi contenuti essenziali. Novità rispetto alla precedente disciplina, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato, 2004, 1 p. 449. Per i contributi successivi all’approvazione del Testo Unico, vedi M. Annunziata, La costruzione edilizia nei vari rami dell’ordinamento giuridico, Milano, 2003, p. 111 e ss; L. Bisori, Riflessi penali delle modifiche al Testo Unico edilizia in Urbanistica e appalti, 2003, n. 4, p. 378; G. Casu, L’art.30 del Testo Unico, pregevole studio a tutt’oggi inedito; G. Casu, voce Terreni (Trasferimento di ) in C. Falzone, A. Alibrandi, Dizionario Enciclopedico del Notariato Roma, 2003, vol. V aggiornamento p. 653; AaVv, Testo Unico sull’Edilizia, Milano, 2002, (in particolare sull’argomento pag.394 e ss.); N. Centofanti, L’abusivismo edilizio ed urbanistico, Milano, 2002, p. 146 e ss.; A. Liserre, La lottizzazione abusiva e il commercio giuridico dei terreni, relazione al Convegno della società Paradigma s.r.l. di Milano, 10-11 maggio 2004, e di Roma, 20-21 maggio 2004, pubblicata agli atti del Convegno medesimo. F. Parente, Trasformazione del territorio e tipologie lottizzatorie abusive, in Riv. Not., 2003, 5, p. 1145; A. Ruotolo, La Corte costituzionale ribadisce la non confermabilità degli atti relativi a terreni privi di certificato di destinazione urbanistica, in Notariato; E. Toma, Esame di fattispecie particolari. Applicazione del Testo Unico sull’Edilizia in Urbanistica ed Edilizia Giornata di studio, in Bari, 30 maggio 2003, 2004, p. 272.
[4] Si veda l’ordinanza interlocutoria n. 25836 del 16 ottobre 2018, recuperabile su italgiureweb.
[5] Si tenga presenta che questo articolo è stato sostituito con l’attuale art. 46 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[6] La Cassazione fa notare che tra i negozi aventi ad oggetto beni immobili privi di concessione edificatoria vi possono rientrare anche quelli di scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti.
[7] La Corte, con molta precisione, fa notare che su questo tema ha già ha avuto modo di soffermarsi Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2003, n. 630; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2010, n. 2313, recuperabili su italgiureweb.
[8] La questione, che denota una spiccata rilevanza notarile, è stata affrontata da A. Albamonte, Il reato di lottizzazione abusiva nella L. n. 47 del 1985, in Cass. pen., 1986, p. 2015; A. Albamonte, Lottizzazione abusiva e suoi soggetti: aspetti e profili giuridici, in Cons. Stato, 1987, II, p. 719; A. Albamonte, Responsabilità dei notai e lottizzazioni abusive, in Cass. Pen., 1990, p. 586; A. Albamonte, Il reato di lottizzazione abusiva: una riflessione su alcuni aspetti di fondo, in Cass. pen., 1993, p. 2432; G. Alpa, Commento all’art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1986, p. 1088; N. Assini, P.V. Lucchese, Attività urbanistico edilizia, Padova 1987, p.309 e s.s. ; N. Assini, P. Mantini, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1997, p.706; E. Atorino, Convenzione di lottizzazione e obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica, in Riv. Not., 1996, p.222; G. Baralis, P. Ferrero, D. Podetti, Prime considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la l.28 febbraio 1985 n.47, in Riv. Not., 1985, p.521; G. Baralis, Atto traslativo di stazione di servizio carburanti e adempimenti ai sensi della legge 47/1985, in AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, Milano, 1999, p.279; G. Baralis, Lottizzazione abusiva negoziale e responsabilità notarile dopo la legge 47/1985, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato IV, Milano, 1995, p.134; G. Baralis, Lottizzazione abusiva negoziale e responsabilità notarile dopo la legge 47/1985, in Riv. Not., 1995, p.71; M. Bassani, V. Italia, Sanatoria e condono edilizio, Milano, 1985, p.118 e ss. ; A. Berra, Brevi osservazioni in merito al reato di lottizzazione abusiva, in Riv. Giur., 1988, p.481; D. Bertolami, L’evoluzione del reato di lottizzazione abusiva dalla legge urbanistica a quella sul condono edilizio e la responsabilità penale del notaio, in Temi Rom., 1985, p.418; O. Bottaro, L’ipotesi di concorso del notaio nel reato di lottizzazione abusiva alla luce della legge 28 febbraio 1985, n.47, in Vita Not., 1985, p.125; O. Bottaro, Notariato e lottizzazione di terreni (ricostruzione storica di una discussa figura giuridica), in Riv. Not., 1996, p.441; M. Bresciano, I reati edilizi ed urbanistici, Milano, 1993, p.203; I. Cacciavillani, La posizione del notaio rogante nella contravvenzione della lottizzazione per atti, in Vita Not., 1985, p.137; I. Cacciavillani, La definizione di lottizzazione (abusiva) nella legge 28 febbraio 1985, n.47, in Giur. Mer., 1985, p.1262; R. Campo, La nullità degli atti giuridici e la responsabilità del notaio come strumenti inibitori della realizzazione dei risultati e dei profitti dell’attività urbanistico edilizia abusiva, op. cit., p.828; F. Caprioli, La commerciabilità degli immobili abusivi nella legge 47/1985, in Riv. Not., 1994, p.585; S. Cardarelli, La legge 28 febbraio 1985, n.47 nei suoi riflessi sull’attività notarile, in Riv. Not. 1986, p.269; G. Casu, Legge Bassanini e competenza al rilascio del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato V, Milano 1998, p.643; G. Casu, Donazione con accettazione separata e autocertificazioni di parte richieste a pena di nullità studio n. 2168, in Studi e Materiali del Consiglio Nazionale del Notariato VI.1, Milano, 2001, p. 277; G. Casu, N. Raiti, Condono edilizio e attività negoziale, in Quaderno 1, Milano, 1999, p. 107 e ss.; A. Fiale, Diritto urbanistico, Napoli, 2002, p. 1059 e ss.; G. Lucantonio, La lottizzazione abusiva nella abrogata e nella vigente normativa urbanistica, una figura di “reato giurisprudenziale”, in Dir. e Giur., 1985, p.316; P.V. Lucchese, Lottizzazione di terreni e funzione notarile, in Vita Not., 1985, p. 1064.
[9] Per precisione, si evidenzia che l’articolo citato è relativo agli abusi edilizi realizzati entro il 1 ottobre 1983.
[10] Vedi, in tema, lo studio approfondito di G. Trapani, La divisione ordinaria o comune e la divisione ereditaria: regola ed eccezione nella circolazione dei terreni, in Studi e materiali, 1, 2005, p. 135; inoltre, vedi, G. Trapani, La circolazione dei terreni: analisi delle linee direttrici dello statuto di tali beni, in Riv. Not., 2003, p. 1483; G. Trapani, La lottizzazione abusiva quale violazione delle regole giuridiche di circolazione e fruizione dei terreni, in Vita Not., 2004, 2, p. 791; vedi, ancora, C. Cicero, Della comunione. Artt. 1100-1116, Giuffrè, 2017.
[11] Ovviamente, aggiunge la Corte, anche dall’art. 46, co. 1 del d.P.R. n. 380 del 2001.
[12] Per meglio fare il raffronto, è opportuno citare l’art. 17 come sopra identificato e l’art. 40. Il vecchio art. 17, rubricato “nullità degli atti giuridici relativi ad edifici” stabiliva che: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’articolo 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”. Il nuovo articolo 46, invece, stabilisce che: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”.
[13] La legge, denominata “Norma in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, ha predisposto un complesso sistema sanzionatorio degli abusi edilizi, che si muove su tre direttrici, molto ben individuate dalla sentenza: le sanzioni penali (arresto e ammenda), le sanzioni amministrative (demolizione e acquisizione al patrimonio comunale) e le sanzioni civili (non negoziabilità con atti tra vivi). La sentenza, a tal proposito, sottolinea che le sanzioni penali non possono trasmettersi agli eredi di colui che ha commesso l’abuso edilizio, mentre quelle amministrative e civili, avendo carattere c.d. ambulatorio, sono propter rem e valgono anche nei confronti degli eredi dell’autore dell’abuso.
[14] L’art. 40, co. 2 della legge del 1985, invece, afferma che: “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli atti stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967”.
[15] Vedi Cass. civ., Sez. Un., 22 marzo 2019, n. 8230, recuperabile su italgiureweb. Tra i primi commenti in dottrina, vedi F. Toschi Vespasiani, Immobile abusivo: trasferimento valido, nullità solo testuale, in il Quotidiano Giuridico, 12 aprile 2019; L. Zanon, La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si esprime sul tema della nullità degli atti negoziali per violazione della disciplina urbanistica, in ildiritto.it, 10 giugno 2019.
[16] A tal punto, si veda G. Alpa, op. cit., p. 1088.
[17] Vedi, a tal riguardo, Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2011, n. 13969, recuperabile su italgiureweb.
[18] Si rimanda a N. Guaragnella, Lo scioglimento della comunione ereditaria di un bene privo di titolo abilitativo è affetto da nullità?, in Diritto24, 5 novembre 2018.
[19] In tema di rilevabilità ex officio di tale tipo di nullità, si veda Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23835; Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2019, n. 6684, recuperabili su italgiureweb.
[20] Si parla di Cass. civ., sez. II, 13 luglio 2005, n. 14764, reperibile su italgiureweb.
[21] Sul tema della divisione ordinaria e sul suo relativo scioglimento, si veda M. Sesta, Comunione di diritti, scioglimento, lesione, Jovene, 1988; C. Miraglia, Gli atti estintivi della comunione, ex art. 764 c.c: vendita di quota e transazione tra coeredi, Giuffrè, 1995; R. Favale, La comunione ordinaria, Giuffrè, 1997; G. R. Filograno, Quota e bene nella comunione ordinaria, ESI, 2011; R. Mazzon, Dividere i beni in comunione: le problematiche dello scioglimento delle comunioni ordinarie, ereditarie e “speciali”, Wolters Kluwer, 2017.
[22] Sul punto, senza alcuna pretesa di esaustività, si veda M. R. Morelli, La comunione e la divisione ereditaria, Utet, 1998, C. Ceccobelli, G. Palmieri, Guida al testamento: testamento ordinario, testamenti speciali, successione legittima, comunione ereditaria, formulario, giurisprudenza, appendice legislativa, Giuffrè, 2004; L. Bullo, Nomina et debita hereditaria ipso iure non dividuntur: per una teoria della comunione ereditaria come comunione a mani riunite, Cedam, 2005; V. Lenoci, La divisione, Utet, 2006; G. Bonilini, Comunione e divisione ereditaria, Giuffrè, 2009; ancora, G. Bonilini, La comunione ereditaria, ESI, 2013.
[23] Sul punto, vedi A. Ferrucci, C. Ferrentino, Atti mortis causa: prova scritta concorso notarile; AA.VV., Atti mortis causa, Simone, 1991.
[24] Si veda AA.VV., Atti inter vivos: società, Simone, 1993; AA.VV., Atti inter vivos: negozi giuridici diversi dalle società, Simone, 1993. Vedi, inoltre, L. Genghini, La forma degli atti notarili: tecniche redazionali degli atti: inter vivos, moris causa e societari, Cedam, 2009.
[25] Vedi, in tal senso, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2010, n. 2313, reperibili su italgiureweb.
[26] A tal riguardo, si rinvia a Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9659; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2017, n. 26351, rinvenibili su italgiureweb.
[27] Vedi nello specifico p. 15 della sentenza.
[28] Per un maggiore approfondimento, si veda la sentenza in commento a p. 16. Inoltre, sulla c.d. comunione incidentale, vedi Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 2011, n. 355; Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1995, n. 1085, rinvenibili in italgiureweb.
[29] Si veda, in tale dimensione, Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24657; Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1992, n. 11128; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2013, n. 15894, reperibili su italgiureweb.
[30] La Corte prende in esame il brocardo “debita hereditaria ipso iure dividuntur”.
[31] In tal caso, la Corte, con la sentenza in esame, pone l’attenzione sull’art. 1111 c.c. e il relativo principio secondo cui: “in communione nemo compellitur invitus detineri”.
[32] Per una maggiore cogenza dei temi trattati, si veda p. 17 della sentenza, in cui si fa un excursus romanistico e civilistico.
[33] La sentenza è molto completa sul piano, pertanto, si rinvia a p. 18 della stessa.
[34] Vedi, per tale istituto, l’art. 737 c.c.
[35] Vedi, per una maggiore chiarezza dell’istituto in esame, l’art. 564, co. 2 c.c.
[36] Vedi, a tal punto, P. Perlingieri, La comunione ereditaria, ESI, 2013; C. Cerrai, S. Ciocchetti, P. La Vecchia, I. E. Pipponzi, E. Vargiu, Successione ereditaria, divisione dei beni e donazioni, Maggioli, 2017; S. Patti, G. Amadio, La divisione ereditaria, IPSOA, 2013.
[37] Questo, dice la Corte, è il caso della c.d. divisione naturale.
[38] In tal caso, la sentenza fa riferimento alla vendita con incanto ai sensi dell’art. 720 c.c.
[39] Sull’istituto della divisione, si rinvia a A. Mora, La divisione. Effetti, garanzie e impugnative. Artt. 757-768., Giuffrè, 2014; F. Maffei, Giudizio di divisione. Orientamenti, annotazioni processuali e formule per gli adempimenti dell’avvocato, La tribuna, 2012.
[40] Per una visione di insieme sul punto, vedi la sentenza, specie a p. 22.
[41] Stando alla lettera della norma, ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari.
[42] Essa viene definita come un fenomeno giuridico di tutto rilievo nella successione mortis causa, cui il legislatore ricorre per ricondurre gli effetti di determinati atti al momento dell’apertura della successione e assicurare così la continuità della titolarità dei beni tra il defunto e l’erede.
[43] Per comprendere meglio questo passaggio della sentenza in commento, si rinvia a p. 24.
[44] Vedi, a tal proposito, Cass. civ., sez. II, 7 novembre 2017, n. 26351; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9659, reperibili su italgiureweb.
[45] Per seguire meglio le argomentazioni della Corte, si veda p. 28 della sentenza.
[46] Vedi, in tal senso, Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2006, n. 7231; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17061; Cass. civ., sez. II, 16 agosto 1990, n. 8315, rinvenibili su italgiureweb.
[47] Più specificamente, vedi p. 29 della sentenza.
[48] Inevitabilmente, la Suprema Corte fa applicazione del canone interpretativo secondo cui “ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus”.
[49] La Corte, in tal senso, a p. 30 della sentenza, osserva, in maniera del tutto condivisibile, che la non negoziabilità con atti inter vivos dei diritti reali su edifici costituisce proprio un importante deterrente alla realizzazione degli abusi edilizi; e tale deterrente risulterebbe depotenziato, aggiunge ancora, ove gli artt. 46, co. 1 e 40, co. 2 dei provvedimenti normativi già citati fossero interpretati nel senso di consentire agli eredi di colui che ha realizzato la costruzione abusiva di sciogliersi dalla comunione ereditaria. Né avrebbe senso, enfatizza la Corte, sul piano della formazione delle quote in natura tra i condividenti, sciogliere la comunione su un edificio abusivo, attribuendolo in titolarità esclusiva ad uno dei coeredi, quando un tale edificio deve essere comunque demolito o acquisito al patrimonio dell’ente comunale.
[50] L’articolo recita così: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata”. La Corte, in maniera sistematica, lo pone a confronto con l’ultimo comma (il decimo), secondo la cui previsione: “Le disposizioni di cui sopra si applicano agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati ai competenti uffici del catasto dopo il 17 marzo 1985, e non si applicano comunque alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù”.
[51] Sul punto, vedi P.V. Lucchese, Il certificato di destinazione urbanistica e la responsabilità del pubblico ufficiale, in Vita Not., 1986, p. 49; A. Luminoso, Contrattazione immobiliare e disciplina urbanistica, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1993, p. 975 e in Atti del Convegno Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, Milano, 1994, p. 5; G. Mengoli, Compravendita immobiliare e normativa urbanistica, op. cit., p. 331 e ss. ; M. Milone, Realizzazione di opere sportive e lottizzazione abusiva, in Riv. Giur., 1996, p.1214; V. Morricelli, G. Lo Sciavo, Trasferimenti e lottizzazioni di terreni alla luce della legge 28 febbraio 1985 n.47, in Vita Not. 1985, p. 106; F. Novarese, Lottizzazione abusiva: forme e modalità di accertamento, in Riv. Giur. Edil., 1996, p. 127; M. Pallottino, Il notaio e la lottizzazione abusiva negoziale, in Riv. Not., 1996, p. 999; N. Raiti, Atti del Comune e obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali III, Milano, 1992, p. 178; N. Raiti, Cessione volontaria di terreno soggetto ad espropriazione e certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato III, Milano, 1992, p. 92; N. Raiti, Autorità competente alla sottoscrizione del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato V, Milano, 1998, p. 137; N. Raiti, Certificato di destinazione urbanistica previsto dall’art. 18, II comma L. 47/85 e usi civici, in Studi e materiali II, Milano, 1992, p. 186.
[52] Per ulteriori argomentazioni svolte, in maniera approfondita, dalla Corte nella sentenza, si veda p. 34.
[53] Per tutti, si veda A. G. Diana, Scioglimento giudiziale della comunione, Giuffrè, 2016.
[54] Si veda, a tal punto, Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15133; Cass. civ., sez. II, 17 gennaio 2003, n. 630, consultabili su italgiureweb.
[55] A tal riguardo, si veda Cass. civ., sez. VI-II, 29 aprile 2016, n. 8489. Più di recente, di veda Cass. civ., sez. VI-II, 22 gennaio 2018, n. 1505, reperibili su italgiureweb.
[56] Aspetto rilevantissimo della sentenza in commento. Si veda, per completezza, p. 36 laddove la Corte dice che la regolarità edilizia del fabbricato in comunione costituisce condizione dell’azione ex art. 713 c.c. sotto il profilo della possibilità giuridica. Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23825 e, da ultimo, Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2019, n. 6684, rinvenibili su italgiureweb.
[57] Vedi, in tal senso, O. Bottario, Il regime di circolazione dei beni immobili abusivi: sanatoria mediante silenzio-assenso e regime vincolistico di cui agli artt. 32 e 33 della legge 47/1985, Giuffrè, 1999; inoltre, in termini più generali, ma di approfondimento sull’interesse pubblico sotteso e di cui trattasi, vedi V. Italia, La sicurezza della città: la sicurezza integrata e il decoro urbano, i nuovi regolamenti di polizia urbana e le nuove ordinanze di urgente necessità, il divieto di accesso a determinate aree, le occupazioni arbitrarie di immobili e i parcheggiatori abusivi, lo spaccio di stupefacenti e le misure di prevenzione personale, Giuffrè, 2017.
[58] A tal riguardo, si veda la già menzionata Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2009, n. 23825, rinvenibile su italgiureweb.
[59] Vedi AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, op. cit., p. 180; N. Raiti, Terreni di pertinenza condominiale e art. 18 della L. 47/1985 , in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato IV, Milano, 1995, p. 142 ed in AaVv. Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, op. cit. p. 252; S. Rezzonico, I reati edilizi Pirola, Milano, 1996, p. 127 e ss.; G. Santarcangelo, Condono edilizio, Milano, 1991, p. 209 e ss. ; G. Santarcangelo, Allegazione in copia autentica della domanda di condono edilizio e del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali III, Milano, 1992, p. 140; G. Santarcangelo, La dichiarazione di vigenza del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato III, Milano, 1992, p. 130; G. Santarcangelo, Le nullità nella legge 28 febbraio 1985, n. 47 casi e questioni, in Atti del Convegno Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, op. cit, p. 131; S. Tondo, P. Falcone, Commento all’art. 18 in Abusivismo edilizio, condono e nuove sanzioni a cura di A. Prendieri, Roma, 1985, p. 245; S. Tondo, Trasferimenti coattivi di terreni nella legge 47/1985 (modificata dalla legge 289/1985), in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato II, Milano, 1990, p. 133; M. Velletti, Legge Bassanini e durata del certificato di destinazione urbanistica, in Studi e materiali del Consiglio Nazionale del Notariato, V, Milano, 1998, p. 678; F. P. Volpe, Lottizzazione abusiva in zona agricola, in Riv. Giur. Edil., 1992, p. 195. In generale, sui profili penali della fattispecie dell’abusivismo edilizio, M. Bresciano, I reati edilizi ed urbanistici, op. cit., p. 203; R. Mendoza, P. Quarto, Il reato di lottizzazione abusiva, in Cons. Stato, 1989, II, p. 111; R. Mendoza, Lottizzazione abusiva: confisca obbligatoria e sentenza di accertamento, in Cass. Pen., 1992, p. 1308; R. Mendoza, Ipotesi autonome di reato e circostanze di reato, in Cass. Pen, 1992 p. 1311; S. Rezzonico, I reati edilizi, op. cit., p. 127 e ss.; E. Selvaggi, I profili penali del condono edilizio: una navigazione difficile tra questioni di ordine sistematico e problemi pratici, in Cass. Pen., 1985, p. 787; C. M. Zampi, Condono edilizio e lottizzazione abusiva negoziale nel giudizio della Corte Costituzionale, in Cass. Pen., 1989 p. 1954. In generale, sulla fattispecie della lottizzazione abusiva ed ammessa A. Sgrò, L’edilizia nel Comune Milano, 1999, p. 123 e ss..
[60] Com’è noto, il principio di universalità stabilisce che la divisione ereditaria deve comprendere tutti i beni facenti parte dell’asse ereditario.
[61] Si pensi agli artt. 713, co. 3; 720; 722; 1112 c.c.
[62] Si veda, a proposito, per esempio, dell’esperibilità dell’azione di rescissione per lesione oltre il quarto, ai sensi dell’art. 763 c.c., Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1997, n. 8448, reperibile su italgiureweb.
[63] Vedi, in tal senso, Cass. civ., Sez. Un., 16 marzo 1978, n. 1323; Cass. civ., Sez. Un., 24 marzo 1977, n. 1145, consultabili su italgiureweb.
[64] A tal proposito, vedi Cass. civ., sez. II, 8 aprile 2016, n. 6931; Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016,n. 5869; Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2011, n. 573; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1994, n. 10220, reperibili su italgiureweb. Inoltre, per quanto attiene il carattere c.d. “abnorme” dell’ordinanza del giudice che approvi un progetto di divisione parziale dei beni ereditari in difetto di consenso esplicito di tutti i condividenti, si veda Cass. civ., sez. II, 24 maggio 1990, n. 4699; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1980, n. 1297; Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1980, n. 1012, rinvenibili su italgiureweb.
[65] Vedi p. 39 della sentenza.
[66] A tal proposito, si veda Cass. civ., sez. II. 9 febbraio 1980, n. 905; Cass. civ., sez. I, 16 maggio 1973, n. 1398, riscontrabili su italgiureweb.
[67] Si veda, in tale direzione, Cass. civ., Sez. Un., 16 marzo 1978, n. 1323; Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1997, n. 8448, consultabili su italgiureweb.
[68] Si veda la già citata Cass. civ., Sez. Un., 24 marzo 1977, n. 1145, consultabile su italgiureweb.
[69] Per completezza, si rinvia a p. 39 della sentenza.
[70] Si veda l’art. 1111, co. 1 c.c.
[71] Il principio utilizzato è quello secondo cui “in communione nemo compellitur invitus detineri”.
[72] Le argomentazioni sono più approfonditamente profuse a p. 40 della sentenza.
[73] Vedi p. 41 della sentenza, laddove le Sezioni Unite esprimono anche il seguente principio di diritto: “Allorquando tra i beni costituenti l’asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell’art. 713, co. 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l’intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti”.
[74] Qualcosa era stata già detta da R. Rosapepe, La tutela del compratore nell’acquisto di immobili abusivi, Salerno, 1979.
[75] Per approfondire il tema, vedi p. 42 della sentenza.
[76] Con il termine divisione endoesecutiva si intende una divisione disposta nel corso del processo di espropriazione individuale.
[77] Con il termine divisione endoconcorsuale si intende, invece, una divisione chiesta in seno alla procedura fallimentare, ma anche alle altre procedure concorsuali.
[78] Esso recita così: “Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria”.
[79] Il comma 5 stabilisce che: “Le nullità di cui al secondo comma del presente articolo non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa”. Il comma 6, invece, che: “Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge”.
[80] Si ricorda che questa tipologia di espropriazione è disciplinata dal capo V del titolo I del libro III del codice di rito civile. Vedi, a tal riguardo, S. Sansa, Il pignoramento di beni indivisi: vendita e scioglimento della comunione, Key editore, 2018.
[81] La Corte, infatti, cita e mette in correlazione, gli artt. 599 e 600 c.p.c.
[82] È interessante il contributo, sul tema, di M. Sica, Sanatoria degli immobili abusivi e procedure esecutive immobiliari, in Riv. Dir. Proc., 1, 42, 1987, p. 576
[83] L’art. 600 c.p.c. è stato novellato dalla legge n. 51 del 2006.
[84] L’entrata in vigore è rappresentata dal 1 marzo 2006.
[85] Nella fattispecie concreta, la domanda è stata proposta con atto di citazione il 22 luglio 2003.
[86] La Corte inevitabilmente richiama il brocardo “tempus regit actum”, che regola, oltretutto, l’efficacia temporale delle norme processuali.
[87] A tal proposito, vedi Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2005, n. 10334, consultabile su italgiureweb.
[88] Detto articolo assegna al giudice dell’esecuzione, previa sospensione della procedura esecutiva ai sensi dell’art. 601 c.p.c., la competenza c.d. “funzionale” alla trattazione del giudizio di divisione, da svolgersi secondo l’ordinaria disciplina di cui agli artt. 784 ss. c.p.c.
[89] Sul punto, si rinvia a Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2012, n. 6072, riscontrabile su italgiureweb.
[90] Per approfondimenti sulle ulteriori argomentazioni dai risvolti processuali, vedi pp. 48-50 della sentenza.
[91] È d’uopo sottolineare come la Corte, in questa parte della sentenza, come in altre, abbia fatto uso della interpretazione c.d. adeguatrice o conforme a costituzione, in quanto ha recuperato i principi costituzionali di cui agli artt. 3, co. 1 e 24 cost.
[92] Sul punto della eccezionalità, le Sezioni Unite affrontano il problema specie a p. 49 della sentenza.
[93] Le Sezioni Unite, oltre ad affrontare la questione di diritto intertemporale in merito all’art. 600 c.p.c., hanno anche detto che nel caso di specie non si applicano le nuove disposizioni del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in quanto non applicabili alle procedure di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore.
[94] Per gli ultimi approfondimenti sul punto, si rinvia a p. 54 della sentenza.
Sequestro di denaro finalizzato alla confisca diretta. Nota a margine delle decisioni n. 23845 e 23844 del 07.05.2019 della Corte di Cassazione.Riflessioni operative di Graziella Viscomi
Il presente contributo nasce da una esperienza diretta in materia di sequestro del profitto del reato di peculato che ha indotto la scrivente ad una serie di riflessioni sulle modalità con cui curare la domanda cautelare reale e le modalità di esecuzione.
Con le sentenze n. 23845 e 23844 del 07.05.2019 la Corte di Cassazione dichiarava l’inefficacia di un sequestro preventivo disposto dal Gip di Catanzaro (in esito a convalida di un provvedimento d’urgenza adottato dal locala p.m.) sul presupposto che “venne disposto il sequestro preventivo per equivalente ai sensi dell'art. 322 ter cod. pen. in totale assenza di una preventiva applicazione di un sequestro preventivo delle somme di denaro finalizzato alla eventuale confisca diretta da eseguire nei confronti della citata società, dunque in mancanza di un accertamento circa l'impossibilità dell'ablazione diretta che costituisce presupposto indefettibile per applicare una misura cautelare finalizzata alla confisca di beni di valore corrispondente al profitto del reato”.
La vicenda muoveva dalla contestazione di un reato di peculato nei confronti del Dirigente Generale di una società in house, di un Dirigente regionale e del responsabile di una società finanziaria i quali, nell’ipotesi accusatoria, si sarebbero impossessati di somme di denaro pubblico, sottraendoli alla destinazione vincolata cui le stesse erano destinate.
La decisione in parola offre diversi spunti di riflessione.
La prima riguarda la possibilità di tangere un soggetto che risulta completamente estraneo al reato sia un una prospettiva astratta che in una ottica concreta.
Da un punto di vista astratto, ovvero meramente teorico, si osserva infatti che la contestazione afferisce il peculato e, dunque, un reato non contemplato dalla L. n. 231/01 quale presupposto della responsabilità dell’Ente per il fatto compiuto, nel suo interesse, da un amministratore.
Primo interrogativo che sorge, dunque, è se la ricerca del profitto diretto involga una analisi della condotta del rappresentante della società finalizzata ad una verifica meramente ipotetica della responsabilità sociale. Ci si chiede, dunque, se vi sia la necessità di porsi in un’ottica concreta finalizzata alla verifica della tangibilità del soggetto che, in qualche modo, possa dirsi concorrente del reato, pur non potendone rispondere in assenza di una previsione in tal senso.
La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte con la decisione n. 17840/19 la quale, citando diversi precedenti, ha rilevato che: “a prescindere dai profili di responsabilità del legale rappresentante, l'ente che trae profitto dall'altrui condotta illecita non può mai essere considerato "estraneo" al reato ai fini della confisca diretta del profitto medesimo (cfr., sul punto, Corte cost. sentenza n. 2/1987 secondo cui l'art. 27, comma primo, Cost., non consente che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto; in senso analogo, Sez. 1, n. 3118 del 08/07/1991, Rv. 188391, aveva affermato il principio che la confisca, come misura di sicurezza patrimoniale, è applicabile anche nei confronti di soggetti (quali le società) sforniti di capacità penale. Ciò sul rilievo che l'estraneità al reato esige che la persona cui le cose appartengono non abbia partecipato con attività di concorso o altrimenti connesse, ancorché si tratti di persona non punibile perché priva di capacità penale; nello stesso senso Sez. 3, n. 3390 del 19/01/1979, Rv. 141690, aveva affermato che può ritenersi estraneo al reato soltanto colui che alla commissione del reato medesimo non abbia partecipato in alcun modo con una qualsiasi attività di concorso o altrimenti connessa, ancorché non punibile. Costituisce declinazione di tali insegnamenti il principio affermato da Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647, sopra riportato; nel senso che la nozione di "persona estranea al reato" cui appartiene e va restituita la cosa sequestrata (art. 240 cod. pen.) è diversa da persona estranea al procedimento penale, in quanto richiede la estraneità al fatto - reato, che non ricorre in chi sia sfuggito al procedimento penale, Sez. 1, n. 7855 del 28/01/1988, Rv. 178817)".
Il principio enunciato dal Giudice nomofilattico, quanto meno a primo impatto, potrebbe destare delle perplessità non tanto poiché si risolve nella considerazione ultima di un sequestro possibile nei confronti di un terzo che sia completamente estraneo al reato e che risponda per il fatto illecito altrui, anche in assenza di una disposizione punitiva specifica. Vero è, infatti, che tale teorica è consolidata nella giurisprudenza in relazione ai reati tributari ove -in buona sostanza- non si considera l’Ente estraneo al reato (cfr. anche Cass. Pen. n. 3591 del 20.09.2018, rv. 275687-01). La perplessità si pone, invece, in relazione all’automatismo sulla responsabilità che ne viene fatto e che fonda la possibilità del sequestro finalizzato alla confisca diretta. Se ne conclude, insomma, che lì è il profitto, lì sarà l’ablazione senza necessità di verifiche sulla responsabilità del soggetto. Effettivamente, nel passaggio della decisione surriportata la Corte di Cassazione adotta un concetto più ampio di estraneità al reato inglobandovi anche la persona “priva di capacità penale”.
In un certo senso, i principi da ultimo espressi dalla Suprema Corte, inoltre, paiono conciliarsi con l’orientamento (che non riguarda le società, va precisato) per cui “Il sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240 c.p., in caso di concorso di persone nel reato non può prescindere dall’effettivo vantaggio conseguito dal concorrente nel delitto e quindi non può esser disposto nei confronti del coimputato che abbia materialmente appreso tale profitto” (Cass. Pen. 11981 del 07.12.2017, rv 272855-01).
A parere di chi scrive, tuttavia, rimangono delle perplessità. Se è ben vero che, alla luce degli arresti sopra riportati, il sequestro segue il bene ovunque si trovi, potrebbe arrivarsi alla conclusione che ciò vale anche nelle ipotesi in cui il profitto possa dirsi “giusto” poiché, per esempio, corrispondente ad un utile legittimo. Ipotizziamo, infatti, il caso del pubblico amministratore che devii delle risorse pubbliche sottraendole alle finalità impresse da un POR (sempre un caso di peculato, dunque). Consideriamo che tali risorse siano affidate ad una società che le utilizzi nell’ambito della propria attività dopo averle ricevute con un espresso provvedimento amministrativo dell’organo pubblico interessato. Laddove non sia possibile individuare una condotta illecita in capo all’amministratore della società in questione (per esempio poiché non tenuto a conoscere del vincolo impresso alle somme, oppure poiché -trattandosi di società- non è possibile risalire al soggetto che ha disposto delle somme affidate con la consapevolezza della loro sottrazione a pubbliche finalità), può un provvedimento ablatorio essere indirizzato su quella società, terzo estraneo al reato, ma destinatario e beneficiario di quella somma di denaro, profitto del reato di peculato e per essa stessa profitto/utile? Se il principio espresso dalla Suprema Corte è quello per cui l’Ente che trae profitto dall’altrui condotta illecita non può mai essere considerato estraneo al reato ai fini della confisca diretta del profitto medesimo, si potrebbe giungere a tale conclusione. Ricordiamo, tuttavia, che la confisca diretta costituisce una misura di sicurezza patrimoniale che ha natura cautelare e non punitiva.
V’è da dire che il tema del sequestro diretto è stato affrontato dalla giurisprudenza partendo dal presupposto della diversa ratio alla base della confisca per equivalente. Nella sentenza n. 6816/19, la Suprema Corte ha sottolineato che: “esiste una netta differenza tra la confisca diretta e la confisca di valore (o per equivalente), che risiede proprio nel nesso di derivazione qualificata dal reato, nel senso che, nel primo caso, quel rapporto di derivazione fa sì che l'autore del reato venga privato del bene, fisicamente individuabile, che rappresenta il 'beneficio' diretto dell'illecito, laddove nel secondo caso, non potendo essere disposta la confisca diretta, l'agente viene privato di beni nella sua disponibilità economica che, senza alcuna pertinenzialità con il reato, abbiano valore pari al prezzo o al profitto dell'illecito”.
Le decisioni citate in apertura (n. 23845 e 23844 del 07.05.2019) hanno posto un interrogativo anche su di un problema pratico. La Suprema Corte si è espressa, invero, in termini di inefficacia del sequestro. Il provvedimento non è stato censurato nel merito, avendo la Corte di legittimità posto l’accento su quella che, in realtà, è una modalità di esecuzione, l’aver ablato i beni degli indagati senza prima intaccare la somma suscettibile di sequestro finalizzato alla confisca diretta. In punto procedurale ciò certamente implica la possibilità di riproporre il sequestro (Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 37706 del 22/09/2006 Cc. (dep. 16/11/2006), Rv. 235249 - 01). Ma induce a riflettere anche sul dispositivo che legittima la Corte di Cassazione a dichiarare addirittura l’inefficacia del provvedimento, con la conseguenza che il P.M., per procedere ad una esecuzione affatto censurata nel merito (ed anzi, confermata in sede di appello) deve richiedere un nuovo provvedimento al GIP.
Effettivamente, il dispositivo (così come la richiesta) indicavano l’esecuzione anche per equivalente, senza ulteriori specificazioni. In particolare, senza un espresso riferimento alla necessità di procedere a sequestro diretto sulla società beneficiaria del profitto e, solo in caso di incapienza, al sequestro per equivalente sugli indagati.
La questione risulta importante poiché una esplicita previsione in tal senso nel dispositivo e, a monte, una richiesta che già indicasse al GIP la via del sequestro diretto, avrebbe fatto salvo il provvedimento giurisdizionale, spostando il problema alla sola fase di apprensione materiale.
Da ultimo, occorre qualche breve cenno ad una problematica che concerne l’esecuzione sul denaro, poiché il provvedimento di inefficacia della Suprema Corte ha indotto a preoccuparsi anche del quomodo della nuova esecuzione.
Nella sentenza “Lucci”, le Sezioni Unite hanno affermato che: “Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato” (Cass. Pen. Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015 Ud. (dep. 21/07/2015), Rv. 264437 - 01).
Sulla scorta di tale principio, occupandosi del sequestro diretto del profitto del reato, è stato inizialmente evidenziato che: “(…) per le Sezioni Unite il discorso si pone in termini peculiari laddove il profitto o il prezzo del reato sia costituto da una somma di denaro, dunque da un bene che perde la sua identificabilità fisica e che, per la sua fungibilità, si confonde con le altre disponibilità economiche dell'agente: sicché, non potendo, in genere, individuare nella sua materialità proprio il bene destinato alla confisca diretta, è sufficiente constatare che il patrimonio dell'interessato si sia accresciuto in misura pari a quell'importo” (Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 6816 del 29/01/2019 Cc. (dep. 12/02/2019), Rv. 275048 - 01).
Tuttavia, questa stessa decisione non sembra realmente omologarsi al principio suddetto, poiché in concreto svolge considerazioni sulla pertinenzialità del bene che, anche laddove si parli di denaro, finiscono -a parere di chi scrive- per annullare di fatto il concetto di fungibilità.
La decisione in questione, infatti, richiede un ulteriore requisito procedendo ad una reinterpretazione (voluta e manifestata) della statuizione delle Sezioni Unite nel senso che la fungibilità incontrerebbe il limite dell’accertamento delle somme di denaro esistenti sui conti corrente interessati o al momento della consumazione del reato od a quello del suo accertamento (espressione quest’ultima, alquanto ambigua). Secondo tale orientamento, pertanto: “nell'ipotesi in cui il profitto del reato sia consistito in una somma di denaro, la confisca diretta possa legittimamente avere ad oggetto un importo di pari entità comunque presente nei conti bancari o nei depositi nella disponibilità dell'autore del reato, purché si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento: solo in tali ipotesi è possibile ragionevolmente sostenere che il denaro è sequestrabile e poi confiscabile in via diretta come profitto accrescitivo, dunque indipendentemente da ogni verifica in ordine al rapporto di concreta pertinenzialità con il reato, perché tale relazione è considerata in via fittizia sussistente proprio per effetto della confusione del profitto concretamente conseguito con tutte le altre disponibilità economiche del reo. Diversamente argomentando, cioè ammettendo che il vincolo reale possa estendersi anche su importi di denaro indistintamente accreditati sui conti o nei depositi dell'autore del reato, sulla base di crediti lecitamente maturati in epoca successiva al momento della commissione del reato - momento che giuridicamente finirebbe per recidere ogni rapporto di pertinenzialità con il reato - si finirebbe obiettivamente per trasformare una confisca diretta in una confisca per equivalente: in quanto avente ad oggetto somme di denaro sì oggetto di movimentazione sui conti o sui depositi nella disponibilità dell'autore del reato, ma che solo con una inaccettabile 'forzatura' possono essere qualificate come profitto accrescitivo, perché del tutto sganciate, dal punto di vista logico e cronologico, dal profitto dell'illecito” (Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 6816 del 29/01/2019 Cc. (dep. 12/02/2019), Rv. 275048 - 01).
Ad avviso di chi scrive, un tale orientamento (nettamente contrario a quello espresso, ad esempio, nella decisione Cass. Pen. Sez. 2, n.29924 del 12/04/2018, citata nel contesto della prefata pronuncia) costringerebbe ad una probatio diabolica il requirente, non tiene in debito conto il momento in cui il reato viene accertato (anche a distanza di un lasso di tempo incompatibile con l’esatta persistenza su di un conto corrente sociale, soggetto a movimentazioni continue di quella specifica somma di denaro nella quale consiste il profitto) e contrasta anche con la stessa ratio del sequestro finalizzato alla confisca diretta.
Di certo, l’esame della variegata giurisprudenza che si è occupata della tematica della confisca diretta stimola ad una particolare attenzione nella esatta individuazione dell’oggetto della decisione ed in una programmazione particolarmente stringente delle modalità di esecuzione.
Sommario: 1. Marsala e il Tribunale. 2. La struttura, il circondario e i “dati” sulla giustizia. 3. L’organizzazione e la pianta organica. 4. Un ufficio “particolare”. 5. Il rafforzamento delle risorse.
1. Marsala e il Tribunale.
17 febbraio 2014. E’ il giorno in cui vengo immessa nel possesso delle funzioni nel Tribunale di Marsala. È la mia prima sede. La scelgo volutamente, perché è sede vicinissima alla città in cui abito, ma la scelgo anche e un po’ inconsapevolmente, in difetto di una chiara e concreta cognizione/percezione, all’epoca, del modo in cui avrebbe potuto effettivamente dipanarsi il complessivo lavoro giudiziario.
Marsala è una città bella e racchiude in sé le contraddizioni tipiche delle città del Sud, in particolare, delle città siciliane, ricchissime di arte, storia e cultura, che si ha, talvolta, la sensazione essere rimaste imprigionate nel passato, ma che non di rado pure riemergono, e in certi casi con dubbia insolenza.
Marsala è una città di mare e di agricoltura, di sole e di vento, di borghese ricchezza e popolare povertà e attorno ad essa girano piccoli e grandi centri e/o circuiti economici non sempre noti al resto dell’Italia (e all’estero) per il sapore dei vini che le imprese locali con secolare tradizione producono.
Numerosi sono i siti storici e archeologici presenti, testimonianza delle passate dominazioni e di quell’alternanza tra periodi di splendore economico e culturale (il periodo romano, ne è un esempio) e momenti di assedio e di oscurantismo (durante il periodo disinteressato di Bisanzio), con successive ed intermittenti rinascite (con gli Arabi, che diedero alla città il nome di Marsa’ Alì, e poi con i Normanni e gli Spagnoli e, ancora in seguito, nell’Ottocento, sino al noto sbarco dei Mille), che in maniera circolare hanno segnato e continuano a segnare la storia di questo territorio, il quale, altresì ricco di aree e riserve naturali di particolare bellezza (si pensi alla Riserva Naturale Orientata “Isole dello Stagnone di Marsala”), ha sempre registrato un alterno e contraddittorio rapporto con le “istituzioni”.
Il Tribunale si affaccia su questa terra “salata” e la guarda con il volto di chi, siciliano tra i siciliani, ha voluto con appassionata determinazione restituire verità e desiderio di cambiamento. Il manifesto di Paolo Borsellino, da un lato, e quello di Cesare Terranova, dall’altro, si trovano accanto alla scritta “Palazzo di Giustizia”, nel vecchio, come nel nuovo edificio, rappresentando, ciascuno ed entrambi insieme, il contenuto ideale e/o simbolico del luogo stesso.
La storia di questo Tribunale si sente ancora viva nei racconti di qualche più anziano cancelliere, avvocato o magistrato che ricorda i tempi, vissuti, dell’arrivo di Borsellino, con un solo sostituto in organico e un limitato numero di operatori di P.G., in un territorio in cui oggi come allora la presenza della criminalità organizzata è significativa. È la storia dei processi a personaggi di spicco appartenenti alla famiglia mafiosa del noto boss Matteo Messina Denaro, ancora latitante, e la storia altresì di scomparse e rapimenti rimasti irrisolti, come quello di Denise Pipitone.
In questo contesto, in cui il progressivo ampliamento delle risorse si registra soltanto a partire dagli anni Ottanta, notevole è l’impegno del personale tutto, compresa la componente forense, che all’idea di “giustizia” ha dedicato e dedica il proprio quotidiano lavoro.
2. La struttura, il circondario e i “dati” sulla giustizia.
Il Tribunale di Marsala, nato cinquanta anni fa, è oggi fisicamente collocato in un edificio grande, spazioso, luminoso e, soprattutto, moderno, la cui realizzazione, cominciata oltre 10 anni addietro su un’area originariamente occupata da un ex stabilimento vinicolo, è stata solo di recente portata a termine, con l’esecuzione di progressivi interventi di riordino e riadattamento, onde rendere la struttura quanto più possibile coerente e atta ad assicurare una efficace ed efficiente risposta di giustizia.
L’edificio, destinato ad ospitare un vasto numero di personale ed utenza, si compone essenzialmente di due blocchi principali di fabbrica, tra loro collegati. Ampi sono i corridoi e le aree aperte per accogliere il pubblico. Vi sono aule attrezzate per la trattazione dei processi penali e civili (comprese le aule destinate alle vendite) e, con una soluzione “eccentrica” rispetto ad altre e diffuse realtà, stanze assegnate a ciascun magistrato. È stata anche realizzata una stanza giochi per i bambini nonché una sala medica.
Il circondario è esteso e comprende, tra gli altri, i centri di Mazara del Vallo e Castelvetrano, costituenti due dei mandamenti in cui si articola l’organizzazione criminale “Cosa Nostra” nella provincia di Trapani.
La presenza della criminalità organizzata – che altresì alimenta la proliferazione di sacche di illegalità in diversi settori, compresi quelli dell’economia e della politica locale – non esaurisce le criticità del territorio.
Si assiste, ad esempio, negli ultimi anni ad un allarmante incremento della criminalità in ambito familiare e di genere, che accresce le esigenze di tutela, non solo penale, ma pure in sede civile – con elementi di contatto, in tale ultimo caso, anche con il lavoro svolto dal Tribunale per i Minorenni – delle fasce più deboli e marginalizzate della popolazione.
Non esiguo è il numero delle imprese presenti sul territorio ed operanti in una realtà complessa che, caratterizzata dalle dette notorie criticità, rende il contenzioso assai eterogeneo.
A ciò si aggiunge una diffusa illegalità che pure copre l’area degli illeciti contro la P.A. o in materia di edilizia e ambiente, in un contesto di disagio economico e sociale che reclama un assiduo e costante impegno di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nell’amministrazione della giustizia.
Alcuni dati tratti dal sistema datawarehouse del Ministero della Giustizia – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa consentono di individuare, per il settore civile, alla data del 31.12.2018, con riferimento al totale degli affari contenziosi, controversie in tema di lavoro, previdenza e assistenza, affari della volontaria giurisdizione e procedimenti speciali sommari (c.d. area SICID), 5266 nuove iscrizioni e 5492 definizioni, per un rapporto tra procedimenti definiti e procedimenti sopravvenuti (c.d. clearance rate) pari 1,04% e con un numero di pendenze finali pari a 3118. La percentuale di cause pendenti ultratriennali sul totale delle pendenze è pari allo 0,8% (al 31.12.2015 la percentuale delle cause ultratriennali sul totale delle pendenze era del 4,3%).
Per ciò che attiene alla giustizia penale, alla data del 31.12.2018, si registra un numero di sopravvenienze pari a 4555 a fronte di definizioni pari a 4370, per un clearance rate che si assesta nella percentuale dello 0,96%, mentre la variazione delle pendenze ultratriennali è pari a - 25,6%.
In significativa crescita sono i procedimenti iscritti per i delitti di maltrattamenti, atti persecutori e abusi sessuali (il dato statistico segna un incremento delle iscrizioni per tale tipologia di reato, negli ultimi tre anni, del 21%).
Intuitivi sono i momenti di contatto tra il lavoro della Procura locale e la DDA, cui sono trasmessi per competenza quei procedimenti che, originariamente istruiti per reati comuni, si rivelano in seguito riconducibili nell’area dell’associazione mafiosa.
Non sono rare, altresì, le imprese dichiarate fallite e contemporaneamente attinte da misure di prevenzione, con ogni conseguenza in punto di coordinamento tra le due discipline e procedure.
Il lavoro giudiziario, nelle due macro-aree (civile e penale) – in cui pure si articola la ripartizione in Sezioni del Tribunale – si presenta, così, sempre vario e multiforme, con non inconsueti momenti di interferenza, richiedendo a ciascun operatore, sin dal momento in cui entra a far parte dell’organico, anche in sede di prima assegnazione, una duttilità intellettuale e organizzativa che, pur a fronte di una inevitabilmente diradata specializzazione, amplifica, comunque, le occasioni di confronto nell’ufficio, offrendo importanti opportunità di crescita personale e professionale.
3. L’organizzazione e la pianta organica.
Il Tribunale di Marsala, come anticipato, è organizzato in due Sezioni, una penale e una civile, quest’ultima articolata in più uffici (contenzioso – esecuzioni e fallimenti – lavoro e previdenza – volontaria giurisdizione).
Quanto ai magistrati presenti, a fronte di una pianta organica che conta 21 giudici (oltre 2 Presidenti di sezione ed un Presidente di Tribunale), i magistrati effettivi sono in questo momento 17 (esclusi i Presidenti), di cui ben 7 con la I valutazione di professionalità e 4 con la II valutazione di professionalità, con una scopertura di organico soggetta a periodiche variazioni e destinata prossimamente ad aumentare, con il trasferimento di altri 3 colleghi già proposta dall’apposita commissione consiliare.
Ulteriormente complessa è la situazione della Procura che, a fronte di una pianta organica comprensiva di 8 sostituti e del Procuratore, soffre, allo stato attuale, di una scopertura del 38%. Sono 5 infatti ad oggi i magistrati effettivamente presenti (di cui 1 m.o.t. e 2 sostituti alla I valutazione di professionalità), oltre al Procuratore.
Non mancano le pubblicazioni di posti vacanti, e tuttavia, come pure ricordato dal vicepresidente del CSM David Ermini, in occasione della cerimonia inaugurale del nuovo Palazzo di Giustizia tenutasi lo scorso 9 ottobre, nonostante l’indizione dei bandi, tanto nel Tribunale quanto nella Procura, “non sono state presentate domande: i magistrati non fanno domanda per andare in alcuni uffici particolari del Sud”.
4. Un ufficio “particolare”.
Marsala evidentemente rientra in uno dei suddetti “uffici particolari” e, se così è, l’attuale situazione – quella, cioè, in cui si viene a trovare un magistrato, più spesso di prima nomina, non appena arriva qui – non sembra tanto diversa dalla situazione che emerge dalle parole di una personalità importante e simbolica, come quella di Paolo Borsellino, pronunciate oltre trenta anni addietro nel corso della relativa audizione, quale Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia l’11 dicembre 1986, là dove a un certo punto dichiara: “… mi rendo conto dei poteri del Consiglio superiore ed è inutile che mando a chiedere l’invio di sostituti, quando nessuno fa domanda. …”.
Le criticità del territorio dovrebbero tradursi non in altrettante criticità nella concreta gestione del servizio giustizia, bensì in un rafforzamento delle risorse che per l’attuazione di quel servizio sono essenziali.
La componente magistratuale del Tribunale è in buona parte costituita da colleghi di prima nomina, non siciliani e desiderosi di riavvicinarsi alle sedi originarie e/o a sedi ad esse limitrofe, non appena maturata la legittimazione al trasferimento. Eccezionalmente, alcuni rimangono a Marsala e, in genere, la scelta in tal senso compiuta è di tipo affettivo, per avere alcuni di essi creato una famiglia in loco.
Si assiste, dunque, ad un periodico e significativo ridimensionamento del numero dei giudici presenti, con nuovi ingressi raramente contestuali alle uscite, vuoi per la quantità non sempre adeguata dei posti messi a concorso, vuoi – come detto – per l’assenza di aspiranti.
Il turn over che caratterizza l’ufficio marsalese, come altre realtà giudiziarie periferiche e, per di più, meridionali, pone ciclicamente in pericolo i “risultati” raggiunti nei periodi di “pieno” organico e la tensione, in siffatti momenti, a mantenere livelli accettabili di efficienza nella risposta di giustizia, al di là del dato meramente statistico, la si coglie nei diversi tentativi di riorganizzazione nella gestione dei ruoli e dei procedimenti che, seppure, ed in ultima analisi, idonei a determinare un accrescimento delle esperienze professionali e, dunque, delle competenze, rischia di far perdere di vista l’idea stessa della “programmazione”.
Diviene allora importante, in siffatto contesto, il modello organizzativo prescelto, che a Marsala passa, ad esempio, per il periodico controllo dei flussi, su cui ciascun magistrato è chiamato a cimentarsi, una volta che, con cadenza mensile, trasmessogli per email il bollettino statistico e la stratigrafia delle pendenze ultratriennali, si ritrova ad analizzare il numero dei procedimenti – distinti per tipologia e natura – definiti da ognuno e quelli ancora pendenti necessitanti di sollecita trattazione (perché già ultratriennali ovvero prossimi a divenire tali entro breve tempo), sì da “valutare” il proprio lavoro in rapporto con il lavoro svolto dai colleghi e attuare, se del caso, strategie di intervento sul proprio ruolo onde evitare, tra l’altro, la proliferazione dell’arretrato o, più semplicemente, per allineare, se possibile, i propri “risultati” con quelli medi dei colleghi addetti alle medesime e/o analoghe funzioni.
Per quanto lo strumento possa apparire orientato, in particolar modo, ad assicurare adeguati livelli di “produttività” – termine, quest’ultimo, spesso utilizzato e/o percepito con una (nemmeno troppo vaga) accezione negativa – non può, innanzi tutto, non riconoscersi che il numero dei procedimenti definiti, il quale, a sua volta, altresì incide sulla durata dei processi, è uno degli elementi su cui pure si fonda la percezione, dal punto di vista del cittadino e dell’utenza, del servizio giustizia. Sotto un ulteriore profilo, poi, la condivisione tra colleghi dei dati statistici (distinti per magistrato e diversificati in funzione della natura e tipologia dei procedimenti), non solo rende ciascuno consapevole del lavoro individuale e da tutti insieme svolto ma altresì impone e, con il tempo, abitua a una gestione ordinata e razionale dell’attività stessa, con effetti tendenzialmente positivi, in ultimo, sullo stesso “equilibrio” complessivo del singolo all’interno dell’ufficio e dell’ufficio globalmente inteso, pur nell’eterogeneità dei contenuti e delle responsabilità implicate nell’attuazione di quello che, con espressione oramai diffusa a differenti livelli, va sotto il nome di “benessere organizzativo”.
5. Il rafforzamento delle risorse.
L’impegno individuale è la componente basilare di quella attività di consolidamento delle risorse, essenziale a mantenere elevato il livello di attenzione sulle problematicità che caratterizzano buona parte degli uffici del Sud e, al contempo, ad alimentare il senso di fiducia che ogni cittadino dovrebbe avere per le istituzioni.
È un impegno che si arricchisce non solo della passione e del riconoscimento del ruolo e della funzione che anima l’attività di ciascuno, ma anche della cultura trasmessa ed acquisita con la condivisione, tra generazioni diverse di magistrati, di momenti pure apparentemente estranei all’attività giudiziaria in senso stretto, come la consumazione di un pasto fugace prima della ripresa del lavoro pomeridiano.
Su questo impegno, individuale ma condiviso, si costruiscono quegli indicatori di performance (tra cui la durata delle cause, l’arretrato e la capacità di smaltimento, oltre che la produttività) che, essenziali al periodico monitoraggio della giustizia, rimangono comunque inevitabilmente collegati alle risorse umane disponibili.
Accanto a questi momenti, individuali e condivisi, del lavoro giudiziario e, dunque, dell’organizzazione del singolo magistrato e dell’ufficio nel suo complesso, spetta agli organi istituzionali realizzare concreti percorsi di sostegno all’amministrazione della giustizia che, al di là ed oltre le pure prospettate riforme delle regole processuali, assicurino la non dispersione e, piuttosto, la valorizzazione del detto impegno, personale e collettivo, onde ridurre il divario tuttora esistente tra le diverse aree geografiche del Paese. È una sfida quotidiana che potrebbe passare dal rinnovamento materiale degli edifici all’incentivo e al potenziamento, anche per il tramite di una continuità (allo stato scarsamente esistente) tra uscite e nuove entrate, delle professionalità esistenti, con una sincera condivisione infine, tra uffici e a differenti livelli, non solo dei risultati raggiunti, ma anche dei percorsi realisticamente attuabili.
Concludo, così, le considerazioni e idee che ho maturato nel corso di questi primi anni di servizio in cui un ruolo essenziale ha svolto il confronto con i colleghi, in particolare quelli più anziani che, sin dal primo momento in cui ho messo piede nel Tribunale di Marsala e via via nel tempo i colleghi subentrati a quelli non più in servizio e/o trasferitisi altrove, non hanno esitato – in ultimo, anche per la raccolta dei dati in vista della predisposizione di questo breve articolo – a condividere conoscenze ed esperienze.
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