ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
IL BAZOOKA DI LIQUIDITA’ CONTRO IL COVID 2019
di Glauco Zaccardi
Sommario: 1.Gli effetti macroeconomici della pandemia e gli interventi del Governo. Il bazooka di liquidità.- 2.Il quadro europeo. - 3.Il piano italiano. - 4.Il prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020. - 5.Conclusione.
1.Gli effetti macroeconomici della pandemia e gli interventi del Governo. Il bazooka di liquidità
La pandemia da Covid 2019, oltre alla tragedia sanitaria e all’elevatissimo numero di vittime che ha procurato, ha creato un blocco dell’economia globale, gli effetti del quale non potranno essere stimati nell’immediato e, certamente, per avere un orizzonte ben chiaro occorrerà attendere almeno la fine del 2020.
Come noto, le conseguenze della crisi si sono manifestate attraverso diversi canali. All’impatto della contrazione dell’economia cinese nel primo trimestre dell’anno si sono aggiunti lo shock dal lato dell’offerta, quello sul versante della domanda derivante dall’abbattimento dei consumi, l’impatto negativo dell’incertezza sui piani di investimento e, infine, il drenaggio insostenibile alla liquidità delle imprese. Le ripercussioni sui mercati finanziari globali sono evidenti e non occorre soffermarsi in questa sede per renderne l’ordine di grandezza.
Il nostro Governo, per primo in Europa, ha varato uno straordinario piano di interventi a sostegno dell’economia, di entità mai vista nel dopoguerra e che non trova uguali in tutta l’Unione. Si è parlato, nella comunicazione politica, di un vero e proprio bazooka di liquidità.
Al di là dell’enfasi dell’espressione, alcune cifre possono dare l’idea di come sia stata affrontata l’emergenza, pur a fronte di un debito pubblico poderoso (135% del PIL, prima della crisi).
Il Governo ha varato, con i decreti legge 17 marzo 2020, n. 18 e 8 aprile 2020, n. 23, un intervento complessivo di 800 miliardi di euro a sostegno di imprese, cittadini e professionisti, battezzato dall’altra espressione della comunicazione politica, rispolverata per l’occasione, secondo la quale nessuno sarà lasciato indietro. La cifra impiegata è pari al 40% circa del PIL nazionale (ammontante, quest’ultimo, a 1787 miliardi di euro nel 2019, 1944 miliardi misurati in dollari).
Tanto per fare paragoni e guardare cosa succede nell’Unione Europea, la Germania ha messo in campo un piano complessivo di 1.137 miliardi di euro, che si innestano, però, nello scenario di un paese che ha un PIL di 3.388 miliardi di euro, pari a 3.684,45 miliardi di dollari. Lo Scudo protettivo per lavoratori e imprese che il Governo federale ha prodotto insieme con i singoli Lander è pari, quindi, a poco meno di un terzo del PIL nazionale e, non può non essere ricordato, la Germania parte da una situazione di avanzo di bilancio.
Fuori dall’Unione, sempre per rendere l’idea dell’entità dell’intervento varato dal Governo Italiano, il Giappone ha approvato un complesso sistema di misure che portano a un totale di – dichiarati – circa mille miliardi di euro, i quali, però - contestano gli analisti - includono anche i circa 200 miliardi già messi in campo nella sessione di bilancio dello scorso autunno, precedente il diffondersi della pandemia. Il Governo giapponese, quindi, ha stanziato risorse di ordine pari a quelle italiane, ma lo ha fatto intervenendo su un’economia nazionale che produce il terzo PIL del mondo, ossia 4541 miliardi di euro nel 2019 (4.939,38 miliardi dollari), più di due volte e mezzo il PIL italiano.
Così ricordata l’entità del bazooka, è utile inquadrare il contesto europeo nel quale lo stesso si è inserito, per poi accennare alla composizione complessiva del pacchetto; ci si intende soffermare, poi, su una particolare misura, il cosiddetto prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020, al quale a mio avviso sono state mosse critiche ingenerose e un po’ frettolose.
2.Il quadro europeo.
Come è noto, in linea generale l’art. 107 TFUE vieta gli aiuti di Stato, erogati in qualsiasi forma, che favorendo talune imprese o determinati settori produttivi o aree territoriali, rischino di alterare la concorrenza all’interno dell’Unione.
E’ quindi evidente che la Commissione, investita dalle istanze dei paesi (l’Italia per prima) che hanno annunciato misure imponenti di sostegno pubblico all’economia, abbia dovuto delineare un quadro nuovo, necessariamente contingente e legato alla crisi, per la trattazione degli aiuti di Stato.
Ciò è stato fatto con due provvedimenti: la Comunicazione della Commissione, Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid-19, n. 2020/C 91 I/01 del 19 marzo 2020 e la Comunicazione della Commissione, Modifica del Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19, n. 2020/C 112 I/01 del 3 aprile 2020.
Muovendosi nel solco dalle indicazioni del Consiglio Europeo (l’organo che, ricordiamolo, definisce le linee politiche generali e le priorità dell’Unione e nel quale siedono i capi dei governi nazionali, il Presidente del Consiglio Stesso e il Presidente della Commissione), la Commissione ha, in sintesi, enunciato una linea che può essere sintetizzata nei termini seguenti.
Le conseguenze socio-economiche dell’emergenza Covid-19 rientrano tra gli scenari in relazione ai quali l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b) del TFUE prevede la possibilità di autorizzare aiuti di Stato alle imprese per “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia” di uno Stato membro.
Ora, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia questa disposizione, che consente in via eccezionale un approccio più flessibile dell’ordinario nella valutazione degli aiuti di Stato, si applica anche nel caso in cui il turbamento economico coinvolga più Stati membri o la totalità del territorio dell’Unione. In ogni caso, è superfluo specificarlo, gli aiuti devono essere diretti alla compensazione dei danni dovuti all’emergenza e non possono risolversi in un beneficio rispetto alla situazione preesistente.
Per la cronaca, il precedente diretto del ricorso all’articolo 107, paragrafo 3, lettera b) si registrò in occasione della crisi economico-finanziaria del 2008.
La Commissione ha affermato chiaramente che: “Sin dal 10 marzo scorso il Consiglio europeo ha incluso tra le linee di azione per fare fronte all’emergenza, oltre alla flessibilità nell’applicazione del Patto di stabilità e crescita e alle misure per limitare la diffusione dell’epidemia, assicurare adeguate attrezzature sanitarie e promuovere la ricerca di vaccini, anche l’applicazione flessibile delle regole sugli aiuti di Stato”.
L’Europa, quindi, senza tentennamenti e tempestivamente, ha detto chiaramente che i piani di intervento straordinari programmati dai singoli governi sarebbero stati valutati in modo flessibile, direi “bonariamente” ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b) del TFUE e che gli effetti degli stessi sull’indebitamento non rileveranno ai fini dello sforamento degli obiettivi del Patto di Stabilità e crescita ( v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1012-l-unione-europea-contro-la-pandemia-di-covid-19-tra-solidarieta-per-gestire-l-emergenza-sanitaria-e-adattamento-degli-strumenti-esistenti-alla-ricerca-di-un-piano-comune-di-rilancio)
Come dire: via libera agli aiuti.
3.Il piano italiano.
L’Italia ha sinora utilizzato la duplice flessibilità concessa (nell’applicazione del patto di stabilità e nell’applicazione delle regole sugli aiuti), immettendo risorse nell’economia per complessivi 800 miliardi; il bazooka di liquidità ha sparato colpi per 350 miliardi nel decreto legge 18/2020 e per 450 miliardi nel decreto legge 23/2020.
Non è la presente la sede per analizzare approfonditamente le singole misure introdotte, potendosi limitare questa trattazione a uno sguardo di insieme ed essendo preferibile soffermare l’attenzione, come premesso, sul prestito Garanzia Italia di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020.
Ebbene, nel decreto legge 18/2020 si è varato un piano articolato nei seguenti quattro punti (art. 56). Le prime due misure sono destinate alle micro, piccole e medie imprese, per le quali tutte vale la classificazione adottata dalla Raccomandazione 2003/361 CE.
Ossia: il genere comprende imprese con un numero di dipendenti fino a 250, con fatturato fino a 50 milioni e fino a 43 milioni di poste totali di bilancio; sono piccole quelle con non più di 50 dipendenti e 10 milioni di fatturato; microimprese (le cosiddette partite IVA) quelle che hanno fino a 10 dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio sino a 2 milioni.
Fatta questa precisazione, ecco il sunto delle misure messe in campo con l’art. 56 del decreto legge 18/2020.
a)Moratoria nei prestiti alle micro, piccole e medie imprese (PMI). In dettaglio sono stati congelati, ossia non possono essere revocati sino al 30 settembre: le linee di credito in conto corrente (per 97 miliardi totali, attualmente utilizzate per 66 miliardi) e i finanziamenti per 60 miliardi per anticipi su titoli di credito (attualmente utilizzati per 35 miliardi); a queste risorse si aggiungono il congelamento delle scadenze di prestiti a breve per 29 miliardi e la sospensione delle rate dei prestiti e dei canoni in scadenza per 33 miliardi. Totale: 219 miliardi, dei quali una parte è composta da somme già erogate (163mld), che però avrebbero dovuto essere restituite e sono state invece congelate (praticamente come se fossero oggetto di un nuovo prestito da parte della banca da oggi fino al 30 settembre), l’altra parte (56mld) è composta di nuovi finanziamenti in tutto e per tutto che l’impresa può ottenere tirando sull’apertura di credito che viene congelata.
b)Fondo PMI: Il fondo garantisce oggi finanziamenti per 40 miliardi di euro in favore di imprese micro, piccole e medie. Se ne è disposto il rifinanziamento per 1,3 miliardi, nonché è stata assicurata una controgaranzia sullo stock di garanzie in essere in fase di definizione. Sommando i finanziamenti già coperti che potranno essere prorogati e i nuovi finanziamenti l’intervento cuba 110 miliardi di euro di liquidità che potranno essere immessi in favore di micro, piccole e medie imprese. E’ appena il caso di precisare che il costo dello Stato è dato solo dall’accantonamento necessario a fare fronte alla garanza, poiché i finanziamenti garantiti sono erogati concretamente dal sistema bancario e finanziario. Tale costo, in ossequio al regolamento SEC 2010, è pari all’ammontare delle risorse che il Tesoro stima essere pari a ciò che si prevede sarà necessario accantonare per far fronte alle escussioni; nel caso di specie è stata ritenuta prudenziale una percentuale di accantonamento del 6%.
c)Incentivi alle imprese bancarie e industriali a cedere i loro crediti incagliati o deteriorati mediante la conversione delle loro Attività Fiscali Differite (DTA, Deferred Tax assets) in crediti di imposta; con questa misura sono state liberate nuove risorse liquide per le imprese e si è consentito alle banche di dare nuovo credito; il tutto per totali 10 miliardi.
d)Ulteriore garanzia dello Stato a favore di Cassa depositi e prestiti per fornire provvista alle banche che finanziano imprese medio grandi che non beneficiano del Fondo PMI: 10 miliardi.
A questo pacchetto se ne è aggiunto un secondo, ancor più corposo, con il decreto legge 23/2020. Quest’ultimo si compone dei seguenti cardini (articoli 1, 2, 13, 14 e intero Capo IV)):
a)Garanzie dello Stato, attraverso SACE s.p.a., in modo tale da consentire l’erogazione di finanziamenti per 200 miliardi di euro. E’ il cosiddetto prestito Garanzia Italia, sul quale ci si soffermerà partitamente nel successivo paragrafo (art. 1).
b)Ulteriore sostegno all’export. L’intervento introduce un sistema di coassicurazione in base al quale gli impegni normalmente derivanti dall’attività assicurativa di SACE S.p.A. (il core business della quale consiste nella prestazione di garanzie a sostegno del finanziamento dell’export) sono assunti dallo Stato per il 90% e dalla stessa società per il restante 10%, liberando in questo modo ulteriori 200 miliardi di risorse da destinare al potenziamento dell’export (art. 2).
c)Ulteriore rafforzamento del Fondo di Garanzia PMI, potenziamento del credito sportivo, sospensione di adempimenti e versamenti tributari e contributivi (rispettivamente: art. 13, art. 14, Capo IV); 50 miliardi.
4.Il prestito Garanzia Italia, di cui all’art. 1 del decreto legge 23/2020.
L’art. 1 del decreto legge 23/2020 ha introdotto il prestito battezzato “Garanzia Italia”, con il quale sono state messe a disposizione dell’economia - imprese e professionisti - risorse liquide per 200 miliardi (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1010-il-decreto-legge-8-aprile-2020-n-23)
La misura è piuttosto complessa e la si può sintetizzare nei seguenti punti.
E’ previsto che lo Stato assuma fino al 31 dicembre 2020, attraverso la SACE s.p.a., società del gruppo Cassa depositi e prestiti, la garanzia in favore dei finanziamenti che le imprese del settore bancario e finanziario eroghino sotto qualsiasi forma (comma 1).
In particolare, la garanzia coprirà tra il 70% e il 90% dell’importo finanziato, a seconda delle dimensioni dell’impresa (comma 2, lettera d) ed è subordinata a una serie di condizioni (qualificanti quelle di cui al comma 2, lettere b, c, g, i, l, m), le quali appaiono in grado di superare in larga parte le critiche che sono state mosse all’art. 1 e delle quali faremo cenno nel prosieguo.
Venendo, prima, all’entità della copertura, si prevede che le imprese con meno di 5.000 dipendenti in Italia e un fatturato inferiore a 1,5 miliardi di euro ottengano una garanzia pari al 90% dell’importo del finanziamento richiesto e per queste è prevista una procedura semplificata (comma 6) per l’accesso alla garanzia.
La copertura scende all’80% per imprese con oltre 5.000 dipendenti o un fatturato fra 1,5 e 5 miliardi di euro e al 70% per le imprese con fatturato sopra i 5 miliardi (a prescindere dal numero degli addetti).
Per le Piccole e medie imprese, anche individuali o Partite Iva (insomma le PMI definite ai sensi della già citata Raccomandazione 2003/361 Ce, si veda paragrafo precedente), sono riservati 30 miliardi e l’accesso alla garanzia rilasciata da SACE S.p.A. sarà gratuito, ma subordinato alla condizione che le stesse abbiano esaurito la loro capacità di utilizzo del credito rilasciato dal Fondo Centrale di Garanzia, Fondo già fortemente potenziato come si è avuto modo di illustrare nell’elencare le misure del bazooka.
Così sinteticamente descritto il contenuto dell’intervento e, precisato per scrupolo di completezza che il finanziamento potrà avere durata massima di 6 anni e il preammortamento di 18 mesi (elementi marginali ai fini dell’esame della misura), ritengo utile soffermare l’attenzione sulle condizioni di cui alle lettere b), c), g), i), l, m) del comma 2, le quali sembrano mettere il prestito Garanzia Italia al riparo da molte critiche alle quali è stato sottoposto.
L’approccio giusto, quanto meno di partenza, per analizzare la misura, è secondo me quello dell’intervista rilasciata dai procuratori Sava, De Lucia e Petralia e pubblicata il 20 aprile proprio su questa rivista on line.
Essi hanno espresso la condivisibile preoccupazione che, essendo stata messa in campo un’immissione di liquidità per 200 miliardi di euro nell’economia, l’occasione possa fare molta gola alla criminalità ed hanno fatto appello affinché siano approntate tutte le cautele del caso.
La norma, senz’altro, andrà puntellata con un rafforzamento delle attività di controllo e vigilanza, magari queste ultime potranno essere anche potenziate da protocolli tra le autorità investigative e quelle di vigilanza sui settori finanziario e creditizio; se necessario (e il Governo risulta ci stia pensando) si può anche immaginare di esplicitare, con norma di rango primario, quello che è già implicito nell’ordinamento.
Ma, personalmente, non mi trovo nella posizione di una precedente intervista di altri procuratori, nella richiesta di alcuni componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché in altri messaggi a vario titolo inviati sui social, i quali interventi - senza per la verità citare alcun riferimento normativo, ma si capisce che si allude all’art. 1 del decreto legge 23/2020 - tracciano un giudizio di insieme del prestito Garanzia Italia che in più punti non sembra partire da un’analisi puntuale del testo normativo.
Ebbene.
Si è rimproverato, innanzitutto, alla misura una carenza di strumenti per impedire che i soldi finiscano nelle mani sbagliate. Al riguardo mi sembra pertinente richiamare l’impianto costruito dall’art. 1, il quale fa perno sul sistema bancario e finanziario, ossia su quei soggetti i quali rappresentano il primo argine del sistema antiricilaggio. Piaccia o no’ (ma il gradimento sarebbe rimesso a opzioni ideologiche), l’immissione di denaro nel sistema economico avviene sempre e inevitabilmente attraverso il sistema bancario e finanziario e le imprese di quel settore sono quelle alle quali il decreto legislativo 231/2007 e successive modifiche hanno affidato il compito, attraverso gli obblighi di identificazione, adeguata verifica e conservazione, nonché di segnalazione di operazioni sospette, di fare da prima linea contro il riciclaggio.
E’ evidente, quindi, che le banche al momento dell’istruttoria preliminare all’erogazione del credito compiranno, come per qualsiasi altra operazione, le proprie verifiche antiriciclaggio.
Va, poi, aggiunto, che la garanzia, fornita da Sace s.p.a., società del gruppo Cassa depositi e prestiti, come recita esplicitamente il comma 5 sarà prestata in nome proprio, ma per conto dello Stato. Sace s.p.a. è il tramite, lo Stato è il garante. Così testualmente il comma 5, secondo periodo: “La garanzia dello Stato e' esplicita, incondizionata, irrevocabile e si estende al rimborso del capitale”.
La circostanza, prevista in norma, che la garanzia sia fornita dallo Stato attrae il prestito tra quelli in relazione ai quali, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera g) del decreto legge 6 settembre 2011, n. 159, è richiesta la certificazione antimafia. Del resto, le interlocuzioni preliminari all’approvazione della norma hanno consentito di appurare che la società procederà nel senso appena indicato.
Ora, quindi, il meccanismo del prestito Garanzia Italia contiene già, ad una lettura non superficiale del dato normativo, gli strumenti per i presidi antiriciclaggio e antimafia. Non sembra che, un’autocertificazione, come pure suggerito in alcune interviste, sulle proprie qualità o sulla destinazione delle somme potrebbe fornire maggiori cautele rispetto a quelle già operanti attualmente. Anche perché, mi si consenta una battuta, faccio fatica a pensare che il mafioso, prestanome o colluso, che intenda ottenere un finanziamento per centinaia di migliaia, se non milioni di euro, si arresterebbe dinanzi alla firma di un modulo ex d.lgs. 445/2000.
Peraltro, la lettera n) del comma 2 prevede comunque già una dichiarazione: il finanziamento coperto dalla garanzia deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell'impresa beneficiaria.
Ma è previsto, anche, dal comma 9, un seguito, affidato al sistema bancario e a SACE: “I soggetti finanziatori forniscono un rendiconto periodico a SACE S.p.A., con i contenuti, la cadenza e le modalità da quest'ultima indicati, al fine di riscontrare il rispetto da parte dei soggetti finanziati e degli stessi soggetti finanziatori degli impegni e delle condizioni previsti ai sensi del presente articolo. SACE S.p.A. ne riferisce periodicamente al Ministero dell'economia e delle finanze.
Questo meccanismo appare a chi scrive molto più efficace dell’affidarsi all’autocertificazione; il sistema bancario esegue i comuni controlli antiriciclaggio, la garanzia dello Stato impone l’acquisizione della certificazione antimafia. A valle banche e SACE monitorano l’impiego delle risorse.
Venendo a un altro ordine di critiche mosse funditus al prestito Garanzia Italia, si è imputata la mancanza di accorgimenti atti ad impedire che ne possano fruire attività di comodo o comunque evasori.
Al riguardo soccorre, di nuovo, la lettura del testo normativo. La lettera c) del comma 2 prevede, come limite della garanzia (ma anche, quindi, come condizione di accesso) il maggior ammontare tra la il doppio della spesa per personale e il 25% del fatturato nel 2019.
Come dire, se non sei un soggetto con un’attività già in piedi nel 2019, perché non avevi dipendenti o fatturato, il prestito non lo puoi avere. E come dire, anche: se hai fatto nero, fatturando meno di quel che avresti dovuto, non potrai accedere alla garanzia per la parte di nero.
Tra le lacune che si ascrivono all’art. 1 vi è poi quella di non aver previsto conti dedicati al finanziamento, i quali renderebbero i controlli più agevoli.
Pur non vedendo controindicazioni, tale accorgimento nulla aggiungerebbe: l’erogazione del finanziamento attraverso il sistema bancario, peraltro in favore di soggetti che hanno già una contabilità, un fatturato, dei dipendenti (con costi del personale contabilizzati), già consente di tracciare i flussi finanziari delle risorse anche perché, si ripete, i finanziatori e la società che presta la garanzia per conto dello Stato devono monitorare l’esito degli impieghi. Salvo che si ritenga che attraverso il sistema bancario passino flussi non tracciati, ipotesi tecnicamente non sostenibile.
In alcuni interventi pubblici o sui social, poi, si è criticato l’art. 1 perché non avrebbe disposto una vera e propria immissione di nuova liquidità, poiché in realtà le banche intenderebbero utilizzare il prestito Garanzia Italia per azzerare le vecchie esposizioni. Il vantaggio, quindi, sarebbe solo per il sistema creditizio, al quale sarebbe stato fatto il regalo di trasformare in garantito un credito precedente chirografario.
Su questo punto la lettera g) del comma 2 espressamente chiarisce che: “la garanzia copre nuovi finanziamenti concessi all'impresa successivamente all'entrata in vigore del presente decreto, per capitale, interessi ed oneri accessori fino all'importo massimo garantito; la lettera m) aggiunge che: “il soggetto finanziatore deve dimostrare che ad esito del rilascio del finanziamento coperto da garanzia l'ammontare complessivo delle esposizioni nei confronti del soggetto finanziato risulta superiore all'ammontare di esposizioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto, corretto per le riduzioni delle esposizioni intervenute tra le due date in conseguenza del regolamento contrattuale stabilito tra le parti prima dell'entrata in vigore del presente decreto”.
La società SACE ha chiarito che, in ossequio alla norma richiamata, il finanziamento non potrà essere erogato per 12 mesi a riduzione di precedenti esposizioni del soggetto finanziato.
Vanno sottolineati, infine, anche altri aspetti del prestito Garanzia Italia, che lo qualificano come misura realmente volta a sostenere l’economia e non come strumento eventualmente disponibile per operazioni speculative:
il soggetto finanziato non potrà procedere a distribuire utili nei 12 mesi successivi il finanziamento (comma 2, lettera i);
il soggetto finanziato non potrà licenziare liberamente, potendo gestire i livelli occupazionali solo mediante accordi sindacali (ed essendo quindi affidato alle organizzazioni il “veto” sulle riduzioni del personale);
il soggetto finanziato potrà accedere al prestito solo ove non rientrasse al 31.12.2019 nella nozione di impresa in difficoltà ai sensi del Regolamento 651/2014 CE; comma 2, lettera b).
6.Conclusione.
Il Governo italiano ha messo in campo un intervento di sostegno all’economia mai visto nel secondo dopoguerra e che non trova paragoni nell’intera Unione Europea. Lo si è fatto in tempi estremamente rapidi ed in coerenza con l’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
E’ del tutto ovvio che un piano simile, costruito a tempi di record, sia perfettibile.
Per quanto riguarda l’art. 1 del decreto legge 23/2020, in particolare, l’approccio di partenza suggerito dall’intervista dei tre procuratori pubblicata su questa rivista on line il 20 aprile appare del tutto condivisibile, invitando tutti gli attori ad approntare ogni rimedio utile a fare sì che nemmeno un euro vada nella direzione sbagliata.
Così, a mio modo di vedere, occorre potenziare agenzie e istituzioni di controllo e vigilanza, mettere in piedi forme di collaborazione (ad esempio protocolli per assicurare flussi tempestivi ed efficaci di informazioni da banche e Sace, che monitorano il rispetto delle finalità degli impieghi ed autorità investigative). Magari, ove necessario, si possono anche esplicitare con norme di rango primario alcune delle considerazioni sopra illustrate.
Ma non pare giustificarsi un atteggiamento più tranchant, di critica radicale, soprattutto quando non ancorata puntualmente allo stringente dato normativo, critica che finisce per dipingere genericamente le misure introdotte come poco più che una meravigliosa occasione per le mafie.
L’economia andava e va sostenuta. Gli interventi vanno puntellati il più possibile e non ci si può arrestare solo per paura che qualcuno provi ad infilarsi tra le maglie dei nuovi istituti.
Uno Stato, se è all’altezza delle sfide che la società contemporanea pone, prova a dotarsi degli anticorpi, ma non lascia il sistema produttivo in ginocchio.
Guardare oltre covid-19: proposte per il rinnovamento del sistema sanitario nazionale
di Paolo De Paoli
Sommario: 1. Introduzione - 2. Analisi della situazione attuale - 3. Considerazioni e proposte - 4. Un’osservazione conclusiva
1. Introduzione
Il mondo si trova di fronte ad un pericolo di salute pubblica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Da alcune settimane assistiamo ad una corsa affannosa e frustrante per tentare di controllare la pandemia in atto e per curare quella parte degli infettati da SARS-CoV-2 che sviluppa malattie gravi e, talora, mortali. Mentre ci si interroga su come affrontare adeguatamente la pandemia nel breve periodo, è altrettanto indispensabile ragionare fin da subito se e come sia possibile cambiare i sistemi sanitari dopo Covid-19 al fine di garantire un futuro quantomeno accettabile. Per l’Italia il punto di partenza è costituito dal Sistema Sanitario Nazionale universalistico istituito nel 1978. Rispetto ad allora, l’SSN è stato oggetto di numerose revisioni, in particolare quella conseguente alla modifica del titolo V della Costituzione che nel 2001 ha suddiviso il SSN in molteplici sistemi decisionali e operativi a livello regionale. Questa riforma ha modificato profondamente il funzionamento della sanità italiana, producendo effetti positivi, ma anche distorsioni rilevanti.
L’ emergenza sanitaria in atto, che ha ed avrà conseguenze molto profonde sulla salute e sulla economia, richiede fin da subito una riflessione sui sistemi sanitari e sulla loro sostenibilità. Ciò è ancora più vero in un paese come l’Italia che ha un sistema universalistico capace di fornire alla popolazione molte prestazioni a carico del sistema stesso e che, allo stesso tempo, ha una economia in stallo da molti anni, un deficit dello stato incomprimibile ed una politica spesso incapace di scelte coraggiose.
Questo breve scritto non vuole intervenire su come l’Italia ha affrontato la pandemia fino ad ora, ma piuttosto utilizzare questa occasione per rivedere in modo anche sostanziale l’organizzazione della sanità in Italia, una questione a cui i decisori politici saranno chiamati fin da subito a dare soluzioni rapide ed efficaci in termini di risultati di salute e di sostenibilità finanziaria.
2. Analisi della situazione attuale
Prima di iniziare, è necessaria una breve precisazione metodologica. Chi è abituato ad occuparsi di medicina in termini di diagnosi, cura e ricerca scientifica, deve basare le proprie riflessioni e proposte su dati oggettivi, raccolti e validati da organismi riconosciuti. Verranno quindi citate nel corso del testo le fonti da cui i dati sono stati ricavati, con la consapevolezza che fonti diverse possono non coincidere completamente. L’articolo continua con alcune proposte personali derivate dalla analisi dei dati. Le performances dei sistemi sanitari universalistici qui utilizzate derivano da “Barua and Moir, Comparing performance of universal health care countries 2019, Fraser Institute Vancouver”, che analizza i dati di 28 paesi a livello mondiale che hanno sistemi sanitari universalistici desunti da quanto raccolto e pubblicato dalla Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Secondo questo articolo, nel 2017 l’ Italia ha speso per il proprio sistema sanitario il 7,8% del prodotto interno lordo (23° posto), la Francia l’11% (3 °posto), la Germania il 10,2% (8° posto ) e la Spagna l’ 8,7% (17° posto.) Questa posizione dell’Italia non cambia sostanzialmente (22° posto) se consideriamo l’aggiustamento dei valori per età della popolazione.
Per quanto riguarda la disponibilità di risorse umane, in Italia abbiamo 3,5 medici (16° posto) e 5,1 infermieri per mille abitanti (27°), a fronte di 3,1 medici della Francia, 3,9 della Germania e di 3,8 medici della Spagna, sempre ogni 1000 abitanti Inoltre, il numero di medici in Italia è in calo assoluto da molti anni. La nostra disponibilità di letti per pazienti acuti è di 2,3 per mille abitanti (24° posto ), in Francia di 3,0 (15°), in Germania di 5,5 (3°), Spagna di 2,4 (23°).
L’Italia è invece ben posizionata tra i 28 sistemi sanitari universalistici per quanto riguarda la disponibilità di alte tecnologie sanitarie. Nel rapporto sopra citato in Italia vi sono 25,2 Risonanze magnetiche nucleari (4 °posto) e 30,6 TAC (9° posto) per milione di abitanti. Queste attrezzature sono sottoutilizzate, dato che in Italia vengono eseguiti 62,9 esami di risonanza e 79,2 TAC per milione di abitanti, mentre ad esempio in Francia il numero è pari a 110 Risonanze e 183 TAC a fronte di 13,8 attrezzature di risonanza magnetica e 16,8 TAC per milione di abitanti. Ciò significa che in Francia e nella gran parte degli altri paesi considerati, ogni “macchina” fa molti più esami, comportando spese di acquisto e di manutenzione complessive sensibilmente inferiori a quelle dell’Italia.
Per quanto riguarda la performance dei sistemi sanitari, prendiamo in considerazione la spettanza di vita e la aspettativa di vita in buona salute, che in Italia sono rispettivamente di 83 anni (4° posto) e di 73,2 anni (5° posto). Si tratta di dati molto buoni ai quali concorrono la buona capacità del nostro sistema sanitario e sociosanitario, ma anche lo stile di vita mediterraneo, come dimostrato dal 3° e 2° posto a livello mondiale della Spagna.
3. Considerazioni e proposte
Investire di più
La prima considerazione, molto evidente, è che è indispensabile investire più risorse per ridurre il divario con gli altri paesi. Non è necessario compiere grandi analisi per capire che il SSN va potenziato in tutte le sue componenti, dalle risorse umane, al numero di posti letto per acuti, alle competenze assistenziali territoriali e di sanità pubblica. In particolare, va riequilibrato in linea con gli altri sistemi sanitari il numero di medici e, in misura ancora maggiore, il numero di infermieri. E’ necessario anche investire in nuovi posti letto per gli acuti, dato che siamo al 24° posto tra i 28 paesi analizzati. Queste misure sono indispensabili ed urgenti, come evidenziato proprio dalla pandemia di Covid-19 che ci ha trovato impreparati su entrambi i fronti.
Il federalismo sanitario e il suo finanziamento
Come detto, il percorso del federalismo italiano ha portato alla frammentazione regionale del SSN, con risultati spesso contrastanti o comunque disomogenei, riconducibili prevalentemente alla mancanza di coordinamento centralizzato (v. https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/954-sull-emergenza-annunciata-del-servizio-sanitario-nazionale).
Non entro qui nel tema dei meccanismi che oggi regolano l’assegnazione delle risorse tributarie al funzionamento dei sistemi sanitari regionali, in quanto tema complesso che va oltre lo scopo di questo intervento. Allo stato attuale è comunque difficile pensare che il trasferire nuovamente le competenze sanitarie a livello centrale possa essere una soluzione migliorativa, anche per ragioni oggettive come la rilevazione che una vicinanza tra chi decide e i cittadini dà più garanzie di buon governo, o la constatazione che le regioni conoscono meglio le esigenze del proprio territorio .
Riscrivere i rapporti decisionali tra Stato e regioni in materia di sistema sanitario
Alcune interventi correttivi si potrebbero fare velocemente, senza intaccare sensibilmente i meccanismi di finanziamento dei sistemi regionali, agendo essenzialmente sulla riscrittura delle regole.
A tutela della salute dell’intera nazione (e qui sarebbe utile una messaggio molto forte da parte dell’opinione pubblica in tutte le sue espressioni), lo stato dovrebbe definire regole di governance centralizzate che siano cogenti per tutte le regioni. Un primo tema, evidenziato in modo drammatico da Covid-19, riguarda la assoluta necessità che, in occasione di pandemie, catastrofi e altri avvenimenti straordinari, sia lo stato e non le regioni a prendere decisioni applicabili su tutto il territorio. Sarebbe utile, ad esempio, preparare in anticipo piani di intervento e avere un database centralizzato contenente i nominativi di figure professionali particolarmente esperte o un elenco di attrezzature da mobilitare velocemente nelle aree dove ci sia una urgenza.
Regole cogenti nazionali dovrebbero esistere anche in tema di organizzazione dei sistemi sanitari a livello regionale. Pisano G et al (Harvard Business Review March 27, 2020: Wholesale reorganizations are needed within hospitals ) hanno recentemente scritto che è urgente un passaggio da modelli di cura centrati sul paziente ad approcci sistemici di comunità che siano capaci di offrire soluzioni all’intera popolazione in caso di pandemie o altri eventi straordinari. Lo stesso concetto è stato ribadito molto pacatamente in una intervista al Corriere della Sera del 28 marzo u.s. dal sindaco di Milano Giuseppe Sala che ha affermato: “In Lombardia, a differenza di Emilia e Veneto, si è puntato più sulle grandi infrastrutture ospedaliere, anche private, a scapito della rete sociosanitaria del territorio, consultori, medici di base”..
Un’altra proposta capace di incidere positivamente sulla qualità delle prestazioni e di ridurre i costi in maniera sensibile, riguarda il controllo della parcellizzazione di strutture sanitarie a livello territoriale, definendo l’obbligatorietà per le regioni di autorizzare lo svolgimento di attività sanitarie solo in quelle strutture che rispettano standard quantitativi e qualitativi definiti a livello centrale sulla base di evidenze scientifiche internazionali . Sono esempi tipici di standard nazionali ed internazionali l’esecuzione di un numero minimo di interventi chirurgici per tipo di neoplasie (es. della mammella, del colon, ecc) o il rispetto di performances qualitative, ad esempio la sopravvivenza a 30 giorni dopo un infarto del miocardio o la capacità di effettuare chirurgia per fratture del femore entro 48 ore. I dati di ciascuna struttura sanitaria presente sul territorio nazionale sono già disponibili tramite il Progetto Nazionale Esiti (PNE, https://pne.agenas.it), che andrebbe solo affinato per aggiungere/privilegiare indicatori più significativi rispetto agli attuali.
Un altro esempio di standard da rispettare, su cui si è mossa anche l’Europa, riguarda la diagnosi, cura e ricerca sulle malattie rare. Si stanno ipotizzando reti con (pochi) centri hub di riferimento dotati di competenze elevate in grado di diagnosticare e trattare al meglio uno o più tipi di malattie rare, a cui affiancare centri spoke che possiedono capacità più limitate, ma che comunque possono partecipare in rete alla gestione dell’intero sistema. L’ Italia ha identificato i centri hub che rispondono ai requisiti di qualità, ma a questo non sembra sia seguito uno sforzo di razionalizzazione delle strutture e dei centri. In definitiva, seguire le indicazioni europee permetterebbe di riferire i pazienti solo a strutture di qualità equamente distribuite sul territorio nazionale, di creare massa critica per svolgere attività di ricerca biomedica di livello internazionale e di migliorare gli esiti di salute dei pazienti. Se questo avvenisse, si potrebbero dedicare i risparmi derivati da queste razionalizzazioni ad altre attività sanitarie, ad esempio sul territorio o dedicate alla prevenzione.
Scrivono Cadauro e Liberati (Giustizia Insieme 2020) che nel campo del fabbisogno necessario per i livelli essenziali di assistenza, ad esempio , il ricorso a criteri standard di determinazione - come rimedio alla spesa storica- ha costituito in molti casi l’argomento scientifico per legittimare tagli di spesa e per mascherare il condizionamento di quegli stessi livelli alle disponibilità finanziarie. Per ovviare a questa possibilità si potrebbe, mantenendo i sistemi regionali, prevedere il finanziamento con risorse centrali dei servizi che comportano la fornitura di alcune prestazioni di particolare rilevanza nazionale.
La razionalizzazione delle grandi attrezzature (vedasi l’elevato numero di RNM e di PET in base alla popolazione rispetto alle altre nazioni) non dovrebbe essere affidata a logiche localistiche, ma dovrebbe essere basata su indicazioni nazionali obbligatorie che ne definiscono il numero in base al bacino di popolazione servito e a standard di utilizzo predefiniti. Questo consentirebbe di diminuire il numero delle macchine in funzione e di utilizzare in modo più estensivo quelle esistenti, riducendo sensibilmente i costi di acquisto e manutenzione.
Ridefinire i percorsi formativi del personale sanitario, in particolare dei medici
Per ovviare alla carenza di medici è inevitabile ripensare il percorso formativo che porta alla laurea e alla specializzazione. L’acceso programmato al corso di laurea è adottato dalla gran parte dei paesi a livello mondiale e, a mio avviso, resta inevitabile. In Italia ci sono ogni anno circa 9 mila posti nelle facoltà di medicina e chirurgia e sulla grandezza di questo numero si può eventualmente ragionare.
Ciò che invece andrebbe cambiato sono le modalità di selezione che attualmente sono basate su criteri opinabili. A conferma di questo, sono state avviate già quest’anno selezioni basate su criteri differenti da quelli ora in uso, come quelli adottati da Humanitas University di Milano. Un’altra modifica dovrebbe riguardare i contenuti formativi dei corsi di laurea in medicina, che in Italia frequentemente includono molta teoria e pochissima pratica reale; l’aumento delle competenze pratiche renderebbe i medici neolaureati capaci svolgere compiti assistenziali di base già alla fine del percorso di laurea, come avviene in molti stati in Europa e nel mondo. Un altro cambiamento indispensabile riguarda l’accesso alle scuole di specialità, che per molti anni è stato basato su numeri insufficienti, che hanno impedito l’accesso a molti laureati in Medicina, lasciando di fatto il sistema sanitario nella impossibilità di utilizzare queste risorse preziose per garantire il suo funzionamento. Si tratta di uno spreco incomprensibile.
L’innovazione per migliorare le performances e l’equità del sistema sanitario
La High performance medicine, basata principalmente sull’uso dell’intelligenza artificiale, può essere uno strumento di innovazione straordinario, in grado di ottimizzare performances del sistema, di garantire diagnosi e cura uniformi su vasta scala e di ridurre i costi complessivi. E’ possibile, ad esempio, raccogliere dati di salute direttamente a domicilio e di inviarli alle strutture sanitarie al fine della rilevazione precoce di patologie. Esempi in tal senso sono gli algoritmi per rilevare la fibrillazione atriale o sistemi “esperti” per elettrocardiogramma applicabili in remoto a pazienti nefropatici; si tratta di situazioni limitate e da verificare accuratamente, ma è chiaro che un investimento uniforme a livello nazionale in high performance medicine produrrebbe un miglioramento straordinario di salute nel nostro paese, dando le stesse opportunità e gli stessi vantaggi a tutti gli italiani, senza differenziazione geografica o di censo.
La digitalizzazione permetterebbe anche di scambiare dati o immagini tra vari sistemi sanitari regionali o tra i singoli clinici, consentendo anche a entità periferiche di avere accesso a informazioni, opinioni/consulti da parte di centri esperti e di ridurre, ad esempio, la mobilità sanitaria tra varie aree del paese (Topol EJ, High performance medicine: the convergence of human and artificial intelligence Nature Medicine 25, 44, 2019).
Semplificare la burocrazia garantisce risorse veloci e risparmio di spesa
Ugualmente è necessario incidere a livello centralizzato sulla burocrazia paralizzante che ci affligge. Si assiste giornalmente a pesanti ritardi e inefficienze dovuti ai lacci e lacciuoli imposti a livello centrale, compreso il codice degli appalti che nella forma attuale di fatto contribuisce a paralizzare il sistema (vedasi L’Economia, supplemento al Corriere della Sera del 30 marzo u.s.).
Quindi, acquisti e procedure per acquisire risorse di varia natura vanno largamente semplificati: troppe risorse dedicate a procedure burocratiche, lentezza esasperante nell’avere quanto necessario, attrezzature già obsolete quando vengono acquistate. Semplificando le regole, le risorse umane che ora sono si occupano delle procedure di acquisto, potrebbero essere dedicate a tutto ciò che avviene una volta concluse le procedure, in modo da essere rapidi nei pagamenti, ottenere prezzi più bassi, fornire risorse economiche fresche alle aziende private e soprattutto dotare il sistema sanitario di maggiore efficienza.
Mi sia consentito un cenno alla importanza di potenziare la ricerca. Si tratta di un settore nel quale la burocrazia incide in modo pesante, con conseguenze negative non solo per la salute, ma anche per l’economia.
Favorire la ricerca pubblica italiana anche nell’interazione con le aziende farmaceutiche e biotech darebbe forza ad un settore che, solo con l’esportazione, vale decine di miliardi ogni anno. Un esempio concreto di semplificazione riguarda la ricerca clinica, quella basata principalmente sull’uso di farmaci innovativi o con indicazioni più ampie rispetto a quelli consentire inizialmente. La legge 3/2018, chiamata comunemente decreto Lorenzin, prevede la razionalizzazione e semplificazione del funzionamento dei comitati etici e consente di utilizzare i risultati delle sperimentazioni no profit ai fini autorizzativi. Il decreto è stato approvato a gennaio 2018, ma è tuttora inapplicato per la mancanza dei decreti attuativi. Una domanda sorge spontanea: è veramente così difficile scrivere leggi che abbiano una operatività rapida?
Queste norme sarebbero state di grande importanza nella pandemia Covid-19. Infatti il decreto Lorenzin in vigore avrebbe permesso di utilizzare rapidamente farmaci sperimentali o con indicazione diversa da quella autorizzata (ad esempio farmaci che bloccano i processi infiammatori in malattie autoimmuni), per verificare con maggiore tempestività la loro capacità di contrastare l’azione del virus o i danni tissutali indotti dall’infezione virale. Le medesime opportunità date dal decreto hanno comunque valenza generale, in quanto applicabili a molti dei nuovi farmaci da usare in protocolli sperimentali in ogni tipo di patologia. In questo modo, questi farmaci sarebbero disponibili gratuitamente ai pazienti e al SSN e, dato l’interesse dei produttori di farmaci e di dispositivi medici, arriverebbero risorse economiche aggiuntive al nostro sistema, come avviene già in molti paesi europei.
Ampliare le competenze dell’UE in termini di previsione/progettualità in sanità
Le situazioni emergenziali pandemiche sono state previste con largo anticipo sia da scienziati nell’ambito della sanità pubblica sia da persone della società civile particolarmente illuminate ( Menachery VD Nat Med 21, 1508, 2015, Cheng VCC Clin Microbiol Rev 20, 660, 2007, Gates New Engl J Med 372,381, 2015). Dato lo scarso o nullo ascolto che queste previsioni hanno avuto a livello politico e programmatorio, è quindi necessario investire globalmente per rafforzare la capacità di previsione in sanità pubblica dei governi e delle istituzioni cooperanti a livello internazionale.
E’ inevitabile pretendere uno sforzo diplomatico e politico comune, per lo meno a livello europeo, ad esempio per favorire la costituzione di una task force europea che analizzi i dati di letteratura, le previsioni e le evidenze scientifiche dell’esistenza di alto rischio pandemico e che investa pesantemente risorse per la creazione di database contenenti tutte le informazioni necessarie a prevenire o a gestire la situazioni critiche.
In breve, questa task force dovrebbe avere il compito di formulare indicazioni agli stati membri in tema di sanità pubblica comune e di fornire dati in modo trasparente alla società, in modo che vi sia consapevolezza comune di quanto potrebbe accadere.
4. Un’osservazione conclusiva
Questa rapida disamina della situazione in un momento di crisi non vuole avere pretese di esaustività, ma semplicemente cerca di portare un contributo diverso e complementare, se possibile, rivolto a chi ha il ruolo di valutare gli aspetti politici, regolatori ed economici che governano il sistema sanitario italiano e di agire per migliorare continuamente le sue prestazioni. La speranza è che la situazione emergenziale in atto spinga tutte le forze che compongono il paese a compiere uno sforzo straordinario, non solo per vincere una battaglia così complessa e difficile, ma anche per prendere con coraggio decisioni capaci di rendere più efficiente il nostro sistema sanitario e di garantire un futuro sostenibile.
Trattazione scritta. Un’impalcatura.
di Riccardo Ionta e Franco Caroleo
Mario Benedetti, nel libro “Impalcature. Il romanzo del ritorno”, non parla della giustizia. Racconta della democrazia, scansata dalla dittatura, ferita dall’esilio.
Il poeta uruguaiano, citando, dice nella premessa che “lo stato attuale della democrazia è l’imperfezione. A volte – molto di rado – viene raggiunta la grazia; quando i cittadini fedeli la accettano come imperfetta e la riconoscono come un regime in perenne costruzione il cui edificio non sarà mai terminato: un sistema senza un finale possibile”. Ogni regime in perenne costruzione ha bisogno di impalcature, “soprattutto se non sarà terminato”, scrive Benedetti.
L’intenzione del presente scritto è quella di proporre un’ipotesi di regolamentazione per la trattazione scritta delle cause civili prevista dall’art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 17 marzo 2020, n. 18[1]. Un’impalcatura immaginata per sostenere la giustizia di oggi, che appare anch’essa in quarantena e dimentica del ruolo pubblico ed essenziale che le appartiene. Anche per limitare i cedimenti che si prospettano per la società e per la giustizia che verrà.
Quest’elaborato è solo un’ipotesi, nulla più. “Quindi, se le impalcature, reali o metaforiche, non sono di suo interesse, consiglio al lettore di chiudere il libro e andare a cercarsi un romanzo vero, di quelli che cominciano e finiscono”, suggerisce, alla fine della premessa, Benedetti.
Parte I. Disposizioni generali
Art. 1 Finalità
Le linee guida sulla trattazione scritta hanno la finalità di contenere l’incidenza negativa sulla giustizia civile dell’attuale emergenza epidemiologica, nel rispetto della normativa igienico-sanitaria, degli articoli 24 e 111 Costituzione e del principio di leale collaborazione tra avvocatura, amministrazione, magistratura.
Art. 2 Fonti
1. La trattazione scritta è disciplinata dal codice di procedura civile, dall’art. 83, co. 7, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e dalle linee guida.
2. Il provvedimento del giudice che dispone la trattazione scritta può prevedere ulteriori e specifiche modalità nei limiti della legge e delle linee guida.
Art. 3 Ambito di applicazione
1. Le linee guida disciplinano la trattazione scritta delle cause civili per il periodo emergenziale compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020 e per l’ulteriore periodo emergenziale eventualmente previsto dalla legislazione successiva.
2. Per cause civili si intendono i procedimenti relativi agli affari del settore civile, lavoro-previdenza, fallimentare, esecuzioni, famiglia, volontaria giurisdizione.
Art. 4 Modalità di trattazione
1. La trattazione scritta (art. 83, comma 7, lett. h) costituisce la modalità di trattazione per le cause che non richiedono la presenza necessaria, per legge o ordine del giudice, di soggetti diversi dai difensori o dal pubblico ministero.
2. Le ulteriori modalità di trattazione sono da remoto (art. 83, comma 7, lett. f), a porte chiuse (art. 83, comma 7, lett. e) o mista.
3. La modalità di trattazione scritta è disposta dal giudice con provvedimento depositato telematicamente con congruo anticipo rispetto alla data di udienza.
Art. 5 Rinvio della causa
1. Il giudice dispone il rinvio della causa nell’ipotesi in cui, per ragioni organizzative, amministrative ovvero per il rispetto delle norme igienico-sanitarie, non sia possibile svolgere le udienze con le modalità di trattazione indicate nell’art. 4.
2. Il giudice dispone allo stesso modo nell’ipotesi in cui i difensori presentino un’istanza congiunta di rinvio della causa ovvero nell’ipotesi indicata dall’art. 11, comma 5, delle linee guida.
Art. 6 Trattazione scritta su istanza delle parti
1. Per le udienze in cui sia necessaria la comparizione personale della parte, i difensori possono domandare che la trattazione avvenga in modalità scritta depositando, almeno sette giorni prima delle data di udienza, un’istanza congiunta con allegata la rinuncia a comparire sottoscritta dalle parti.
2. Per le udienze di giuramento dell’ausiliare giudiziale e quelle in cui l’ausiliare comunque interviene su disposizione del giudice, le parti possono domandare che la trattazione avvenga in modalità scritta depositando, almeno una settimana prima della data di udienza, un’istanza congiunta. Nel provvedimento che dispone la trattazione scritta o mista per tali udienze, il giudice prevede specifiche modalità per il giuramento dell’ausiliare in forma scritta o da remoto garantendo comunque il contraddittorio delle parti sul quesito formulato e sulle modalità di conferimento dell’incarico.
Art. 7 Comunicazioni e annotazioni di cancelleria
1. La cancelleria comunica alle parti costituite il provvedimento con cui il giudice dispone la forma della trattazione ed inserisce nello “storico del fascicolo” l’annotazione “trattazione scritta” ovvero “trattazione da remoto” ovvero “trattazione mista”.
Art. 8 Data dell’udienza
1. Il giorno e l’ora dell’udienza sono quelli già indicati dalla parte (art. 163 c.p.c.) o dal giudice.
Parte II. Trattazione scritta
Art. 9 Trattazione scritta
1. La comparizione delle parti a mezzo dei difensori è figurata ed avviene con il deposito telematico di note scritte.
Art. 10 Trattazione scritta per le udienze di discussione
1. La trattazione scritta è consentita anche per le udienze di discussione ex art. 281 sexies c.p.c. ovvero ex art. 429 c.p.c. o casi analoghi.
2. Il giudice, per tale udienza, può assegnare alle parti un congruo termine per il deposito di memorie conclusionali, diverse dalle note scritte ex art. 83, co. 7, lett. h), d.l. n. 18/2020, e può provvedere il giorno stesso dell’udienza oppure fuori udienza nel termine di trenta giorni.
3. Il giudice, d’ufficio o su motivata istanza, può comunque disporre motivatamente che la trattazione avvenga con modalità da remoto (art. 83, comma 7, lett. f).
Art. 11 Leale collaborazione
1. I soggetti del processo sono invitati alla leale collaborazione.
2. Il giudice provvede sulle istanze dei difensori nel più breve tempo possibile.
3. I difensori sono invitati a depositare, in allegato alla nota congiunta o alle note disgiunte, una copia di cortesia telematica degli atti introduttivi ove gli stessi siano stati depositati solo in via cartolare.
4. I difensori, in considerazione delle limitazioni di accesso alle cancellerie, sono invitati a depositare telematicamente una copia di cortesia telematica del proprio fascicolo nell’ipotesi in cui sia stato depositato solo in via cartolare. In alternativa, i difensori sono invitati a scambiarsi con ogni mezzo copia dei rispettivi fascicoli.
5. Nel caso in cui non sia possibile il deposito telematico ovvero lo scambio di cui al comma 4, e sia indispensabile la consultazione del fascicolo per procedere alle attività, i difensori possono depositare un’istanza di rinvio della causa.
Art. 12 Deposito telematico delle note scritte di comparizione
1. I difensori depositano in telematico le note di comparizione in modalità congiunta ovvero, in alternativa, disgiunta.
2. I difensori sono invitati a depositare la nota scritta in modalità congiunta e a rispettare i tempi e le modalità indicate per le attività previste anche al fine di non gravare ulteriormente la cancelleria.
3. La nota di comparizione è congiunta nell’ipotesi in cui i difensori si accordino per depositare un’unica nota scritta contenente le istanze e conclusioni di ciascuna di esse. La nota congiunta è depositata da uno solo dei difensori il quale dichiara espressamente che la redazione del documento è stata effettuata, ciascuno per la propria parte, congiuntamente all’altro o agli altri difensori.
4. La nota è disgiunta nell’ipotesi in cui i difensori non si accordino per la nota congiunta e decidano di depositare ciascuna la propria nota. In tal ipotesi il giudice può concedere un nuovo termine per ulteriori note scritte di replica ove necessario a garantire il contraddittorio sulla specifica questione.
Art. 13 Contenuto delle note scritte di comparizione
1. Il contenuto delle note scritte deve essere limitato alle sole istanze, eccezioni e conclusioni previste per l’udienza di riferimento.
2. I difensori sono invitati ad utilizzare le note scritte al solo scopo previsto e ad una reale sintesi nella redazione delle stesse. Si invitano pertanto gli stessi a contenere nel massimo di una pagina le istanze, eccezioni, conclusioni, anche in considerazione degli ulteriori scritti previsti dalla legge o autorizzati dal giudice.
3. Le note devono contenere l’indicazione: a) della dicitura “Note per la trattazione scritta”; b) della data di udienza; c) del numero di ruolo e dell’anno del procedimento; d) del giudice e del Tribunale dinanzi al quale avviene la comparizione figurata; e) del nominativo delle parti e dei difensori che compaiono; f) in ipotesi di nota congiunta, la dichiarazione che la redazione del documento è stata effettuata, ciascuno per la sua parte, congiuntamente all’altro o agli altri difensori.
4. Le note contengono, in caso di discussione scritta in luogo di quella orale (art. 281 sexies c.p.c., rito lavoro, cautelari e camerali, art. 702 ter c.p.c.), le deduzioni conclusionali. Le note scritte, per tali ipotesi, sono distinte dalle memorie che per prassi possono essere autorizzate dal giudice, o già sono state autorizzate da questi, con termine per il deposito prima della data di udienza di discussione.
Art. 14 Termini per il deposito delle note scritte di comparizione
1. I termini entro i quali le parti provvedono al deposito in telematico delle note sono stabiliti dal giudice che indica espressamente il termine ovvero un termine a ritroso.
2. Nel provvedimento che dispone la trattazione scritta il giudice indica, come alternativi, sia il termine per la nota di comparizione congiunta, sia quello per le note disgiunte ed indica altresì il termine ultimo. Il termine per la nota congiunta è più breve di quello per le note disgiunte.
3. Per il computo dei termini trovano applicazione le regole dell’art. 155 c.p.c.
4. Per la nota di comparizione congiunta il giudice dispone un solo termine.
5. Per le note di comparizione disgiunte il giudice, di regola, dispone i termini in modo diversificato assegnando un termine all’attore/ricorrente e un termine, più breve, al convenuto/resistente.
6. Sia per le note congiunte che disgiunte il termine ultimo di deposito è comunque quello del giorno e dell’ora per la trattazione dell’udienza (es. udienza del giorno x fissata alle ore y, il termine ultimo per il deposito delle note, ovvero per la comparizione, è quello del giorno x alle ore y).
Art. 15 Mancato deposito della nota scritta di comparizione
1. Il mancato deposito della nota scritta, entro il termine stabilito o al più tardi entro il termine ultimo del giorno dell’udienza, equivale alla non comparizione (artt. 181, 309, 631 c.p.c.).
Art. 16 Convenuto o resistente non ancora costituito al momento del deposito del provvedimento che dispone la trattazione scritta
1. L’art. 83, comma 11, prevede come obbligatorio il deposito telematico anche per gli atti introduttivi e di costituzione e per i relativi documenti allegati. La costituzione del convenuto/resistente può avvenire anche il giorno dell’udienza di prima comparizione, ma deve necessariamente essere effettuata con deposito telematico.
2. Se il convenuto/resistente si costituisce telematicamente il giorno stesso dell’udienza (entro il termine ultimo) e deposita contestualmente la nota di trattazione scritta, il giudice può rinviare la trattazione della causa, ove ritenuto necessario per consentire all’attore/ricorrente di esercitare pienamente il contraddittorio.
3. Se il convenuto/resistente si costituisce telematicamente il giorno dell’udienza (entro il termine ultimo) e non deposita contestualmente le note scritte, il giudice può rinviare la trattazione della causa, ove ritenuto opportuno, rinnovando il provvedimento che dispone la trattazione scritta.
4. Se il convenuto/resistente non si costituisce il giorno dell’udienza (entro il termine ultimo), il giudice ne dichiara la contumacia.
Art. 17 Provvedimenti del giudice
1. Il giudice, a decorrere dal giorno dell’udienza, verifica l’avvenuto deposito del provvedimento che dispone la trattazione scritta e la comunicazione dello stesso alle parti costituite.
2. Il giudice può redigere il verbale, il giorno dell’udienza, in cui prende atto della mancata comparizione ovvero della comparizione mediante il deposito delle note scritte e riservarsi o disporre su quanto richiesto.
3. Il giudice può non redigere il verbale ed emettere il giorno dell’udienza, ovvero fuori udienza, il provvedimento in cui, preliminarmente, dà atto della mancata comparizione o della comparizione delle parti. Il termine per provvedere è di trenta giorni se provvede il giudice monocratico e sessanta giorni se provvede il collegio.
4. In ogni caso, il verbale e il provvedimento emesso fuori udienza devono essere comunicati a tutte le parti, a cura del cancelliere.
[1] Per un’analisi più approfondita della modalità a trattazione scritta, si veda Caroleo F. e Ionta R., “L’udienza civile ai tempi del corona virus. Comparizione figurata e trattazione scritta”, Giustizia Insieme, 12 marzo 2020: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/916-l-udienza-civile-ai-tempi-del-coronavirus-comparizione-figurata-e-trattazione-scritta-art-2-comma-2-lettera-h-decreto-legge-8-marzo-2020-n-11
R. E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, 2019
Recensione di Giuseppe Santalucia
1. Il diritto e il processo penale sono stati interessati per ultimi, tra i vari settori dell’ordinamento nazionale, dall’erompere del diritto dell’Unione e, in generale, del diritto sovranazionale di matrice europea.
Il terreno dove di più e più a lungo si è manifestata con pienezza di contorni la sovranità statuale è stato infine aperto alla significativa incidenza della pluralità delle fonti europee, in specie dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in poi con l’abbandono del tradizionale assetto dell’Europa politica fondato sui tre noti pilastri.
Questa storica modifica dei fondamenti politici del diritto penale, e per quel che ora interessa del diritto processuale, non ha prodotto una disciplina unica ed unitaria del processo.
Ciascun ordinamento nazionale ha conservato il proprio sistema processuale, ma la disciplina e i principi su cui essi si reggono sono orami fortemente interessati dall’incidenza sovranazionale.
Non si tratta soltanto del diritto dell’Unione, e cioè delle norme prodotte dalle Istituzioni che la compongono, perché da tempo gli ordinamenti processuali sono chiamati a confrontarsi con le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, che presidiano i diritti posti dalla Convenzione e che ne rendono il significato autentico vincolando nell’interpretazione le Corti nazionali.
2. In tale quadro di crescente complessità un utile soccorso allo studioso del diritto processuale penale e all’operatore pratico viene dal Manuale di procedura penale europea curato dal prof. Roberto E. Kostoris ed edito da Giuffré F. L.
Il Manuale è giunto in pochi anni, dal 2013 ad oggi, alla sua quarta edizione, restando fedele alla felice intuizione d’origine, di “dare ordine ragionato all’imponente insieme di regole, di principi, di istituti” – così nella Prefazione alla prima edizione – che caratterizzano la lunga gestazione di un processo penale europeo, ancora, e per molto ancora, di là da venire.
Come opportunamente ha avvertito il Curatore sin dalla prima edizione, non si è di fronte ad un sistema ordinato di regole per il governo di un processo (penale europeo), altro e diverso dal processo regolato dalla legge interna.
Il Manuale, quindi, non mutua i caratteri che tradizionalmente giovano a collocare un’opera prodotto in questa categoria della letteratura giuridica, e non illustra la materia processuale secondo le ordinarie visuali di osservazione del fenomeno, quella statica – di analisi dei principi e delle strutture portanti, dei soggetti, degli atti e degli strumenti di accertamento, e quella dinamica – volta a cogliere lo sviluppo per fasi e gradi del procedimento –, proprio per l’indiscutibile premessa che il processo penale europeo è allo stato ancora delineato dalla legge interna, seppure conformato in plurimi aspetti dal diritto europeo.
3. Da qui la ripartizione del Manuale in quattro parti, per la messa a fuoco ad opera di giuristi di varia formazione – teorico-accademica e pratico-giudiziaria – dei temi che costituiscono il terreno su cui il diritto europeo plasma gli istituti processuali e ne delinea il volto sovranazionale.
3.1. La prima parte è opportunamente dedicata agli organismi, alle competenze e agli atti normativi dell’Unione oltre che al ruolo che la giurisprudenza della Corte Edu ha assunto nel definire il contenuto delle norme convenzionali.
Sono così oggetto di esame, da un lato, i modi giuridici con cui si esprime il primato del diritto dell’Unione – efficacia diretta e quindi disapplicazione della norma interna; efficacia indiretta e quindi interpretazione conforme –; dall’altro, la collocazione delle norme convenzionali nel sistema delle fonti interne come norme interposte, e le forme attraverso le quali la giurisprudenza della Corte Edu riesce ad esprimere la sua forte incidenza oltre il caso specificamente deciso e quindi a farsi espressione di una vera e propria funzione nomofilattica.
3.2. La seconda è la parte che dà conto – forse in misura più intensa –dei tratti caratteristici del diritto processuale europeo. Sono in essa oggetto di puntuale e ricca trattazione i diritti fondamentali che, secondo una convincente formula di sintesi utilizzata nel Manuale, sono un “formidabile strumento di integrazione”, perché pilastro del “processo di costituzionalizzazione europea” e “terreno comune tra Unione e CEDU” – p. 82 –.
La strutturazione dello spazio giudiziario europeo come luogo di diritti e di libertà ha visto l’affidamento di un ruolo particolarmente importante alla giurisprudenza delle Corti – la Corte di giustizia e la Corte Edu – sia pure dalle diverse prospettive, l’una della protezione dei diritti in vista dell’attuazione degli obiettivi di integrazione dell’Unione, l’altra della tutela delle garanzie individuali come obiettivo ultimo di effettività all’interno dei singoli ordinamenti statali.
Dal formante giurisprudenziale ha tratto origine la Carta di Nizza, documento prima senza valore cogente e poi, con il Trattato di Lisbona, assurto a diritto primario dell’Unione. La Carta ora esprime la necessità costituzionale del rispetto dei diritti fondamentali ivi contenuti, sia pure nell’ambito delle competenze proprie dell’Unione, e si combina con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo in una concorrenza di forme di protezione che sono ispirate e regolate dal principio della massima tutela. Il quadro si arricchisce ovviamente con le previsioni delle varie Carte costituzionali e si struttura come luogo di un dialogo fecondo, attraversato a volte da inevitabili conflitti, tra Corti europee e tra queste e le Corti nazionali, specie costituzionali.
Su queste basi, di diritti e di garanzie, sorge e si sviluppa il diritto processuale penale europeo, che si affranca, in misura maggiore dei singoli ordinamenti statali, dalla matrice repressiva, favorendone una sempre più elevata tensione liberale.
Proprio nella centralità dei diritti fondamentali il processo europeo disvela con nettezza di contorni il profilo tipico di tutti gli ordinamenti processuali dell’Unione, che condividono un comune patrimonio costituzionale, e cioè l’essere il luogo in cui all’azione repressiva dell’Autorità statale si contrappongono “le inalienabili garanzie fondamentali poste a tutela” dell’individuo – così R. E .Kostoris, Metodo, aperture e valori nell’insegnamento del diritto processuale penale: brevi considerazioni introduttive, in Riv. dir. proc., 2019, p. 1232 –
3.2.1. I vari diritti fondamentali che, nei termini appena indicati, sono la trama essenziale della progressione processuale, e che la connotano come meccanismo di riconoscimento e di protezione di situazioni soggettive, sono esaminati con completezza di riferimenti normativi e giurisprudenziali, facendo sì che i rispettivi contenuti emergano, secondo una prospettiva di tensione dinamica, dal confronto tra i vari modelli di tutela, non ultimo quello interno.
Negli anni appena trascorsi si è avuta una consistente produzione normativa nazionale che, a volte con notevole ritardo, ha dato attuazione a decisioni quadro e direttive emanate per assicurare un’uniformità di tutela, quanto meno in un contenuto minimo incomprimibile, ai diritti dell’imputato e della vittima.
Si tratta, tra i molti, di diritti qualificanti del giusto processo europeo e costituzionale, dalla presunzione di innocenza, al diritto all’informazione sull’accusa, al diritto all’interpretazione e alla traduzione, a quello di partecipazione al processo, al divieto di trattamenti inumani e degradanti, fino allo statuto di protezione e di garanzia della posizione della vittima del reato.
3.3. La parte terza è dedicata al vasto fenomeno della cooperazione giudiziaria e di polizia, nella duplice forma: - della più recente cooperazione verticale, che si avvale dell’opera di organismi europei, quali Olaf, Europol ed Eurojust, preposti sia allo svolgimento di indagini amministrative nell’ambito della tutela degli interessi propri (quelli finanziari) dell’Unione che al coordinamento con e tra le autorità di polizia ed inquirenti del livello nazionale; - della tradizionale cooperazione orizzontale come collaborazione diretta tra le varie autorità statali, declinata in una pluralità di strumenti operativi sul versante sia della cooperazione di polizia – funzionari di collegamento, scambio di informazioni, sistema S.I.S. e divisione S.I.R.E.N.E. –, che della cooperazione giudiziaria – magistrati di collegamento, Rete giudiziaria europea, squadre investigative comuni, consegne sorvegliate e operazioni “sotto copertura” –.
Una particolare attenzione viene dedicata, nell’ambito della cooperazione verticale, alla figura del Procuratore europeo – EPPO –, tappa avanzata della cooperazione giudiziaria e della integrazione europea, con competenza in materia di reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione e con poteri autonomi di indagine e di azione oltre che istruttori. Ne vengono messe in luce le tante criticità, frutto ancora una volta, come lo è sempre stato nel percorso storico di costruzione dell’Europa politica e giuridica, della difficoltà degli Stati nazionali a rinunciare a posizioni di assoluta primazia in ambiti tradizionali di sovranità. Ma con la stessa lucidità viene rammentato, con una decisa apertura al prossimo futuro, che, come altre volte è avvenuto, la concreta operatività del nuovo organismo europeo – organo dell’Unione dotato di personalità giuridica con carattere di indipendenza – potrà favorire la messa a punto delle necessarie modifiche.
L’individuazione della cooperazione come luogo di emersione dei tratti tipici del processo penale europeo è scelta di trattazione manualistica da condividere pienamente. Il raccordo e il confronto operativo tra diverse autorità di ordinamenti nazionali diversi obbliga a rinvenire forme comuni di linguaggio e di azione, agevola la contaminazione quanto meno culturale tra gli operatori, stimola la produzione di nuove modalità di collaborazione innestando un processo virtuoso di avvicinamento dei rispettivi ordinamenti. Ciò avviene sotto l’egida della struttura valoriale dei diritti fondamentali che, come il Manuale approfonditamente spiega, costituiscono il collante del processo penale europeo.
3.4. La parte quarta ha ad oggetto il principio del mutuo riconoscimento e le sue più importanti attuazioni. Dalla primigenia impostazione, che contrapponeva nel quadro degli strumenti di costruzione dello spazio giudiziario europeo il mutuo riconoscimento all’armonizzazione degli ordinamenti mediante la creazione di comuni piattaforme di disciplina, si è progressivamente approdati al convincimento che non può e non deve esservi antitesi tra i due moduli.
Un nucleo di norme minime comuni per i vari aspetti della procedura penale, infatti, facilita il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, oltre che degli atti in cui si realizzano le varie forme di cooperazione.
Negli ultimi anni molte sono state le decisioni quadro e le direttive che l’Unione ha prodotto nell’ambito del reciproco riconoscimento e molti sono stati gli atti normativi interni che ne hanno recepito i contenuti.
Nell’interazione tra disposizioni di fonte sovranazionale e disposizione di ordinamento nazionale il Manuale analizza con compiutezza e profondità di esame gli strumenti principali dell’armamentario del processualpenalista europeo: in particolare, il mandato di arresto europeo, evoluzione dalle tradizionali forme di consegna estradizionale; e l’ordine europeo di indagine, affinamento delle consuete forme di cooperazione rogatoriale fondate sul principio di mutua assistenza, intervenuto dopo il fallimento del progetto di un mandato di ricerca della prova.
Fedele all’impostazione di fondo, di uno studio del processo condotto attraverso le principali situazioni soggettive interessate dall’accertamento, ripone particolare attenzione agli strumenti che più di altri hanno potenzialità lesive dei diritti fondamentali della persona, ossia le intercettazioni e le indagini informatiche, senza peraltro trascurare mezzi tradizionali, quali la prova dichiarativa, le perquisizioni e i sequestri, e mezzi di più recente introduzione, quali la raccolta e la trasmissione, a fini di esame, dei dati genetici.
3.5. in ragione del comune denominatore del mutuo riconoscimento vengono poi in rilievo altri importanti istituti del diritto processuale: il divieto del bis in idem quale risposta di garanzia di fronte al concorso di potestà punitive di ordinamenti diversi e i conflitti di giurisdizione, che sono essi stessi possibile conseguenza della coesistenza di cognizioni giurisdizionali su fatti che, in misura sempre maggiore, per loro struttura e funzione non possono essere racchiusi entro rigidi confini territoriali.
Sul terreno del divieto del doppio giudizio il Manuale dà conto degli approdi della giurisprudenza della Corte Edu, che ha trattato a fondo la portata di garanzia dell’art. 4 del Protocollo n. 7, delle ricadute sulla giurisprudenza interna e sull’interpretazione del presidio codicistico di cui all’art. 649 cod. proc. pen., e dell’incidenza del divieto, secondo la formulazione della Convenzione di Schengen e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, sulle attività di cooperazione.
Per quanto poi attiene alla materia dei conflitti, il Manuale prende in esame il contenuto della decisione quadro dell’Unione e del decreto legislativo di recepimento, e non manca di dare conto di altro istituto, quello del trasferimento dei procedimenti penali, pur esso preposto a dare risposta ai problemi che sorgono dal concorso delle competenze giurisdizionali di più Stati nazionali.
3.6. Il Manuale conclude l’ampia e ricca disamina della materia in continuo divenire con una sintetica ma efficace trattazione dei profili di esecuzione delle sentenze e dei provvedimenti di confisca, come ulteriore forma di cooperazione giudiziaria fondata sul principio del reciproco riconoscimento. Anche in questa materia è di recente intervenuto il legislatore interno con più decreti legislativi che hanno recepito varie datate decisioni quadro in tema di riconoscimento delle condanne che infliggono sanzioni pecuniarie, di quelle che concedono il beneficio della sospensione condizionale della pena o applicano sanzioni sostitutive, delle condanne pronunciate in absentia.
4. La sommaria descrizione qui tentata sia della struttura che dell’ampia trattazione di una materia refrattaria a facili inquadramenti, che il Manuale conduce con scrupolo analitico, sensibilità sistematica e ricchezza di riferimenti, anche bibliografici, ne fanno prezioso ausilio anche per il giurista pratico che, con passo sicuro, viene introdotto e guidato alla comprensione e al miglior utilizzo di strumenti processuali dalla cui efficacia ed effettività dipende in buona misura il successo dei futuri sviluppi della costruzione europea.
La crisi della famiglia e le nuove forme di devianza minorile: oltre la maschera*
di Valentina Pirrò, Luca Muglia, Maria Rupil
Sommario: 1. Le innovazioni della società moderna e la paura della solitudine - 2. Le nuove devianze minorili, le neuroscienze e la giustizia riparativa - 3. I reati intrafamiliari degli adolescenti - 4. Cosa dicono i nuovi reati? Oltre la maschera -
Il focus ha l’obiettivo di sviluppare un pensiero sulla complessità della famiglia e le nuove forme di devianza minorile, ivi comprese quelle intrafamiliari, a partire da una riflessione sul contesto sociale e culturale che caratterizza la società attuale.
1.Le innovazioni della società moderna e la paura della solitudine
I cambiamenti socio-economici avviatisi a partire dagli anni 70, tra cui industrializzazione avanzata, inurbamenti, ingresso della donna nel mondo del lavoro, la messa in crisi dei valori tradizionali, l’evolversi dell’informatica, la partecipazione di milioni di persone ai social media, hanno determinato mutamenti importanti nell’esperienza culturale del nostro paese. Pensiamo all’ingresso nella società dei consumi, al cambiamento nella gestione dei ruoli maschile e femminile. Se tutto questo ha portato ad un’emancipazione delle persone e anche ad una migliore qualità di vita, la velocità e l’esasperazione di alcuni cambiamenti hanno comportato una serie di criticità inaspettate e quindi difficilmente contenibili. La stessa spinta all’autorealizzazione e all’individualismo è slittata nel bisogno sempre più forte di ammirazione, nello spirito di continua competizione, nell’ossessione del culto del successo personale che ha come corollario l’inaccettabilità del fallimento (Cappelli et al., 2019)[1]. Anche e soprattutto nelle giovani generazioni vediamo emergere una forte necessità di ricevere consensi, in particolare all’interno di un mondo virtuale dove non emerge il sé reale della persona. Un mondo che, tuttavia, protegge e contiene, che protegge dal contatto diretto ma permette anche di essere ciò che nella vita reale non si è, di creare degli spazi in cui si riesce ad esprimere ciò che nella vita reale si reprime, in cui condividere ciò che non viene colto dal mondo esterno o che si ha paura non venga compreso o accettato dalla famiglia (Manca, 2016)[2].
A ben vedere, viene a mancare, nei rapporti la comunicazione emozionale con conseguenze sempre più importanti: se non si conosce lo stato d’animo dell’interlocutore il messaggio non potrà mai essere corretto e il prezzo da pagare si può tradurre in un lento ma inesorabile distaccamento dalla realtà in cui l’aspetto narcisistico si manifesta con atteggiamenti di eccessiva fiducia, senza la contestuale ricerca di un reale riscontro, di sopravvalutazione delle proprie capacità, di generazioni di miti e di false credenze. La persona diventa altro da sé, dimentica le priorità personali, la propria autostima, dando importanza solo all’apparire, dando importanza a non scegliere ma ad essere scelti. L’unica alternativa che sembra rimanere è quella della solitudine. Quali sono i miei bisogni? Cosa provo? (Manca, 2016).
Una delle emozioni prevalenti, di giovani e meno giovani, sembra essere la paura. La paura di un futuro sempre meno prevedibile e la paura del diverso da noi che invade i nostri spazi, ma soprattutto la paura della solitudine collegata al peggioramento della qualità dei rapporti, in un tessuto sociale rarefatto con un forte scollamento tra le generazioni. La famiglia si è calata sempre di più nel contesto di vita consono con la società attuale in cui gli impegni lavorativi, le attività extrafamiliari e la caoticità in cui tutto questo si svolge ha aumentato a dismisura i contatti sociali, ha aperto a visioni del mondo ed opportunità, a volte impensabili ma, paradossalmente, ha accentuato l’isolamento e ridotto le relazioni significative.
Attualmente si sono diffuse forme familiari sempre più lontane ideologicamente e strutturalmente dalla tradizione culturale. Viene da chiedersi cosa sia oggi la famiglia e che senso assume (Giovagnoli, 2012)[3]. Potremmo dire che la famiglia non esiste scontatamente nella sua accezione classica; esistono più modelli. Abbiamo famiglie atipiche, famiglie di fatto, famiglie mononucleari, ma anche famiglie multietniche e famiglie con genitori dello stesso sesso, etc (Carli, 2018)[4].
Con l’avvento del divorzio, si è assistito alla costruzione di famiglie allargate e famiglie monogenitoriali. Queste trasformazioni hanno portato a definizioni più chiare e fatto cadere tabù, ma hanno reso anche le relazioni più complesse e i confini più incerti, la ricaduta sui figli non si è fatta attendere. Si sono, infatti, amplificate anche le rappresentazioni in cui i figli si percepiscono come membri di una famiglia e vivono le dinamiche familiari, il modo in cui si rapportano ai genitori e vivono lo scambio tra il mondo familiare e le più ampie relazioni sociali. Lo spazio di libertà dei giovani si è esteso, più possibilità di movimento fisico e mentale ma anche "spazio-vuoto" dato dalla crisi del ruolo educativo genitoriale e del mondo adulto nel suo complesso.
L'estensione dei modelli di riferimento, la trasformazione dei ruoli e delle funzioni all’interno della famiglia, ha prodotto anche una più difficile definizione delle relazioni stesse. Più’ che le carenze strutturali di base, a costituire un fattore di rischio per i nuclei familiari odierni pensiamo sia la difficoltà a rapportarsi all’interno di relazioni fluttuanti che, ad oggi, determinano ancora troppo spesso confusione di ruoli e funzioni così da rendere fortemente incerta la struttura di riferimento familiare. L’esercizio della responsabilità genitoriale sembra essere gestito da un genitore supercomprensivo o “genitore-bambino” in difficoltà rispetto alla gestione dei passaggi delicati che caratterizzano la crescita dei figli, in un rapporto che vede il potere dell’adulto e del bambino confondersi. E’ forte il ricorso di delega alla scuola, alle altre agenzie educative e agli esperti; nel contempo vi è una "crisi della delega" in quanto la richiesta di aiuto si ridefinisce nella pressante pretesa di soluzioni immediate, spesso rancorose o magiche e rigidamente orientate agli esiti dei richiedenti stessi.
2. Le nuove devianze minorili, le neuroscienze e la giustizia riparativa
Il fenomeno della devianza giovanile ha subito nell’ultimo ventennio una profonda trasformazione che ha riverberato i suoi effetti sulla qualità dell’atto deviante e il contesto di provenienza più che sugli aspetti quantitativi. Quanto al tasso di criminalità minorile l’Italia, infatti, continua ad occupare gli ultimi posti in Europa. Una riflessione attenta, nel tentativo di definire le nuove forme di devianza minorile, deve cogliere gli elementi di novità muovendo dal basso, e cioè dall’esperienza concreta.
Vengono in mente le segnalazioni che arrivano al Tribunale per i Minorenni, che da una parte ci mostrano nuove forme di devianza legate alla tecnologia, dall’altra comportamenti connotati come illeciti e reati che cambiano rappresentazione. Si evidenziano, innanzitutto, le irregolarità della condotta tradizionali: fughe da casa, abbandono scolastico, sessualità disordinata o anticipata, bullismo, atti vandalici, vagabondaggio, ubriachezza, gioco d’azzardo, appartenenza a contesti di criminalità, assunzione di sostanze stupefacenti e spaccio. A queste si affiancano comportamenti quali: prostituzione minorile, ludopatia, dipendenza da internet/smartphone o da farmaci, sexting, abusi sessuali di gruppo, blue whale, tagli sul corpo, violenze ai danni dei genitori, lancio di sassi dal cavalcavia. I giovani sono ingurgitati dai social e dalla rete attraverso i quali diventano spesso vittima del loro falso sé. Si sono affermate così particolari tipologie di devianza: dal revenge porn alle incursioni dei “nuovi bulli”, il branco di minorenni che si accanisce con crudeltà sulla vittima, filmando i momenti essenziali dell’aggressione (che finiscono puntualmente sul web). Il disagio, che investe i giovani di estrazione sociale medio/alta, oltre che i ragazzi tradizionalmente “deprivati”, si manifesta anche nella diffusione di giochi di morte o atti autolesionistici in relazione ai quali il malessere, l’emulazione e la richiesta di aiuto si si confondono pericolosamente.
Le criticità della condizione minorile sono ulteriormente aggravate dal sensibile incremento dei disturbi dello sviluppo (dislessia, disturbi del linguaggio o del comportamento), delle patologie psichiatriche e del disagio psichico degli adolescenti[5].
Una lettura delle nuove forme di devianza minorile, strettamente collegate alla crisi della famiglia, non può prescindere dall’approfondimento di alcune questioni cruciali. Occorre, infatti, rivolgere l’attenzione a modelli e ruoli educativi al fine di stabilire se l’oggetto del desiderio mimetico dei giovani possa essere adeguatamente soddisfatto dalla “famiglia narcisista”.
Alcuni reputano che l’accresciuta capacità tecnologica (informatica e telematica) degli adolescenti sia il segno di una sorta di precocità sociale della devianza minorile, giungendo alla conclusione che la soglia di punibilità - coincidente con il compimento del 14° anno di età - andrebbe abbassata. Tale sillogismo, in realtà, è ampiamente confutato e contraddetto dalle ricerche in campo psicosociale che dimostrano come i giovani adolescenti di oggi siano poco maturi, non recepiscano il disvalore di determinate azioni e incontrino difficoltà enormi dal punto di vista relazionale, emotivo o affettivo.
Varie sono le teorie e le linee di pensiero in questo ambito. Le neuroscienze ci dicono che dalla preadolescenza ad oltre i 20 anni il cervello va incontro a un aumento della mielinizzazione, migliorando così l’efficienza della conduttività neurale. Le funzioni esecutive, e cioè l’organizzazione dei pensieri, il controllo degli impulsi e la valutazione delle conseguenze delle proprie azioni, sono fortemente correlate alla nozione di imputabilità: man mano che il lobo frontale si sviluppa, il soggetto acquisisce la capacità di controllare la propria impulsività. A quattordici il lobo frontale e le funzioni esecutive non sono ancora formate, quindi il minore non è in grado di capire quando fermarsi, mentre sono sviluppate le funzioni sotto-corticali legate all’impulsività. Dai quattordici ai diciotto anni, invece, sopraggiunge una valutazione soggettiva poiché si ha la maturazione completa delle aree cerebrali, che non è uguale per tutti i soggetti (Mian-Mantovan, 2016)[6].
Le immagini della risonanza magnetica del cervello, arricchite dalle nuove metodologie di esplorazione (risonanza magnetica funzionale e magnetoencefalografia), confermano che negli adolescenti cosiddetti devianti l’area del lobo frontale non è adeguatamente sviluppata. Alcune teorie ci parlano di varianti genetiche associate al comportamento antisociale del minore (si pensi al c.d. “gene guerriero”)[7] e di anomalie genetiche “predittive” la cui conoscenza diventa utile per calibrare al meglio l’intervento socio-ambientale, limitando o riducendo il rischio di devianza e/o di recidiva. Di indubbio interesse il ruolo dell’epigenetica che mette in crisi le teorie deterministiche e presenta importanti possibilità applicative nel contesto della giustizia minorile, essendo quest’ultima fisiologicamente abituata a costruire percorsi individualizzati e ad anticipare l’evoluzione delle prassi innovative in ragione della sua estrema versatilità. Gli ambiti di interazione tra neuroscienze e diritto minorile, in minima parte già sperimentati, sono diversi: 1) la ricerca scientifica sulle new addictions; 2) la capacità di discernimento e l’imputabilità del minore; 3) la valutazione delle capacità genitoriali. In tutti questi casi l’interesse minorile è rivolto soprattutto alle nuove tecniche di neuroimaging, agli studi epigenetici e alla genetica comportamentale. Si aggiungano le questioni, non meno rilevanti, concernenti le competenze cognitive della persona minore di età e il rapporto tra mente e linguaggio (Muglia, 2019)[8].
A questo punto rimane da comprendere se, in che termini e con quali strumenti sia possibile contrastare le nuove devianze giovanili, muovendo dal presupposto che l’unico valido approccio che, ad oggi, è riuscito a conseguire risultati apprezzabili è rappresentato dalla giustizia riparativa. In questa direzione, riteniamo che nessun approccio possa essere di per sé esaustivo se non tiene conto del contesto familiare e sociale in cui il minore è inserito. Per la tutela dell’adolescente deviante è essenziale investire sulla fiducia nella sua ripresa maturativa, sostanziata da progetti riabilitativi che mantengano la centralità del recupero delle capacità pensanti e simboliche, anche della sua stessa famiglia. La funzione del comportamento deviante assume le forme di una richiesta di aiuto disfunzionale. Da qui l’importanza di cogliere la specifica valenza comunicativa e relazionale del tipo di reato e di collocarne la ricerca di significato nella storia affettiva, familiare e sociale del minore.
La giustizia riparativa, che investe sulla responsabilità e sul futuro, rappresenta il ponte tra due verità: la legge della norma e la legge soggettiva. Al fine di contenere il percepito di una comunità insicura e di una giustizia inefficace o ingiusta, essa si propone di restituire alle parti coinvolte il senso della propria dignità ed unicità, offrendo spazio, tempo e parola al conflitto e individuando, nel contempo, atti e atteggiamenti riparativi. La giustizia riparativa si prospetta cosi come una giustizia delle persone e delle relazioni, il cui elemento focale è la partecipazione attiva della vittima, dell’autore di reato e quanto più possibile delle altre parti (la comunità), così come affermato dalle direttive e raccomandazioni europee e delle Nazioni Unite (Patrizi, 2019)[9]. Perno centrale di tale tipologia di giustizia è il senso di responsabilità, di solidarietà, la partecipazione e ancor di più la cura delle relazioni, attraverso le diverse funzioni riparative; si pensi alla mediazione, per esempio, ma non solo. All’interno del paradigma della giustizia riparativa sono possibili diversi programmi e paradigmi, in funzione del contesto sociale, familiare, culturale di appartenenza (McCold, Watchel, 2003)[10].
L’attività di mediazione, oltre che un metodo utile di risoluzione del conflitto, è un tassello importante che consente alla vittima di dare forma e voce alle istanze di cui è portatrice, manifestando anche il carico di sofferenza personale. E’ indubbio, altresì, che la mediazione penale, espressione tipica della cosiddetta giustizia delle emozioni, sia divenuto uno strumento educativo efficace capace di contenere in percentuali minime il rischio di recidiva del minore autore di reato (Muglia et al., 2016)[11]. Come se fosse una prima opportunità di ristabilire un contatto emotivo con l’esito dei propri gesti e con la storia che ne discende: prima opportunità proprio in quanto la vita del ragazzo fino a quel momento, come abbiamo visto, si svolge in una sorta di distacco dal mondo delle emozioni.
Il progetto di messa alla prova è sostanzialmente un dettagliato programma trattamentale, elaborato in maniera individualizzata per ciascun minore, basato sulla sua interazione con le figure parentali adulte di riferimento e con le risorse educative e formative dell’ambiente di provenienza (Patrizi, 2019). Il coinvolgimento del nucleo familiare fa emergere in prima battuta alcune dinamiche relazionali che, se approfondite, danno spazio ad una migliore comprensione del disagio di quel minore in quello specifico contesto. Vengono alla mente genitori che giustificano la condotta del proprio figlio, altri che la disconoscono, genitori poco collaborativi, e ancora genitori distratti da altri figli con problematiche sanitarie importanti, genitori concentrati sul conflitto di coppia. E allora, rispondere alle sollecitazioni di questi minori rappresenta, per tutti noi, un’opportunità. Rappresenta per le famiglie un’occasione di crescita.
La formulazione da parte dell’autorità giudiziaria, nell’ambito del progetto di messa alla prova, di prescrizioni mirate sia allo sblocco del processo maturativo del minore che al recupero della funzione genitoriale, attraverso l’applicazione degli interventi tipici del T.M. in sede amministrativa e/o civile, realizza di fatto, piuttosto che una funzione sanzionatoria o arresa ad un’immaturità difficilmente risolvibile, un’autorevole chiamata in causa dei servizi specializzati e dei genitori stessi per la loro emancipazione da una dimensione involutiva. Questa valorizzazione viene a costituirsi come sviluppo vitale allo stesso processo di cambiamento del minore deviante per l’importanza che assume, in questa fase di vita, l’interazione tra mondo esterno e mondo interno, nel quale il ripristino di buoni soggetti genitoriali interni (Bowlby, 1989)[12] rimane una funzione irrinunciabile per la crescita del minore, non solo nella sua dimensione attuale ma anche in quella transgenerazionale.
La messa alla prova all’interno del processo penale, se non coinvolge in maniera attiva l’intero nucleo familiare, tende ad avere risultati parziali, con il rischio di recidiva quando il minore rientra nel sistema familiare o quando vengono meno i supporti esterni. Il processo penale minorile, che realizza il suo scopo ed il suo significato nella capacità di rispondere alle esigenze educative riabilitative dell’imputato/indagato minorenne, si pone anche mediante specifici istituti come potenziale ambito di intervento psico-socio-educativo capace di promuovere l’evoluzione della personalità in formazione dell’adolescente e, nel contempo, di sostenere la funzione genitoriale in crisi di fronte alle difficoltà maturative del figlio all’interno di un contesto ambientale sempre più fluido. Solo il trattamento elaborativo di entrambi rende possibile una prognosi favorevole in merito all’educazione dell’imputato minore ed alla conseguente riduzione del rischio di recidiva.
E’ stato correttamente evidenziato, in proposito, che la correlazione tra il significato dei miti e dei segreti familiari che ruotano intorno ad eventi traumatici non-elaborati della storia familiare e trangenerazionale e la tipologia dei reati commessi dai figli adolescenti inducono fortemente a riflettere sulla necessità rielaborativa di tali dinamiche intrafamiliari, affinché i genitori con adeguato supporto possano recuperare le funzioni che sono loro proprie di «generare amore, contenere la sofferenza depressiva, infondere speranza e pensare, piuttosto che trasmettere ansia persecutoria e seminare disperazione» (Meltzer-Harris), per le difficoltà di fornire il supporto allo sviluppo mentale del figlio (Zappia et al., 2012)[13].
E’ chiaro, quindi, che sia quanto mai necessaria la partecipazione dei genitori del minore al progetto educativo predisposto in sede giudiziaria e che si debba prevedere un loro coinvolgimento diretto anche in caso di messa alla prova. E’ evidente poi che, laddove si tratti di reati commessi dal minore ai danni di uno o entrambi genitori, risulti di fondamentale importanza attivare un intervento specifico di mediazione penale e/o di terapia familiare.
3. I reati intrafamiliari degli adolescenti
Come detto, la complessità delle dinamiche familiari è accompagnata dal crescente aumento di alcune tipologie di reato: la violenza reiterata di giovani adolescenti ai danni dei propri genitori, con denunce e processi in progressivo aumento. Se, infatti, si analizzano i dati che riguardano i soggetti in carico ai Servizi Minorili si avrà modo di verificare che si è passati da 314 maltrattamenti in famiglia nell’anno 2015[14] a 569 delitti contro la famiglia nell’anno 2019[15]. Basti pensare che nell’anno 2010 i maltrattamenti in famiglia dei minori in carico all’USSM erano appena 120[16]. Le violenze familiari degli adolescenti, caratterizzate spesso da pressioni dirette ad ottenere denaro per acquistare sostanze e beni o per accedere a divertimenti, sono riconducibili principalmente all’esasperazione di conflitti familiari. Unitamente ai maltrattamenti i genitori denunciano altri gravi reati commessi nei loro confronti dai figli minori: estorsione, violenza privata, sequestro di persona, rapina impropria.
Tra questi nuovi adolescenti ci sono anche i figli delle buone famiglie, "le famiglie della porta accanto". Nuovi adolescenti che in un rapporto apparentemente pacificato col mondo: “viviamo in un tempo di guerra mascherato da un tempo di pace” (De Gregorio, 2019)[17]crescono interfacciandosi con difficoltà sconosciute alla generazione precedenti. Figli che hanno una lenta transizione alla vita adulta, dove l'adulto stenta a chiedere ma è proteso a dare. "A mio figlio non è mancato mai nulla", siamo soliti sentirci ripetere nei nostri contesti istituzionali. Figli che crescono in un mondo familiare caldo, attratti da un esterno che risulta freddo, un fuori che chiede e non vuole dare. La crescita, lo svincolo[18], preannuncia confronti, fatiche, sconfitte e dolore... meglio temporeggiare, ma "non c'è tempo". La proposizione di un sé adulto preme. Il divario tra il sé ideale e reale (James, 1980)[19] è ampio e pone le basi per severi inciampi e aree tensive. Sono spariti i riti, carichi di aspetti simbolici, che scandivano e davano significato al tempo, ai passaggi, alle appartenenze... La transizione al mondo del giovane adulto è sempre più spesso sostenuta solo dai pari. Più complessa, più ibrida, ondeggia tra un essere nel mondo riconosciuti come degli adulti e, al contempo, "ancora bimbi in casa". Lo scontro generazionale è più fievole, per i genitori troppo doloroso, meglio accontentare.... "in fondo, in casa, sono bravi ragazzi, figli modello". Ma la tensione allo svincolo si fa intensa e in questi ragazzi abituati alle scorciatoie, ai pretesti. L'evento violento che offre l'illusione di un passaggio magico può essere a portata di mano. Un gesto violento, un reato estremo può irrompere nel tentativo di condensare il malessere e il conflitto tra istanze evolutive e involutive, facendo credere ad una "via d'uscita" miracolosa, un balzo istantaneo (Grimoldi, 2006)[20].
Le denunce dei genitori, ne sono il chiaro esempio gli ultimi fatti di cronaca, finiscono per assumere una duplice funzione: pongono un confine chiaro al comportamento violento del figlio, ma di fatto delegano l’autorità all’esterno, abdicando al ruolo di riferimento che dovrebbe costituire il perno essenziale di qualsiasi unità familiare. La domanda di aiuto latente, se fatta emergere, può costruire la domanda che produce l’intervento. In questi ragazzi, e nelle rispettive famiglie, manca una solida struttura del sé e/o un’identità fondata sull’appartenenza.
A partire da alcune riflessioni relative alla configurazione di nuovi reati o all'aumento di alcune tipologie di reati, abbiamo provato a collegare lo scenario che si muove "nell'area penale" ai profondi cambiamenti avvenuti, e tutt’ora in corso, nella società odierna. Trasformazioni del contesto sociale dove, non tanto, si palesa una maggiore violenza, ma una violenza che genera forte preoccupazione, che assume forme peculiari e include altri attori. L'accelerazione dei processi di cambiamento tecnologici e delle transizioni che si attivano e si succedono incidono sulla nostra quotidianità, sui nostri tempi di vita, sulle relazioni interpersonali e sulle relazioni fra le generazioni. E’ "quella di oggi" una dimensione particolare e nuova, che chiede una comprensione complessa, l'attivazione di strategie idonee e una tempistica congrua per affrontare situazioni problematiche inedite. Il rischio è di affrontare il nuovo, o le nuove forme di devianza, avvalendosi di visioni statiche che ripropongono logiche "in cerca di sicurezza e protezione" attraverso risposte datate o solo pragmatiche e urgenti. Siamo pervasi da un sentire comune che preme e legittima comportamenti a loro volta violenti, che sostiene la diffidenza, il conflitto e l'isolamento sociale.
Le istituzioni hanno tempi lenti per il cambiamento: uscire dalle logiche difensive sia come servizi che come professionisti non è sempre facile e, se i minori e i giovani adulti che attraversano i nostri ambiti di intervento sono sempre meno comprensibili e le loro sofferenze meno decifrabili, è evidente che i nostri codici di riferimento e le nostre procedure operative siano messe in crisi. Una crisi dalla quale, però, è possibile cogliere l'aspetto evolutivo e rilanciare la competenza, una crisi che nel metterci in discussione, al contempo, ci sollecita a tentare un salto di livello professionale, a sentirci " chiamati" a trovare visioni e strategie meno abituali, a soffermarci sull'atto violento e sulla ricaduta di sofferenza. Laddove il pensiero declina rispetto ad un bisogno di agito sempre più veloce e lineare, proviamo ad interrogarci sui nostri interventi, sulle nostre sovrapposizioni e disarticolazioni, a fermare il flusso di percorsi frammentati, connessi alla moltiplicazione degli interventi settoriali e delle agenzie di cura. Laddove l’esperienza dei ragazzi è deprivata dell’apporto emotivo, a noi sta soffermarci e utilizzare a pieno la nostra parte emotiva per poterla trasmettere ed essere da stimolo anche al ragazzo e alla sua famiglia. E' utile recuperare il significato dell'atto violento all'interno del suo contesto d'insorgenza, coglierne l'eco di rimando. Al contempo, riconsiderare la famiglia, il territorio e la comunità sociale quali risorse atte ad attivare percorsi inclusivi e riparativi. Ad aver cura dei legami.
Difficile comprendere le motivazioni e i perché di un giovane che si costruisce un'identità criminale, che perpetua comportamenti violenti, che si palesa attraverso atti distruttivi o che si diverte a" far male" in gruppo. E ancora, farsi una ragione dei reati privi di senso, dove prevale l'assoluta gratuità del gesto violento, come nel gioco del lancio dei sassi dal cavalcavia. La visione della sofferenza come spettacolo, l'aumento dei crimini ad opera di bambini, i giochi fra ragazzi, " ... Dove chi vince: ... vince la Morte."
4.Cosa dicono i nuovi reati? Oltre la maschera
Occorre domandarsi, a questo punto, cosa ci dicono i reati degli adolescenti di oggi, muovendo dal presupposto che l’atto deviante è il sintomo di una comunicazione e di una relazione disfunzionale.
Nel tempo si sono succedute varie teorie esplicative, alcune falsificate, altre che resistono o coesistono ancora oggi. Non abbiamo la pretesa di dare risposte ma di impegnarci in uno sforzo di riflessione necessario per avvicinarci e comprendere maggiormente questi nostri giovani. E' facile pensare i giovani autori di reato come degli irriducibili, dei sadici, degli inconsapevoli, dei delinquenti nati. Queste definizioni ci catturano e ci seducono. Danno ragione all'inspiegabile e lasciano "fuori da noi ", l'inquietudine di "sentirli" parte della nostra umanità.
Facciamo uno sforzo, cerchiamo di comprendere di più dei disagi e delle derive andando oltre le maschere.... le maschere dei mostri e dei folli. Comprendere la genesi della violenza e dei comportamenti crudeli significa, prima di tutto, riuscire a togliere la maschera della semplificazione che ci conduce a localizzare il negativo in un'area o a trovare una causa certa che ci permetta di prendere fiato. Illudendoci così di evitare i danni, eliminandone l'origine, così come nell'Immagine dell'Arcangelo Michele che sconfigge il Male allontanandolo con la spada. L'icona della Giustizia con la spada fa parte di una risposta antica, radicata che si ripropone offrendo sollievo immediato al nostro senso di equità e aprendoci alla speranza della sconfitta del male. Ma la giustizia in questa accezione fallisce perché si propone di tagliare e separare l’inseparabile ed è sempre a rischio di ingiustizia, essendo pervasa dal senso di onnipotenza.
Questo pensiero non significa adattarsi impotenti alla "naturalità del Male", alla sua immanenza, altrimenti, come dice il Manzoni: "… non resta che far torto o patirlo". (Manzoni A., 1822)[21] Significa raccogliere la sfida con modestia, interrogarci e cercare di comprendere il possibile, il sottotraccia, l'invisibile.
Chiediamoci allora: cosa ci dicono i nuovi reati?
Proviamo a dotarci di uno sguardo sciamanico e ad andare oltre, oltre i nascondimenti, proviamo a cambiare l'angolazione della nostra osservazione e stare nella complessità. Vedere il reato, quel reato, e cosa ci rappresenta nella sua valenza comunicativa e simbolica in quel contesto. Dobbiamo abitare uno spazio né semplice né semplificabile. Avvicinarci e provare a ipotizzare quale funzione svolge quel gesto delittuoso all'interno di quel sistema-famiglia e di quel contesto sociale. Quale la specifica valenza comunicativa e relazionale, aprendo ambiti conoscitivi della storia affettiva del suo autore. Quali legami, quale appartenenze, quali lealtà invisibili lo vincolano? Vale la pena includere la relazione con il contesto in cui il reato si è espresso e costruito. Chiediamoci allora, non solo cosa nascondono i reati di oggi, ma cosa ci dicono della storia delle persone, della nostra società e... dei nostri Servizi. Proviamo a dare un senso a questi comportamenti perturbanti, non perché siamo buonisti, ma perché semplicemente le nostre professioni ci chiamano a sostenere, anche in aree diverse, percorsi di riscatto, di recupero, di riparazione. Ad avere attenzione nel garantire percorsi di responsabilizzazione che guardano alle conseguenze e investono nel futuro. Percorsi di tutela, di emancipazione, di trasformazione e per questo di cura.
La nuova cultura educativa produce una fragilità dei confini e rende evanescente la sorveglianza interna. Quale significato aggiunto assume la nuova cattiveria che sta prendendo sempre di più la scena? Quale la maschera indossata dai giovani nel nostro tempo odierno? La linearità della genesi della cattiveria ci seduce sempre nel leggere le imprese di questi giovani, importanti elementi di criticità ci catturano ma, se ci soffermiamo, ci accorgiamo del loro essere conferme parziali, in relazione all'interrogativo del "come è potuto accadere ciò?" All'interno dell'accadimento si affacciano infatti una varietà di elementi di contesto, di storie, di narrazioni, di concatenazioni di fatti, di relazioni, di processi.
Se allarghiamo lo sguardo, se ci addentriamo scopriamo anche:
"Reati e carriere devianti" (G. De Leo et al., 2004)[22] come atroci giochi di un destino avverso, avviati e nutriti dalla "cultura" di questi nostri anni che ha eroso il valore dei legami e della vicinanza, dove la responsabilità negativa è postata "sul fuori da noi ". Genitori non più umiliati di fronte alle prepotenze dei propri figli, ma arrabbiati e offesi perché ... sentono i figli non compresi, non giustificati. Spesso, come operatori, ci troviamo testimoni della meraviglia della famiglia, che vede il figlio coinvolto in un reato, come un evento impensabile in un qualcosa di impensabile: "mio figlio non è questo".
A questo punto, se crediamo alle maschere, abbiamo: il ragazzo solare che si trasforma in un mostro incomprensibile o in un folle. Se vediamo “oltre”, possiamo ricondurre l'evento mostruoso o il disagio alla difficoltà peculiare di quella famiglia, di quel giovane... di quel contesto allargato. Possiamo provare a comprendere che nesso possa esserci tra una violenza, un matricidio, una molestia inferta o subita ... con una rappresentazione irrisolta rispetto la propria dimensione di crescita o ancora che relazione ci possa essere, ad esempio, nei confronti di un contesto familiare ossessivamente richiedente o intriso di un celato abbandono. O quale splendido contenitore esplosivo possa essere un figlio/a per dei genitori impegnati in severe e laceranti istanze conflittuali.
Ma l'adolescenza deflagrante, al sevizio del compito evolutivo, dell'espressione del dolore e del disagio fallirà ancora una volta se i servizi e i professionisti che la avvicinano non sapranno "sostare" nella sofferenza, nel disagio, nell'incertezza e nell'ambiguità del comprendere e per questo, o proprio per questo, vedere oltre. Oltre le semplificazioni delle visioni lineari e delle risposte veloci. Un atto mancato, un'opportunità persa, ancora una volta, se non sapremo allearci in visioni integrate, recuperare, riparare, dare voce ai bisogni silenti, far emergere emozioni, pensieri e immagini celate.
Il reato, allora, come segno - maschera di un malessere non intercettato, di un bisogno intrappolato e al contempo di una ricerca estrema di aiuto ci investe e ci allerta, quali operatori dei sistemi di cura e dei contesti della giustizia, ad essere consapevoli che quando incrociamo questi giovani si delinea una traiettoria a effetto "sliding doors", perché, come è possibile avviare incontri responsabilizzanti per innescare processi trasformativi, è possibile, e facile, delineare percorsi volti a incistare maschere mostruose.
*Tratto dal Seminario “L’evoluzione delle diverse forme di devianza e la crisi della famiglia: le nuove risposte possibili”, a cura di Associazione ARGO e Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, Rende (CS), 16 novembre 2019. Vedi anche atti del IV° Convegno Nazionale di Psicologia Giuridica, 7-8-9 novembre 2019, Abstract, in www.convegnopsicologiagiuridica.it.
[1]Cappelli T., Crisanti P., Donatiello G., Magrini F., Mariani N. & Propersi G., Intervenire sui figli, lavorare con le famiglie, in Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica, 1, 2019.
[2]Manca M., Generazione hashtag. Gli adolescenti disconnessi, Alpes Italia, 2016.
[3]Giovagnoli, F., Alcune riflessioni sul concetto di famiglia, in Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica,1, 2012.
[4]Carli, R., Controllo e diffidenza, in Rivista di Psicologia Clinica, 2, 2018.
[5]Per un approfondimento Benzoni S., Nuove forme della sofferenza psichica in adolescenza: tra vecchi problemi e nuove sfide, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 2, 2019.
[6]Mian E. - Mantovan G., Le nuove frontiere dell’imputabilità. Neuroscienze e processo, libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2016.
[7]Vedi sul punto Pellegrini S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in Bianchi, Gulotta, Sartori, Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano, 2009.
[8]Muglia L., Adolescenza, (im)maturità, neuroscienze: gli scenari futuri tra nuove conquiste e imbarazzanti paradossi, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 2, 2019.
[9]Patrizi P., La giustizia riparativa. Psicologia e diritto per il benessere di persone e comunità, Carrocci Editore, 2019.
[10]McCold P., Wachel T., In Pursuit of Paradigm: A Theory of a Restorative Justice, Paper presented at the XIII Word Congres of Criminology, Rio deJaneiro, 2003.
[11]Muglia L., Fabrizio L., Calabrese B., Mercantini A., Costabile A., Gli effetti della mediazione nella giustizia minorile: alcuni risultati provenienti dalla ricerca in Calabria, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 1, 2016. La ricerca dimostra che in caso di esito positivo della mediazione il tasso di recidivanza è bassissimo (3%), confermando, altresì, che la recidiva è meno probabile allorquando il minore inserito in un progetto di messa alla prova acceda anche ad un programma di mediazione.
[12]Bowlby J., Una base sicura. Applicazioni tecniche alla teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina, 1989.
[13]Il trattamento dei minori sottoposti a messa alla prova: griglia per i servizi psico-sociali, a cura di un Gruppo di lavoro del Tribunale per i Minorenni di Milano coordinato da Anna Zappia (Giudice per le Indagini Preliminari), composto da Marina Episcopi, Marina Gasparini, Luca Massari, Joseph Moyersoen e Roberto Paganini (Giudici Onorari), in Cassazione penale, Giuffrè Editore, n. 05/2012.
[14]Analisi dei flussi di utenza dei Servizi della Giustizia Minorile (Anno 2015), Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, giugno 2016.
[15]Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi Minorili. Analisi statistica dei dati (15 dicembre 2019), Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, 17 dicembre 2019.
[16]Analisi statistica dei dati relativi agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (Anni 2010-2011), Dipartimento Giustizia Minorile, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, maggio 2013.
[17]De Gregorio C., Viviamo in un tempo di guerra mascherato da un tempo di pace, 2019.
[18]Bowen M., Dalla famiglia all’individuo, Roma, 1974.
[19]James W., Principi di psicologia, Edizioni Libraia, Milano, 1980.
[20]Grimoldi M., Adolescenze estreme, Feltrinelli, Milano, 2006.
[21]Manzoni A., 1822 Adelchi, Bur.
[22]De Leo G. et al., L'analisi dell'azione deviante, Il Mulino, Bologna, 2004.
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