ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Un’altra isola nell’arcipelago: le modifiche della legge n. 69/2019 alla luce degli obblighi internazionali in materia di violenza nei confronti delle donne
di Ilaria Boiano
Sommario 1. Premessa – 2. Il Codice Rosso. – 3. Obblighi internazionali e indicazioni di produzione legislativa nei casi di violenza nei confronti delle donne e violenza domestica.-3.1. Le definizioni della violenza nei confronti delle donne negli atti internazionali. – 3.2. L’obbligo di due diligence e l’accesso alla giustizia tra Convenzione di Istanbul e diritto dell’Unione Europea. – 4. Le modifiche al codice penale. – 4.1. Aumenti dei limiti edittali delle pene e modifiche alle circostanze aggravanti. – 4.2. Introduzione di nuove fattispecie incriminatrici. – 4.2.1. Il delitto di costrizione o induzione al matrimonio. – 4.2.2. La deformazione dell’aspetto di una persona mediante lesioni permanenti al viso. – 4.2.3. La diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. – 4.2.4. Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. – 5. Le modifiche al codice di procedura penale e misure di prevenzione. –6. Centri antiviolenza.- 7. Conclusioni
1. PREMESSA
Nel presente contributo si offre una disamina delle norme di diritto sostanziale e processuale di recente introdotte nel nostro ordinamento, tenendo come parametro di riferimento per misurarne l’impatto nell’ordinamento il quadro di obblighi internazionali e di diritto europeo vincolanti, che saranno approfonditi preliminarmente alle novelle legislative, senza trascurare i risvolti concreti che le modifiche al codice penale e processuale possono avere nell’esperienza delle donne che vivono una situazione di violenza.
Questa ricostruzione si rende necessaria, ad avviso di chi scrive, per promuovere non solo tra gli operatori del diritto, ma anche in un pubblico più ampio, una maggiore consapevolezza della disponibilità di strumenti per assicurare una risposta efficace e tempestiva alle donne che si trovano in pericolo: come è noto, a seguito delle misure adottate per far fronte all’emergenza sanitaria in corso, da più parti è stato lanciato l’allarme per un aggravio della violenza domestica e, ancora una volta, la percezione diffusa e purtroppo amplificata dai media, è che non vi siano strumenti per farvi fronte. Di fatto non è così, pur permanendo limiti che nel prosieguo si evidenzieranno, che impongono agli operatori del diritto la responsabilità di sollecitare i rimedi necessari insieme alle organizzazioni della società civile impegnate sul territorio.
2. IL CODICE ROSSO
Il 19 luglio 2019 è stata approvata la legge n. 69, all’esito di una discussione parlamentare avviata con il disegno di legge AC 1455, di proposta governativa, presentato all’opinione pubblica con la denominazione di «codice rosso», alludendo al criterio che al pronto soccorso assicura l’ordine di priorità di trattazione per i pazienti a rischio di vita.
La prospettiva di emergenza si è tradotta, da un lato, in un generalizzato aumento delle pene e nell’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici, dall’altro lato in una serie di disposizioni acceleratorie della fase iniziale del procedimento penale.
La logica sottesa alla legge appare così astrattamente coerente con gli obblighi internazionali di tempestività della risposta istituzionale e di repressione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne, tuttavia le misure introdotte non sono state calibrate con le cautele necessarie per evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese, cioè conseguente all’attivazione degli stessi istituti processuali oggetto di novella, e non sono state stanziate le risorse necessarie per gli uffici sui quali ricadranno gli sforzi organizzativi in fase di attuazione delle modifiche legislative[1]. Non si può tacere, inoltre, che la legge n. 69/2019 ritorna su norme di diritto penale sostanziale e procedurale già oggetto di recenti modifiche, e ciò conferma la funzione meramente mediatica dell’espressione «codice rosso»: le misure introdotte non contribuiscono, infatti, a soddisfare le esigenze di sistematicità, coordinamento e coerenza che un «codice» dovrebbe garantire, bensì ampliano quello che le Sezioni Unite nella sentenza n. 10959/2016 hanno descritto come «un arcipelago normativo nel quale non sempre è facile orientarsi»[2].
L’efficacia dell’impianto legislativo introdotto dal legislatore rischia, infine, di essere compromessa dall’assenza di iniziative volte al potenziamento dei centri antiviolenza, case rifugio e servizi per le vittime di reato nonché dalla mancata promozione di un rinnovamento della struttura delle relazioni sociali e familiari. Non si può ignorare, a tal proposito, che la legge n. 69/2019 è stata oggetto di discussione parallela ad altre iniziative legislative riguardanti la disciplina della separazione, del divorzio e dell’affidamento dei figli minorenni che hanno posto seri dubbi di consapevolezza e coerenza del legislatore, dal momento che le modifiche ipotizzate in sede civile pregiudicano l’efficacia complessiva delle misure già esistenti nell’ordinamento per garantire i diritti delle donne esposte a violenza di genere nelle relazioni affettive[3].
Il nodo problematico dell’ordinamento ancora risiede, infatti, in un sostrato di discriminazione sessista che svuota di efficacia le disposizioni legislative esistenti. Il Comitato CEDAW, organismo delle Nazioni Unite che monitora l’attuazione della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW) , nelle osservazioni conclusive rese all’esito dell’esame del rapporto periodico del Governo italiano sull’attuazione della CEDAW in Italia nel 2017, ha espresso preoccupazione per la sottovalutazione da parte delle autorità italiane della gravità della violenza di genere contro le donne[4], attitudine accertata anche dalla Corte EDU nella sentenza Talpis c. Italia del 2 marzo 2017[5], che ha condannato l’Italia per l’inerzia delle autorità dinanzi alle richieste di intervento e protezione proveniente dalla ricorrente, ravvisando in questa condotta la violazione degli articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 CEDU (divieto di discriminazione) (§144-145).
3. OBBLIGHI INTERNAZIONALI E INDICAZIONI DI PRODUZIONE LEGISLATIVA NEI CASI DI VIOLENZA NEI CONFRONTI DELLE DONNE E VIOLENZA DOMESTICA
3.1. Le definizioni della violenza nei confronti delle donne negli atti internazionali
La violenza nei confronti delle donne costituisce un problema sociale e pone una questione di riconoscimento e tutela dei diritti fondamentali in situazioni «in cui spesso il reato si consuma in contesti dove preesistono legami tra la vittima e il suo aggressore», che impone agli operatori del diritto di fare i conti in concreto con un ordinamento «multilivello»[6], risultato dell'attività normativa e di indirizzo di numerosi organismi sovranazionali, i cui atti svolgono «un importante ruolo di sollecitazione nei confronti dei legislatori nazionali, tenuti a darvi attuazione»[7].
Prima questione che si pone in un ordinamento così composito è quella definitoria: con l’espressione «violenza di genere» il Comitato di monitoraggio dell’attuazione della CEDAW indica «[…] la violenza che è diretta contro le donne in quanto donne, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Vi rientrano le azioni che procurano sofferenze o danni fisici, mentali o sessuali, nonché la minaccia di tali azioni, la coercizione e la privazione della libertà»[8], per rimuovere la quale le autorità statali sono tenute ad adottare misure di natura legislativa, politica, sociale, economica e amministrativa.
Nella Dichiarazione per l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne (DEVAW), atto di indirizzo adottato dalle Nazioni Unite nel 1993, si prende atto che la violenza nei confronti delle donne costituisce «manifestazione di relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, che hanno portato al dominio e alla discriminazione delle donne da parte degli uomini e alla prevenzione del pieno avanzamento delle donne, […] è uno dei meccanismi sociali cruciali attraverso i quali le donne sono costrette a occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini»[9].
Il riferimento al potere e al controllo quali moventi delle condotte ha condotto l’elaborazione complessiva in materia di tutela dei diritti umani «in un territorio nuovo e trasformativo»[10], perché ha spostato l’attenzione dalle relazioni di potere tra Stato e individuo a quelle esistenti tra uomini e donne, suggerendo una prospettiva volta a incidere sulle relazioni sociali, che si rinviene anche nel preambolo della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (d’ora in avanti Convenzione di Istanbul)[11].
L’art. 3 Convenzione di Istanbul riconosce espressamente nella violenza contro le donne una violazione dei diritti umani e una discriminazione di genere. Tale è anche la violenza domestica, che comprende «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». Nel rapporto esplicativo si evidenzia che la violenza domestica tra partner o ex partner colpisce «in modo sproporzionato» le donne di qualsiasi età. Per tali caratteristiche la violenza domestica è compresa nelle forme che può assumere, sempre ai sensi dell’art. 3, la violenza di genere, espressione che designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato.
La violenza domestica e di genere, quindi, si articola in uno o più atti che possono configurare una o più fattispecie incriminatrici previste dal codice penale italiano e che puniscono «violenza fisica, sessuale, psicologica o economica».
3.2. L’obbligo di due diligence e l’accesso alla giustizia tra Convenzione di Istanbul e diritto dell’Unione europea
Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce due ordini di obblighi per gli Stati: il principale è di natura negativa in quanto impone agli Stati di astenersi da dirette violazioni dei diritti umani attraverso i suoi agenti ed il suo apparato. All’obbligo negativo si aggiunge l’obbligo positivo di intraprendere azioni concrete e misure specifiche di natura legislativa, politica e culturale, rivolte anche ai soggetti non statali che agiscono in violazione dei diritti umani degli individui[12].
L’insieme di tali obblighi impone agli Stati di garantire misure di ordine generale e misure specifiche individuali in ossequio al generale obbligo di due diligence (dovuta diligenza), codificato dall’art. 5 Convenzione di Istanbul.
Il contenuto della due diligence è stato approfondito in tema di prevenzione della violenza nei confronti delle donne e misure di protezione sia nel contesto delle Nazioni Unite, dal Comitato CEDAW e dalla relatrice speciale sulla violenza contro le donne, le sue cause e le conseguenze[13], sia nel contesto del Consiglio d’Europa, in particolare dalla Corte EDU, in una costante circolarità tra i vari organismi, così consolidando la due diligence quale principio di diritto internazionale consuetudinario[14].
Secondo la giurisprudenza della Corte EDU, si ravvisa la responsabilità statale per violazioni dei diritti e delle libertà protette dalla CEDU in presenza di atti di violenza commessi da privati, laddove l’ordinamento interno non abbia assunto misure di carattere legislativo adeguate a punire condotte di violenza sessuale[15], violenza domestica[16] in tutte le sue forme, compresa la violenza psicologica[17].
Gli Stati sono tenuti, inoltre, a garantire la conduzione di indagini effettive[18] e la celebrazione di processi tempestivi[19], che garantiscano i diritti di tutte le parti, comprese le vittime delle violenze, da proteggere in concreto da ulteriori violenze[20], anche adottando misure temporanee a protezione delle donne e dei loro figli esposti alle violenze[21].
Nel corso dell’intero procedimento, sin dal primo accesso alle forze dell’ordine, deve essere rispettata l’integrità della persona offesa, per evitare che possa produrre ulteriore trauma lo stesso procedimento che consente l’esercizio di diritti fondamentali che compongono l’accesso alla giustizia[22].
La predisposizione di misure adeguate ed effettive, vale a dire non meramente formali, ma con risvolti concreti in termini di protezione e prevenzione, costituisce un obbligo positivo derivante non solo dagli artt. 2, 3, 8 CEDU, ma anche dal divieto di discriminazione stabilito dall’art. 14 CEDU: come si legge nella sentenza Opuz c. Turchia (2009), la violenza domestica patita dalla ricorrente «può essere considerata una violenza di genere che è una forma di discriminazione nei confronti delle donne» (§200), non basata «sulla legislazione per se, piuttosto risultato di un’attitudine generale delle autorità locali, come per esempio le modalità di trattamento riservate dalle forze dell’ordine alle donne quando denunciano violenza domestica e l’inerzia giudiziaria nell’assicurare protezione effettiva alla vittima» (§192)[23].
Seguendo la giurisprudenza della Corte EDU, la Convenzione di Istanbul stabilisce per gli Stati parte l’obbligo di una risposta fondata sull’adozione di politiche integrate e raccolta dei dati (capitolo 2), prevenzione (capitolo 3), protezione e sostegno (capitolo 4), introduzione di norme di diritto sostanziale civile e penale (capitolo 5), norme di procedura penale e misure di allontanamento (capitolo 6), migrazione e asilo (capitolo 7) e cooperazione internazionale (capitolo 8).
4. LE MODIFICHE AL CODICE PENALE
4.1. Aumenti dei limiti edittali delle pene e modifiche alle circostanze aggravanti
Coerentemente con le indicazioni contenute nel capitolo 5 della Convenzione di Istanbul, ma trascurando le misure di rafforzamento sociale e di cambiamento culturale, ambito di intervento privilegiato della legge n. 69/2019 è stato il codice penale, che ha visto l’aumento dei limiti edittali della pena per i seguenti delitti: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), per il quale è ora prevista la reclusione da tre a sette anni[24]; atti persecutori (art. 612-bis c.p.), punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi; violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), oggi punito con la reclusione da sei a dodici anni; violenza sessuale di gruppo (articolo 609-octies c.p.), punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
Con riferimento alle circostanze aggravanti, l’aver agito in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza, previste prima all’art. 61, n. 11-quinquies, c.p., e quindi con aumento di pena fino a un terzo, sono state configurate in caso di condotte maltrattanti nei termini di aggravanti speciali a effetto speciale con un aumento di pena fino alla metà dal nuovo comma 1-bis (insieme con la circostanza dell’aver commesso il fatto nei confronti di persona con disabilità come definita ai sensi dell'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi). Nel delitto di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.) è stata introdotta un'aggravante nel caso in cui gli atti siano commessi con minori di anni quattordici in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi.
L’art. 577 c.p., che prevede la pena dell’ergastolo per l’omicidio, è stato modificato dall’art. 11 legge n. 69/2019, così da estenderne l’applicabilità al reato commesso in danno dell’ascendente o del discendente «per effetto di adozione di minorenne» e della persona «stabilmente convivente con il colpevole o a esso legata da relazione affettiva»[25]. L’ultimo comma dell’art. 577 c.p., che prevede la pena della reclusione da ventiquattro a trenta anni in presenza di determinate relazioni qualificate dell’autore del reato con la persona offesa, è stato interpolato in modo da consentirne l’applicazione anche qualora la persona offesa sia «legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate» ovvero ne sia «l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del Codice civile».
L’art. 11 ultimo comma introduce un limite al bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti, escludendo che possano essere ritenute prevalenti le circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti elencate all’art. 577 c.p.[26].
Rilevante in materia di sospensione condizionale della pena è l’art. 6, legge n. 69/2019, che modifica l’art. 165 c.p. subordinando la sospensione della pena nei casi di condanna per i delitti oggetto di intervento del legislatore e in presenza delle aggravanti fin qui illustrate «alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati».
La finalità della disposizione in concreto appare, tuttavia, frustrata dall’assenza di adeguate risorse destinate a rafforzare la disponibilità di programmi dedicati, i cui oneri sono posti addirittura a carico del condannato, così precludendo l’accesso alla sospensione condizionata della pena a coloro che non dispongono di risorse economiche sufficienti[27]. Altro limite della disposizione si ravvisa nella mancanza di parametri uniformi per l’accreditamento degli enti incaricati dei programmi, necessari per assicurare che gli stessi rispondano in concreto alla finalità rieducativa della pena, così come stabilito dall’art. 27 Cost., attraverso percorsi di consapevolezza sul disvalore delle condotte illecite perpetrate nei confronti delle donne in modo conforme agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Istanbul. Così come disciplinato dal legislatore, l’accesso al percorso quale condizione per la sospensione condizionale della pena rischia, inoltre, di vanificare l’efficacia dello stesso, che presuppone un’adesione spontanea e consapevole del condannato.
Sarebbe stato auspicabile, inoltre, esplicitare l’obbligo di assicurare ai sensi dell’art. 16 Convenzione di Istanbul che i programmi dedicati ai condannati assicurino la sicurezza delle vittime e che siano stabiliti e attuati in stretto coordinamento con i servizi specializzati di sostegno alle vittime, senza sottrarre risorse a questi ultimi.
Con riguardo alla persona offesa, all’art. 572 c.p. viene aggiunto un ultimo comma nel quale si individua espressamente come persona offesa dal reato il minore di anni diciotto alla presenza del quale la condotta maltrattante è stata compiuta, per rafforzare così la tutela dei diritti dei figli minorenni esposti alla violenza di un genitore a danno dell’altro (cosiddetta «violenza assistita”), che ha trovato già riconoscimento in consolidata giurisprudenza di legittimità[28]. Per sistematicità della disanima, considerata la medesima finalità di tutela, si richiama anche l’art. 64-bis disp. att.c.p.p., inserito dall’art. 14, che stabilisce l’obbligo di trasmissione al giudice civile competente per «i procedimenti di separazione personale dei coniugi o delle cause relative ai figli minori di età o all'esercizio della potestà genitoriale» (sic, nonostante sia stata sostituita dall’istituto della responsabilità genitoriale), di copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e della sentenza emessi nei confronti di una delle parti in relazione ai reati previsti dagli artt. 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., nonché dagli artt. 582 e 583-quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma 1, n., 2, 5 e 5.1, e 577, comma 1, n. 1, e comma 2, c.p.
La disposizione così assicura l’omogeneità nell’ordinamento di un’azione di coordinamento già attuata dal Tribunale di Roma, in attuazione delle disposizioni che disciplinano il ruolo del pubblico ministero nei procedimenti civili, con particolare riguardo a quelli relativi all’affidamento dei figli minorenni, come prescritto dall’art. 31 Convenzione di Istanbul[29].
Infine, la persona offesa potrà esercitare il diritto di querela per i delitti di violenza sessuale previsti dagli artt. 609-bis e 609-ter nel termine di dodici mesi (art. 609-septies, comma 2), prima di sei mesi. Sul punto si segnala, tuttavia, che il delitto di violenza sessuale punito dall’art. 609-bis c.p. rimane procedibile d’ufficio, quindi a prescindere dall’esercizio del diritto di querela di parte, se connesso con altro delitto procedibile d’ufficio (art. 609-septies, n. 4), proprio in ragione dell’impatto di ulteriori condotte illecite che possono comprimere la volontà della persona offesa[30].
4.2. Introduzione di nuove fattispecie incriminatrici
Nel codice penale la legge n. 69/2019 ha introdotto quattro nuove fattispecie incriminatrici: il reato di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.); la deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quater c.p.); la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis c.p).
4.2.1. Il delitto di costrizione o induzione al matrimonio
L’art. 7 della legge n. 69/2019 ha introdotto nel codice penale l’art. 558-bis, intitolato «costrizione o induzione al matrimonio», formulato sul modello del delitto di violenza privata (art. 610 c.p.), che punisce con la reclusione da uno a cinque anni chi, con violenza o minaccia, costringe o induce taluno a contrarre matrimonio. Il comma 2 individua specifiche modalità di induzione al matrimonio: 1) l’approfittamento delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona; 2) l’abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia. L’evento del reato consiste nella contrazione del matrimonio o dell’unione civile. La pena è aumentata fino a un terzo se commessa nei confronti di minore di diciotto anni, mentre se i fatti sono perpetrati in danno di minore di anni quattordici, è prevista la pena della reclusione da due a sette anni.
Il delitto così costruito è stato presentato come risposta alla pratica dei cosiddetti matrimoni forzati, che riguardano per lo più giovani donne, ragazze, finanche bambine, sia di cittadinanza italiana sia cittadine di paesi terzi soggiornanti in Italia, tra le quali anche coloro che appartengono alle comunità Rom e Sinti[31].
Si consideri, inoltre, che le molteplici estrinsecazioni della condotta risultavano già riconducibili a una serie di delitti previsti dal codice penale, tra cui la violenza privata, anche in concorso con altri delitti, rendendo così possibile l’applicazione di una pena commisurata al grado di offensività rilevabile caso per caso, senza trascurare il contesto in cui si consumava la coercizione al matrimonio e le condotte successive, che possono integrare i delitti di maltrattamenti aggravati, violenza sessuale, con le specifiche aggravanti del fatto commesso nei confronti di minorenni, fino alla riduzione in schiavitù e la tratta.
Anche la formulazione dell’evento, che menziona il matrimonio e l’unione civile, tradisce la scarsa conoscenza del fenomeno da parte del legislatore, dal momento che esclude la rilevanza dei vincoli derivanti da riti non riconosciuti nell’ordinamento, che sono però «socialmente vincolanti» tra coloro che sul territorio praticano i matrimoni forzati[32].
Aspetto rilevante della fattispecie introdotta è l’extraterritorialità del delitto, dal momento che esso si ritiene integrato anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia, sul modello del delitto di mutilazione dei genitali femminili (art. 583-bis c.p.). Tale previsione, tuttavia, assume valore in termini di protezione, oltre che di deterrenza, solo ove sia garantito il pieno coinvolgimento delle autorità italiane anche in paesi terzi in azioni di rintraccio nel paese dove la vittima è stata trasferita e attraverso meccanismi di cooperazione internazionale dedicati e finanziati.
Imprescindibile, inoltre, è una riflessione anche sulle misure di ripristino del diritto alla residenza e al permesso di soggiorno autonomo in attuazione dell’art. 59 Convenzione di Istanbul, superando i ristretti limiti di cui all’art. 18-bis d.lgs. 25 luglio 1998, n. 28.
Non hanno visto la luce le ulteriori misure ipotizzate nei disegni di legge precedentemente in discussione[33], tra cui degno di nota era la costituzione di un osservatorio, di cui sarebbe stato necessario precisarne composizione e metodologia. D’altra parte, in un atto legislativo privo di coperture finanziarie aggiuntive, la misura sarebbe stata irrealizzabile.
In definitiva, facendo tesoro dell’esperienza maturata in tema di mutilazioni genitali femminili, che a seguito dell’introduzione della fattispecie incriminatrice specifica sono rimaste comunque drammaticamente sommerse in Italia[34], le misure penali sono solo apparentemente una «buona soluzione»[35]. Sarebbe stato più efficace valorizzare le fattispecie incriminatrici già esistenti e gli istituti di natura civilistica volti a tutelare la libertà personale da molteplici forme di coercizione funzionali a compiere atti non voluti, compresi quelli relativi alle scelte attinenti alla vita privata, familiare e sessuale, e che sono incentrate sull’accertamento del consenso delle parti coinvolte. In particolare, si rinvia all’articolo 122 c.c., che prevede tra le cause di impugnazione del matrimonio la violenza e il timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne[36], facendo rivivere disposizioni civilistiche che stimolano l’accertamento delle condizioni nelle quali una donna o una ragazza esprime la sua volontà, quindi sul contenuto del negozio giuridico che conclude, sulle condizioni di libertà individuale e sugli ostacoli materiali che impediscono alle donne di esprimere liberamente il proprio consenso; sulla necessità, infine, di analizzare le relazioni di potere che attraversano le vite delle donne e ragazze e la connessione tra le varie forme di subordinazione e violenza[37].
4.2.2. La deformazione dell’aspetto di una persona mediante lesioni permanenti al viso
L’art. 12, legge n. 69/2019 ha introdotto nel codice penale l’art. 583-quinquies intitolato «deformazione dell’aspetto di una persona mediante lesioni permanenti al viso», che punisce con la reclusione da otto a quattordici anni «chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso». Il legislatore, così, ha trasformato in un’autonoma fattispecie di reato l’aggravante speciale prima prevista dall’art. 583, comma 1, n. 4 c.p., che includeva «la deformazione ovvero lo sfregio permanente del viso» tra le lesioni gravissime punite con la reclusione da sei a dodici anni, contestualmente abrogata dalla legge n. 69/2019.
La sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti comporta la pena accessoria dell'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno. Il delitto è procedibile d’ufficio e il trattamento sanzionatorio consente l’applicazione delle misure cautelari, dall’ordine di allontanamento alla custodia cautelare in carcere, a seconda delle esigenze cautelari che si ravvisano caso per caso.
Le nozioni da approfondire sono quelle di deformazione e sfregio permanente del viso, per le quali è rilevante l’orientamento della giurisprudenza di legittimità relativo proprio alla precedente aggravante prevista dall’art. 583, n. 4, c.p.
Con riguardo alla verifica del danno conseguente alla condotta, il giudice di merito sarà chiamato a una valutazione in concreto della sussistenza del predetto turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso esprimendo «un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, in quanto ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità»[38]. L’autorità giudiziaria, quindi, anche discostandosi da valutazioni medico-legali, riterrà correttamente integrata la deformazione laddove si rilevi un’alterazione anatomica della simmetria del viso, producendo «effetti deturpanti sulla euritmia del volto»[39], secondo un grado di gravità più elevato dello sfregio permanente[40]. Quest’ultimo, invece, si ravvisa, secondo la giurisprudenza di legittimità, in presenza di «qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, importi un turbamento irreversibile dell'armonia e dell'euritmia delle linee del viso, con effetto sgradevole o d'ilarità, anche se non di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità»[41].
L’art. 12 comma 4 consente l'applicazione dei benefici penitenziari per i condannati per il delitto in esame solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno. Si equipara, sostanzialmente, il delitto in esame agli altri delitti ivi previsti contro la libertà sessuale, stabilendo anche che quando il reato è commesso in danno di minore, ai fini della concessione dei benefici può essere valutata la positiva partecipazione al programma di riabilitazione psicologica specifica previsto dall'art. 13-bis dell'ordinamento penitenziario, ed esteso dall’art. 17, legge n. 69/2019, anche ai condannati per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) e atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
4.2.3. La diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti
Di recente, si è assunta una maggiore consapevolezza del fenomeno del cosiddetto revenge porn o pornovendetta[42], molto preoccupante per la sua diffusione soprattutto tra i giovani[43], e che consiste nel diffondere tramite vari canali telematici, senza il consenso della persona offesa, sue immagini fotografiche o video carpite con o senza il suo consenso e che la riprendono in intimità, nel compimento di atti di autoerotismo o nel corso di rapporti sessuali.
Nei confronti di chi «pubblica messaggi o filmati aventi contenuto denigratorio sui social network qualora i dati diffusi in rete siano fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa»[44] ha trovato applicazione il delitto di atti persecutori, punito dall’art. 612-bis c.p., che punisce con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La condotta materiale, ritenuta integrare il delitto di atti persecutori in queste situazioni, consiste proprio nell’invio reiterato alla persona offesa di messaggi telefonici, messaggi di posta elettronica, fino ai «post» sui social network, e la divulgazione tramite gli stessi di filmati che riproducono rapporti sessuali intrattenuti dall'autore del reato con la persona offesa[45].
Dinanzi alla crescente diffusione del fenomeno, offensivo di beni giuridici già oggetto di adeguata tutela penale, la diffusa sottovalutazione delle condotte ha avuto esiti letali per alcune vittime, indotte al suicidio, e ha consolidato una percezione sociale di insufficienza delle norme sostanziali e procedurali esistenti, anche in sede civile, per assicurare la repressione dei vari comportamenti commessi, l’adozione di misure cautelari, la rimozione delle immagini diffuse dal web, e il risarcimento del danno.
Si è ritenuto necessario quindi introdurre all'art. 612-ter c.p. la fattispecie incriminitrice specifica che punisce l’invio, la consegna, la cessione, pubblicazione o diffusione di immagini o video, senza il consenso delle persone rappresentate con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5.000 a 15.000 Euro. Si distinguono due fattispecie, a seconda delle modalità di acquisizione delle immagini da parte dell’agente: nel comma 1 si prevede la condotta di utilizzo di immagini o video utilizzati da chi li abbia precedentemente realizzati o sottratti; nel comma 2 le immagini o i video sono utilizzati da chi li abbia ricevuti o comunque acquisiti in altro modo. Il comportamento punito dal comma 2 richiede anche il dolo specifico di recare nocumento alle persone rappresentate. In entrambi i casi, il reato previsto è applicabile in quanto il fatto commesso non integri un più grave reato.
Le condotte sono aggravate se commesse dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici; è previsto inoltre l’aumento della pena da un terzo alla metà, se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza (comma 4).
Il delitto è punito a querela della persona offesa, che deve essere presentata entro il termine di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La procedibilità d’ufficio, invece, è stabilita per le circostanze aggravanti previste al comma 4, non lasciando così alla donna in gravidanza l’autonomia di valutazione dell’opportunità di esercitare o meno il diritto di querela, e quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
4.2.4. Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
L’art. 4, legge n. 69/2019, ha introdotto l’art. 387-bis c.p. che punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni la violazione degli obblighi derivanti dalla misura pre-cautelare dell’allontanamento urgente dalla casa familiare disposto dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, previa autorizzazione del pubblico ministero ai sensi dell’art. 383-bis c.p.p., dell’ordinanza di applicazione di misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.).
La fattispecie incriminatrice, introdotta tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia nel titolo III, si pone la finalità deterrente rispetto alla violazione delle misure menzionate per rafforzare la prevenzione della reiterazione delle condotte della stessa specie di quelle che hanno motivato l’adozione della misura cautelare o pre-cautelare.
L’introduzione della fattispecie incriminatrice, la cui pena non consente l'arresto facoltativo e l'applicazione di misure cautelari[46], si rivela insufficiente ove sul piano operativo non si assisterà alla rigorosa applicazione dell’art. 276 c.p.p. che consente al giudice di disporre la sostituzione o l’applicazione di altra misura più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione della misura applicata.
Il nodo problematico da affrontare è correlato, ancora una volta, alla formazione e specializzazione: non di rado, infatti, le segnalazioni di violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa sono sottovalutate e non lette nei termini di reiterazione delle condotte illecite per le quali la misura cautelare è stata applicata, mentre le motivazioni a giustificazione del comportamento addotte dal soggetto sottoposto a misura trovano maggior credito (soprattutto allorché abbiano a pretesto la condivisione della responsabilità genitoriale sui figli minorenni) e alla violazione non segue l’adozione di provvedimenti ai sensi dell’art. 276 c.p.p., così indebolendo l’efficacia preventiva di tutto il sistema delle misure cautelari specifiche. La violazione dell’ordine di protezione adottato in sede civile rimane sanzionato dalla fattispecie di cui all’articolo 388 comma 2 c.p. che punisce con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro centotre a euro milletrentadue chi elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342 ter c.c, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
5. LE MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE E MISURE DI PREVENZIONE
Gli interventi sul codice di procedura penale sono accomunati dalla finalità di evitare che eventuali stasi tra l’acquisizione della notizia di reato, la sua iscrizione e l’avvio delle indagini preliminari, possano ritardare l’adozione di misure a protezione della persona offesa dai reati di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commesse in contesti familiari o nell’ambito delle relazioni di convivenza.
In effetti, l’assenza di tempestività, che non di rado si è trasformata in inerzia[47], è il più grave rilievo mosso all’intervento delle autorità italiane nei casi di violenza: ciò si legge sin dalla delibera del luglio 2009 emessa dal CSM a seguito dell’attività di documentazione delle avvocate dei centri antiviolenza[48], è stato ribadito nei successivi atti di indirizzo del medesimo organo, fino alle linee guida di maggio 2018[49], è stato rilevato quale violazione degli artt. 2, 3 e 8 dalla Corte EDU nella sentenza Talpis e segnalato come principale problematicità nella relazione al Senato del 6 febbraio 2018 dalla Presidente Francesca Puglisi della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere[50].
Dai documenti e dalla giurisprudenza menzionati si comprende tuttavia, ancora una volta, che il ritardo o l’omesso intervento non sono riconducibili all’assenza di norme. È opportuno chiarire, infatti, che a seguito di acquisizione di notizia di reato, in ogni caso, è prescritto che la polizia giudiziaria riferisca «senza ritardo» per iscritto al pubblico ministero «gli elementi essenziali sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione» (art. 347, comma 1, c.p.p.). La comunicazione immediata, anche in forma orale, è prescritta «in ogni caso, quando sussistono ragioni di urgenza».
Con riguardo alla formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, la priorità assoluta per i delitti di cui agli artt. 572 e da 609-bis a 609-octies e 612-bis c.p. è invece già assicurata dall’art. 132-bis disp att. c.p.p. che, tuttavia, a riprova della frammentarietà della penna del legislatore, non è stato aggiornato con l’inclusione dei nuovi delitti.
Se da un lato si registra una scarsa attuazione di questo criterio acceleratorio, motivato spesso da carenze strutturali degli uffici giudiziari, il ritardo nella trasmissione della notizia di reato alla procura non è dipesa, fino alla novella, da una lacuna normativa, piuttosto dalla sottovalutazione delle ragioni di urgenza che sussistono in caso di denuncia presentata da una donna nei confronti del coniuge, del compagno o dell’ex partner, così come della sottostima della pericolosità degli autori di violenza nelle relazioni di intimità. Unico rimedio efficace per sradicare un’attitudine diffusa, ma motivata esclusivamente da ragioni culturali e, non di rado, da pregiudizi sul fenomeno, ancora letto nella cornice di «liti in famiglia», sarebbe stata, di conseguenza, la formazione e la specializzazione della polizia giudiziaria, come già segnalato nel corso delle audizioni dinanzi alla Commissione Giustizia della Camera: l’art. 5 legge n. 69/2019, coglie parzialmente il suggerimento, prevedendo la formazione obbligatoria della polizia giudiziaria, dimenticando però di promuoverne la specializzazione[51], e omettendo pure di prevedere mezzi e risorse economiche per assicurare periodicità e omogeneità dell’attività formativa.
L’art. 2, continuando nella prospettiva acceleratoria, introduce all’art. 362 c.p.p., dedicato all’assunzione delle informazioni da parte del pubblico ministero, il comma 1-ter, nel quale si stabilisce che entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato si debba procedere ad assumere informazioni «dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa».
Il termine di tre giorni è ordinatorio e l’atto rientra tra quelli che possono essere delegati alla polizia giudiziaria, scelta che sarà obbligata a fronte dell’assenza di un potenziamento organizzativo, di mezzi e di risorse degli uffici giudiziari, con obbligo di adempimento «senza ritardo», secondo l’art. 370, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dall’art. 3, con immediata trasmissione della documentazione dell’attività svolta.
Per di più, la misura non appare propriamente corrispondere all’interesse della persona offesa: ove la denuncia querela presentata, infatti, sia precisa, dettagliata e circostanziata, e tale può essere allorché la polizia giudiziaria abbia saputo approfondire i fatti, rilevando la durata, la natura dei rapporti tra le parti, le diverse forme di violenza in cui si è articolata la condotta e tutti gli elementi utili per verificare anche la sussistenza di esigenze cautelari, l’assunzione di ulteriori informazioni a distanza di tre giorni, verosimilmente sempre dagli stessi operanti che hanno acquisito la denuncia, espone la persona offesa alla vittimizzazione secondaria, ponendosi quindi in contrasto con gli obblighi derivanti dalla Direttiva 2012/29/UE che per le vittime di violenza nelle relazioni di intimità indica l’adozione di speciali misure di protezione (cons. 17), stabilendo, tra l’altro, all’art. 20 che il numero delle audizioni della vittima deve essere limitato al minimo e devono aver luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell'indagine penale.
Inoltre, dietro la finalità ufficiale della novella di garantire immediato contatto della persona offesa con l’autorità giudiziaria, anche ai fini dell’accertamento della sussistenza di esigenze cautelari, trapela, tuttavia, la diffidenza nei confronti delle persone offese che denunciano i delitti di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori: solo per costoro è previsto il compimento obbligatorio di un atto che nel sistema è eventuale, così rafforzando il pregiudizio di «non credibilità» che ancora ostacola il pieno accesso delle donne alla giustizia.
Non si tiene conto, inoltre, del fatto che, a soli tre giorni dall’acquisizione e trasmissione della notizia di reato, la persona offesa potrebbe trovarsi verosimilmente in una situazione di controllo attuale da parte dell’autore delle condotte denunciate, senza aver avuto lo spazio temporale per avere accesso ai centri antiviolenza e ai servizi di assistenza alle vittime di cui all’informativa obbligatoria ricevuta dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 90-bis c.p.p.
L’art. 14 interviene a integrare anche questo articolo, sebbene di recente introduzione, inserendo nel catalogo informativo anche il riferimento ai servizi di assistenza alle vittime di reato, rimasto nella penna del legislatore che ha recepito la Direttiva 2012/29/UE; ha esteso, inoltre, all’art. 190-bis, comma 1-bis, c.p.p., da sedici anni a diciotto anni l’età del testimone che ha già reso dichiarazioni in incidente probatorio e per il quale si limita la nuova escussione solo a «fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze», quando si procede per uno dei reati previsti dagli artt. 600-bis, comma 1, 600-ter, 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'art. 600-quater 1(3), 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies c.p.
L’art. 15 ha integrato gli obblighi di comunicazione, introdotti dal d.lgs. n. 212/2015 e in parte anche dalla legge n. 119/2013, della scarcerazione, evasione, applicazione e revoca o sostituzione di misure cautelari, prevedendo espressamente, di volta in volta, la comunicazione contestuale alla persona offesa e al difensore ove nominato, a prescindere dalla richiesta della persona offesa, superando l’elezione di domicilio ex officio della persona offesa presso il difensore nominato stabilita dall’art. 33 disp. att. c.p.p.
Tale disposizione assicurava un filtro alle comunicazioni destinate alla persona offesa, tutelando la riservatezza di quest’ultima, eventualmente convivente con altre persone legate all’indagato/imputato e/o condannato. La modifica, in particolare con riferimento alla comunicazione prevista dall’art. 282-quater c.p.p. della misura cautelare dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare (282-bis c.p.p.), potrebbe rivelarsi fattore di rischio per l’incolumità della persona offesa, ove la polizia giudiziaria non procedesse alla sua convocazione presso gli uffici, dando invece notifica presso il domicilio che la persona offesa condivide con l’indagato attinto da misura cautelare.
Il comma 2 dell’art. 13 estende la possibilità per il giudice di disporre l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'art. 275-bis c.p.p., ossia mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, nel caso in cui la frequentazione dei luoghi che rientrano nella sfera delle abitudini della persona offesa sia necessaria all’indagato/imputato per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative. La disposizione, tuttavia, potrà trovare scarsa applicazione, stante l’assenza di previsioni finanziarie atte a fornire gli uffici giudiziari dei cosiddetti braccialetti elettronici in dotazione sufficiente.
L'art. 16 modifica l'art. 275, comma 2-bis, c.p.p. in materia di criteri di scelta delle misure cautelari, inserendo accanto ai delitti di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e atti persecutori (art. 612 bis c.p.), anche la fattispecie di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti di cui all'art. 612-ter c.p nel catalogo dei delitti per i quali non è applicabile l’esclusione della custodia cautelare in carcere ove il giudice ritenga che, «all'esito del giudizio», la pena detentiva «irrogata» non sarà superiore a tre anni.
Con riguardo alle misure cautelari, dall’aumento dei limiti edittali massimi per i delitti di maltrattamenti e atti persecutori, deriva l’estensione della durata massima delle misure cautelari[52].
Se tale prolungamento della durata massima delle misure cautelari può sembrare rimedio utile per tenere conto delle esigenze di protezione delle persona offesa, che vede venir meno la misura applicata a volte già durante le indagini o nel corso del dibattimento, tuttavia interventi dilatori dei termini, hanno in generale l’effetto concreto di rallentare il procedimento penale a danno del principio della sua ragionevole durata, garanzia dell’imputato, ma anche per la vittima del reato a una risposta giudiziaria effettiva[53].
Meritano approfondimento, infine, le modifiche apportate dall’art. 9, comma 4, legge n. 69/2019, a gli artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 159/2011, c.d. Codice Antimafia, per la prima volta applicate in casi di violenza nei confronti delle donne dal Tribunale di Roma su richiesta della Procura di Tivoli[54]: il legislatore ha espressamente consentito l’applicabilità all’indiziato per il delitto di maltrattamenti e di atti persecutori, superato l’accertamento in concreto dell’attualità della sua pericolosità sociale[55], della misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con la possibilità di disporre, ove necessario, anche il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province. Con il consenso dell'interessato, anche a in questo caso potrà essere utilizzato il c.d. braccialetto elettronico, ove disponibile. Infine, gli indagati per il delitto di maltrattamenti e per il delitto di atti persecutori potranno essere sottoposti a misure di prevenzione di natura patrimoniale e al divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori.
6. CENTRI ANTIVIOLENZA
La legge n. 69/2019 interviene solo marginalmente in tema di centri antiviolenza, misure di assistenza a favore degli orfani dei crimini domestici e in tema di indennizzo, senza apportare modifiche sostanziali che possano concretamente rafforzare il perseguimento delle finalità correlate alle disposizioni novellate.
Con riguardo ai centri antiviolenza, l’art. 18, legge n. 69/2019 sopprime una clausola introdotta all’art. 5-bis, d.l. n. 93/2013, convertito dalla legge n. 119/2017, funzionale a promuovere la costituzione di nuove case rifugio e centri antiviolenza: il legislatore del 2013, infatti, aveva valutato l’opportunità di riservare un terzo dei fondi disponibili «all'istituzione di nuovi centri e di nuove case-rifugio al fine di raggiungere l'obiettivo previsto dalla raccomandazione «Expert Meeting sulla violenza contro le donne», Finlandia, 8-10 novembre 1999», documento nel quale già si evidenziavano le carenze dell’ordinamento italiano in tema di protezione e accoglienza per le donne in fuga da situazione di violenza domestica.
L’abrogazione della clausola di riserva dei fondi conferma la fondatezza delle preoccupazioni espresse dalle organizzazioni di donne impegnate sul territorio ad assicurare una gestione secondo i canoni di indipendenza e con una prospettiva di genere come richiesto dalla Convenzione di Istanbul (artt. 9, 22 e 23 Convenzione di Istanbul), che hanno segnalato l’insufficienza delle risorse stanziate e i ritardi nella loro erogazione, dal momento che nessun rimedio è stato predisposto alle problematiche gestionali già rilevate dalla Corte dei conti nella relazione adottata il 5 settembre 2016[56]. La debolezza degli interventi oggi trova conferma nella richiesta urgente rivolta alle istituzioni di reperire fondi e strutture per rispondere adeguatamente alle necessità delle donne a rischio durante l’attuale emergenza sanitaria.
7. CONCLUSIONI
Con l’entrata in vigore della legge n. 69/2019 emerge, dai dati resi pubblici dalla stampa, un considerevole aumento delle notizie di reato trasmesse alle Procure nel solo mese di agosto: la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della legge, ha ricevuto almeno trenta segnalazioni al giorno, tra le quali, purtroppo, anche la querela di Adriana Signorelli[57], uccisa dal marito dal quale si stava separando il 1° settembre, quattro giorni dopo la sua denuncia. Quest’ultima, però, pare essere la più recente di altre querele presentate nei confronti del marito per maltrattamenti, danneggiamento e minacce gravi. A seguito dell’ultima denuncia, dalle notizie diffuse dalla stampa, la donna sarebbe stata invitata a lasciare la sua abitazione a tutela della sua incolumità, così addossando alla stessa l’onere della sua protezione, mentre nessuna misura restrittiva sembra essere stata applicata nei confronti dell’autore delle condotte, a distanza ormai di mesi dai primi comportamenti illeciti (novembre 2018).
Con il prolungarsi della vigenza delle misure di contenimento della pandemia causata dal corona virus, la cronaca non ha potuto ignorare le notizie di aggressioni in casa che hanno costretto le donne a lasciare la loro abitazione, in piena emergenza sanitaria, rivelando l’inattuazione delle disposizioni vigenti che consentono l’allontanamento dell’autore di violenze dalla casa di convivenza, tanto da costringere la Procura della Repubblica di Trento ha raccomandare il ricorso alle misure precautelari, tra cui l’allontanamento urgente dalla casa familiare (art. 384 bis c.p.p.), e la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.).
Rimane la considerazione che le modifiche legislative intervenute in materia negli ultimi dieci anni necessitano di sedimentazione e, al momento, l’unica riforma davvero necessaria per assicurare alle donne il diritto di vivere libere dalla violenza è quella culturale, volta a rifondare le relazioni sociali per incidere in modo trasformativo anche sugli operatori del diritto[58], affinché si dia immediatamente credito a una donna che chiede aiuto e che manifesta paura per la sua vita.
[1] Secondo i primi commenti, l’atto non si discosta dalla cornice di un «populismo penale come progetto politico di governo». Così G.D. Caiazza, Governo populista e legislazione penale: un primo bilancio, Dir. pen. proc, 2019, p.589. Per un primo commento della legge si veda S. Recchione, Codice Rosso. Come cambia la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere con la legge 69/2019, www.ilpenalista.it, 26 Luglio 2019; M.C. Amoroso-L. Giordano- G. Sessa, Relazione su novità normativa, Corte di cassazione, Ufficio del Massimario.
[2] S.U. 29 gennaio 2016, n. 10959, in Dir. pen. proc., 2016, 1063 ss., nt. Michelagnoli, L'espressione "delitti commessi con violenza alla persona" al vaglio delle Sezioni Unite: rileva anche la violenza psicologica, pp. 1071-1079; Peccioli, Delitti commessi con violenza alla persona e atti persecutori: un problema processuale privo di riflessi sostanziali, pp.1080-1084; Amoroso, La nozione di delitti commessi con violenza alla persona: il primo passo delle Sezioni Unite verso un lungo viaggio, CP, 2016, pp. 3714 ss.
[3] Il riferimento è al DDL A.S. n. 735. Per un commento si veda I. Boiano- M.T. Manente- S. Napolitani, La genitorialità come luogo di controllo sociale e legittimazione della violenza sessista, in www.senato.it.
[4] Alla sottovalutazione della gravità, peraltro, il Comitato riconduce anche «il basso tasso di procedimenti giudiziari e di condanne, con conseguente impunità per gli autori dei reati; il basso tasso di ordini di protezione emessi dai tribunali in sede civile; il frequente invio delle donne vittime di violenza a servizi mediazione familiare e conciliazione; le disparità regionali e locali relative alla disponibilità e la qualità dei servizi di assistenza e protezione, compresi i rifugi, per le donne vittime di violenza». Così Comitato CEDAW, Concluding observations on the seventh periodic report of Italy, luglio 2017, che si può leggere sul sito dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, www.ohchr.org.
[5] C. edu, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, in Oss. fonti, 2017, f. 3, p. 26, nt. Buscemi, La protezione delle vittime di violenza domestica davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Alcune osservazioni a margine del caso "Talpis c. Italia"; in RIDPP, 2017, pp. 1192-1195, con nota di Casiraghi, L'Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere; in Fam. dir., 2017, pp. 626-635, nt. Folla, Violenza domestica e di genere: la Corte EDU, per la prima volta, condanna l'Italia.
[6] Cass.16 maggio 2019, n. 34091. Per un’analisi complessiva della costruzione di un ordinamento multilivello e della dottrina in materia si veda R. Conti, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Aracne, 2011; A. Di Stasi, I rapporti fra l’ordinamento e il sistema convenzionale, in Id. (a cura di), Cedu e ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’impatto nell’ordinamento interno (2010-2015), Cedam, 2016, 73 ss.; V. Zagrebelsky- R. Chenal-L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino, 2016, pp. 55 ss.
[7] Anche la normativa sostanziale e processuale vigente deve essere interpretata alla luce delle medesime fonti sovranazionali che ne costituiscono la premessa, in particolare con riguardo al diritto dell’Unione Europea e alla CEDU, e ciò in ossequio all’obbligo di interpretazione conforme in virtù del comma 1 dell’articolo 117 Cost. (C. cost. 24 ottobre 2017, nn. 348 e 349, ribadite nel loro assetto di fondo dalla C. cost. 11 marzo 2011, n. 80). Per una disamina del tema dell’interpretazione conforme si veda A. Bernardi (a cura di), L’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea. Profili e limiti di un vincolo problematico, Jovene, 2015.
[8] Comitato Cedaw, Raccomandazione generale n.19: Violenza nei confronti delle donne, doc. A/47/38, 1992, § 6, che si può leggere sul sito dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, www.ohchr.org. Per una disamina complessiva delle prospettive di analisi del fenomeno si veda I. Boiano, Femminismo e processo penale. Come può cambiare il discorso giuridico in tema di violenza maschile contro le donne, Ediesse, 2015.
[9] Nazioni Unite, Dichiarazione sull’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, risoluzione dell’Assemblea Generale n. 48/104 del 20 Dicembre 1993.
[10] Così D. Otto, Violence Against Women: Something Other than a Human Right Violation, in Australian Feminist Law Journal, n. 1, 1993, p. 161.
[11] Adottata nel 2011, ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore il 1° agosto 2014.
[12] C. Benninger-Bude, Due Diligence and Its Application to Protect Women from Violence, Nijhoff Law Specials, 2009, p. 11.
[13] Incarico istituito dalle Nazioni Unite con la risoluzione n. 45/1994.
[14] Così Comitato Cedaw, Raccomandazione Generale n. 35 sulla violenza di genere contro le donne e di aggiornamento della raccomandazione generale, CEDAW/C/GC/35, 14 luglio 2017.
[15] C. edu, M.C. c. Bulgaria, 4 dicembre 2003, §148 ss.
[16] C. edu, Opuz c. Turchia, 9 giugno 2009, §132.
[17] C. edu, A. c. Croazia, 14 ottobre 2010, §60.
[18] C. edu, B.S. c. Spagna, 24 luglio 2012, §§40 ss.
[19] C. edu, Y. c. Slovenia, 28 maggio 2015, §§23 ss.
[20] C. edu, Maiorano c. Italia, 15 dicembre 2009; Kontrovà c. Slovacchia, 31 maggio 2007; Opuz c. Turchia, cit.; Hajduovà c. Slovacchia, 30 novembre 2010; Valiulené c. Lituania, 26 marzo 2013; Eremia c. Moldavia, 28 maggio 2013.
[21] C. edu, O.C.I. e altri c. Romania, 21 maggio 2019; D.M.D. c. Romania, 3 ottobre 2017.
[22] C. edu, Y. c. Slovenia, 28 maggio 2015.
[23] Tale approccio ha guidato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo anche nei casi successivi Eremia e altri c. Moldavia, 28 maggio 2013; Mudric c Moldavia, 16 luglio 2013, B. c. Moldavia, 16 luglio 2013; Talpis c. Italia, 2 marzo 2017; Volodina c. Russia, 9 luglio 2019.
[24] I limiti edittali erano già stati innalzati dagli originari uno/cinque anni alla fascia compressa tra due e sei anni dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
[25] L’ergastolo era già applicabile in caso di omicidio commesso in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 600-bis 600-ter, 609-bis, 609-quater, 609-octies (n. 5) (art. 576, n. 5, c.p., integrato dalla legge n. 69/2019 con il delitto di cui all’art. 583-quinquies c.p.), e per l’autore del delitto previsto dall’art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa (art. 576, n. 5.1, c.p.). Si veda Cass. 14 aprile 2019, n. 20785.
[26] Il limite non ha efficacia nel caso la condotta sia stata commessa per motivi di particolare valore morale e sociale (art. 62, n. 1, c.p.), dal vizio parziale di mente (art. 89 c.p.), dalla minore età (art. 98 c.p.) e dalla minima importanza dell’opera prestata nel concorso di persone nel reato (art. 114 c.p.).
[27] Si vedano le prime critiche dell’Unione Camere Penali in sede di trattazione del disegno di legge in Commissione giustizia del Senato, http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/documenti/51600_documenti.htm.
[28] La violenza assistita è integrata dalla condotta di chi costringa il minore, suo malgrado, a presenziare – quale mero testimone – alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è invero certamente suscettibile di realizzare un'offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata. Si veda Cass. 23 febbraio 2018, n. 18833; Cass. 10 aprile 2019, n. 21768.
[29] Tavolo interistituzionale per la prevenzione di ogni forma di violenza nei confronti delle donne presso il Tribunale di Roma, Linee operative per il coordinamento tra gli uffici giudiziari civili e penali, 9 maggio 2019.
[30] Sul punto si veda M.T. Manente (a cura di), La violenza nei confronti delle donne dalla convenzione di Istanbul al Codice Rosso, Giappichelli, 2019, pp. 57 ss.
[31] Sarebbe stata opportuna, tuttavia, per verificare la necessità stessa della fattispecie incriminatrice o comunque per meglio articolarla, una preliminare ricerca, sollecitata dalle organizzazioni della società civile interpellate dalla Commissione Giustizia del Senato in sede di discussione dei disegni di legge dedicati al tema , per rilevare e descrivere l’estensione e le caratteristiche del fenomeno e quindi il numero, la dinamica e le peculiarità dell’esperienza delle donne e delle ragazze a rischio di matrimoni forzati, senza trascurare le loro caratteristiche (età, scolarizzazione, sesso, paese di origine), la strategia da loro stesse dispiegata o ipotizzata per sottrarsi all’imposizione, le conseguenze fisiche, psicologiche, economiche e sociali vissute dalle donne. Piattaforma Lavori In corsa Cedaw, Rapporto Ombra al Comitato CEDAW, 2011; A. Davide-T. Dal Pra-P. Randini-B. Spinelli (a cura di), Onore e destino, izzat e kismet, honour and fate. Linee guida per la prevenzione ed il contrasto ai matrimoni forzati, Trama di terra, 2004. Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Recommendation 1723 (2005) Forced marriages and child marriages, 5 Ottobre 2005.
[32] G. Pepè, I matrimoni forzati presto previsti come reato anche in Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 20 maggio 2019.
[33] A.S. n. 174; A.S. n. 664.
[34] Si rinvia ai risultati del progetto condotto da Differenza Donna Ong, Best Practices To Empower Women Against Female Genital Mutilation. Operating For Rights And Legal Efficacy, Commissione europea, 2018-2020.
[35] D.Diawara- C. Jama, Une loi pénale spécifique contre le mariage forcé? Une fausse bonne solution, in Voix de Femmes. Étude de faisabilité d’une Cellule d’Alerte, de Veille et d’Intervention en faveur des jeunes mineures et majeures en danger d’envoi forcé et de mariage forcé à l’étranger, Voix de Femmes, 2009.
[36] Formula più ristretta rispetto a quella proposta durante i lavori parlamentari, “timore reverenziale di tale gravità da doversi ritenere un vizio del consenso”, che potrebbe essere recuperata dal legislatore.
[37] C. Pateman, Women and Consent, Political Theory, 1980, vol. 8 n. 2, pp. 149-168.
[38] Cass. 2 marzo 2017, n. 22685, Cass. 16 giugno 2014, n. 32984; Cass. 16 gennaio 2012, n. 21998.
[39] Cass. 16 giugno 2014, n. 32984.
[40] Cass. 4 luglio 2000, n. 12006.
[41] Cass. 16 giugno 2014, n. 32984; Cass.16 gennaio 2012, n. 2199; Cass. 21 aprile 2010, n. 26155; Cass. 4 luglio 2000, n. 12006.
[42] Accademia della Crusca, La legge sulla diffusione di immagini sessualmente esplicite e la pornovendetta, non "revenge porn", Firenze, 4 aprile 2019.
[43] Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo, XVIII legislatura.
[44] Cass. 28 novembre 2017, n. 57764.
[45] Cass. 16 luglio 2010, n. 32404.
[46] Sul punto S. Recchione, Codice Rosso cit.
[47] Si veda il caso del femminicidio di Marianna Manduca, su cui si è pronunciato T. Messina, Sez. I, 30 maggio 2017.
[48] C.S.M., Iniziative per migliorare la risposta di giustizia nell'ambito della violenza familiare, delibera dell’8 luglio 2009.
[49] C.S.M., Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica, delibera del 9 maggio 2018.
[50] F. Puglisi, Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Relazione al Senato, 6 febbraio 2018.
[51] F. Menditto, Linee guida per l’applicazione della legge n.69/2019, Procura di Tivoli, Prot. n. 1229/19U.
[52] Per la custodia cautelare in carcere si dovrà considerare, infatti, il termine di sei mesi in fase di indagini e un anno, dopo il decreto che dispone il giudizio, in quanto si tratta di reati per i quali ormai la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a sei anni; i termini saranno raddoppiati per le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare in carcere, tra cui l’ordine di allontanamento e il divieto di avvicinamento alla persona offesa.
[53] C. edu, Jankovic c. Croazia, 5 marzo 2009, §69.
[54]T. Roma Sez. III, decr. 3 aprile 2017.
[55] F. Menditto, Le misure di prevenzione e la confisca allargata (l. 17 ottobre 2017, n. 161), Giuffré, 2017, pp. 26 ss. In giurisprudenza cfr. ex multis Cass. 1 febbraio 2018, n. 7420; Cass. 7 gennaio 2016, n. 6636; S.U. 29 maggio 2014, n. 33451; Cass. 22 settembre 2006, n. 34150.
[56] C. conti, La gestione delle risorse finanziarie per l’assistenza e il sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli (d.l. n. 93/2013), 5 settembre 2016, n. 9/2016/G.
[57] A. Galli, Codice Rosso anti-femminicidio, Greco: «Legge giusta ma siamo sommersi di denunce», in milano.corriere.it, 2 settembre 2019.
[58] A. Simone- I. Boiano (a cura di), Femminismo ed esperienza giuridica. Pratiche, Argomentazione, Interpretazione, Efesto, 2018.
Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia
Renato Rordorf
Sommario: 1. Il cigno nero. - 2. Il Codice della crisi di fronte all’imprevisto. - 3. Rinviare l’entrata in vigore del codice? - 4. Strumenti giuridici ed interventi di sostegno economico.
1. Il cigno nero.
Nel flusso continuo della storia si producono talvolta eventi improvvisi che paiono deviarne il corso. Quel corso, a dire il vero, non è mai rettilineo, ed a guardarlo da vicino appare sempre punteggiato da scarti e sbalzi, ma spesso accade che i contemporanei non percepiscano l’importanza di eventi destinati in seguito a grandi conseguenze o che, viceversa, sopravvalutino fatti che i futuri storici a malapena registreranno. Oggi, tuttavia, è difficile sottrarsi alla sensazione di star vivendo un evento di eccezionale rilievo. La pandemia provocata dal diffondersi nel mondo intero del virus denominato Covid 19, la drammatica scia di lutti che ha lasciato dietro di sé, la rapidità del contagio e la gravità dei suoi effetti, anche sul piano economico-sociale (per tacere dei risvolti psicologici), consentono pochi dubbi sul fatto che si sia davvero in presenza di un evento di portata storica destinato a lasciare forti tracce nello sviluppo avvenire delle vicende umane. Un evento di per sé forse non eccezionale, giacché l’umanità ha conosciuto una lunga serie di epidemie (ed anche pandemie) di vario genere, ma certamente del tutto imprevisto e perciò tanto più sconvolgente. Non so se sia del tutto esatto parlare a tal proposito di quello che gli economisti chiamano un “cigno nero” (un evento estremamente improbabile e del tutto inatteso, capace di provocare a largo raggio conseguenze di grande portata), ma mi pare che ci siamo assai vicini.
Anche il diritto è parte della storia: si traduce nelle regole giuridiche che una comunità si dà in un determinato momento storico e si modifica nel tempo a seconda del mutare delle esigenze che quella comunità avverte e della sensibilità che essa esprime. E’ naturale perciò, anzi è in qualche misura inevitabile, che eventi di rilevanza storica possano avere ripercussione su uno o più settori dell’ordinamento giuridico. E, tuttavia, occorre guardarsi dal rischio di concepire il mutamento normativo come se fosse una conseguenza necessaria e quasi meccanica del mutare del quadro storico-economico cui esso si riferisce. Nell’ordinamento giuridico si manifestano anche esigenze di continuità, vi si rispecchiano valori di lunga durata non scalfiti – o non scalfiti nell’immediato, ma eventualmente solo dopo un lento sedimentare nel profondo della sensibilità sociale – neppure da eventi dotati di forte impatto.
2. Il Codice della crisi di fronte all’imprevisto.
Ecco dunque il problema: come deve reagire l’ordinamento – ed in particolare il diritto concorsuale – al “cigno nero” del Covid 19 senza compromettere la propria coerenza di fondo e senza intaccare principi ai quali neppure in una situazione di emergenza si sarebbe disposti a rinunciare? Un interrogativo reso ancor più complicato dal fatto che questo evento straordinario ed imprevisto ci coglie in un momento nel quale ci stavamo attrezzando ad attuare una riforma del diritto concorsuale che ha l’ambizione di rivisitarlo completamente, di fargli recuperare l’organicità perduta da una serie di modifiche parziali e non sempre coerenti e di adeguarlo ad una visione più moderna del modo in cui si dovrebbero poter affrontare la crisi d’impresa e l’insolvenza. E’ indubbio che il blocco quasi totale delle attività economiche, produttive e commerciali, dovuto alla necessità di fronteggiare l’impetuoso diffondersi del contagio, stia producendo e produrrà ancora conseguenze assai gravi sulla tenuta del nostro già un po’ malandato tessuto aziendale. Ed appare perciò comprensibile che, nell’ambito delle misure di sostegno all’imprenditoria imposte dalla necessità del momento, si valuti anche la possibilità d’intervenire sulla rinnovata normativa concorsuale. Occorre tener conto di una situazione ancora del tutto imprevista quando quella normativa è stata elaborata e che, altrimenti, rischierebbe di produrre conseguenze altrettanto imprevedibili. Calibrare opportunamente interventi normativi finalizzati a mitigare le conseguenze di questa situazione di emergenza è però un compito davvero assai arduo, anche perché sconta l’obiettiva impossibilità di prevedere sino a quale momento ed in quale misura la pandemia continuerà ad imperversare, e la difficoltà di capire come, in un sistema economico-finanziario così legato al contesto internazionale, quale quello in cui attualmente ci troviamo, il manifestarsi del morbo con diversa intensità ora in questa ora in quella parte del mondo possa influire sull’andamento della nostra economia nazionale, che molto dipende dall’importazione di materie prime e dall’esportazione di manufatti.
3. Rinviare l’entrata in vigore del codice?
La reazione immediata del legislatore è stata quella di procrastinare l’entrata in vigore di alcune ben limitate disposizioni riguardanti l’istituto dell’allerta. Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, com’è noto, al termine di una vacatio legis di diciotto mesi, dovrebbe entrare in vigore il 15 agosto 2020 (salvo che per un piccolo gruppo di disposizioni già operanti). L’art. 11 del d.l. n. 19 del 2020 ha però prorogato sino al 15 febbraio 2021 l'obbligo di segnalare all’OCRI gli indizi della crisi che gli articoli 14, comma 2, e 15 del codice ha posto a carico degli organi di controllo societari e di alcuni creditori qualificati.
Dico subito che questa scelta, nel contesto in cui è stata operata, appare ragionevole, ma mi sembrano necessarie alcune precisazioni. Credo sia importante non avallare l’idea che la proroga dipenda dalla necessità di sollevare l’imprenditore in crisi da un onere che nell’attuale contingenza potrebbe risultare eccessivo. Al contrario, ci si potrebbe chiedere se questa proroga, che comporta di fatto l’impossibilità di far funzionare sino alla nuova scadenza gli istituti dell’allerta e della composizione assistita della crisi, sia coerente con gli scopi della riforma in presenza delle difficoltà generate dal blocco delle attività aziendali causato dalla pandemia. Come più volte ho avuto occasione di dire, l’allerta e la composizione assistita della crisi non vanno concepite, né dovranno essere fatte funzionare, come una sorta di ultimatum rivolto all’imprenditore, minacciato di subire in futuro la liquidazione giudiziale della sua azienda, bensì come un mezzo di supporto che al medesimo imprenditore si offre per aiutarlo a superare, nei limiti del possibile, la situazione di crisi in cui versa e ad evitare il paventato esito liquidatorio. Viene allora spontaneo pensare che, proprio nella condizione di estrema difficoltà nella quale l’imprenditore potrebbe venire a trovarsi a causa del blocco dell’attività provocato dal diffondersi del virus, quegli strumenti di supporto risultino più utili. Perché allora differirne l’operatività quando maggiormente se ne sentirebbe il bisogno? Credo che la ragione vada banalmente ricercata in esigenze di carattere organizzativo. Come ogni nuovo istituto, l’allerta e la composizione assistita della crisi richiederanno una fase di rodaggio che vedrà soprattutto messa alla prova la capacità organizzativa delle Camere di commercio e degli OCRI in esse destinati ad operare. E’ purtroppo facile pronosticare che al diffondersi del virus Covid 19 corrisponderà il diffondersi di situazioni aziendali che, in base ai parametri enunciati dal codice della crisi e dell’insolvenza, comporterebbero l’insorgere dell’obbligo di segnalazione. Forte è perciò il rischio che, proprio all’avvio, il nuovo istituto e gli organismi di nuovo conio che dovrebbero farlo funzionare si trovino sommersi da una enorme quantità di segnalazioni non facilmente gestibili; ed è invece di tutta evidenza che sia preferibile far partire l’allerta e la composizione assistita quando, sperabilmente, la drammatica situazione ora in atto sia stata superata.
Da più parti, però, la proroga dei soli obblighi di segnalazione di cui s’è detto è stata giudicata insufficiente, e si è sollecitato il differimento per almeno altri sei mesi dell’entrata in vigore dell’intero codice. La principale ragione risiederebbe nell’opportunità di evitare che imprenditori, professionisti e giudici si trovino alle prese con una nuova normativa e con le inevitabili incertezze interpretative insite nella sua applicazione in un momento di grave difficoltà quale quello provocato dalla pandemia e dai suoi effetti sul mondo delle imprese. Non posso nascondere l’impressione che queste istanze di rinvio sottintendano un certo scetticismo, se non proprio una netta ostilità, nei confronti del nuovo codice. La difficoltà di applicare una nuova normativa non mi pare un ostacolo davvero rilevante, ove si consideri l’ampia vacatio legis che ha già consentito agli studiosi ed agli operatori di riflettere a lungo sulle disposizioni del codice e di assimilarne i principi ispiratori. Non so quanto sia calzante il paragone che spesso si fa tra le condizioni di vita nel corso della seconda guerra mondiale e quelle oggi imposte dal dilagare del virus Covid 19, ma se proprio in questo paragone si vuole indulgere, per sottolineare quanto grave sia la situazione attuale, non si dovrebbe dimenticare che la legge fallimentare di cui il codice della crisi e dell’insolvenza prende il posto fu emanata nel 1942 ed entrò in vigore in pieno periodo bellico. Se si condivide la convinzione che il nuovo codice, pur con gli inevitabili difetti, rappresenta un progresso ed una significativa modernizzazione della disciplina concorsuale, anche e soprattutto perché segna il definitivo abbandono di un’antica concezione punitiva del fallimento a fronte di una maggiore propensione a favorire il più possibile soluzioni conservative dell’impresa e ad evitare la dispersione dei suoi valori, è logico auspicare che esso entri in vigore proprio in un momento in cui ci si sforza di impedire che la crisi generale provocata dalla pandemia travolga un gran numero di imprese altrimenti ancora sane.
4. Strumenti giuridici ed interventi di sostegno economico.
Questo non vuol dire che non si possa pensare di introdurre qua e là nel codice disposizioni volte a tener conto degli effetti dell’anzidetta crisi generale. Molte sono le proposte già in tal senso formulate, principalmente allo scopo di differire termini che nell’attuale situazione difficilmente potrebbero essere rispettati, di sospendere alcune scadenze ed alcuni obblighi implicanti impegni finanziari oggi poco sopportabili, di consentire la sospensione temporanea di procedure, di rettificare opportunamente alcuni criteri di valutazione delle poste di bilancio, e così via. Non ho qui la possibilità di entrare nel merito di tali proposte, per ciascuna delle quali occorrerebbe un esame approfondito di costi e benefici. Non v’è dubbio che possa risultare opportuno introdurre momenti di maggiore elasticità nel sistema permettendo al giudice di valutare meglio in qual misura le difficoltà di un’impresa dipendano dalla crisi sistemica generata dal Covid 19 o ne prescindano, e quali reali prospettive vi siano che l’impresa possa riprendersi una volta superata quella crisi sistemica. Vorrei tuttavia osservare, in termini del tutto generali, per un verso che occorre comunque tener ben presente la prevedibile provvisorietà della situazione da cui quelle proposte di modifica normativa traggono origine e, per altro verso, che neppure in momenti come questo – forse men che mai in momenti come questo – si deve sopravvalutare la capacità degli strumenti normativi di rimediare a difficoltà radicate nell’intrinseca dinamica dei fatti economici. Non vorrei sembrare cinico e sono ben consapevole dei drammi umani che si consumano in questi frangenti, ma resta che il diritto concorsuale ha l’indefettibile compito di fotografare le situazioni di crisi e d’insolvenza per tentare di disciplinare nel modo più equilibrato possibile i contrastanti interessi del debitore, dei creditori, dei dipendenti e di ogni altro soggetto coinvolto. Se la crisi o l’insolvenza sono frutto di cause esterne alla normale dinamica dell’impresa, ed imprevedibili, non per questo si potrà evitare l’applicazione degli istituti destinati oggettivamente a regolare il concorso dei diversi interessi che la crisi o l’insolvenza pongono in causa. Sospendere o impedire il funzionamento di questi istituti non risolve il problema, semmai lo aggrava. Se un’azienda si trova ad esser priva di ogni realistica prospettiva di recuperare in un ragionevole futuro il proprio equilibrio economico-finanziario, né può mettere in campo un piano di risanamento credibile, è inevitabile che sia assoggettata a liquidazione giudiziale, quantunque a ridurla in tale condizione sia stata la crisi sistemica provocata dalla pandemia. Delle ragioni della crisi si dovrà certo tener conto, anche per utilizzare proficuamente gli strumenti con i quali il codice intende favorire la possibilità per l’imprenditore insolvente di trovare nuove chances imprenditoriali, disciplinando altresì in vario modo l’esdebitazione del sovraindebitato. Ma i veri rimedi per favorire il superamento delle attuali difficoltà del nostro mondo produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese che la pandemia potrebbe distruggere, bisogna cercarli altrove: sul terreno dell’intervento finanziario dello Stato, dell’agevolazione del credito bancario, degli sgravi fiscali, e simili. Ed è sempre su questo piano, piuttosto che modificando la relativa disciplina giuridica, che mi sembra si debba fronteggiare un altro grave rischio: che un sempre maggior numero di imprenditori in difficoltà (ma il discorso potrebbe valere pure per qualsiasi altro debitore incapace di saldare i propri creditori) cada nella rete sempre tesa della criminalità usuraria.
Quello di voler risolvere i problemi economici del Paese intervenendo in fretta e furia con disposizioni legislative d’emergenza, spesso improvvisate, asistematiche ed anche per questo quasi sempre di difficile interpretazione ed applicazione, è un vizio antico dei nostri governanti. Mi auguro che non si ripeta proprio all’indomani di uno sforzo di sistemazione organica compiuto con l’emanazione del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
LIBERTA’, DIRITTI, RESPONSABILITA’
di Bruno Montanari
Sulle pagine di “Giustizia insieme” è comparso il 16 marzo scorso un articolo di Maurizio Bozzaotre (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/922-il-diritto-ai-tempi-del-coronavirus-come-cambia-la-nostra-vita-e-perche) il quale, con grande acribia, ha analizzato le disposizioni contenute nei diversi decreti che si sono succeduti in questi giorni per contrasto al contagio di cui siamo vittime noi, come il resto del mondo.
Non intendo entrare nel merito delle diverse disposizioni, che sono motivate dalla drammaticità inedita della situazione e che, d’altra parte, Bozzaotre ha magistralmente spiegato e riassunto. Voglio trarre spunto, invece, da una sua frase quasi conclusiva: “…quando l’emergenza sarà finita avremo tutti il dovere di non dimenticare quanto siano preziose le nostre libertà e i nostri diritti…”.
Certo, può essere considerata una proposizione scontata e in qualche misura anche retorica; se si va fuori dall’ovvio, è una frase, invece, che pone una serie di questioni, che si dislocano su piani tra loro diversi, ma tra loro strettamente connessi: dallo stile linguistico-comunicativo, attorno al quale mi sono soffermato in un mio precedente contributo su questa Rivista, al profilo socio-politico-governativo.
Il primo livello è quello “prescrittivo”, che non può che avere una forma comunicativa dal contenuto tipizzante: il contenuto prescrittivo di una qualsiasi norma è sempre “tipico”, poiché la norma è, come si usa dire, una disposizione generale e astratta e non individuale e concreta. Qui si apre una prima considerazione: quale può essere l’ampiezza della materia sulla quale operare in modalità tipizzante. Infatti, quanto più si tipizza nello specifico, tanto più – paradossalmente – si lascia fuori la rilevanza della “particolarità” di ciascun caso concreto e che è essenziale alla corretta esecuzione della norma. Tale sottolineatura vale in modo particolare quando oggetto della norma è la limitazione di comportamenti che riguardano la libertà personale: vale a dire lo “stato di necessità”, consistente nell’interesse pubblico alla non diffusione del contagio. Nella esecuzione del divieto occorre tener presente se nel caso concreto ricorrano, in maniera attuale o anche solo potenziale, le condizioni materiali per fronteggiare le quali la prescrizione è stata emanata. Qualora esse non ricorrano, la normativa non è applicabile perché mancano le premesse di fatto che ne hanno giustificato l’emanazione e che costituiscono parte integrante della sua motivazione. Faccio un esempio semplice, per il quale ci sono state incertezze e controversie: il divieto di passeggio e simili. Un conto è che si passeggi in una strada di città, altro che ciò avvenga in una strada di campagna o su di una spiaggia in quasi perfetta solitudine Gli esempi potrebbero continuare, come il divieto della bicicletta, quando questo è un mezzo che per sua natura non può stare fermo e certamente non consente di avvicinarsi a meno di un metro (se no, si cade in due o più!), in più, non inquina. O ancora, l’uscire in mare con una imbarcazione quale forma di contagio si rischia di ricevere o di infliggere (è molto più rischioso l’equipaggio di un peschereccio)? Eseguire il decreto interdittivo da parte dei funzionari preposti, in mancanza delle condizioni di fatto che ne hanno legittimato l’emanazione in base alla sola motivazione della sua esistenza formale, integra una violazione indebita della libertà personale. Certo si potrebbe osservare che la tipizzazione del divieto è una misura per stabilire l’uguaglianza di tutti cittadini; come dire perché dare diritto ad alcuni di uscire mentre altri stanno a casa? La risposta è: infatti il divieto non impedisce di uscire ad ognuno, purchè non ricorrano nel singolo caso concreto condizioni di pericolo; qualora queste si verifichino, il divieto va immediatamente applicato. Un esempio appropriato: che senso ha vietare in generale di uscire da casa, quando il problema è l’affollamento dei mezzi pubblici o le file ai supermercati, dettate queste ultime, dall’ansia di approvvigionamento, che muove il cittadino impaurito? Come dire: usiamo la paura e non educhiamo il buon senso. A dopo qualche riflessione, per il momento proseguo il quadro.
Altro divieto: quello di alcune attività commerciali certamente non essenziali. Anche qui ci si accorge di alcuni aspetti che sfuggono alla tipizzazione. Occorrerebbe, infatti, distinguere le attività commerciali o artigianali “di quartiere”, nelle quali l’attore vive del quotidiano, da quelle svolte da aziende o imprese di maggiore ampiezza e di più alto fatturato. Le prime possono non essere essenziali per l’utente, ma lo sono per il titolare; ed essendo “di quartiere” possono raggiungersi a piedi senza l’uso di mezzi pubblici. La tipizzazione non distingue né può farlo, poiché vi sono aspetti non tipizzabili.
Ho mostrato come la tipizzazione linguistica apra la questione della applicazione della norma al caso concreto. L’ “applicazione” implica o dovrebbe implicare, come ho segnalato, l’interpretazione della norma, il cui riferimento, nel caso presente, è quello “secondo le sue finalità”. Il nesso applicazione – interpretazione conduce ad una “decisione”, che apre ad altre due questioni: la capacità interpretativa del decisore ed il suo “potere” decisionale. A partire da qui, un’altra questione: la legittimazione funzionale del decisore, che va da quella dell’agente di pubblica sicurezza (genericamente inteso) a quella del Sindaco, del Presidente di Regione e del Presidente del Consiglio. Tali posizioni chiamano in causa l’ampiezza costituzionale del potere decisorio di queste figure, la loro formazione tecnico-professionale, la loro “cultura” intellettuale e socio-politica e, non ultima, la loro “mentalità” e “psicologia” di persone. Proprio queste ultime, spesso così trascurate quando si discute di questioni giuridico-formali, vanno considerate quando entra in campo il “potere”. Prescrivere o anche solo eseguire è, comunque, decidere (si può sempre, infatti, non eseguire); e decidere è esercizio di “potere”.
Il “potere” è per sua struttura una situazione umana formata dalla sequenza comando-obbedienza-sanzione. Tale sequenza sta a significare che il potere deve fronteggiare il suo paradosso strutturale: da un lato la sua effettività o “performatività”, che coincide con la sua assolutezza; dall’altro, effettività e assolutezza dipendono dalla osservanza-obbedienza dei destinatari. Di qui l’uso necessario della sanzione, come mezzo per immunizzarsi dalla sempre possibile disobbedienza. Per questo il potere è per struttura non debole, ma fragile. E, ancora per questo, il modo più semplice, pratico e apparentemente efficace di esercitarlo è l’interdizione immediata della libertà altrui, senza giudizio, ma come conseguenza, altrettanto immediata, della mera applicazione senza interpretazione di una disposizione normativa, a qualsiasi livello essa si dispieghi. Poiché, però, resta in campo la disobbedienza in quanto possibilità, che appartiene alla strutturale finitudine della condizione umana, il “tempo” corrode la forza della immunizzazione propria della sanzione. La storia delle rivolte e delle rivoluzioni lo ha ampiamente dimostrato; non solo, ma la stessa prassi di una politica criminale costruita sull’ aggravamento delle sanzioni, dalla loro crudeltà pubblica di un tempo a quella carceraria delle attuali democrazie liberali, non ha ridotto il crimine né sembra essere in grado di fronteggiarlo efficacemente.
Fin qui il tema dei limiti della tipizzazione normativa che riguarda chi, a vari livelli, pone o “applica” le disposizioni. Vediamo ora cosa succede dalla parte dei destinatari. Cominciamo con il distinguere le caratteristiche dell’ambiente umano: età, formazione (lato sensu), educazione, provenienza sociale, consistenza economica. Sono questi i fattori principali, così mi sembra, che costituiscono il modo nel quale ciascuno di noi vede la propria vita, ed il cosiddetto “mondo” che lo circonda, e di conseguenza costruisce i propri orizzonti. In pratica: chi deve mettere insieme il pranzo con la cena non ha la stessa visione della vita di chi ha una consistenza economica e culturale che gli consente di riflettere e decidere oltre la contingenza della mera quotidianità, sia in termini di spazio che di tempo. Ne segue che l’effetto di una normatività solamente interdittivo-sanzionatoria è diverso a seconda delle caratteristiche psico-antropologiche dei destinatari. In ogni caso, anche se l’effetto del modello interdittivo-sanzionatorio è diverso, in nessun caso è utile oltre la contingenza dell’immediato, cioè nel medio tempo. In coloro che hanno esigenze di vita impellenti si sviluppa una sorta di osservanza passiva e quindi di subordinazione securitaria (che è la base di ogni dittatura); in chi vive una condizione più agiata prende consistenza una riflessione critica che può condurre, nel medio tempo, a forme di contestazione normativa più o meno organizzate.
Vi è poi il profilo psicologico di chi esercita il potere. Si può riassumere nella immagine che ne dà Canetti in un libretto dal titolo: “Potere e sopravvivenza”. Canetti mette a fuoco uno stato d’animo inquietante, perché subliminale. E’ la sensazione di potere che ha il vivo di fronte al corpo disteso di un morto e indipendentemente da ogni profilo affettivo: “…intanto, Io sono vivo e tu sei morto”.
Il profilo psicologico del “potere” si attua in particolare nella comunicazione mediatica. Il paradigma è fondamentalmente analogo a quello già descritto, solo che in questo caso l’ “obbedienza” coincide con la subordinazione-manipolazione dei fruitori, il comando con la performatività dell’atto del comunicare e la sanzione con l’accentuare la tragicità del contenuto comunicato, tale, da farla penetrare “nella pelle”. Il comunicatore si sente, allora, come il vivo di fronte al morto di Canetti: sente, quasi inavvertitamente, esaltato il suo Ego personale, insieme a quello dell’Ente per il quale lavora. E più la notizia è terrifica, più è idonea a sottomettere psicologicamente il destinatario e più soddisfa l’Ego.
Con queste osservazioni, ho cercato di mostrare come la sequenza comando - divieto – sanzione chiami in causa il “potere”, nei diversi campi nei quali si dispiega e nei suoi profili umani e psicologici e come esso funzioni nella immediatezza propria della intimidazione emotiva, che costituisce il suo fine, sia sotto la specie di “obbedienza – sanzione”, sia sotto quella di “manipolazione psicologica – subordinazione emotiva.
Queste considerazioni, che restano ovviamente sommarie, possono condurre ad una pausa di riflessione, come si usa dire. Una normativa fatta di divieti e sanzioni, o di manipolazione psicologica, se può essere considerata utile nella immediatezza della contingenza, è praticamente sbagliata di principio, e quindi rischia di non funzionare se si protrae nel medio tempo. Per il tempo, che non è determinabile a priori, dovrebbe affermarsi una normazione per principi forti e di facile indicazione pratica e operativa e di evidente e asciutta comunicazione, che consentano di guidare la vita pratica di ciascuno, nel quotidiano, secondo il fine stabilito: nel caso presente, la non diffusione del contagio. Si dovrebbe porre in essere una educazione culturale dei responsabili istituzionali (diversificata, secondo il loro livello e grado di legittimazione operativa) che induca ad una mentalità collaborativa dei destinatari, fondata sulla abitudine a vivere in un insieme, dove ciascun io è in relazione con un tu, e dove ogni “io” è esso stesso un “tu” per l’ “io” dell’altro. Dunque ognuno di noi contiene in sé l’IO e il TU; quindi è “interesse” (al di là del dovere morale) di ciascuno di esercitare la responsabilità che il principio regolativo impone. Questo evita criminalizzazioni indebite e non necessarie. E’ qui che la collaborazione e responsabilità della “gente” mostra tutta il suo valore sociale; solo educando la libertà si evita l’arbitrio individualistico e si può ottenere responsabilità.
Purtroppo mi rendo conto che noi viviamo un tempo, in cui, dagli anni ’90 in poi, si è formato un ambiente umano, distribuito tra “classe dirigente” e gente comune, nel quale il mercatismo e la globalizzazione finanziaria, prima, e la loro materializzazione e volgarizzazione attraverso l’ “infosfera”, poi, hanno dato luogo ad una visione della vita improntata ad una sorta di individualismo egoistico di massa, soddisfatto dalla perenne immediatezza delle soluzioni. E questo vale sia per le qualità intellettuali delle classi dirigenti (e qui mi riferisco all’intero mondo dei decisori in ogni campo del vivere civile), sia per quelle di coloro che sono i destinatari delle loro decisioni. Non è un caso che films di fantascienza, come Minority Report di Spielberg o Matrix dei fratelli Wachowski, immaginino un mondo dove l’autoritarismo tecnocratico della intelligenza artificiale ha soppiantato la ragione libera dell’uomo naturale.
Covid-19: misure di contenimento ed effetti collaterali sulla crisi familiare
di Marzia Di Bari
Il contributo costituisce una riflessione sugli effetti derivanti dal Covid-19 sul diritto di famiglia, con la finalità di fornire prime indicazioni sul versante processuale e su quello sostanziale nei settori sensibili, quali la tutela delle vittime di violenza domestica, la frequentazione del figlio minore da parte del genitore non collocatario e degli ascendenti, ed il coinvolgimento di operatori socio-sanitari e delle strutture incaricati della cura del minore.
sommario: 1.Premessa. - 2.Provvedimenti del Giudice civile a tutela della vittima di violenza domestica durante l’emergenza epidemiologica. - 3.Frequentazione del figlio da parte del genitore non collocatario. 4. Cenni alla frequentazione degli ascendenti. - 5.Frequentazione in modalità protetta. - 6.Conclusioni
1.Premessa
L’emergenza epidemiologica da COVID-19 introduce scenari peculiari nella quotidianità della persona, avuto particolare riguardo al concreto atteggiarsi delle relazioni familiari, innescando dinamiche correlate alla necessaria permanenza presso la casa familiare.
Gli elementi di precarietà e di incertezza che caratterizzano il presente, destinati a proiettare i propri effetti nel lungo periodo con una evidente difficoltà di delimitazione, introducono un fattore di criticità nella gestione del tempo, caratterizzato da ritmi inusuali ed assolutamente nuovi.
Ogni nucleo familiare è chiamato a confrontarsi con la necessaria ricerca di diversi equilibri a fronte della brusca e repentina modifica degli assetti consolidati alla stregua dei quali la casa familiare costituiva il punto di riferimento e di arrivo all’esito di un vissuto quotidiano proiettato prevalentemente all’esterno.
Tali criticità fisiologiche in presenza della crisi familiare possono trasformarsi in patologiche e sono suscettibili di determinare rilevanti questioni applicative con le quali l’interprete è chiamato a confrontarsi.
Le aree nelle quali le misure approvate per contrastare l’emergenza epidemiologica possono avere maggiore impatto sulla crisi familiari sono:
-le situazioni di violenza domestica, destinate ad amplificarsi a causa delle limitazioni della circolazione;
-le frequentazioni tra il genitore non coabitante e la prole, con peculiari problematicità nel caso in cui siano in essere incontri in “spazio neutro”, ovvero il minore sia collocato al di fuori della famiglia.
2. Provvedimenti del Giudice civile a tutela della vittima di violenza domestica durante l’emergenza epidemiologica
In primis, la convivenza forzata può, all’evidenza, costituire fattore scatenante di elementi latenti di tensione già presenti nelle dinamiche familiari[1].
Tale rischio specifico rinviene adeguata misura di tutela nella necessaria trattazione dei procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari prevista dapprima dall’art. 2, lett. g, n. 1, del D.L. n. 11 dell’8/03/2020 e, poi, dall’art. 83, comma 3, lett. a, del D.L. n. 18 del 17/03/2020[2].
Come noto la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari che possono essere adottati in sede civile, disciplinati dagli artt. 342bis e 342ter del codice civile e 736bis, comma 3, del codice di procedura civile prevedono la possibilità di disporre l’allontanamento del coniuge o del convivente che abbia tenuto una “condotta pregiudizievole” dalla casa familiare, oltre all’adozione di altre misure (intervento dei servizi sociali, versamento di somme per il sostentamento del coniuge o dei familiari etc.). Nella normalità dei casi alla presentazione del ricorso per l’adozione dell’ordine di protezione segue l’emissione di un decreto di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, all’esito della quale il giudice decide sull’istanza.
A causa dei limiti alla circolazione e della convivenza coatta imposta dalle misura di repressione del contagio il momento della notifica del ricorso per l’adozione di ordini di protezione e del decreto di fissazione dell’udienza potrebbe provocare un rischio di esplosione incontrollata di violenza, ovvero creare un clima di tensione potenzialmente idoneo a compromettere l’equilibrio dell’intero nucleo familiare.
A tal fine appare preferibile ricorrere, in questo periodo di emergenza sanitaria, con maggiore frequenza rispetto all’ordinarietà all’adozione di ordini di protezione inaudita altera parte.
Ai sensi dell’art. 736bis c.p.c., infatti, il giudice competente nei casi di urgenza può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione davanti a sé per la conferma, la revoca o la modifica del provvedimento nel pieno contraddittorio tra le parti, entro un termine non superiore a quindici giorni. Al fine di evitare che l’ordine venga emesso senza opportuna istruttoria, seppure sommaria, e sulla base delle mere allegazioni della parte ricorrente, il giudice potrebbe fare maggiore ricorso al potere, previsto dal comma 3 dell’art. 736bis c.p.c., di assumere sommarie informazioni anche prima dell’adozione dell’ordine di protezione (si pensi all’escussione come informatori di vicini di casa o familiari che possano riferire sui fatti di violenza, ovvero all’acquisizione dei verbali di intervento delle Forze dell’Ordine, ove ostensibili). In questo modo la vittima di violenza domestica verrebbe tutelata dal rischio di dover forzatamente convivere con l’autore della violenza nel periodo intercorrente tra la notifica del ricorso e la data di adozione del provvedimento.
In questo senso si è espressa la “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere” nella “Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19”[3].
Occorre, infine, rammentare che nell’ambito delle misure a sostegno delle vittime di violenza domestica è attivo il numero di pubblica utilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri 1522, quale strumento teso a sostenere l’emersione della domanda di aiuto[4], soprattutto in questa delicata fase in cui le situazioni di convivenza forzata appaiono suscettibili di incidere negativamente sulla presentazione di richieste di intervento alle autorità competenti (centri antiviolenza, sportelli, interventi da parte delle forze dell’ordine)[5].
3.Frequentazione del figlio da parte del genitore non collocatario
Quanto al profilo riguardante il rapporto genitori-figli, la prima questione da affrontare è la possibilità di ricondurre l’esercizio del diritto di visita ad una ipotesi legittimante l’allontanamento temporaneo dalla abitazione in ragione delle misure restrittive esistenti[6].
Tale interrogativo deve avere certamente risposta positiva.
Sul punto si osserva che la liceità dello spostamento finalizzato alla attuazione della frequentazione da parte del figlio minore del genitore non collocatario rinviene fondamento nel riconosciuto essenziale apporto all’equilibrio psico-fisico del minore correlato alla presenza di entrambi i genitori ossia costituisce misura attuativa del suo diritto alla bigenitorialità, diritto che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale[7].
In coerenza con tale linea interpretativa, le risposte alle domande frequenti sulle misure adottate dal Governo[8], nel ribadire il divieto di uscire di casa, evidenziano come gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore e per condurli presso di sé siano consentiti nel rispetto delle modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio.
Al contempo, il modulo per l’autodichiarazione, come da ultimo aggiornato in data 26/03/2020[9], espressamente annovera «gli obblighi di affidamento di minori» nell’ambito della elencazione esemplificativa delle circostanze da dichiarare legittimanti lo spostamento.
Il problema, dunque, si sposta sul tema delle possibili limitazioni connesse alla situazione eccezionale e straordinaria di pandemia con riferimento al concreto atteggiarsi del diritto del minore ad intrattenere rapporti con entrambi i genitori, questione che si pone in termini più complessi nelle ipotesi in cui venga in rilievo una situazione qualificata di rischio, come nel caso di genitore appartenente ad una categoria maggiormente esposta all’infezione (si pensi ai medici, agli addetti ai negozi di distribuzione alimentare con contatti con il pubblico, ai farmacisti, ai genitori residenti in zone ad alto rischio etc.).
In altri termini, la questione concerne la disciplina in concreto del diritto di visita.
Nell’analizzare la questione occorre distinguere tra gli aspetti processuali, sempre complessi nella materia in esame caratterizzata dalla parcellizzazione delle competenze tra diverse autorità giudiziarie, e gli aspetti sostanziali[10].
Con riferimento alla individuazione della autorità competente per dirimere il conflitto, diverse possono essere le situazioni di concreto contrasto tra i genitori che potrebbero delinearsi sia nell’ambito di famiglie non ancora formalmente “separate” (perché non sia ancora intervenuto provvedimento di separazione, divorzio ovvero cessazione della convivenza), sia nei casi in cui già sia stato emesso un provvedimento disciplinante l’affidamento dei figli (all’esito di separazione, divorzio, procedimento di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, ovvero di misura limitativa della responsabilità genitoriale emessa ex art. 330 o 333 c.c.).
Tali differenze di fatto, si riverberano sulla competenza dell’autorità giudiziaria chiamata a dirimere l’eventuale contrasto tra i genitori in merito alla frequentazione dei figli.
Nel caso in cui non sia stato ancora emesso un provvedimento disciplinante l’affidamento (si pensi a genitori conviventi ovvero a genitori “separati” di fatto dove manchi una disciplina giuridica dell’affidamento e la divergenza genitoriale attenga solo l’aspetto delle frequentazioni genitore figlio nel corso della pandemia) per dirimere l’eventuale contrasto sulla eventuale frequentazione del figlio ciascuno dei genitori potrà ricorrere “senza formalità”, ai sensi dell’art. 316 c.c. al giudice, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Il giudice sentiti i genitori e disposto l’ascolto del minore può suggerire le determinazioni che ritiene più utili e in caso di permanenza del contrasto potrà attribuire il potere di decidere al genitore ritenuto più idoneo (art. 316, comma 3, c.c.).
Si discute in dottrina se tale potere sia rimesso al Giudice tutelare (ex art. 344 e segg. c.c.) ovvero al Tribunale in composizione collegiale (ex art. 38 disp. att., comma 2, c.c.).
Al di là dei diversi orientamenti interpretativi, dal punto di vista dell’efficacia del provvedimento in presenza di un contrasto tale da indurre uno dei genitori a rivolgersi al giudice apparrebbe preferibile inoltrare il ricorso al Tribunale, potendo l’organo collegiale emettere un decreto suscettibile di divenire titolo esecutivo, nel caso in cui il giudice non dovesse riuscire a comporre il contrasto.
Nella diversa ipotesi in cui sia pendente procedimento di separazione, divorzio, affidamento di figli nati fuori dal matrimonio, la domanda potrà essere posta al giudice procedente (di primo o secondo grado) o nelle forme della modifica delle condizioni di affidamento in essere, ovvero nelle forme di ricorso ex art. 709 ter c.p.c., proposto in corso di causa.
Nel caso di procedimento definito sarà possibile proporre al Tribunale in composizione collegiale, ricorso ex art. 709ter c.p.c., ovvero istanza di modifica delle condizioni di separazione e divorzio in ragione della sopravvenienza ex art. 710 c.p.c. ed ex art. 9 L. Div.
Nei casi in cui non si richieda la modifica dei provvedimenti vigenti, ma la domanda sia limitata a richiedere interventi attuativi dei provvedimenti in essere potrà essere proposta istanza al Giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c., considerando tuttavia i limitati poteri del giudice tutelare, che non potrà intervenire per disporre eventuali modifiche del provvedimento vigente qualora non concordate tra i genitori.
Nel caso di provvedimenti che disciplinino le frequentazioni dei figli nell’ambito di misure limitative della responsabilità genitoriale adottate dal Tribunale per i minorenni ex art. 330 e 333 c.c. (si pensi ai minori collocati in strutture ovvero in famiglie affidatarie), competente a dirimere eventuali contrasti in relazione alle frequentazioni genitore prole, deve ritenersi sia il giudice che ha adottato la misura, pertanto sarà compente il Tribunale specializzato.
Quanto alle modalità procedurali, tali istanze sicuramente devono ritenersi connotate da urgenza e pertanto rientranti tra quelle per le quali il capo dell’ufficio giudiziario, il suo delegato, ovvero il giudice procedente (giudice istruttore o presidente del Collegio) sono chiamati a pronunciare l’urgenza per la trattazione anche nel periodo di sospensione dell’attività giudiziaria a causa della pandemia, ex art. 83, comma 3 lett. a, ultimo capoverso, del D.L. 17/03/2020, n.18.
La sussistenza dell’emergenza sanitaria in essere suggerisce la trattazione del procedimento con udienza da svolgere mediante lo scambio e il deposito telematico di note scritte contenenti istanze e conclusioni secondo quanto previsto dall’art. 83, comma 7, lett. h, del citato D.L.
Deve, infatti, essere segnalato l’orientamento interpretativo, seguito da numerosi Tribunali, che ha previsto il ricorso a tale modalità di svolgimento dell’udienza anche nel periodo di sospensione delle udienze civili, pure in mancanza di specifiche misure dettate a tal fine dai capi dell’Ufficio giudiziario.
Quanto all’ascolto del minore la necessità di limitare l’accesso a luoghi pubblici a tutela della sua salute impone che all’adempimento si ricorra solo ove assolutamente necessario, curando che lo stesso si svolga con modalità di collegamento remoto di cui all’art. 83, comma 7, lett. f, D.L. 18/2020.
Passando all’esame del profilo riguardante il merito delle decisioni, va osservato che l’intervento del giudice presenta all’evidenza carattere solo eventuale e subordinato all’emergere di una contrapposta posizione dei genitori.
Difatti, come correttamente evidenziato dalla giurisprudenza di merito già pronunciatasi in materia, occorre rimarcare che la responsabilità genitoriale impone, in primo luogo, ai genitori nell’esercizio del munus loro demandato di individuare le misure adeguate a tutelare la salute della prole[11] in un contegno che non può che essere ispirato da reciproca e qualificata collaborazione e da fiducia nell’altro, in assenza di effettivi e concreti elementi indicatori di atteggiamenti inadeguati.
Al contempo e in una prospettiva speculare, è obbligo specifico del genitore che sia stato esposto ad alto rischio di contagio di adottare, in attuazione del principio di autoresponsabilità, ogni misura idonea a preservare il figlio da possibile infezione, nonché di evitare di esporre il minore, nella attuazione del diritto di visita, ad un pericolo per la sua incolumità con riferimento ai luoghi frequentati[12].
Dunque, laddove il contrasto tra i genitori sia sottoposto all’attenzione della autorità giurisdizionale, si impone una attenta valutazione, caso per caso, della fattispecie concreta che dia conto in maniera rigorosa della sussistenza di un pericolo di pregiudizio, tale da determinare una esigenza di tutela rafforzata della prole, al fine di correttamente individuare il concreto interesse del minore, venendo in rilievo una decisione da assumere nei suoi confronti[13].
In particolare, in tali casi il giudice è chiamato ad operare una delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco, in cui i valori di riferimento potenzialmente confliggenti sono rappresentati, da un lato, dal diritto alla bigenitorialità del minore, e, dall’altro, dal diritto alla salute[14].
L’individuazione del best interest of the child nella fattispecie in esame non appare dall’esito scontato, venendo in rilievo diritti di rilievo costituzionale di primaria importanza ossia diritti fondamentali della persona.
Nelle prime pronunce intervenute nella giurisprudenza di merito, a fronte di una lettura che assegna prevalenza al diritto alla bigenitorialità del minore, sia pure con le necessarie cautele imposte dalla emergenza epidemiologica[15], altro orientamento ha evidenziato la prevalenza del diritto alla salute ex art. 32 Cost., anche nella prospettiva della tutela della collettività, e delle misure limitative del diritto alla libera circolazione legalmente stabilite ai sensi dell’art. 16 Cost[16].
In ogni caso, anche nelle ipotesi in cui l’interprete approdi ad una soluzione favorevole ad assicurare preminente rilievo al diritto alla salute, escludendo la frequentazione con il genitore, appare auspicabile e utilmente percorribile l’introduzione di modalità di relazione con regolamentazione specifica mediante sistemi di comunicazione a distanza (quali skype, whatsapp e simili), al fine di attenuare gli effetti correlati alla temporanea sospensione della frequentazione figlio-genitore[17].
Appare preferibile un orientamento che giustifichi la compressione del diritto del minore a godere della bigenitorialità solo in presenza di oggettive e specifiche ragioni di tutela della salute proprie del caso concreto (per esempio in considerazione della specifica attività lavorativa prestata dal genitore, ovvero della provenienza da zone “rosse” o da contesti abitativi esposti in misura rilevante al pericolo di contagio, ovvero dall’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici per raggiungere il minore), con congrua motivazione sul punto.
Il generico riferimento alla emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione di entrambi i genitori, dovendo ritenersi che permanere con il genitore non coabitante presso l’abitazione dello stesso, quando sia assicurato il trasporto in sicurezza, sia a livello di rischio individuale e collettivo inferiore rispetto al rischio cui si è esposti per far fronte ad altri adempimenti (quali l’approvvigionamento di generi di prima necessità).
4. Cenni alla frequentazione degli ascendenti
Con riferimento alla frequentazione degli ascendenti, va considerato che i nonni, sovente di avanzata età, rientrano nelle categorie maggiormente esposte al contagio da Covid-19 e, per tale ragione, la frequentazione dei nipoti introduce un elemento di rischio di contagio.
Va, inoltre, evidenziato che il diritto dei nonni di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni ex art. 317bis c.c. non è equiparabile al diritto di visita previsto in favore dei genitori e non costituisce un diritto assoluto degli ascendenti, assumendo piuttosto valenza strumentale alla realizzazione dell’interesse esclusivo del minore[18].
Alla stregua dei superiori elementi, sembra, pertanto, possibile sostenere che, nella operazione di bilanciamento degli interessi, la tutela della salute debba ricevere prioritaria ed adeguata considerazione, rendendo preferibile il ricorso a mezzi di comunicazione a distanza ai fini della conservazione di rapporti significativi tra nonni e nipoti.
Proprio per le ragioni esposte, a fronte dell’elevato rischio di contagio in capo agli anziani, le risposte alle domande frequenti sulle misure adottate dal Governo autorizzano quale misura residuale la collocazione temporanea dei minori presso i nonni esclusivamente per ragioni di lavoro o di forza maggiore che interessano i genitori, precisando che detta soluzione è comunque sconsigliata e, al contempo, indicano quale soluzione assolutamente preferibile quella secondo cui i figli minori rimangono collocati presso i genitori in congedo ovvero in modalità di lavoro agile[19].
5.Frequentazione in modalità protetta
La tematica in esame presenta ulteriori profili di complessità nei casi in cui la frequentazione sia sottoposta a particolari cautele mediante un regime di incontri secondo modalità protetta ossia con il coinvolgimento dei Servizi socio-sanitari.
I richiamati profili di complessità sono correlati, in primis, alla problematica relativa alle risorse disponibili in capo ai Servizi territoriali, chiamati a confrontarsi con una situazione emergenziale che impone l’uso attento dei mezzi posseduti[20].
Occorre, altresì, evidenziare che le modalità di frequentazione in modalità protetta rinviano alla presenza del genitore, del minore e dell’operatore socio-sanitario presso una struttura (cd. spazio neutro) ossia al contatto tra i soggetti interessati in un luogo frequentato anche da altre persone, con conseguente configurabilità in concreto di un rischio di contagio.
Non trascurabile, inoltre, nell’attuale emergenza sanitaria la necessità di sanificazione delle strutture con elevata frequentazione di utenti, con costi e impegno di mezzi e personale che sarebbe opportuno non distogliere dalle strutture di cura.
Ne consegue che non appare possibile nella attuale situazione emergenziale e nella vigenza delle misure di contrasto adottate sostenere la prosecuzione degli incontri secondo tali modalità[21].
Tuttavia, anche in tale ipotesi il supporto mediante collegamenti da remoto - ossia con videochiamata (audio-video) - dei soggetti interessati ben potrà garantire l’attenuazione dei negativi effetti derivanti dalla sospensione totale dei contatti nel rispetto del superiore interesse del minore, contatti audio video da organizzare con la necessaria presenza dell’operatore del servizio sociale (senza rischi per lo stesso trattandosi di modalità di lavoro attuabile a distanza).
Difatti, la vigilanza dell’operatore appare necessaria perché in grado di consentire un pronto intervento nel caso in cui il genitore in occasione dei collegamenti dovesse assumere condotte inadeguate o anche solo idonee ad ingenerare tensione nell’atteggiarsi della relazione genitoriale, così da assicurare che le forme di contatto avvengano in concreto nell’esclusivo interesse del minore.
In altri termini, nelle fattispecie in questione la tutela del diritto alla bigenitorialità del minore, di cui è componente la continuità della relazione genitoriale, non potrà che avvenire mediante tali modalità a distanza, assumendo rilievo preminente la tutela della salute in ragione dell’elevato rischio correlato alla frequentazione di ambienti esterni, dovendosi necessariamente procedere alla sospensione degli incontri[22].
Analoghe e ancor più rilevanti problematiche si pongono in relazione alla presenza di minori presso le comunità, parimenti interessate da rischio di contagio elevato.
In queste situazioni appare preminente la tutela dell’interesse collettivo alla minimizzazione del rischio di contagio nelle strutture di accoglienza, che spesso ospitano un certo numero di minori, rispetto alla momentanea compressione del diritto del figlio e del genitore alla frequentazione (da assicurare comunque con videochiamate).
Per tale ragione alcuni Tribunali per i Minorenni hanno disposto la sospensione delle visite all’interno delle strutture e dei rientri dei minori in famiglia.
Ulteriore difficoltà si rilevano per tutte quelle situazioni nelle quali era previsto l’inserimento dei minori in famiglie affidatarie.
In queste ipotesi il necessario coinvolgimento degli operatori specializzati dei servizi sociali chiamati a verificare la positività dell’inserimento del minore nella nuova famiglia, con contatti frequenti e periodici, sconsigliano la prosecuzione del percorso, da rinviare al termine dell’emergenza per garantire la sicurezza del minore e minimizzare i rischi di diffusione del contagio.
6. Conclusioni
Come per ogni decisione relativa a minori non è possibile dettare principi che possano valere nella generalità dei casi, essendo necessaria la valutazione del caso concreto, rilevando che comunque nel bilanciamento tra interessi parimenti fondamentali quali il diritto del minore a godere dell’accudimento, della frequentazione, della presenza di entrambi i genitori e il diritto alla tutela della salute individuale e collettiva, quest’ultimo possa prevalere non in linea astratta ma solo in presenza di concrete ed oggettive situazioni che possano esporre il minore a effettivo rischio di contagio ovvero aumentare considerevolmente il rischio di diffusione dell’epidemia.
Rilevando comunque che il primo sforzo deve essere compiuto da parte dei genitori per esercitare il ruolo genitoriale in maniera condivisa mediante la individuazione di soluzioni di tutela della prole senza l’intervento di terzi.
[1] Cfr. sul punto circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 27 marzo 2020 nella quale si legge «I divieti imposti in materia di circolazione delle persone fisiche potrebbero, infatti, accentuare situazioni conflittuali preesistenti, determinando un sommerso di violenze e maltrattamenti»
[2]L’art. 83, comma 3, lett. a del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 inserisce i procedimenti per l’adozione di ordine di protezione contro gli abusi familiari tra i procedimenti la cui trattazione non è stata sospesa;
[3] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, consultabile sul sito del Senato, a fronte del rischio di una maggiore esposizione alla violenza domestica ed assistita correlato alla attuale situazione di emergenza, si raccomanda di valutare l’emanazione dell’ordine di protezione ex artt. 342bis e ss. c.c. inaudita altera parte, riservando l’instaurazione del contraddittorio nel momento in cui l’allontanamento sia stato già eseguito ed, al contempo di onerare le forze dell’ordine dell’esecuzione dell’ordine di allontanamento con la notifica del provvedimento contenente la fissazione dell’udienza
[4] Cfr. sul punto circolare del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 27 marzo 2020, cit. nella quale si legge: «Come misura a sostegno delle vittime in parola è attivo, come noto, il numero di pubblica utilità della Presidenza del Consiglio dei Ministri –Dipartimento per le Pari Opportunità 1522 che, nel sostenere l’emersione della domanda di aiuto, può veicolare, nei casi di emergenza, una richiesta di intervento alle forze di Polizia, direttamente alle sale operative ovvero contattando il NUE 112»
[5] La Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., sul punto evidenzia che nel periodo di emergenza Covid-19 si è registrato un calo delle denunce significativo, con conseguente riduzione degli interventi da parte delle Forze dell’ordine, calo che può essere posto in relazione non già con una situazione «di regressione» ma quale «segnale di una situazione nella quale le donne vittime di violenza rischiano di trovarsi ancora più esposte alla possibilità di controllo e all’aggressività del partner maltrattante», evidenziando la necessità da parte del Parlamento e del Governo di «predisporre misure e risorse economiche aggiuntive e procedure più snelle per garantire misure di protezione, sostegno e accoglienza alle donne e ai minori coinvolti, assicurando in particolare l’operatività –in piena sicurezza – delle strutture antiviolenza»;
[6] Il divieto di spostamento delle persone fisiche anche all’interno del territorio è stato introdotto dapprima nella cd. zona rossa dall’art. 1 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8/03/2020, con l’eccezione degli spostamenti «motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute»; l’estensione all’intero territorio nazionale delle misure è stata, quindi, prevista dall’art. 1 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9/03/2020, contenente, altresì, espresso divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico; il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22/03/2020 ha, poi, previsto il divieto nei confronti di tutte le persone fisiche di «trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute»;
[7]Sul rilievo del diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale, v. C. Cost. 25 gennaio 2017, n. 17 e C. Cost. n. 76 del 12 aprile 2017; sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, v. sentenza C. Edu del 9/02/2017, nel caso Solarino c. Italia; sulla necessità da parte delle autorità nazionali di adottare ogni misura idonea a rendere effettivo il rapporto tra il genitore e la prole, v. C. Edu, 17 novembre 2015, Bondavalli c. Italia; sull’importanza del rispetto del principio della bigenitorialità, quale presenza nella vita dei figli, e sulla conseguente necessità di sottoporre ad un controllo rigoroso le restrizioni apportate dalla autorità al diritto di visita dei genitori: v. Cass. 8 aprile 2019, n. 9764;
[8] Le FAQ sono consultabili sul sito htpp://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa, sotto la voce “spostamenti”;
[9] Il modulo è consultabile sul sito www.interno.gov.it.;
[10] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si evidenzia la necessità di modificare sul sito www.governo.it la risposta alla domanda sul diritto di visita della prole mediante l’espressa indicazione che nel caso di difficoltà nell’attuazione dei provvedimenti di affidamento dei figli, o di contrasto tra i genitori, è possibile chiedere l’intervento del giudice competente segnalando l’urgenza ai sensi dell’art. 83, comma 3, lett. a del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18".
[11] Il riferimento è al decreto adottato dal T. di Milano, l’11 marzo 2020, edito nel portale telematico IlFamiliarista.it; in senso conforme il decreto emesso in data 20 marzo 2020 dal Giudice Tutelare presso il T. di Benevento: «anche nella situazione emergenziale attuale non possono essere la legge, le ordinanze del Presidente della Regione o i provvedimenti della Autorità giudiziaria a proteggere la salute dei bambini, ma il comportamento dei genitori (così come già chiarito dal Tribunale di Milano l’11/03/2020)»;
[12] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si propone la modifica sul sito www.governo.it della risposta alla domanda sul diritto di visita della prole mediante la espressa introduzione della compilazione da parte del genitore di una autocertificazione in cui dichiari di non essere un soggetto esposto ad alto rischio di contagio o che il luogo dove intende condurre i figli non espone gli stessi ad un pericolo per la loro incolumità;
[13] Sulla necessità di «considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano», v. C. Cost. 18 dicembre 2017, n. 272, in motivazione, anche per il richiamo a numerosi precedenti; sul fondamentale rilievo da attribuire al best interest of the child, cfr. C. giust. 16 luglio 2015, C-184/2014, che in motivazione espressamente richiama la necessità di adottare letture conformi all’art. 24, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; per l’enunciazione dell’interesse morale e materiale del minore quale criterio fondamentale che deve guidare l’interprete: v. Cass. 23 ottobre 2017, n. 25055; Cass. 30 luglio 2018, n. 20151; Cass. 7 ottobre 2019, n. 22219; sulla applicazione dell’interesse superiore del minore quale elemento che giustifica una regolamentazione del diritto di visita tale da privilegiare le esigenze di stabilità nelle abitudini di vita del figlio rispetto al regime di frequentazione più ampio invocato dal padre, v. Cass. 7 ottobre 2019, n. 24937;
[14] Sulla possibilità del bilanciamento diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori con interessi contrapposti, di rilievo costituzionale, quali ad esempio quelli della di difesa sociale, v. C. Cost. 25 gennaio 2017, n. 17 e C. Cost. 12 aprile 2017, n. 76;
[15] Il T. di Palermo, con ordinanza del 27 marzo 2020, adottata in un ricorso ex art. 709 ter c.p.c., ha ammonito il genitore inadempiente in ordine all’osservanza del provvedimento vigente in punto di diritto di visita del padre, imponendo la adozione di «ogni cautela nel rispetto delle indicazioni, circa gli spostamenti nella città e le misure di igiene previste nei provvedimenti governativi adottati per l’emergenza Covid-19»;
[16] Il T. di Bologna, con decreto del 23 marzo 2020, ha disposto la sospensione delle visite paterne fino al 15 aprile 2020, evidenziando la necessità di contemperare «il diritto di visita con l’esigenza della tutela della collettività e con la correlata limitazione degli spostamenti delle persone, allo stato consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza ovvero per motivi di salute»; A. Bari, con decreto del 26/03/2020, ha sospeso le frequentazioni tra il genitore non collocatario e il minore fino al 3 aprile 2020, in ragione della residenza del genitore in diverso Comune; il T. di Bari, con provvedimento del 26/03/2020, ha parimenti privilegiato nella operazione di bilanciamento la tutela del diritto alla salute mediante la sospensione del diritto di visita del genitore non collocatario fino alla cessazione della emergenza epidemiologica, invocando il DPCM del 22 marzo 2020 nella parte in cui prevede il divieto di spostamento in un Comune diverso, ad eccezione delle ipotesi in cui vengano in rilievo comprovate esigenze di lavoro, di assoluta urgenza, ovvero motivi di salute e, comunque, le limitazioni vigenti sull’intero territorio nazionale in virtù del DPCM 8/03/2020 e del DPCM 9 marzo 2020, nonché rimarcando l’irrilevanza della risposta alle FAQ –nella parte in cui consente di ricondurre il diritto di visita alle situazioni di necessità di cui al DPCM 8 marzo 2020- poiché mero indirizzo interpretativo non inquadrabile nella fonte normativa;
[17] T. di Bologna, decreto del 23 marzo 2020, cit.; v. anche decreto A. Bari, cit., che ha disposto l’esercizio del diritto di visita paterno fino alla data del 3/04/2020 mediante «lo strumento della videochiamata, o skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati e secondo il medesimo calendario», con previsione che in concreto verosimilmente potrà introdurre difficoltà di integrale attuazione, essendo improbabile che un minore riesca a permanere dinanzi al video per molte ore consecutive.
[18] Cass. 11 agosto 2011, n. 17191: «L'art. 1, comma primo, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l'art. 155 cod. civ., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce ad essi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata». Principio ribadito anche a seguito della riforma della filiazione intervenuta con la l. n. 219/2012 e con il d.lgs. n. 154/2013, cfr. Cass. 21 giugno 2018, n. 15328: «Il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall'art. 317bis c.c., coerentemente con l'interpretazione dell'articolo 8 Cedu fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, non ha un carattere incondizionato, ma il suo esercizio è subordinato ad una valutazione del giudice avente di mira l'esclusivo interesse del minore. La sussistenza di tale interesse - nel caso in cui i genitori dei minori contestino il diritto dei nonni a mantenere tali rapporti - è configurabile quando il coinvolgimento degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per l'adempimento dei loro obblighi educativi, in modo tale da contribuire alla realizzazione di un progetto educativo e formativo volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore»;
[19] Le FAQ sono consultabili sul sito htpp://www.governo.it/it/faq-iorestoacasa, sotto la voce spostamenti;
[20] Al riguardo, si evidenzia che in alcune realtà locali i Servizi sanitari hanno comunicato agli Uffici giudiziari la difficoltà di adempiere con puntualità le statuizioni contenute nei provvedimenti giurisdizionali, poiché costretti a limitare gli interventi esclusivamente alle prestazioni mediche e farmacologiche non procrastinabili;
[21] Nella Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, cit., si raccomanda di disporre la sospensione su tutto il territorio nazionale delle visite protette stabilite in pendenza di procedimento penale per i reati di cui all’art.1 legge 2019, n. 69 ai danni della madre.
[22] v. T. di Terni, ordinanza del 30 marzo 2020, adottata inaudita altera parte, previa dichiarazione d’urgenza ex art. 83, comma 3, D.L. n. 18/2020, secondo il quale, nell’operazione di bilanciamento del diritto di rango costituzionale della bigenitorialità ex art. 30 Cost. e di quello alla salute ex art. 32 Cost., è necessario prevedere nel disposto regime di incontri protetti una modalità di frequentazione che «pur assicurando il costante contatto non metta a rischio la salute psicofisica dei minori», prevedendo a tal fine l’utilizzo di «modalità da remoto, quali ad esempio video chiamate (skype ovvero con chat whatsapp, ovvero con ogni altra modalità compatibile con le dotazioni nella disponibilità degli operatori e dei genitori) previa idonea preparazione dei figli, attuata con le medesime modalità, e assicurando che sia l’operatore a mettere in contatto il padre con ciascuno dei figli» con la precisazione che l’operatore dovrà assicurare la propria presenza per l’intera durata della chiamata.
La violenza nei confronti delle donne durante l’emergenza sanitaria
di Teresa Manente, avvocata penalista, responsabile dell’ufficio legale Associazione Differenza Donna
sommario: 1. I dati - 2. L’emergenza covid-19 - 3. Strumenti normativi specifici esistenti
1. I dati
Il 25 novembre 2019, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza nei confronti delle donne, le indagini diffuse dai media hanno rappresentato un quadro ancora preoccupante: ogni tre giorni in Italia viene uccisa una donna e ogni 15 minuti una donna subisce una qualche forma di violenza, come emerge dal rapporto Femminicidio e violenza di genere in Italia della Banca Dati EURES pubblicato il 20 novembre 2019[1]. Nello stesso documento si riporta che nel 2018 sono state uccise 142 donne (+0,7% rispetto al 2017), di cui 119 in famiglia (+ 6,3%) e solo nei primi mesi del 2019 le donne uccise ammontano a 102. L’EURES sottolinea che mai «sul totale degli omicidi si era registrata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%)», in un contesto sociale nel quale si registra una diminuzione complessiva degli omicidi restituendo la fotografia di un paese nel complesso più sicuro[2].
Sempre il 25 novembre 2019 sono stati diffusi anche i risultati della ricerca condotta dall’Istat su Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, da cui emerge in tutto il suo spessore il problema culturale e sociale sotteso alla violenza nei confronti delle donne: una persona su quattro (uomini e donne) si dice convinta che la violenza dipende dai comportamenti delle donne. In particolare, con riferimento alla violenza sessuale è emersa l’opinione diffusa in base alla quale tale reato sia determinato da come le donne si vestono e in generale si ritiene che sia sempre possibile, se si vuole, sottrarsi all’aggressione sessuale (poco meno del 40%). Nel solco del medesimo pregiudizio, il 15% degli intervistati ritiene che se la donna ha bevuto alcolici è responsabile della violenza subita. Il 10% della popolazione, inoltre, sostiene che le denunce di violenza sessuale siano per lo più false e che, anche quando le donne rifiutano un rapporto sessuale, in realtà il loro comportamento sottende un’adesione allo stesso (il 7,2%). Come se non bastasse, il 7,4% delle persone intervistate ritiene accettabile che il fidanzato schiaffeggi la sua ragazza «perché ha flirtato con un altro» e ben il 17,7 % considera normale che un uomo controlli il cellulare o gli account dei social della compagna[3].
Quello che emerge, dunque, è una cultura dominante intrisa di pregiudizi discriminatori, come riconosciuto da tutti gli organismi internazionali, sia a carattere universale, come le Nazioni Unite[4], sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa[5].
Conseguenza diretta di questo atteggiamento culturale dinanzi alla violenza che le donne subiscono nella società è la sottovalutazione della gravità stessa del fenomeno che incide anche sulla qualità ed effettività della risposta istituzionale.
2. L’emergenza covid-19
Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria in cui la quotidiana condivisione dello spazio abitativo con il partner violento non trova interruzione e la libertà della circolazione è limitata, il rischio per l’incolumità delle donne e dei bambini è molto alto e costante è il pericolo dell’escalation delle condotte violente, che da lesive del patrimonio morale della persona offesa, possono trasmodare in violenza fisica, non di rado alla presenza dei figli e delle figlie minorenni. In particolare, le donne riferiscono di essere oggetto di un controllo pervasivo di tutti i dispositivi di comunicazione di cui dispongono (dal telefono al computer) che impedisce loro di beneficiare di uno spazio riservato per poter riferire i fatti che accadono e inibisce ogni richiesta di aiuto, dal momento che il sospetto di un loro atto di ribellione potrebbe innescare comportamenti ritorsivi ancora più gravi.
Questa situazione è stata rilevata in gran parte dei paesi interessati da misure di contenimento dell’epidemia, tanto che Segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, ha espresso preoccupazione per l’aumento della violenza domestica durante l’isolamento dovuto al Coronavirus, riferendo di numerose segnalazioni degli Stati membri sul tema nelle ultime settimane relative agli ostacoli all’emersione della violenza tra le mura domestiche. La Segretaria generale sul punto ha sottolineato che i numeri telefonici di assistenza hanno ricevuto una quantità di chiamate quattro volte inferiore rispetto al solito, mentre sarebbero aumentati i messaggi istantanei diretti alle organizzazioni di soccorso pertinenti in tutta Europa[6].
Medesimo allarme è stato lanciato dall’Associazione Differenza Donna che a partire dal 9 marzo ha registrato una diminuzione pari all’85% degli accessi delle donne ai centri antiviolenza e agli sportelli gestiti, rimasti attivi 24 ore su 24, pur adottando tutte le misure di sicurezza coerenti con le disposizioni entrate in vigore[7]. Si rileva, inoltre, anche una riduzione degli invii delle donne presso le strutture protette da parte delle forze dell’ordine.
La Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, On. Valeria Valente, recependo le segnalazioni delle organizzazioni di donne impegnate nella prevenzione della violenza maschile sul territorio nazionale, ha confermato il dato europeo della diminuzione non solo degli accessi fisici e di telefonate delle donne ai centri antiviolenza, sportelli antiviolenza e al 1522 (numero nazionale antiviolenza), ma anche delle stesse notizie di reato per maltrattamenti contro familiari e conviventi, passate dai 1.157 dei primi 22 giorni del marzo 2019 ai “soli” 652 dello stesso periodo di quest’anno[8].
Tra le misure concordate con i Ministeri competenti, si segnala l’incremento della pubblicizzazione del numero 1522, sono state prese misure volte a rifornire i centri antiviolenza di adeguati strumenti di protezione e misure volte ad assicurare un coordinamento diretto e costante tra le forze dell’ordine e i centri antiviolenza per un pronto intervento.
Con riguardo alla risposta delle autorità, occorre ribadire la necessità della piena attuazione di tutti gli strumenti utili che il nostro ordinamento prevede per garantire immediata protezione alle vittime, obbligo che costituisce un pilastro del sistema di misure che gli ordinamenti sono tenuti ad adottare e che impone, prima di tutto, di allontanare l’autore della violenza dalle vittime, quindi prioritario non è solo rinvenire nuove strutture per l’ospitalità in emergenza, ma assicurare alle donne di poter rimanere nelle loro case in sicurezza, e non solo dal rischio di contagio.
In questa direzione si pone la circolare n. MI-123-U-C-3-2-2020-25 del 27 marzo 2020 del Ministero dell’interno a firma del direttore generale della pubblica sicurezza Franco Gabrielli, che nel suo atto di indirizzo sollecita l’applicazione delle misure personale di prevenzione per una tutela immediata delle vittime.
3. Strumenti normativi specifici esistenti
Sempre, e non solo “in tempi di Coronavirus” sarebbe auspicabile un intervento attuativo delle molteplici misure di prevenzione e protezione, gradate e proporzionato all’entità del pericolo che caso per caso viene rilevato, evitando ogni forma di vittimizzazione secondaria alle vittime di reato, tra le quali rientra anche l’essere costretti a lasciare la propria abitazione per mettersi al riparo dai maltrattanti. A tal riguardo, giova ricordare proprio in questo frangente che il nostro ordinamento normativo dispone di misure in grado di assicurare in maniera tempestiva protezione alle donne (arresto in flagranza, ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare, misure cautelari specifiche e ordini di protezione in sede civile), strumenti che, se applicati in maniera rigorosa, eviterebbero la necessità di fuga dalla casa familiare da parte delle donne consentendo un’adeguata tutela della loro incolumità e quella dei figli minori[9].
Nonostante la loro innegabile efficacia e la complessiva snellezza procedurale che il legislatore ha previsto per gli istituti richiamati, se ne registra una diffusa disapplicazione sul territorio nazionale, non di rado correlata alla scarsa credibilità che si riconosce ancora alle donne[10].
Mi limito in questo contributo a richiamare l’attenzione in sede penale sull’ordine di allontanamento urgente dalla casa familiare previsto dall’articolo 384-bis c.p.p. e in sede civile sugli ordini di protezione dagli abusi familiari di cui agli articoli 342-bis c.c..
Con riferimento all’allontanamento urgente dalla casa familiare introdotto all’articolo 384-bis c.p.p. si evidenzia che l’istituto disciplinato, di fatto ignorato nella prassi, proprio in questo periodo di emergenza rivela la sua utilità, poiché consente «previa autorizzazione del pubblico ministero anche resa oralmente e confermata in via telematica», di intervenire in maniera tempestiva e adeguata a proteggere la vittima da ulteriori violenze. Giova ricordare, inoltre, che l’articolo 384-bis c.p.p. consente l’allontanamento urgente dall’abitazione familiare per minacce gravi (articolo 612 co. 2 c.p.), lesioni volontarie, anche lievissime, se vi è querela e siano aggravate (per esempio se il fatto è commesso con armi, contro coniuge o convivente o persona legata da relazione affettiva). Trattasi di norma che si prefigge, infatti, lo scopo di dotare l'autorità giudiziaria, e, in particolare, la polizia giudiziaria, di un efficace e pronto strumento di contrasto alla violenza domestica in presenza di quelle fattispecie “spia” dei maltrattamenti[11]. Qualora l'indagato, raggiunto da un ordine di allontanamento urgente dall'abitazione familiare ai sensi dell'articolo 384-bis, si renda irreperibile, ponendosi pertanto nella condizione di non essere raggiunto dall'avviso di fissazione dell'udienza di convalida e di non rendere l'interrogatorio di garanzia, si realizza una causa impeditiva che non esonera il giudice dal dovere di procedere comunque alla convalida, in presenza dei presupposti di legge[12], valutando inoltre l’opportunità di applicare le misure cautelari previste dagli articoli 282-bis e 282-ter c.p.p.
Dopo l’entrata in vigore delle disposizioni per l’emergenza sanitaria, i centri antiviolenza hanno ricevuto richiesta di aiuto da donne che a seguito di intervento delle forze dell’ordine sono state costrette loro ad allontanarsi dalla casa familiare e a chiedere ospitalità a parenti o amici proprio su indicazione degli operanti intervenuti, perché le violenze rappresentate alle forze dell’ordine non sono state ritenute “abbastanza gravi” per allontanare l’autore delle condotte illecite in via d’urgenza. A titolo esemplificativo, riporto il caso di una donna per la quale il pubblico ministero non ha autorizzato le forze dell’ordine a procedere all’allontanamento urgente pur in presenza di lesioni che a seguito di accesso al pronto soccorso sono state giudicate guaribili in dieci giorni. La donna è stata costretta, di conseguenza, a lasciare la casa familiare e a rifugiarsi presso i suoi genitori anziani insieme ai figli minorenni, poiché, alla luce del rischio di contagio attuale, non è stato possibile prospettare un immediato ingresso nelle strutture protette sul territorio di riferimento[13].
Al riguardo, si precisa che va sempre valutata prioritariamente l’adozione di misure di allontanamento dall’abitazione familiare dell’autore delle condotte illecite e non delle vittime anche allorché queste ultime siano state costrette a fuggire dalla casa di convivenza, per consentire loro il tempestivo rientro, considerando la possibilità di applicazione della modalità di controllo con il cosiddetto braccialetto elettronico[14].
Anche in sede civile sono previsti ordini di protezione (disciplinati dagli articoli 342-bis, 342-ter codice civile; articolo 736-bis c.p.c), che l’autorità giudiziaria, su ricorso della parte interessata, può adottare anche inaudita altera parte, ossia prima di instaurare il contraddittorio, ordinando l’immediato allontanamento del partner violento dalla casa familiare che sia «causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente»[15].
Si consideri che gli ordini di protezione rientrano tra le materie la cui trattazione non è sospesa dal D.L. 17 Marzo 2020, n.18, tuttavia rimangono di scarsa applicazione e ancora più raramente è considerata l’opzione dell’emanazione della misura di protezione posticipando il contraddittorio, che sarebbe salvifica nella situazione attuale per tutelare al massimo l’incolumità di coloro che sono esposte alle condotte pregiudizievoli: una volta depositato il ricorso, i giudici, di regola, fissano un termine per la notificazione alla controparte del ricorso con fissazione dell’udienza. Ciò mette in pericolo l’incolumità della donna, perché il partner violento, venuto a conoscenza del ricorso, può peggiorare la sua condotta. È questo quanto accaduto a una donna che l’11 marzo, in attesa dell’udienza di trattazione a seguito della sua richiesta di ordine di allontanamento, si è vista aggredita dal convivente con un coltello; l’uomo è stato arrestato, solo grazie all’intervento immediato delle forze dell’ordine, allertate dal figlio e dal centro antiviolenza.
Anche nel caso degli ordini di protezione previsti dal codice civile, non è d’ostacolo all’adozione del provvedimento il temporaneo allontanamento dalla casa di convivenza delle donne che chiedono la misura di protezione, dal momento che non occorre che la coabitazione sia in atto al momento della pronuncia «quando vi sia stato un allontanamento dalla casa familiare provocato dal profondo timore di subire violenze fisiche, mantenendo peraltro presso la stessa il centro degli interessi materiali ed affettivi»[16], giungendo a chiarire la giurisprudenza che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari «non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare, a prescindere dal perdurare o meno della convivenza tra le parti al momento del fatto»[17].
Dalle brevi considerazioni esposte, si comprende come l’emergenza sanitaria in corso non costituisca un concreto e oggettivo impedimento per le autorità di adottare nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne le misure adeguate ed effettive necessarie caso per caso, in attuazione degli obblighi interni e internazionali, derivanti tra l’altro, dall’articolo 50 Convenzione di Istanbul, che impone alle autorità incaricate dell’applicazione della legge di affrontare «in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime, nonché garantire che le autorità incaricate dell’applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza, anche utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove», valutando con attenzione ai sensi dell’articolo 51 Convenzione di Istanbul «il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, al fine di gestire i rischi e garantire, se necessario, un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno».
In definitiva, l’epidemia di Convid-19 non offre giustificazione alcuna né alle condotte illecite che si stanno registrando nelle ultime settimane nei confronti delle donne, poiché fenomeno radicato nella struttura delle relazioni nella nostra società ancora governate da un diffuso sessismo, né all’inadeguatezza delle risposte delle autorità alle richieste di protezione proveniente dalle donne, bensì offre occasione di autocritica a tutti gli operatori del diritto, dal momento che conferma come gli istituti di cui l’ordinamento italiano si è dotato negli ultimi venti anni per far fronte al fenomeno della violenza di genere non siano effettivi, solo perchè applicati in modo superficiale o interpretati contro la ratio legis loro sottesa.
[1]F. Piacenti, Femminicidio e violenza di genere in Italia, EURES, 2019, https://www.eures.it/sintesi-femminicidio-e-violenza-di-genere-in-italia/.
[2] Ibidem.
[3]Istat, Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale, 25 novembre 2019, https://www.istat.it/it/files/2019/11/Report-stereotipi-di-genere.pdf.
[4] Ex multis si rinvia a Comitato Cedaw, Raccomandazione generale n.19: Violenza nei confronti delle donne, doc. A/47/38, 1992.
[5] Si veda il preambolo della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul nel 2009, ratificata dall’Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77, ed entrata in vigore il 1° agosto 2014.
[6] Si rinvia all’intervista rilasciata dalla Segretaria Generale del Consiglio d’Europa Marija Pejčinović Burić alla Deutsche Presse Agentur (DPA), https://www.coe.int/it/web/portal/-/covid-19-crisis-secretary-general-concerned-about-increased-risk-of-domestic-violence.
[7] Ass. Differenza Donna, Problematiche dei centri antiviolenza, delle case rifugio e sportelli antiviolenza e antitratta, 18 marzo 2020, https://www.differenzadonna.org/wp-content/uploads/2020/03/Proposte_EmergenzaCovid19.pdf.
[8] V. Valente, Relazione sulle possibili soluzioni per prevenire e contrastare la violenza domestica nel periodo di applicazione delle misure di contenimento del Covid-19, Senato della Repubblica, 26 marzo 2020, http://www.senato.it/Leg18/4730?shadow_organo=1180141.
[9] Si consenta per un approfondimento il rinvio a T. Manente (a cura di), La violenza nei confronti delle donne dalla convenzione di Istanbul al Codice Rosso, Giappichelli, 2019,
[10] Si veda sul punto F. Puglisi, Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Relazione al Senato, 6 febbraio 2018; GREVIO, Baseline evaluation report on Italy, 2020, https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/-/grevio-pubishes-its-report-on-italy.
[11] R. Bricchetti, Arriva agli inquirenti l'arma dell'allontanamento, GDir, 2013, n. 36, p. 74.
[12] Cass. 22 maggio 2019, n. 22524.
[13] Tra le richieste avanzate dalle organizzazioni delle donne alle istituzioni vi è, infatti, anche quella di assicurare case rifugio temporanee dove poter accogliere le donne in fuga almeno per la durata del periodo cautelativo di quarantena.
[14] Cass. 27 marzo 2019, n. 23472, CED Cass. pen. 2019.
[15] Giurisprudenza consolidata sin da T. Reggio Emilia, 6 maggio 2002; T. Reggio Emilia 21 maggio 2002; Trib. Napoli 1 febbraio 2002, Famiglia e Diritto, 2002, n. 5, pp. 506-508, nt. Figone, Violenza in famiglia ed intervento del giudice.
[16] T. Padova, 31 Maggio 2006, FI, 2007, fasc. 12, n. 1, p. 3572; T. Bologna, 22 marzo 2005, Fam. Pers. Succ., 2005, n.2, p. 184.
[17] T. Firenze, 15 Luglio 2002; T. Monopoli, 21 ottobre 2010; T. Napoli, 2 luglio 2008; T. Napoli, 19 dicembre 2007; T. Mantova, 4 maggio 2012.
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