ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Signor Ministro,
mi permetto di scriverLe nuovamente. In nome della nostra trascorsa lunga colleganza in magistratura sarò schietta come la volta precedente, pur avendo forti dubbi che Ella mi legga e ancor più che risponda a questa mia.
Le chiedo di comprendere la mia incapacità di frenare l’indignazione: la realtà è che le Sue parole continuano a stupirmi e a ferirmi, tanto che mi pongo continuamente il quesito: “Ma come è possibile che un ex magistrato ragioni così?”
Sarò più specifica. Orribile quel suo richiamo al detto latino hic manebimus optime: una chiara ammissione del Suo compiacimento per la carica che riveste e della tranquilla certezza che niente e nessuno potrà allontanarLa da via Arenula.
Il Suo commento alla relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sul Decreto legge sicurezza, definita come “un intervento che ritengo irriverente, improprio e imprudente”, e la Sua richiesta agli uffici ministeriali di acquisire informazioni sui modi di pubblicazione e diffusione del testo denotano una totale mancanza di considerazione della natura e delle funzioni di quell’importante articolazione della Corte di Cassazione.
E non posso non ricordare il Suo consiglio alle donne in pericolo di aggressione di trovare rifugio nelle chiese e nelle farmacie, quali luoghi dotati di particolare efficacia dissuasiva.
Ancora, la frase, che leggo virgolettata sui giornali, “che un magistrato si permetta di censurare su un giornale le cose che ho fatto, in qualsiasi paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri”, appare un condensato di arroganza e di irrisione ai diritti fondamentali delle persone, anche se sono magistrati.
Più sconcertante la recente affermazione: “il sovraffollamento è una forma di controllo sui suicidi”. Se non fossi convinta della Sua buona fede ravviserei in quelle parole un cinismo agghiacciante e una spietata manipolazione della realtà, tenuto conto che proprio la disumanità delle condizioni di vita in celle sovraffollate può essere un elemento scatenante di scelte estreme.
Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui, formulando un’ultima riflessione e un auspicio. La riflessione attiene al fatto che qui non si tratta soltanto di parole più o meno in libertà, ma di concetti e messaggi ai cittadini che riflettono una certa idea della giurisdizione, del rapporto tra giurisdizione e politica, del ruolo della magistratura.
L’auspicio trae spunto dall’invito da Lei rivolto ai magistrati a “pensarci dieci volte prima di mettere una persona in catene”: un’analoga cautela nell’esternare pubblicamente il Suo pensiero potrebbe essere di aiuto, sempre “per onorare quella toga che non si dismette mai”.
La prima Lettera di Gabriella Luccioli al Ministro della Giustizia è del 10 marzo 2025 e si può leggere qui.
Torno ad intrattenermi, sia pure con la massima rapidità, su Corte cost. n. 96 del 2025, dopo averne detto assai di recente [nel mio Ragionando attorno al “seguito” da dare a Corte cost. n. 96 del 2025 per le persone trattenute nei CPR, in questa Rivista, 8 luglio 2025], allo scopo di argomentare la tesi secondo cui, anche per il caso che la soluzione fatta propria dalla Consulta fosse stata diversa da quella adottata, l’esito della vicenda avrebbe comunque potuto risultare immutato.
Molte critiche sono – come si sa – cadute a pioggia sulla decisione in commento, facendosi in particolare notare che la Corte avrebbe potuto portare alle sue ultime e lineari conseguenze la tesi, con opportuni rilievi argomentata, della incompatibilità della disciplina sottoposta a giudizio con la Costituzione, specificamente in relazione all’art. 13. Insomma, il ragionamento svolto dal giudice costituzionale sarebbe stato ancora più solido se la pronunzia fosse stata di tipo ablativo.
Mi pongo, dunque, qui nei panni di coloro che non hanno risparmiato critiche pungenti alla Corte e m’interrogo su come quest’ultima, condividendone l’impostazione, avrebbe potuto darvi seguito. Faccio, perciò, mia stavolta la “tecnica” di rappresentazione scenica resa famosa dal film Sliding doors, diretto nel 1998 da Peter Howitt, sforzandomi di verificare quali avrebbero potuto essere i lineari svolgimenti dell’accoglimento delle questioni portate alla Consulta.
Ora, giusta la premessa per cui si è qui in presenza di una limitazione della libertà personale ed acclarate le carenze della disciplina in ordine ai “modi” della limitazione stessa, anziché far luogo – come ha fatto – ad una decisione d’inammissibilità, la Corte, impossibilitata a porre mano ad una puntuale e congrua indicazione degli stessi, avrebbe potuto avvalersi della tecnica decisoria dell’additiva di principio, specie per ciò che attiene al punctum crucis della questione, con riguardo cioè all’organo competente ad emettere il provvedimento restrittivo della libertà di cui all’art. 13 Cost. Ad essere, anzi, ancora più precisi avrebbe potuto dar vita ad una decisione sostitutiva di principio, indicando nel giudice al posto del prefetto l’organo in parola. Per vero, nel mio commento sopra richiamato mi sono sforzato di mostrare che siffatta sostituzione, operando su fonte di secondo grado, non avrebbe potuto aversi in sede di giudizio sulle leggi. Supponiamo, però, qui che essa ugualmente si fosse avuta o che un domani, restando immutato il quadro normativo vigente, si abbia, con conseguente rimozione immediata della previsione normativa in atto vigente.
Nulla di più, ad ogni buon conto, avrebbe chiaramente potuto dirsi nella 96, come pure in una prossima eventuale pronunzia del giudice delle leggi, in merito alla determinazione dei servizi da assicurare alle persone trattenute nei CPR, dovendosi a ciò provvedere con legge ovvero con altra fonte da questa comunque allo scopo espressamente chiamata in campo, fonte dunque anche di grado sublegislativo (nella specie, regolamentare), cui risulta congeniale la minuta indicazione dei servizi stessi.
Stando così le cose, mi preme qui fermare l’attenzione solo su un paio di punti, peraltro tra di loro strettamente connessi.
Il primo.
È noto che le pronunzie manipolative di principio si indirizzano, a un tempo, al legislatore ed ai pratici del diritto (amministratori e giudici). All’uno è fatto obbligo di dare adeguato svolgimento normativo alle indicazioni per essentialia somministrate dalla Corte; agli altri, di dare per l’intanto e ove possibile attuazione immediata e diretta alla norma o alle norme aggiunte dalla Corte. Tengo a precisare che si tratta, appunto, di un’attività di attuazione, non già di mera applicazione, richiedendo infatti, la stessa, in tesi, una produzione parimenti normativa, seppur con effetti circoscritti al caso, specificamente laddove posta in essere dal giudice comune.
Nella circostanza da cui ha avuto origine la pronunzia della Corte qui nuovamente annotata, una produzione siffatta non sarebbe stata comunque possibile, non trattandosi di estrarre dal principio somministrato dalla Corte stessa una regola puntuale e circoscritta da far valere per il caso, dal momento che la determinazione dei servizi da assicurare alle persone ristrette nella loro libertà personale – come si è venuti dicendo – avrebbe piuttosto richiesto un’articolata disciplina positiva non fattibile ad opera del giudice. Saremmo, dunque, stati in presenza di una decisione sostanzialmente destruens e minimamente construens, circoscritta per questo secondo aspetto – come si diceva – alla mera sostituzione del giudice con il prefetto, e bisognosa perciò di ricevere congruo seguito sul piano normativo al fine di potersi efficacemente implementare nell’esperienza.
Di qui, l’impossibilità per una persona ristretta per effetto di una decisione emessa da un’autorità radicalmente incompetente di seguitare a patire la limitazione della propria libertà in attesa dell’intervento regolatore da parte della legge e magari – come si è fatto poc’anzi notare – da parte altresì di atti di secondo grado idonei a dare a quest’ultima adeguato svolgimento.
Il secondo punto che mi preme qui rimarcare rimanda, poi, ad una generale questione, il cui esame ovviamente non può aversi in questa sede, di particolare rilievo per le vicende di giustizia costituzionale e di giustizia tout court; ed è quella relativa al carattere intercambiabile posseduto da alcune tecniche decisorie, in ispecie – per ciò che è ora d’interesse – da quella d’inammissibilità per rispetto del limite della discrezionalità del legislatore, contenente tuttavia l’accertamento della invalidità della normativa oggetto della questione portata alla cognizione della Corte, e dall’altra concernente le manipolazioni di principio dei testi di legge.
Sia chiaro. In occasione dell’adozione di una decisione della prima specie, in generale non si produce l’effetto che si ha in presenza di una decisione della seconda, in particolare non si offre l’opportunità a giudici ed amministratori di far luogo a quell’“attuazione” del principio di cui un momento fa si diceva. Non può, tuttavia, farsi passare sotto silenzio la circostanza per cui talora anche da pronunzie additive di principio non appare possibile – come si viene dicendo – estrarre regole immediatamente valevoli per la definizione del caso.
Dal punto di vista del legislatore, poi, laddove l’inammissibilità sia racchiusa, come qui, in una decisione d’incostituzionalità accertata ma non dichiarata, l’obbligo di facere a carico del legislatore stesso si ha ugualmente. Certo, non si dispone di meccanismi sanzionatori efficaci per assicurarne l’adempimento, nessuno potendo costringere manu militari il legislatore stesso ad un facere laddove non ne abbia l’intenzione. In passato, non si è mancato, anche da parte di chi scrive, di andare alla ricerca dei meccanismi in parola e si è persino ipotizzato l’eventuale riconoscimento del risarcimento del danno a beneficio di chi possa dimostrare di aver patito dall’inerzia del legislatore un’incisione in via diretta ed immediata in un proprio diritto fondamentale. Tesi che, forse, può essere giudicata ardita e che, ad ogni buon conto, è rimasta priva di ascolto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.
Il vero è che l’unico meccanismo davvero risolutivo può metterlo in atto solo la stessa Corte delle leggi, convertendo un’originaria pronunzia di rigetto in una di accoglimento idonea a portare al rifacimento del tessuto legislativo sfilacciato e risultante da materiali normativi incompatibili con la Carta, talora anzi a questa frontalmente contrapposti. Solo che, laddove di questa eventualità non possa, per una ragione o per l’altra, aversi riscontro, è giocoforza attendere la venuta alla luce di regole adeguate allo scopo da parte del legislatore.
Si torna così al punto di partenza. L’inammissibilità per rispetto del limite della discrezionalità del legislatore, al pari dell’additiva di principio, non può in alcune circostanze dare congruo ed immediato appagamento a beni costituzionalmente protetti; ed è triste riconoscere che – come si è veduto – talora non possono darlo neppure giudici ed amministratori.
L’unico effetto utile che può discendere da una manipolativa di principio che abbia avuto ad oggetto una disposizione normativa in applicazione della quale una persona sia stata privata della libertà personale e versi in una condizione di sostanziale detenzione è la sua immediata scarcerazione. Quest’effetto tuttavia – come si è tentato di argomentare nella mia precedente riflessione sul tema – può (e deve) aversi anche in conseguenza di una pronunzia d’inammissibilità che, nondimeno, al proprio interno racchiuda l’accertamento della incostituzionalità della disciplina positiva portata alla cognizione della Consulta. Lo ha correttamente stabilito la Corte d’appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari (N.R.G. 290/2025 del 4 luglio 2025), della quale mi piace qui riprodurre, ancora una volta, fedelmente il pensiero: “in assenza di quella determinazione dei ‘modi’ della detenzione, non ‘ancora’ disciplinati dal legislatore con fonte primaria, non può che riespandersi il diritto alla libertà personale, il cui vulnus è chiaramente espresso dalla Consulta, perché qualunque ‘modo’ non disciplinato da norma primaria non riveste il crisma della legalità costituzionale ed è legalmente inidoneo a comprimerla” (altri riferimenti di giurisprudenza possono ora vedersi nella relazione tematica curata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione, n. 65 del 15 luglio 2025).
Si è, ancora da ultimo, opposto (dalla relazione dell’Ufficio Massimario e Ruolo della Cassazione, sopra già richiamata) che ragionare come hanno ragionato la Corte d’Appello di Cagliari ed altri giudici ancora, equivale in buona sostanza a “sterilizzare” la diversità di effetti delle decisioni d’inammissibilità e di quelle di accoglimento. Delle due, però, l’una: o si mette in atto la soluzione dell’immediata scarcerazione di persone limitate nella loro libertà personale per effetto di norme comunque acclarate come incostituzionali oppure si tiene fermo il vigore delle norme stesse, vale a dire si considerano le stesse come esistenti, pur se contrarie a Costituzione. Nel qual ultimo caso, l’unico modo per impedire loro di spiegare effetti, perdurando la colpevole inerzia del legislatore, è quello di farne oggetto di sistematiche questioni di costituzionalità, come ancora di recente patrocinato in un commento di A. Natale, dal titolo I CPR e la Costituzione. Il rischio di una impasse. Il rischio di zone franche, apparso su Quest. giust. il 7 luglio scorso. La qual cosa, però, equivale ad ammetterne appunto l’attitudine a produrre effetti.
Qui è, però, il punctum crucis della questione ora nuovamente discussa. Nella circostanza odierna, infatti, l’utilizzo di uno strumento di normazione in premessa improprio, irrispettoso della riserva assoluta di legge stabilita in Costituzione, comporta a mia opinione la radicale invalidità della disciplina in tal modo posta. È quanto, d’altronde, risulta con molta chiarezza dal passo sopra fedelmente trascritto dalla pronunzia del giudice sardo che racchiude in sé, implicitamente ma appunto palesemente, il riconoscimento del vizio di incompetenza assoluta di qualsivoglia disciplina, presente o futura, che comporti limitazione della libertà personale, senza provenire da legge o atto a questa equipollente, ovverosia il riconoscimento della invalidità in senso forte – come l’ha qualificata R. Guastini (Dalle fonti alle norme2, Giappichelli, Torino 1992, 207 ss.) –, della nullità-inesistenza insomma, non già della mera invalidità in senso debole, equivalente alla mera annullabilità, di disposizione non primaria che ne sia affetta. Detto con parole ancora diverse ma sostanziale identità di concetto, ogni disciplina limitativa della libertà personale stabilita con fonte di grado sublegislativo e non dotata perciò di un solido aggancio in disposti di legge che vi facciano rinvio è da considerare – per riprendere termini cari ad A. Spadaro (Limiti del giudizio costituzionale in via incidentale e ruolo dei giudici, ESI, Napoli 1990, 262 ss.) – anticostituzionale, più (o anzi) che incostituzionale, radicalmente viziata tamquam non esset appunto. Ed è appena il caso qui di rammentare che siffatto vizio radicale può essere da tutti acclarato, a partire ovviametne dai giudici.
Se ne ha che, per un verso, la disciplina sublegislativa sopra richiamata non richiede di essere formalmente rimossa con un atto di annullamento (anzi, a rigore, non sarebbe possibile farvi luogo, proprio perché in sé e per sé radicalmente nulla-inesistente) e, per un altro verso, in vicende quale quella che ha dato lo spunto per questa succinta riflessione, dal punto di vista degli effetti non si ha differenza alcuna tra una pronunzia d’inammissibilità che però accerti la sussistenza di un vulnus grave recato alla Carta costituzionale ed un’additiva o sostitutiva di principio non self executing, in entrambi i casi non potendosi avere che la restituzione della libertà a chi ne è stato indebitamente privato, in attesa che veda finalmente la luce una disciplina in tutto rispettosa della Carta e posta in essere con le forme giuste.
Sommario [1]: 1. Premessa – 2. Professionalità del magistrato e Costituzione - 3. Valutazioni di professionalità e Costituzione - 4. L’opinione n. 14/2017 del Consiglio consultivo dei giudici europei - 5. Cenni alla disciplina italiana in materia di valutazione di professionalità prima del 2007 - 6. La legge Mastella del 2007 e gli “aggiustamenti” adottati con la riforma Cartabia del 2022-2024 - 7. Qualche brevissima osservazione d’insieme sulla disciplina vigente - 8. In conclusione.
1. Premessa
Il tema delle valutazioni di professionalità dei magistrati è assai delicato e particolarmente vasto.
Delicato perché si pone al crocevia di una molteplicità di interessi di rilievo costituzionale, che devono essere necessariamente contemperati, e per il fatto che definire un modello di professionalità del magistrato, e il relativo sistema di valutazione, significa prefigurare una certa idea di giudice e di giurisdizione e dunque realizzare una precisa scelta politica in materia di giustizia e di ordinamento giudiziario (tanto rilevante, per inciso, in un contesto, quale quello italiano, che oggi sul punto registra preoccupanti tensioni e fibrillazioni!).
Com’è stato sottolineato, “qualsiasi riferimento alla professionalità dei magistrati implica la previa riflessione, e quindi la scelta, in ordine a quali siano le condizioni, i requisiti, i comportamenti richiesti perché si possa parlare di un giudice ‘‘professionale’”[2].
Il tema è vasto - e, direi, trasversale - perché esso può essere declinato in molteplici direzioni e aspetti - le finalità e le diverse tipologie di valutazione, l’oggetto delle valutazioni, i criteri di valutazione, le fonti di conoscenza, il procedimento di valutazione, gli esiti della valutazione, i rapporti con il sistema disciplinare, il sindacato del giudice amministrativo, ecc. - e chiama in causa una pluralità di soggetti protagonisti dell’ordinamento giudiziario (il singolo magistrato, il CSM, i Consigli giudiziari, i dirigenti degli uffici giudiziari, l'Avvocatura, ecc.)[3].
Il presente contributo, in particolare, è dedicato a una riflessione sulle ragioni della valutazione dei magistrati, sugli interessi di rilievo costituzionale chiamati in causa dalla stessa e sugli obiettivi che con il sistema delle valutazioni possono e debbono essere perseguiti; mi riservo poi, in conclusione, di svolgere delle sintetiche considerazioni generali sulla disciplina vigente, evidenziando alcuni profili di potenziale criticità alla luce del quadro costituzionale.
2. Professionalità del magistrato e Costituzione
La nozione di “professionalità” non compare espressamente nel testo della Costituzione italiana[4], ma ciò non significa affatto che essa sia stata ignorata dai Padri Costituenti.
Del resto, anche il principio dell’imparzialità del giudice è stato introdotto testualmente soltanto con la riforma costituzionale dell'art. 111 Cost., nel 1999, ma nessuno dubita che l'imparzialità sia da sempre un valore consustanziale all'idea stessa di giudice.
La professionalità, in effetti, è strettamente legata ad alcuni principi fondamentali rivolti alla magistratura, tanto da poter essere considerata un fattore portante implicitamente sotteso all'intero sistema[5]. La nozione di professionalità s’intravede chiaramente nel principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), nella nomina dei magistrati per concorso (art. 106, comma 1, Cost.), nella distinzione degli stessi soltanto per diversità di funzioni (art. 107. Comma 3, Cost.) e nello stesso principio di precostituzione per legge del giudice naturale (art. 25 Cost.); tutti questi principi presuppongono la figura di un giudice professionalmente competente.
Tra i principi costituzionali che possiamo chiamare in causa vi è anche l'art. 97, comma 2, Cost., ai sensi del quale “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”; e ciò almeno nei limiti in cui il principio del buon andamento sia riferibile al sistema giustizia.
La Corte costituzionale, a tale proposito, ha avuto modo di chiarire, agli inizi degli Anni Ottanta, sciogliendo un dubbio avanzato in più occasioni da una parte della dottrina, che tale previsione è parzialmente applicabile anche al potere giudiziario, nel senso che, per quanto il principio del buon andamento non possa essere riferito all’esercizio della funzione giurisdizionale, che trova i suoi riferimenti costituzionali soprattutto negli articoli 24, 101 e 111, diversamente può dirsi prendendo in considerazione l’ordinamento degli uffici giudiziari, dunque il funzionamento della macchina della giustizia sul piano organizzativo.
È proprio la Corte a sottolineare come in fondo risulterebbe “paradossale voler esentare l’organizzazione degli uffici giudiziari da ogni esigenza di buon andamento. La giustizia è, del resto, un servizio pubblico essenziale e dunque la sua organizzazione non potrà che essere informata non soltanto al canone dell’imparzialità, com’è ovvio, ma anche a quello del buon andamento[6].
La professionalità è, dunque, condizione primaria dell'indipendenza del giudice, sia esterna sia interna, e quindi il presupposto necessario della sua imparzialità.
Com’è stato sottolineato, “il criterio di valutazione della professionalità del magistrato è la sua capacità di far ‘‘vivere’’ nel caso concreto la norma giuridica in totale indipendenza da ogni indirizzo di autorità diverse. L’imparzialità, che nella pubblica amministrazione è un modus operandi, nella giurisdizione è il proprium della funzione”[7].
A tale proposito, nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per il 1994 (oltre 30 anni fa!), il CSM ha avuto modo di osservare che “non possono essere suggeriti ai giudici indirizzi e orientamenti circa l'interpretazione delle leggi da alcun organo e da alcuna autorità dello Stato, né da poteri esterni, né dallo stesso potere giudiziario”; con la conseguenza che “il giudice, più di ogni altro funzionario dello Stato, ha bisogno di una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli, da solo, ricercare ed acquisire gli strumenti dell'interpretazione delle leggi, assumendosene la piena responsabilità”.
Dunque, in ultima analisi, la professionalità - così come l'imparzialità e l'indipendenza - è una condizione volta alla realizzazione del valore essenziale che deve essere assicurato nell'esercizio della funzione giudiziaria: ovvero, la piena libertà del giudice nel momento del giudizio.
Per inciso, lo stretto collegamento tra professionalità, indipendenza, imparzialità ed equilibrio (considerati “imprescindibili condizioni” della positiva valutazione di professionalità) è ben evidenziato nella Circolare del CSM del 2024 proprio in tema di valutazioni di professionalità[8].
E nella stessa direzione può essere letto anche il “diritto a un giudice indipendente e imparziale”, principio sancito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950, e oggi richiamato anche all’art. 111 Cost., nella versione novellata nel 1999: tale principio contiene infatti in sé anche il diritto del cittadino ad avere un giudice professionalmente capace.
Ma c’è di più.
La professionalità del magistrato è, inoltre, un predicato della “credibilità” della magistratura e della “fiducia” che la società civile deve poter riporre nei suoi confronti, che sono valori proporzionali alla consapevolezza della collettività circa la capacità dei magistrati di rendere giustizia in modo competente, ovvero giusto ed efficace.
Ricordo, a tale proposito, che la fiducia dei cittadini nella magistratura, intesa sia come insieme di singoli magistrati sia come istituzione, è un tassello fondamentale della sua legittimazione; com’è stato detto, il potere giudiziario non deve andare alla ricerca del consenso, ma non può fare a meno della fiducia, che è il vero “banco di prova del tasso di legittimità dei magistrati”[9].
Analogamente, è stato osservato che nel sistema costituzionale “la fonte primaria della legittimazione dei giudici, che amministrano la giustizia in nome del popolo, si rinviene proprio nella professionalità”; poiché l'attività dei giudici è, in ultima analisi, espressione di una funzione essenzialmente “culturale”, essa, proprio in virtù di questo suo carattere, trova nella professionalità “la condizione stessa della sua esistenza”[10].
Alla luce di quanto appena evidenziato, può affermarsi che la professionalità del giudice deve essere, in primo luogo, una professionalità “diffusa” all'interno dell'intera magistratura, quale premessa indispensabile per la tutela effettiva dei diritti dei cittadini e quale naturale conseguenza del carattere “diffuso” del potere giudiziario.
Ciascun giudice, solo di fronte alla legge, deve essere professionalmente adeguato, tanto più, si potrebbe dire, in una fase storica - peraltro oggi rimessa parzialmente in discussione! - in cui il modello di giudice a cui facciamo riferimento non è (forse non è mai stato) quello del “meccanico applicatore della legge”, dell’“essere inanimato” e mera “bocca della legge”, essendo ormai consolidata l’idea - alla luce di una serie composita di fattori, quali la rigidità della Costituzione, il pluralismo delle fonti, il processo d’integrazione europea, la complessità delle società moderne, ecc. - che l'attività interpretativa non possa che essere “intrinsecamente creativa”. A tale proposito, c’è chi ha parlato di “verità banale” della creatività insita nell’esercizio della giurisdizione[11], mentre altri hanno precisato che “il giudice non deve creare diritto, eppure non può non crearlo”[12].
Un'adeguata preparazione professionale scongiura il rischio che il giudice si trovi “smarrito” di fronte alla legge e, quindi, più soggetto alle influenze provenienti dall'esterno e dall'interno della magistratura; la preparazione dota il magistrato di una sorta di “armatura” che ne protegge l’indipendenza[13].
3. Valutazioni di professionalità e Costituzione
Se dunque la professionalità è una precondizione dell’essere giudice, un valore da garantire, lo è di conseguenza anche il suo accertamento, la sua verifica.
Com’è stato giustamente osservato[14], se è vero che l'adeguata preparazione professionale del magistrato costituisce il presupposto indispensabile della sua indipendenza e la condizione primaria della sua libertà di giudizio nel caso concreto, la verifica della sussistenza di tale professionalità non può né deve risolversi in una negazione di questa premessa.
Ciò richiede, in primo luogo, che il sistema delle valutazioni di professionalità sia affidato all'organo di governo autonomo della magistratura, come appare chiaramente indicato nella Costituzione italiana, laddove, all'art. 105, si demandano al CSM “le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari” nei confronti dei magistrati, ovvero tutto ciò che riguarda la loro vita professionale[15].
In secondo luogo, la Costituzione sembra scoraggiare - lo si ricava, in particolare, dal principio della distinzione dei magistrati soltanto per diversità di funzioni - un sistema di valutazione della professionalità finalizzato a selezionare “i migliori”, strumentale alle progressioni in carriera e a un assetto gerarchico della magistratura, in una logica piramidale e, appunto, “carrieristica”.
Al contrario, la Carta costituzionale promuove un sistema di valutazione delle professionalità teso, in prima istanza, a innalzare il livello medio complessivo di professionalità della magistratura e ad assicurare la crescita tecnica e culturale dell'intera categoria; in altre parole, a garantire uno standard minimo più elevato possibile di qualità del sistema giustizia.
Ciò peraltro non esclude, com’è stato autorevolmente sostenuto[16], la possibilità di distinguere tra (la valutazione di) una “professionalità generica”, che deve essere comune a tutti i magistrati, e (la valutazione di) una “professionalità specifica”, propria invece di ciascuno dei diversi “mestieri” di giudice: osservazione che, del resto, trova fondamento proprio nel principio della distinzione soltanto per diversità di funzioni, di cui all’art. 107 Cost.
Così come, tenendo conto del fine perseguito dalle valutazioni di professionalità, non è escluso che, ai casi in cui la valutazione è finalizzata alla verifica dell'adeguatezza professionale di ciascun magistrato, possano aggiungersi casi in cui è necessario valutare comparativamente la professionalità della persona più idonea a ricoprire determinati incarichi, come avviene per la selezione e valutazione dei dirigenti degli uffici giudiziari, ove la valutazione assume necessariamente un carattere maggiormente premiale.
Si tratta però di due modelli di verifica diversi per natura e finalità, che talora possono convivere nell’ambito di uno stesso sistema, di carattere trasversale, ovvero possono essere tenuti distinti, come oggi appare più ragionevole[17].
In terzo luogo, con riguardo all’oggetto delle valutazioni di professionalità, dalla Costituzione si ricava anche come tali valutazioni non possano essere congegnate in modo da assumere una natura sanzionatoria, capace di condizionare le convinzioni dei magistrati o il merito delle decisioni giurisdizionali, dovendo invece essere fondate su accertamenti di tipo tecnico basati su criteri oggettivi e trasparenti.
In quarto luogo, pensando agli elementi che possono costituire oggetto della valutazione di professionalità, in linea di principio la Costituzione promuove l’idea di un giudice immerso nella società civile e capace, pur nei limiti di ciò che il testo consente, di compiere “scelte di valore”.
Nell’attuale assetto costituzionale, in altre parole, non c’è spazio (o almeno così dovrebbe essere) per l’idea classica del “magistrato-sacerdote”, isolato nella sua “torre d’avorio” e separato dalla vita della comunità. Del resto, com’è stato efficacemente ricordato[18], il mito del magistrato “disincarnato”, estraneo alla dialettica culturale e politica del suo tempo, è stata in passato funzionale non tanto all’obiettivo dell’indipendenza e dell’imparzialità, bensì a un’adesione dello stesso al blocco storico-politico dominante, quale strumento di omologazione alla maggioranza del momento. Per magistrati apolitici s’intendeva, in altre parole - e talora s’intende oggi - magistrati “allineati”.
4. L’opinione n. 14/2017 del Consiglio consultivo dei giudici europei
Molti dei concetti appena richiamati, ricavabili da una lettura (a mio giudizio) equilibrata della Carta costituzionale, sono stati sottolineati in modo molto efficace dal Consiglio consultivo dei giudici europei, organo del Consiglio d’Europa, nell’Opinione n. 17 del 24 ottobre 2014, dedicata alla “valutazione del lavoro dei giudici, qualità della giustizia e rispetto dell'indipendenza giudiziaria”[19].
In tale documento si chiarisce, innanzi tutto, come in linea di principio la valutazione del lavoro individuale del giudice possa assicurare una maggiore qualità della giustizia senza necessariamente incidere sull'indipendenza.
Con riferimento, poi, ai sistemi formali di valutazione, il Consiglio consultivo evidenzia che, affinché tale equilibrio possa essere davvero assicurato, le valutazioni di professionalità devono avere per fondamento previsioni normative chiare e dettagliate ed essere basate su criteri predeterminati, al fine di evitare condizionamenti, personalismi o favoritismi.
Le valutazioni devono poi connotarsi per una natura prevalentemente qualitativa ed essere rivolte ad apprezzare le competenze dei magistrati di tipo in senso stretto “professionale” (conoscenza del diritto, capacità di condurre adeguatamente i procedimenti giudiziari, capacità di scrivere decisioni motivate), ma anche quelle “personali” (capacità di far fronte al rispettivo carico di lavoro, capacità di decidere, capacità di gestire le nuove tecnologie) e quelle “sociali” (capacità di mediare, di rispettare le parti, di dirigere, per coloro le cui posizioni lo richiedono).
La valutazione potrà essere naturalmente anche quantitativa, ma la stessa non potrà mai essere ridotta al risultato dell'apprezzamento di soli dati statistico-quantitativi, né essere incentrata soltanto sulla produttività, atteso che quest'ultima, tra l’altro, può essere influenzata da molteplici fattori, quali ad esempio le risorse messe a disposizione del giudice; elementi che non rientrano evidentemente nella sua responsabilità.
In altre parole, la valutazione deve cadere su un magistrato ‘‘contestualizzato’’, perché solo così sarà possibile “evitare storture statistiche ingiustamente penalizzanti per i singoli e complessivamente fuorvianti per l’efficienza del servizio”[20]. Per inciso, sembra utile accennare alla circostanza per cui, almeno nel sistema italiano, le maggiori criticità che affliggono il servizio giustizia non provengono tanto dal livello di professionalità dei magistrati, nell’insieme adeguato ai compiti che vengono loro richiesti, ma sono di natura strutturale e risiedono principalmente nella permanente mancanza di risorse sia personali che organizzative.
Il Consiglio consultivo ricorda, poi, come sia problematico basare le valutazioni sui risultati conseguiti, sul numero o sulla percentuale dei casi riformati in appello, almeno che tale verifica non dimostri chiaramente delle evidenti patologie, ovvero che il giudice - ma si tratta di casi limite - difetta della necessaria conoscenza della legge e della procedura.
L’Opinione contiene poi una serie di indicazioni che, pensando anche ai tempi più recenti, conviene non considerare scontate: a) la valutazione deve essere affidata agli organi di governo autonomo della magistratura, in ogni caso estromettendo ogni influenza degli Esecutivi; b) le fonti di informazione devono essere affidabili e trasparenti; c) il giudice sottoposto a valutazione deve avere il diritto di esprimersi e dunque deve essere previsto un contraddittorio; d) i risultati della valutazione non devono essere funzionali a definire graduatorie, ancorché essi possano essere utilizzati ai fini delle promozioni, dell’individuazione di bisogni o della attribuzione di risorse aggiuntive.
Nell'Opinione si ricorda, infine, che la valutazione individuale dei giudici è tesa a migliorare e mantenere un sistema giudiziario di alta qualità, nell’interesse dei cittadini. Per questa ragione, i cittadini devono essere messi in condizione di comprendere i principi generali che informano le procedure di valutazione, le cui regole e metodologie dovrebbero quindi essere pubbliche[21].
5. Cenni alla disciplina italiana in materia di valutazione di professionalità prima del 2007
Se questo è il quadro degli interessi di pregio costituzionale all’interno del quale la disciplina delle valutazioni di professionalità dei magistrati deve essere collocata, vengo ora a verificare come il legislatore italiano, nel corso di oltre settantasette anni dall’entrata in vigore della Costituzione, ha realizzato in concreto tali interessi.
Assai sinteticamente, ricordo che, prima della riforma del 2007, le valutazioni di professionalità dei magistrati in Italia erano saldamente ed esclusivamente ancorate ai meccanismi di progressione in carriera.
Al di là di questo tratto in comune, peraltro, si possono distinguere due fasi storiche assai diverse.
Fino circa alla fine degli anni Sessanta, le valutazioni erano incorporate nelle procedure concorsuali per titoli ed esami per la promozione ai gradi superiori. A tale sistema era sottesa una visione della magistratura di tipo piramidale, peraltro incompatibile con la Costituzione, nella quale si riteneva (implicitamente) che le funzioni di primo grado richiedessero un livello di professionalità inferiore a quello richiesto nei gradi successivi; ovvero, una visione fondata sulla considerazione che i magistrati più bravi e più professionali dovessero migrare verso le funzioni superiori.
Ricordo, a questo proposito, la nota critica di Giuseppe Maranini a tale impostazione, quando osservava, nel 1961: “Non credo... che nelle magistrature ‘superiori’ occorrano maggiori valori morali e tecnici che nelle magistrature ‘inferiori’. È una opinione che potrei difendere con un lungo discorso. Mi limito a riferirmi alla mia esperienza professionale... E nella mia forse eccessiva presunzione, sono convinto che saprei essere un mediocre consigliere di Cassazione; ma non avrei mai il coraggio di fare il pretore, perché so che non avrei la necessaria preparazione”[22].
Com’è noto, dopo le riforme della carriera, realizzate a cavallo degli anni Sessanta e Settanta con le note leggi Breganze, n. 570/1966, e Breganzone, n. 831/1973, viene introdotto un sistema di progressione a ruoli aperti, fondato sull’anzianità “senza demerito”, più coerente con l’idea di una magistratura intesa come potere diffuso e come corpo professionale orizzontale, dove il livello di professionalità non può che essere equamente distribuito su tutte le funzioni e per tutti i diversi mestieri di magistrato. In questa fase - e fino al 2007 - la disciplina del procedimento, dei criteri e delle fonti di conoscenza sulla cui base venivano svolte le predette valutazioni di professionalità sono contenute in una serie di circolari e pareri adottati dal CSM[23].
Il bilancio del sistema di valutazione operante a partire dagli Anni Settanta e fino al 2007 è stato piuttosto negativo. Esso è stato accusato di lassismo e di scarsa valorizzazione della meritocrazia, anche se tale insoddisfacente risultato è stato conseguito - occorre ricordarlo - più a causa della prassi applicativa che del dato normativo; come a suo tempo si è ricordato, è stata la prassi ad aver eluso, nella sostanza, lo spirito della disciplina allora vigente, tanto che si è potuto parlare di una sorta di “fraintendimento applicativo”[24].
Lo stesso CSM, nella relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per il quadriennio 1986-1990, ha avuto modo di osservare che il bilancio complessivo sullo stato delle verifiche di professionalità dei magistrati in occasione della progressione nella carriera evidenziava una “desolante situazione di vuoto valutativo”[25].
Per questa ragione, a partire dalla fine degli anni Novanta, da più parti si è chiesto al legislatore di intervenire per riformare la materia, introducendo un nuovo (e autonomo) sistema di valutazione delle professionalità. Ricordo, a tale proposito, che, nel corso del 2003, l'Associazione nazionale magistrati organizzò un ciclo di seminari dal titolo “I magistrati di fronte alla sfida della professionalità” e il documento di base redatto dalla Giunta esecutiva centrale, presentato in occasione di quella iniziativa, si apriva con l’affermazione secondo cui “i magistrati, per primi, chiedono un miglioramento della formazione e un più adeguato sistema di valutazione della professionalità, fermo restando l'esplicito è deciso rifiuto di ogni logica di ritorno al passato”[26].
6. La legge Mastella del 2007 e gli “aggiustamenti” adottati con la riforma Cartabia del 2022-2024
Vengo dunque all’ultimo periodo e alla disciplina vigente.
Tralascio, per ovvie ragioni di tempo, il regime (certamente criticabile) introdotto con la legge Castelli n. 150/2005 - dal momento che esso, con il quale si segnava un vero e proprio ritorno al passato, non ha mai avuto attuazione - e vengo al sistema di valutazione della professionalità introdotto con la legge n. 111/2007 (che ha modificato l’art. 11 del d.lgs. n. 160/2006), che ancora oggi, pur con gli aggiustamenti introdotti dalla riforma Cartabia, costituisce l’architettura portante del vigente sistema.
Con tale riforma, per la prima volta in Italia, si separano (anche se non del tutto) le valutazioni di professionalità dalla progressione in carriera. In questo modo, come spesso è stato ricordato, viene resa autonoma e sottolineata la “cultura della valutazione”[27].
Si tratta di un regime in linea di massima coerente con le indicazioni ricavabili dalla Costituzione, sopra richiamate.
Com’è noto, viene introdotto un doppio canale di progressione in carriera: da una parte, un sistema di avanzamento obbligatorio per tutti i magistrati, scandito, appunto, da periodiche valutazioni di professionalità; dall'altra, un sistema di passaggi da una funzione all'altra, accessibile a richiesta dell'interessato, e congegnato in modo indipendente, ancorché coordinato - il possesso di una certa valutazione costituisce la condizione per poter fare domanda per una certa funzione - rispetto alle predette valutazioni.
Vengono previste sette fasce di anzianità, ciascuna di durata quadriennale, alle quali si accede previa valutazione; quest'ultima è avviata d'ufficio ed è svolta sulla base dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza e impegno. Il giudizio è affidato al CSM e viene espresso, previo parere del Consiglio giudiziario, con un provvedimento motivato che, fino alla riforma del 2022, poteva avere esclusivamente tre esiti: positivo, non positivo o negativo.
Su questo impianto complessivo sono intervenute alcune puntuali modifiche ad opera della legge n. 71/2022 e del d.lgs. n. 44/2024, il cui art. 5, in particolare, ha introdotto il nuovo art. 10 bis, ha modificato l'art. 11 e introdotto i nuovi artt. 11 bis e 11 ter del d.lgs. n. 160/2006[28].
Le principali novità introdotte con la riforma del 2022/2024 sono le seguenti (mi limito ad elencarle):
7. Qualche brevissima osservazione d’insieme sulla disciplina vigente
Vengo dunque a qualche osservazione d’insieme sul regime vigente.
Come anticipavo, il mio giudizio su tale disciplina è, nel complesso, moderatamente positivo. Credo sia stato fatto uno sforzo notevole e meritorio in una direzione in linea di massima coerente con il quadro costituzionale.
Tuttavia, vi sono alcuni elementi che destano perplessità e forse rappresentano dei campanelli d’allarme, sui quali, in fase soprattutto di gestione concreta del sistema, occorre prestare attenzione.
Quanto alle scelte compiute dal legislatore in merito alla natura e alle finalità delle valutazioni, segnalo due aspetti.
In primo luogo, la disciplina sembra assecondare, in alcune sue parti, una tendenza vagamente aziendalistica, rafforzata dalla più recente riforma: essa, da un lato, irrobustisce la responsabilità dei dirigenti e, dall’altro, appare molto attenta agli aspetti quantitativi e performativi; la normativa si preoccupa molto degli obiettivi e dei risultati raggiunti, o da raggiungere, tradendo, tra le righe, anche una sorta di intento selettivo/comparativo, e appare meno concentrata sulla verifica del complessivo e armonioso svolgimento della funzione del magistrato all’interno del sistema giudiziario.
In secondo luogo, le previsioni riguardanti la verifica degli esiti dei procedimenti giudiziari, ovvero la “tenuta” dei provvedimenti nelle fasi successive o in sede di impugnazione, pur di per sé non irragionevoli[29], collocano tuttavia la valutazione in una zona di confine delicata, nelle vicinanze del cuore dell’esercizio della giurisdizione, che potenzialmente potrebbe, se non gestita in modo adeguato[30], comportare il rischio di un condizionamento della discrezionalità interpretativa del giudice.
Venendo alle norme che disciplinano il procedimento, il legislatore, soprattutto dopo la riforma del 2022, ha prestato molta attenzione ad articolarne le molteplici fasi, rendendolo assai trasparente e partecipato; e ciò, ancor più dopo l’allargamento della partecipazione ai componenti laici dei consigli giudiziari, a mio giudizio nel complesso positivo.
Tuttavia, lo stesso si caratterizza per innumerevoli passaggi e per tempi davvero strettissimi, che corrono il rischio di farlo diventare un adempimento defatigante e, in ultima analisi, un'operazione prevalentemente burocratica, sostanzialmente inefficace per verificare l'effettiva affidabilità del sistema giudiziario.
Infine, la normativa rende assai stretti i rapporti tra valutazione della professionalità e responsabilità disciplinare. Si tratta, com’è noto, di due fattispecie diverse per natura, finalità e obiettivi, per quanto sia noto come negli ultimi anni in Italia l'area del disciplinare si sia molto accresciuta, finendo per sovrapporsi in più occasioni a quella della valutazione di professionalità[31].
La riforma del 2022 sembra aver esasperato tale potenziale interferenza, inserendo tra le fattispecie disciplinari dei puntuali comportamenti che denotano cadute di professionalità, o negligenza nella gestione degli uffici, le quali potrebbero essere più opportunamente rilevate nell'ambito della valutazione di professionalità quadriennale.
Colpisce, in ultima analisi, la previsione di alcuni nuovi illeciti disciplinari.
Si veda, in particolare, sia le fattispecie rivolte ai Dirigenti degli uffici giudiziari, molto incentrate sulla valorizzazione del dovere di assicurare l’efficienza dell’ufficio, sia quelle rivolte a tutti i magistrati, quali la reiterata inosservanza delle direttive dei capi dell’ufficio (art. 2, comma 1, lettera n) del d. lgs. n. 109/2006) o l’omessa collaborazione del magistrato all’attuazione delle iniziative del capo dell’ufficio per eliminare i ritardi e realizzare i piani di smaltimento (art. 2, comma 1, lettera q-bis del d.lgs. n. 109/2006).
8. In conclusione
Concludo osservando che in Italia è ricorrente l'affermazione secondo cui il sistema delle valutazioni di professionalità non funziona perché l'esito delle stesse è quasi sempre positivo.
Si tratta di un argomento in parte fuorviante, non solo perché questo capita in tutti i settori della pubblica amministrazione, ma per il fatto che le valutazioni di professionalità, come detto, non devono avere un'attitudine punitiva né repressiva.
La resa del sistema si misura, al contrario, sulla sua capacità di promuovere, in positivo, modelli e standard di lavoro adeguati ed efficienti, facendo emergere, in negativo, le carenze dei singoli e dell’intero sistema, non al fine di sanzionare, ma di porvi rimedio.
E ciò nell’interesse, prima di tutto, dei cittadini, che sono i principali interessati a un sistema giustizia più efficace, tempestivo e credibile.
[1] Testo rivisto, integrato con qualche nota a piè di pagina, ma sostanzialmente inalterato, della relazione svolta in occasione del Convegno su Le valutazioni di professionalità dei magistrati nel sistema interno, organizzato dalla Nona Commissione del CSM, dalla Corte di cassazione e dalla Scuola Superiore della Magistratura e svoltosi a Roma il 13 giugno 2025.
[2] R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione attuale e possibili riforme, in E. Bruti Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, 2003, 9 ss.
[3] Cfr. P. Serrao D’Aquino, Le valutazioni di idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie. Le valutazioni di professionalità, in Giustizia insieme, 2020 e in Diritto Pubblico Europeo - Rassegna Online, 2020.
[4] Almeno fino ad oggi; si veda, infatti, il Disegno di legge di revisione costituzionale Nordio, attualmente in discussione al Senato (A.S. 1353) e già approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 16 gennaio 2025, che all’art. 4 si propone di sostituire l’art. 105 Cost., il cui primo comma, nella versione eventualmente novellata, avrà la seguente formulazione: “Spettano a ciascun Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati” (c.vi aggiunti).
[5] T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati nel quadro dei principi costituzionali, in F. Dal Canto e R. Romboli (a cura di), Contributo al dibattito sull'ordinamento giudiziario, Torino, 2004, 149 ss.
[6] Cfr. Corte cost., sent. n. 86/1982; in senso analogo, cfr. anche sentt. nn. 140/1992, 376/1993 e 272/2008.
[7] G. Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei magistrati: una falsa contrapposizione in E. Bruti Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, cit., 88.
[8] Circolare P. 21578 adottata con delibera 13 novembre 2024, in Ordinamentogiudiziario.info.
[9] Cfr. L. Ferrajoli, Sul rapporto dei magistrati con la società, in Questione giustizia, 17 giugno 2024.
[10] Cfr. A. Pizzorusso, Principio democratico e principio di legalità, in Questione giustizia, n. 2/2003, 353.
[11] M. Cappelletti, Giudici o legislatori?, Milano, 1984, 1 ss., il quale, appunto, ha sottolineato come il dato della natura creativa dell'attività interpretativa fosse, in fondo, una “verità banale”, per quanto non vi fosse dubbio che la produzione del diritto ad opera del legislatore e del giudice avvenisse con “modalità differenti ed entrambi soggetti operassero nell'ordinamento secondo differenti forme di responsabilità e di legittimazione democratica”.
[12] M. Barberis, Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell'interpretazione, in Analisi del diritto 2004, Ricerche di giurisprudenza analitica, a cura di P. Comanducci e G. Guastini, Torino, 2005, 1 ss.
[13] Cfr. G. Civinini, Valutazioni di professionalità e qualità della giustizia, in Questione giustizia, 7 gennaio 2015.
[14] T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati nel quadro dei principi costituzionali, cit., 163 s.
[15] Ho già ricordato, in proposito, che il Disegno di legge costituzionale Nordio prevede, all’art. 105 Cost., di sostituire la formula “le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” con quella “valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati”.
[16] A. Pizzorusso, Indipendenza del magistrato e assegnazione di funzioni, in Questione giustizia, n. 2/1991, 295 ss.
[17] R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione attuale e possibili riforme, cit., 16.
[18] G. Silvestri, Imparzialità del magistrato e credibilità della magistratura, in Magistrati: essere ed apparire imparziali, in Questione giustizia, n. 1-2/2024, 42 ss.
[19] Su cui si veda M. G. Civinini, Valutazioni di professionalità e qualità della giustizia, in Questione giustizia, 7 gennaio 2015.
[20] G. Silvestri, Verifica di professionalità versus indipendenza dei magistrati: una falsa contrapposizione, cit., 89.
[21] Ma - si precisa - non devono essere resi pubblici i risultati, pena il rischio di screditare i magistrati agli occhi del pubblico, rendendoli così più vulnerabili ai tentativi di influenzarli.
[22] G. Maranini, Carriera dei giudici, casta giudiziaria e potere politico, in Id. (a cura di), Magistrati o funzionari?, Milano, 1962, 59 s.
[23] Cfr. Circolari n. 1275/1985 e n. 17003/1999.
[24] V. Borraccetti e G. Borrè, Professionalità, controlli, assegnazione di funzioni, in Questione giustizia, n. 2/1996, 352.
[25] Lo ricorda T. Giovannetti, La valutazione della professionalità dei magistrati, cit., 156 s., il quale peraltro sottolinea come l’insoddisfazione nei confronti del modello concreto di verifica della professionalità operante in quel periodo non derivasse soltanto dall’inadeguata applicazione della normativa, o da un cedimento del sistema di autogoverno, ma anche dalla necessità di un intervento legislativo che incidesse sui punti più dolenti della disciplina.
[26] Cfr. E. B. Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, cit., 1 ss.
[27] A. Patrono, Formazione dei magistrati e valutazione di professionalità, in L’ordinamento giudiziario a dieci anni dalla legge n. 150 del 2005, a cura di G. Ferri e A. Teodoldi, Napoli, 2016, 159 ss.
[28] Cfr. V. Baroncini, Le modifiche del sistema di funzionamento dei consigli giudiziari e delle valutazioni di professionalità, in La riforma dell'ordinamento giudiziario (legge 17 giugno 2022, n.71), a cura di G. Ferri, Torino, 2023, 57 ss., R. Magi e D. Cappuccio, La delega cartacea in tema di valutazione di professionalità del magistrato: considerazioni a prima lettura, in La riforma dell'ordinamento giudiziario: analisi e commenti alla legge delega n. 71 del 2022, in Questione giustizia, n. 2-3/2022, 77 ss. e O. Civitelli, La giustizia e la performance, ivi, 85 ss.
[29] Si parla, in fondo, di accertare le “gravi anomalie” e, inoltre, si precisa che la valutazione non possa mai riguardare l'attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione dei fatti e delle prove.
[30] E i tempi in cui viviamo, soprattutto pensando alle prospettive future, non sembrano per nulla rassicuranti.
[31] È noto che un gran numero di azioni disciplinari - soprattutto quelle riguardanti i ritardi nel deposito dei provvedimenti - coincide con i (pochi) casi di valutazioni di professionalità non positive.
Immagine fonte laRepubblica.
[Traduzione italiana in calce]
The Constitution Shall Not Be Ignored
The Court of Bosnia-Herzegovina Condemns Milorad Dodik
Summary: 1. Introduction - 2. Bosnia-Herzegovina between courts and politics – 3. Concluding remarks.
1. Introduction
Although Bosnia and Herzegovina has already experienced periods of instability in its recent past, in the last few months political tensions seem to have reached new heights. On 14 March 2025, the National Assembly of the Serb-majority entity (Republika Srpska, RS) adopted by emergency procedure the provisional texts of a new entity Constitution and a ‘Law on the Protection of the Constitutional Order of Republika Srpska.’ The political objective was to establish greater autonomy for Republika Srpska by establishing new institutions, independent from the state level, including an entity army and a judiciary accountable to the RS Parliament. Both texts also contain provisions on the right to self-determination and to form confederations with other countries, further reinforcing the secessionist threats by the Bosnian-Serb leadership. These recent decisions of the National Assembly reflect a broader pattern of increasingly frequent clashes between the Serb entity and state institutions. The main actors in these disputes are Milorad Dodik, President of Republika Srpska on one side, and two central institutions guaranteeing Bosnia-Herzegovina’s constitutional order on the other: the Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina and the High Representative. The recent decision of the Parliament of the Serb Entity to adopt a new draft Constitution occurred in reaction to a series of judicial decisions, which further aggravated the tensions between central and entity institutions, as well as between courts and political power.
This essay addresses a judgment delivered by the Court of Bosnia-Herzegovina (Court BiH)[1] to assess the current constitutional situation in Bosnia and Herzegovina, thirty years after the Dayton Peace Agreement. This is a relevant decision for two main reasons. The first reason is related to its outcome, as the Court condemned Milorad Dodik to one year in prison and to a six-year ban from the presidency of the Serb entity for failing to comply with the decisions of the High Representative. The second reason concerns the judicial body delivering it. Indeed, the Court of Bosnia and Herzegovina, established in 2002, was an important development of the Bosnian-Herzegovinian judicial system. The Court has jurisdiction at the state level and is particularly concerned with ensuring effective implementation of central state competences and protecting fundamental rights and principles of the rule of law throughout the constitutional system.[2] In a judicial system as fragmented as Bosnia and Herzegovina’s, the creation of this Court was an important step towards building a consolidated judicial system capable of ensuring the independent exercise of justice at the state level. Overall, this judgment is rather effective in conveying the complex political-constitutional situation in Bosnia-Herzegovina, where the resilience of the institutions and the system itself seems increasingly fragile.
2. Bosnia-Herzegovina between courts and politics
In the past few years, the governing authorities of the Republika Srpska, led by Milorad Dodik, have regularly attacked both the Constitutional Court and the High Representative. Specifically, the issue that led to the Court BiH’s judgment originated in February 2023, when the National Assembly of the RS adopted a law on the registration of property in the Republika Srpska, which was suspended by the High Representative and declared unconstitutional by the Constitutional Court twice.[3] In both rulings, the Constitutional Court had confirmed that public property falls under the exclusive competence of the central state and not of the entities. When the law was challenged, the authorities of Republika Srpska immediately declared that they would not respect the Constitutional Court’s decision. This actually happened when, after the first decision of the Court, the law was published in the Official Gazette of the entity, thus leading to a second challenge and a second ruling of unconstitutionality in March 2023. After a few months, in June 2023, the RS National Assembly adopted two laws, directly undermining the legitimacy of the Constitutional Court and the High Representative. In the first law, the Assembly openly stated that the authority of the Constitutional Court would not have been recognised within Republika Srpska due to the presence of foreign judges,[4] which would make the Court illegitimate.
Similarly, the second law blocked the publication of the High Representative’s decisions in the Official Gazette of the Serb entity. Indeed, for several years, Dodik has challenged the legitimacy of the High Representative’s mandate, considering it to be a foreign interference, despite the fact that the role of the High Representative is clearly stipulated in the Dayton Peace Agreement[5] and reaffirmed in several UN Security Council resolutions.[6] In this case, Schmidt intervened before the law of Republika Srpska came into force, exercising the so-called ‘Bonn Powers’[7] of the High Representative. By doing so, Schmidt not only annulled the law but also imposed amendments to the Criminal Code of Bosnia and Herzegovina, making non-compliance with the High Representative’s decisions a criminal offence.[8] In the following months, the ‘duel’ between Dodik and Schmidt escalated further, with threats of expulsion of the High Representative by the Bosnian-Serb leader and new amendments introduced by Schmidt. This time, the High Representative imposed amendments on the electoral law, allowing the termination of the mandate in the event of a final conviction banning from holding public office. In this way, Schmidt effectively created the conditions to remove Dodik from office indirectly through the courts, and thus without exercising the Bonn powers that would allow him to directly remove from office public officials who act against the constitutional order and the Dayton Agreement.
In the aftermath of these political and legislative developments, on 26 February 2025, the Court of Bosnia-Herzegovina sentenced Milorad Dodik to one year in prison and a six-year ban from holding the presidency of Republika Srpska for failure to implement the decisions of the High Representative, in accordance with Art. 203.a(1) of the Criminal Code. Confirming the indictment of the BiH Prosecutor’s Office, the Court BiH ruled that the failure occurred in the time frame between 1 and 9 July 2023, during which the authorities of Republika Srpska deliberately ignored the decisions of the High Representative preventing the entry into force of the two laws adopted in June 2023 previously analysed, deciding to let the legislative process continue regularly.[9]
The decision deeply shocked public and political opinion, marking the first conviction of an entity president in post-Dayton history. Predictably, Dodik’s reaction to his conviction was immediate. On the very day of the judgment, the government of the Republika Srpska adopted a series of laws under emergency procedure, including amendments to the entity’s criminal code and a law that effectively annuls the jurisdiction of state judicial authorities in Republika Srpska. These would include the Court of Bosnia-Herzegovina and the Prosecutor’s Office, two institutions imposed by the High Representative in the early 2000s. Again, the laws were suspended by the BiH Constitutional Court as they undermined ‘state authority over part of its territory’.[10]
3. Concluding remarks
What emerges from the previous pages is that, thirty years after Dayton, the constitutional situation in Bosnia-Herzegovina is far less stable than one might have hoped, especially considering the dramatic nature of the conflict in the 1990s. In recent years, Dodik has set his political agenda on frontally attacking Dayton’s symbolic central institutions, such as the High Representative, the Constitutional Court, and the state judiciary.[11] However, while it is undeniable that these actions have fuelled political instability and a constitutional crisis that now seems endemic, it is important to note that the very institutions Dodik intends to delegitimise seem determined to continue defending the constitutional order of Bosnia-Herzegovina. According to a joint communiqué of the High Representative and the Peace Implementation Council (PIC), the resolution of the (current) constitutional crisis in Bosnia-Herzegovina is left to the central institutions. At present, institutional reactions continue to come from the judicial bodies, through the rulings by the Constitutional Court suspending the Serb entity’s laws and the work of the Office of the Public Prosecutor. The latter recently opened an investigation against Milorad Dodik, Radovan Višković (the Prime Minister of the Serbian entity) and Nenad Stevandić (the President of the National Assembly), who are suspected of acting against the constitutional order of Bosnia and Herzegovina under Art. 156(1) of the BiH Criminal Code. While the investigation was still ongoing, Dodik left the country to go on several official visits (including to Russia and Israel), a decision to which the Court of Bosnia and Herzegovina responded by requesting Interpol to issue a red notice for the arrest of Milorad Dodik.[12] Interpol’s decision not to approve the red notice and the overall reluctance of local police to arrest Dodik have been justified by the need to avoid potential clashes and contain protests in an already tense but still controlled environment. Eventually, in early July, Dodik and the other two suspects appeared ‘voluntarily’ before the Court of Bosnia and Herzegovina, which decided to terminate their custody and imposed on them a restrictive measure requiring mandatory periodical reporting to state authority.
The High Representative’s and the PIC’s invitation to the institutions moves in the direction of reducing international intervention and facilitating local ownership, a trend that has been slowly implemented in Bosnia-Herzegovina in recent years. Whether political institutions, and not only the judicial ones, will also take up the invitation remains to be seen. What is certain is that the courts have once again demonstrated their commitment to reaffirming the legal framework that emerged from the constitutional transition, based above all on the rule of law and respect for the multi-ethnic nature of Bosnia-Herzegovina. Indeed, the analysed judgment shows that the Court BiH intends to defend the sovereignty and territorial integrity of Bosnia and Herzegovina from attacks by the Republika Srpska, reiterating that the principles governing the BiH constitutional order cannot be ignored or overridden by political leadership.
***
La Costituzione non può essere ignorata.
La Corte della Bosnia-Erzegovina condanna Milorad Dodik [13]
Sommario: 1. Introduzione - 2. La Bosnia-Herzegovina tra corti e politica – 3. Considerazioni conclusive.
1.Introduzione
Sebbene la Bosnia-Erzegovina abbia già vissuto periodi di instabilità nel suo passato recente, negli ultimi mesi le tensioni politiche sembrano aver raggiunto nuovi livelli. Il 14 marzo 2025, l'Assemblea nazionale dell'entità a maggioranza serba (Republika Srpska, RS) ha adottato con procedura d'urgenza i testi provvisori di una nuova Costituzione dell'entità e di una “Legge sulla protezione dell'ordine costituzionale della Republika Srpska”. L'obiettivo politico era quello di garantire una maggiore autonomia alla Republika Srpska attraverso la creazione di nuove istituzioni indipendenti dal livello statale, tra cui un esercito dell'entità e un sistema giudiziario che risponda al Parlamento della RS. Entrambi i testi contengono inoltre disposizioni sul diritto all'autodeterminazione e alla formazione di confederazioni con altri paesi, rafforzando ulteriormente le minacce secessioniste della leadership serbo-bosniaca. Queste recenti decisioni dell'Assemblea nazionale riflettono un quadro più ampio di scontri sempre più frequenti tra l'entità serba e le istituzioni statali. I principali attori di queste controversie sono Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, da un lato, e dall'altro le due istituzioni centrali che garantiscono l'ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina: la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina e l'Alto rappresentante. La recente decisione del Parlamento dell'entità serba di adottare un nuovo progetto di Costituzione è stata presa in risposta a una serie di decisioni giudiziarie che hanno ulteriormente aggravato le tensioni tra le istituzioni centrali e quelle dell'entità, nonché tra il sistema giudiziario e il potere politico.
Il presente commento esamina una sentenza della Corte della Bosnia-Erzegovina (Corte BiH)[1] volta a valutare l'attuale situazione costituzionale in Bosnia-Erzegovina, a trent'anni dall'accordo di pace di Dayton. Si tratta di una decisione rilevante per due motivi principali. Il primo motivo è legato al suo esito, in quanto la Corte ha condannato Milorad Dodik a un anno di reclusione e a sei anni di interdizione dalla presidenza dell'entità serba per non aver ottemperato alle decisioni dell'Alto rappresentante. Il secondo motivo riguarda l'organo giudiziario che l'ha emessa. Infatti, la Corte della Bosnia-Erzegovina, istituita nel 2002, ha rappresentato un importante sviluppo del sistema giudiziario bosniaco-erzegovese. La Corte ha giurisdizione a livello statale e si occupa in particolare di garantire l'effettiva attuazione delle competenze dello Stato centrale e di tutelare i diritti fondamentali e i principi dello Stato di diritto in tutto il sistema costituzionale.[2] In un sistema giudiziario frammentato come quello della Bosnia-Erzegovina, la creazione di questa Corte ha rappresentato un passo importante verso la costruzione di un sistema giudiziario consolidato in grado di garantire l'esercizio indipendente della giustizia a livello statale. Nel complesso, questa sentenza è piuttosto efficace nel trasmettere la complessa situazione politico-costituzionale della Bosnia-Erzegovina, dove la tenuta delle istituzioni e del sistema stesso appare sempre più fragile.
2. La Bosnia-Herzegovina tra corti e politica
Negli ultimi anni, le autorità governative della Republika Srpska, guidate da Milorad Dodik, hanno regolarmente attaccato sia la Corte costituzionale che l'Alto rappresentante. Nello specifico, la questione che ha portato alla sentenza della Corte della Bosnia-Erzegovina ha avuto origine nel febbraio 2023, quando l'Assemblea nazionale della RS ha adottato una legge sulla registrazione dei beni immobili nella Republika Srpska, che è stata sospesa dall'Alto rappresentante e dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale per due volte.[3] In entrambe le sentenze, la Corte costituzionale aveva confermato che i beni pubblici sono di competenza esclusiva dello Stato centrale e non delle entità. Quando la legge è stata impugnata, le autorità della Republika Srpska hanno immediatamente dichiarato che non avrebbero rispettato la decisione della Corte costituzionale. Ciò è effettivamente avvenuto quando, dopo la prima decisione della Corte, la legge è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'entità, portando così a una seconda impugnazione e a una seconda sentenza di incostituzionalità nel marzo 2023. Dopo alcuni mesi, nel giugno 2023, l'Assemblea nazionale della RS ha adottato due leggi che minavano direttamente la legittimità della Corte costituzionale e dell'Alto rappresentante. Nella prima legge, l'Assemblea ha dichiarato apertamente che l'autorità della Corte costituzionale non sarebbe stata riconosciuta all'interno della Republika Srpska a causa della presenza di giudici stranieri,[4] il che avrebbe reso la Corte illegittima.
Analogamente, la seconda legge ha bloccato la pubblicazione delle decisioni dell'Alto rappresentante nella Gazzetta ufficiale dell'entità serba. Infatti, da diversi anni Dodik contesta la legittimità del mandato dell'Alto rappresentante, considerandolo un'ingerenza straniera, nonostante il ruolo dell'Alto rappresentante sia chiaramente sancito dall'accordo di pace di Dayton[5] e ribadito in diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.[6] In questo caso, Schmidt è intervenuto prima dell'entrata in vigore della legge della Republika Srpska, esercitando i cosiddetti “poteri di Bonn”[7] dell'Alto rappresentante. In tal modo, Schmidt non solo ha annullato la legge, ma ha anche imposto modifiche al codice penale della Bosnia-Erzegovina, rendendo reato penale il mancato rispetto delle decisioni dell'Alto rappresentante.[8] Nei mesi successivi, il “duello” tra Dodik e Schmidt si è ulteriormente inasprito, con minacce di espulsione dell'Alto rappresentante da parte del leader serbo-bosniaco e nuove modifiche introdotte da Schmidt. Questa volta, l'Alto rappresentante ha imposto modifiche alla legge elettorale, consentendo la cessazione del mandato in caso di condanna definitiva che comportasse l'interdizione dai pubblici uffici. In questo modo, Schmidt ha di fatto creato le condizioni per rimuovere Dodik dalla carica indirettamente attraverso il sistema giudiziario, e quindi senza esercitare i poteri di Bonn che gli consentirebbero di rimuovere direttamente dalla carica i funzionari pubblici che agiscono contro l'ordine costituzionale e l'accordo di Dayton.
All'indomani di questi sviluppi politici e legislativi, il 26 febbraio 2025, la Corte della Bosnia-Erzegovina ha condannato Milorad Dodik a un anno di reclusione e a sei anni di interdizione dalla presidenza della Republika Srpska per mancata attuazione delle decisioni dell'Alto Rappresentante, ai sensi dell'articolo 203.a(1) del codice penale. Confermando l'atto di accusa della Procura della Bosnia-Erzegovina, la Corte della Bosnia-Erzegovina ha stabilito che l'inadempienza si è verificata nel periodo compreso tra l'1 e il 9 luglio 2023, durante il quale le autorità della Republika Srpska hanno deliberatamente ignorato le decisioni dell'Alto Rappresentante che impedivano l'entrata in vigore delle due leggi adottate nel giugno 2023 precedentemente analizzate, decidendo di lasciare che il processo legislativo continuasse regolarmente.[9]
La decisione ha profondamente sconvolto l'opinione pubblica e politica, segnando la prima condanna di un presidente di entità nella storia post-Dayton. Com'era prevedibile, la reazione di Dodik alla sua condanna è stata immediata. Lo stesso giorno della sentenza, il governo della Republika Srpska ha adottato una serie di leggi con procedura d'urgenza, tra cui modifiche al codice penale dell'entità e una legge che di fatto annulla la giurisdizione delle autorità giudiziarie statali nella Republika Srpska. Tra queste figurano la Corte di Bosnia-Erzegovina e la Procura, due istituzioni imposte dall'Alto Rappresentante all'inizio degli anni 2000. Anche in questo caso, le leggi sono state sospese dalla Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina in quanto minavano “l'autorità dello Stato su parte del suo territorio”.[10]
3. Considerazioni conclusive
Da quanto esposto nelle pagine precedenti emerge che, a trent'anni dall'accordo di Dayton, la situazione costituzionale in Bosnia-Erzegovina è molto meno stabile di quanto si potesse sperare, soprattutto considerando la drammaticità del conflitto degli anni Novanta. Negli ultimi anni, Dodik ha incentrato la sua agenda politica sull'attacco frontale alle istituzioni centrali simboliche di Dayton, quali l'Alto Rappresentante, la Corte costituzionale e la magistratura statale.[11] Tuttavia, sebbene sia innegabile che tali azioni abbiano alimentato l'instabilità politica e una crisi costituzionale che ora sembra endemica, è importante notare che proprio le istituzioni che Dodik intende delegittimare sembrano determinate a continuare a difendere l'ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina. Secondo un comunicato congiunto dell'Alto Rappresentante e del Consiglio per l'attuazione della pace (PIC), la risoluzione dell'attuale crisi costituzionale in Bosnia-Erzegovina è lasciata alle istituzioni centrali. Al momento, le reazioni istituzionali continuano a provenire dagli organi giudiziari, attraverso le sentenze della Corte costituzionale che sospendono le leggi dell'entità serba e il lavoro dell'Ufficio del Procuratore Generale. Quest'ultimo ha recentemente avviato un'indagine contro Milorad Dodik, Radovan Višković (il primo ministro dell'entità serba) e Nenad Stevandić (il presidente dell'Assemblea nazionale), sospettati di aver agito contro l'ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina ai sensi dell'articolo 156, paragrafo 1, del codice penale della Bosnia-Erzegovina. Mentre l'indagine era ancora in corso, Dodik ha lasciato il paese per recarsi in visita ufficiale in diversi paesi (tra cui Russia e Israele), una decisione alla quale la Corte della Bosnia-Erzegovina ha risposto chiedendo all'Interpol di emettere una segnalazione rossa per l'arresto di Milorad Dodik.[12] La decisione dell'Interpol di non approvare la red notice e la riluttanza generale della polizia locale ad arrestare Dodik sono state giustificate dalla necessità di evitare potenziali scontri e contenere le proteste in un contesto già piuttosto teso. Alla fine, all'inizio di luglio, Dodik e gli altri due indagati si sono presentati “volontariamente” davanti alla Corte della Bosnia-Erzegovina, che ha deciso di revocare la loro custodia cautelare e ha imposto loro una misura restrittiva che prevede l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità statali.
L'invito dell'Alto rappresentante e del PIC alle istituzioni va nella direzione di ridurre l'intervento internazionale e facilitare la local ownership, una tendenza che è stata lentamente attuata in Bosnia-Erzegovina negli ultimi anni. Resta da vedere se anche le istituzioni politiche, e non solo quelle giudiziarie, accoglieranno l'invito. Quel che è certo è che le corti hanno dimostrato ancora una volta il loro impegno a riaffermare il quadro giuridico emerso dalla transizione costituzionale, basato soprattutto sullo Stato di diritto e sul rispetto della natura multietnica della Bosnia-Erzegovina. La sentenza analizzata dimostra infatti che la Corte della Bosnia-Erzegovina intende difendere la sovranità e l'integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina dagli attacchi della Republika Srpska, ribadendo che i principi che regolano l'ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina non possono essere ignorati o ignorati dalla leadership politica.
[1] Court of Bosnia and Herzegovina, S1 2 K 046070 23 Ko Milorad Dodik et al., 26 February 2025.
[2] Law on Court of Bosnia and Herzegovina (Official Gazette of Bosnia and Herzegovina, 49/09).
[3] Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, Case U-10/22, 22 September 2022; Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, Case U-5/23, 2 March 2023.
[4] See Alex Schwartz, International Judges on Constitutional Courts: Cautionary Evidence from Post-Conflict Bosnia, 44 Law Soc. Inq. 1 (2019).
[5] Dayton Peace Agreement – Annex No. 10, Art. II, para. 26 and Art. V.
[6] See for example Resolution No. 2549 of 2020, adopted by the UN Security Council on 11 May 2020.
[7] See Tim Banning, The ‘Bonn Powers’ of the High Representative in Bosnia Herzegovina: Tracing a Legal Figment, 6 Goettingen Journal of International Law 259 (2014).
[8] Official Gazette of Bosnia and Herzegovina, No. 47/23.
[9] See Court of Bosnia and Herzegovina, S1 2 K 046070 23 Ko Milorad Dodik et al., 26 February 2025.
[10] Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, Case U-7/25, 7 March 2025; Constitutional Court of Bosnia and Herzegovina, Cases U-6/25, U-7/25, U-8/25, 29 May 2025.
[11] Lidia Bonifati, Constitutional Design and the Seeds of Degradation in Divided Societies: The Case of Bosnia-Herzegovina, 19 European Constitutional Law Review 223 (2023).
[12] Una Hajdari, Bosnian Serb Leader Appears in Moscow as Authorities Step Up in Pursuit, Politico.eu, 1 April 2025.
[13] [traduzione italiana con DeepL]
[1] Corte della Bosnia-Erzegovina, S1 2 K 046070 23 Ko Milorad Dodik et al., 26 febbraio 2025.
[2] Legge sulla Corte della Bosnia-Erzegovina (Gazzetta ufficiale della Bosnia-Erzegovina, 49/09).
[3] Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, causa U-10/22, 22 settembre 2022; Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, causa U-5/23, 2 marzo 2023.
[4] Cfr. Alex Schwartz, International Judges on Constitutional Courts: Cautionary Evidence from Post-Conflict Bosnia, 44 Law Soc. Inq. 1 (2019).
[5] Accordo di pace di Dayton – Allegato n. 10, art. II, paragrafo 26 e art. V.
[6] Cfr. ad esempio la risoluzione n. 2549 del 2020, adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l'11 maggio 2020.
[7] Cfr. Tim Banning, The ‘Bonn Powers’ of the High Representative in Bosnia Herzegovina: Tracing a Legal Figment, 6 Goettingen Journal of International Law 259 (2014).
[8] Gazzetta ufficiale della Bosnia-Erzegovina, n. 47/23.
[9] Cfr. Corte della Bosnia-Erzegovina, S1 2 K 046070 23 Ko Milorad Dodik et al., 26 febbraio 2025.
[10] Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, causa U-7/25, 7 marzo 2025; Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, cause U-6/25, U-7/25, U-8/25, 29 maggio 2025.
[11] Lidia Bonifati, Constitutional Design and the Seeds of Degradation in Divided Societies: The Case of Bosnia-Herzegovina, 19 European Constitutional Law Review 223 (2023).
[12] Una Hajdari, Bosnian Serb Leader Appears in Moscow as Authorities Step Up in Pursuit, Politico.eu, 1 aprile 2025.
La storia della lotta alla mafia siciliana si è svolta principalmente a Palermo, ma non solo a Palermo. È una storia corale, di cui ogni zolla di terra di quest'isola è intrisa. In ogni città, qualcuno potrà dire, o testimoniare, qualcosa. E se, ad esempio, si andasse a Cefalù, subito verrebbe detto, da chiunque, che da lì venivano ben tre giudici popolari del maxi-processo di Palermo, di cui una titolare: Teresa Cerniglia, che firmò assieme agli altri giudici la prima vera condanna a morte di Cosa nostra. E poiché l'eredità di Falcone e Borsellino è specifica - perché specifico è il fenomeno criminale che contrastavano con le armi del diritto - ma in questa specificità è comunque immensa, per ricostruirla traendone una delle molteplici chiavi di lettura si può partire da un punto qualsiasi: Cefalù, per esempio.
Ci sono stato, l'ultima volta, lo scorso 23 maggio, per la commemorazione della strage di Capaci - appunto. Quel pomeriggio arrivavo da Roma, e all'aeroporto di Fiumicino avevo notato - forse già c'era, ma non l'avevo mai notata prima - una installazione artistica. È una enorme palla realizzata con dei fogli accartocciati. Sapete quando si scrive su di un foglio, si sbaglia e poi lo si accartoccia per gettarlo nel cestino? L'opera si chiamava, non a caso, Daniele Sigalot, Master of Mistakes, 2022 Lacca acrilica su alluminio: maestro degli errori.
Cosa c'entrava questo con Cefalù, la Sicilia, le stragi di mafia?
Per me Cefalù, la città immobile perché paga della sua magnificenza arabo-normanna, è la Sicilia. Ma la Sicilia è, per me come per tutti, anche la strage di Capaci, la strage di via d'Amelio.
Questo termine bivalente - Cefalù, le stragi mafiose; la bellezza, l'orrore - è una contraddizione profonda, una ferita inguaribile; del resto, la Sicilia è, forse più d'ogni altra, la terra delle contraddizioni, delle ferite aperte. Non era forse Leonardo Sciascia che, riferendosi al ritratto di Antonello del Museo Mandralisca, punto d'orgoglio di Cefalù, diceva che egli può assomigliare a chiunque: a un nobile o un plebeo, a un notaro o a un contadino, a un uomo onesto o ad un mafioso? Forse perché, contraddittoriamente, egli è tutte queste cose; ed io ho sempre pensato che quel quadro fosse l'emblema dello spirito siciliano.
Delle nostre contraddizioni, non ci libereremo mai.
Immagino le contraddizioni come i fogli accartocciati di quell'opera esposta a Fiumicino. La contraddizione, aristotelicamente parlando, è un errore che non ci appartiene, e che per questo gettiamo via. Ma tutti noi sappiamo che le nostre vite sono segnate dalle contraddizioni, e che in quei fogli di carta ci sono anche le nostre vite.
E, passando dalle nostre piccole miserie ai grandi esempi di impegno civile consegnati per sempre alla Storia, in quei fogli di carta immagino anche le vite di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, ma anche di Francesca Morvillo e di tutti i loro agenti di scorta, le cui esistenze sono state troncate dalla più feroce e profonda contraddizione di questa terra: la mafia. La loro coerenza, nello spirito di servizio, nel senso del dovere condotto fino al sacrificio, è stata la risposta alla più abominevole contraddizione di questa terra.
A Cefalù, quell'ultima volta che ci sono stato, ho ricordato, commemorato; ma mi sono reso anche conto che serve uno sforzo ulteriore, che vada oltre la giornata listata a lutto. Serve una quotidiana riflessione su noi stessi.
Credo che ognuno di noi debba sempre avere davanti il proprio Master of Mistakes: l'enorme palla in cui finiscono le nostre contraddizioni. Averle davanti, così plasticamente raffigurate, può aiutarci a rimanere coerenti fino in fondo, nella scelta che si compie, ogni giorno: ogni giorno siamo infatti chiamati a scegliere da che parte stare, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Loro, però, ne erano perfettamente consapevoli.
Sono convinto che quel Master of Mistakes ce l'avesse sempre davanti Giovanni Falcone, e Paolo Borsellino, consapevoli delle profondissime contraddizioni che fratturavano la Sicilia e il popolo siciliano - persino loro stessi - e originavano il male assoluto della mafia: questo, credo, li aiutava a rimanere coerenti, nella scelta che compivano ogni giorno.
Immagine: Daniele Sigalot, Master of Mistakes, lacca acrilica su alluminio, 2022.
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