La storia della lotta alla mafia siciliana si è svolta principalmente a Palermo, ma non solo a Palermo. È una storia corale, di cui ogni zolla di terra di quest'isola è intrisa. In ogni città, qualcuno potrà dire, o testimoniare, qualcosa. E se, ad esempio, si andasse a Cefalù, subito verrebbe detto, da chiunque, che da lì venivano ben tre giudici popolari del maxi-processo di Palermo, di cui una titolare: Teresa Cerniglia, che firmò assieme agli altri giudici la prima vera condanna a morte di Cosa nostra. E poiché l'eredità di Falcone e Borsellino è specifica - perché specifico è il fenomeno criminale che contrastavano con le armi del diritto - ma in questa specificità è comunque immensa, per ricostruirla traendone una delle molteplici chiavi di lettura si può partire da un punto qualsiasi: Cefalù, per esempio.
Ci sono stato, l'ultima volta, lo scorso 23 maggio, per la commemorazione della strage di Capaci - appunto. Quel pomeriggio arrivavo da Roma, e all'aeroporto di Fiumicino avevo notato - forse già c'era, ma non l'avevo mai notata prima - una installazione artistica. È una enorme palla realizzata con dei fogli accartocciati. Sapete quando si scrive su di un foglio, si sbaglia e poi lo si accartoccia per gettarlo nel cestino? L'opera si chiamava, non a caso, Daniele Sigalot, Master of Mistakes, 2022 Lacca acrilica su alluminio: maestro degli errori.
Cosa c'entrava questo con Cefalù, la Sicilia, le stragi di mafia?
Per me Cefalù, la città immobile perché paga della sua magnificenza arabo-normanna, è la Sicilia. Ma la Sicilia è, per me come per tutti, anche la strage di Capaci, la strage di via d'Amelio.
Questo termine bivalente - Cefalù, le stragi mafiose; la bellezza, l'orrore - è una contraddizione profonda, una ferita inguaribile; del resto, la Sicilia è, forse più d'ogni altra, la terra delle contraddizioni, delle ferite aperte. Non era forse Leonardo Sciascia che, riferendosi al ritratto di Antonello del Museo Mandralisca, punto d'orgoglio di Cefalù, diceva che egli può assomigliare a chiunque: a un nobile o un plebeo, a un notaro o a un contadino, a un uomo onesto o ad un mafioso? Forse perché, contraddittoriamente, egli è tutte queste cose; ed io ho sempre pensato che quel quadro fosse l'emblema dello spirito siciliano.
Delle nostre contraddizioni, non ci libereremo mai.
Immagino le contraddizioni come i fogli accartocciati di quell'opera esposta a Fiumicino. La contraddizione, aristotelicamente parlando, è un errore che non ci appartiene, e che per questo gettiamo via. Ma tutti noi sappiamo che le nostre vite sono segnate dalle contraddizioni, e che in quei fogli di carta ci sono anche le nostre vite.
E, passando dalle nostre piccole miserie ai grandi esempi di impegno civile consegnati per sempre alla Storia, in quei fogli di carta immagino anche le vite di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, ma anche di Francesca Morvillo e di tutti i loro agenti di scorta, le cui esistenze sono state troncate dalla più feroce e profonda contraddizione di questa terra: la mafia. La loro coerenza, nello spirito di servizio, nel senso del dovere condotto fino al sacrificio, è stata la risposta alla più abominevole contraddizione di questa terra.
A Cefalù, quell'ultima volta che ci sono stato, ho ricordato, commemorato; ma mi sono reso anche conto che serve uno sforzo ulteriore, che vada oltre la giornata listata a lutto. Serve una quotidiana riflessione su noi stessi.
Credo che ognuno di noi debba sempre avere davanti il proprio Master of Mistakes: l'enorme palla in cui finiscono le nostre contraddizioni. Averle davanti, così plasticamente raffigurate, può aiutarci a rimanere coerenti fino in fondo, nella scelta che si compie, ogni giorno: ogni giorno siamo infatti chiamati a scegliere da che parte stare, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Loro, però, ne erano perfettamente consapevoli.
Sono convinto che quel Master of Mistakes ce l'avesse sempre davanti Giovanni Falcone, e Paolo Borsellino, consapevoli delle profondissime contraddizioni che fratturavano la Sicilia e il popolo siciliano - persino loro stessi - e originavano il male assoluto della mafia: questo, credo, li aiutava a rimanere coerenti, nella scelta che compivano ogni giorno.
Immagine: Daniele Sigalot, Master of Mistakes, lacca acrilica su alluminio, 2022.