Signor Ministro,
mi permetto di scriverLe nuovamente. In nome della nostra trascorsa lunga colleganza in magistratura sarò schietta come la volta precedente, pur avendo forti dubbi che Ella mi legga e ancor più che risponda a questa mia.
Le chiedo di comprendere la mia incapacità di frenare l’indignazione: la realtà è che le Sue parole continuano a stupirmi e a ferirmi, tanto che mi pongo continuamente il quesito: “Ma come è possibile che un ex magistrato ragioni così?”
Sarò più specifica. Orribile quel suo richiamo al detto latino hic manebimus optime: una chiara ammissione del Suo compiacimento per la carica che riveste e della tranquilla certezza che niente e nessuno potrà allontanarLa da via Arenula.
Il Suo commento alla relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione sul Decreto legge sicurezza, definita come “un intervento che ritengo irriverente, improprio e imprudente”, e la Sua richiesta agli uffici ministeriali di acquisire informazioni sui modi di pubblicazione e diffusione del testo denotano una totale mancanza di considerazione della natura e delle funzioni di quell’importante articolazione della Corte di Cassazione.
E non posso non ricordare il Suo consiglio alle donne in pericolo di aggressione di trovare rifugio nelle chiese e nelle farmacie, quali luoghi dotati di particolare efficacia dissuasiva.
Ancora, la frase, che leggo virgolettata sui giornali, “che un magistrato si permetta di censurare su un giornale le cose che ho fatto, in qualsiasi paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri”, appare un condensato di arroganza e di irrisione ai diritti fondamentali delle persone, anche se sono magistrati.
Più sconcertante la recente affermazione: “il sovraffollamento è una forma di controllo sui suicidi”. Se non fossi convinta della Sua buona fede ravviserei in quelle parole un cinismo agghiacciante e una spietata manipolazione della realtà, tenuto conto che proprio la disumanità delle condizioni di vita in celle sovraffollate può essere un elemento scatenante di scelte estreme.
Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui, formulando un’ultima riflessione e un auspicio. La riflessione attiene al fatto che qui non si tratta soltanto di parole più o meno in libertà, ma di concetti e messaggi ai cittadini che riflettono una certa idea della giurisdizione, del rapporto tra giurisdizione e politica, del ruolo della magistratura.
L’auspicio trae spunto dall’invito da Lei rivolto ai magistrati a “pensarci dieci volte prima di mettere una persona in catene”: un’analoga cautela nell’esternare pubblicamente il Suo pensiero potrebbe essere di aiuto, sempre “per onorare quella toga che non si dismette mai”.
La prima Lettera di Gabriella Luccioli al Ministro della Giustizia è del 10 marzo 2025 e si può leggere qui.