La Corte costituzionale, in una lontana sentenza del 1976 (sent. 226/1976), scritta dalla sua penna più autorevole (Crisafulli), riconobbe alla Corte dei conti, in sede di controllo preventivo sugli atti del Governo, la qualità di giudice.
Spiega la sentenza: «procedendo al controllo sugli atti del Governo, la Corte dei conti applica le norme di legge da cui questi sono disciplinati, ammettendoli al visto e registrazione, soltanto se ad esse conformi: di tal che, essendo strettamente vincolata dalle leggi in vigore, potrebb'essere costretta, in pratica, a rifiutare il visto quando l'atto contrasti con norme pur di dubbia costituzionalità, o viceversa ad apporlo anche ove sia stato adottato sulla base e nel rispetto di norme, che siano, a loro volta, di dubbia costituzionalità. Nell'una e nell'altra ipotesi, la situazione è, dunque, analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono». E aggiunge: «anche se il procedimento svolgentesi davanti alla Sezione di controllo non è un giudizio in senso tecnico-processuale, è certo tuttavia che, ai limitati fini dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede svolta dalla Corte dei conti è, sotto molteplici aspetti, analoga alla funzione giurisdizionale, piuttosto che assimilabile a quella amministrativa, risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico. Il controllo effettuato dalla Corte dei conti è un controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato, volto unicamente a garantire la legalità degli atti ad essa sottoposti, e cioè preordinato a tutela del diritto oggettivo, che si differenzia pertanto nettamente dai controlli c.d. amministrativi, svolgentisi nell'interno della pubblica Amministrazione». La conclusione è chiara: la Corte dei conti, in sede di registrazione, può sollevare la questione di legittimità della legge che autorizza l’emanazione dell’atto sottoposto al suo giudizio, se ne sospetta l’incostituzionalità.
Fu una sentenza clamorosa, che provocò un’aspra reazione parlamentare. La antica concezione della Corte dei conti come organo ausiliario che serve al Parlamento per conoscere il processo di attuazione delle proprie leggi – concezione di cui è erede anche la qualificazione ad essa attribuita dall’art. 100.2 Cost. – veniva ormai superata dal riconoscimento della funzione giurisdizionale del procedimento di registrazione. La drastica reazione parlamentare si concretizzò in tre proposte di revisione delle norme sulla giustizia costituzionale, di cui una rivolta a introdurre uno specifico divieto alla Corte costituzionale di sollevare questione incidentale in alcuni procedimenti tra cui quello di registrazione degli atti del Governo (cfr. Bin e Bergonzini, La Corte costituzionale in Parlamento, in "Effettività" e "seguito" delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Napoli 2006, pp. 215 ss.). Nessuna di queste iniziative legislative andò però a segno, ma una sorta di self restraint sconsigliò alla Corte dei conti di ripetere l’esperienza. Della sentenza del 1976 si trova traccia solo in qualche rara decisione della Corte costituzionale, priva però di rilevanza se non per la conferma del principio ivi introdotto (si veda la sent. 406/1989). Perciò il principio è rimasto fermo e la Corte dei conti ne è ben consapevole, visto che la sentenza 226 è citata nella pagina in cui essa illustra la funzione di controllo preventivo ad essa attribuita (https://www.corteconti.it/Home/Attivita/Controllo).
Attribuire alla Corte dei conti in sede di controllo di legittimità sugli atti del Governo la funzione di giudice ha una conseguenza di grande importanza sull’esito di tale controllo. Nel caso in cui essa si trovi a riesaminare un atto che il Governo decida di riapprovare, la registrazione con riserva (che permette all'atto di "aver corso", ma con l'obbligo di segnalare il problema alle Camere) non è l’unica via che si prospetti alle Sezioni unite della Corte dei conti se permangono i dubbi di legittimità dell’atto: esse possono bloccare il procedimento agendo come “giudice”, e quindi impugnando la legge che fonda l’atto governativo sottoposto a controllo, per farne valere gli eventuali vizi di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale; ma può anche agire come “giudice di ultima istanza”, investendo la Corte di giustizia dell’Unione europea della questione di interpretazione delle norme europee che appaiano in un insanabile contrasto con le singole misure contenute nell’atto del Governo.
In conclusione, la vicenda del ponte sullo Stretto appare ancora lontana da una conclusione definitiva. Che il Governo possa riapprovare con le dovute motivazioni la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile – CIPESS, puntando alla registrazione con riserva, la Corte dei conti può sospendere il suo giudizio e a) sollevare la questione di legittimità dell’atto legislativo che fonda e disciplina l’intera procedura, ossia del decreto-legge 31 marzo 2023, n. 35 (Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria), come convertito dalla legge 58/2023 e in seguito più volte modificato; oppure b) proporre una questione pregiudiziale di interpretazione alla Corte di giustizia per quei profili ambientali, già denunciati alla Commissione UE dalle associazioni ambientalistiche, e per la questione dell’affidamento dei lavori a WeBuild senza una nuova gara, in violazione della normativa europea sugli appalti. In entrambi i casi la Corte dei conti dovrebbe sospendere la registrazione della delibera CIPESS per tutto il tempo necessario alla decisione del giudice a cui essa si è rivolta.
In questo modo la Corte dei conti giocherebbe d’anticipo, rispetto alla possibile attivazione della Commissione UE attraverso le modalità (e con i tempi) di una procedura d’infrazione avviata contro l’Italia: si impedirebbe così la posa della “prima pietra” e si scongiurerebbe il rischio che essa resti l’ennesimo scempio dell’ambiente naturale a causa di un’opera incompiuta.
Sullo stesso tema su questa Rivista si veda anche:
Il ponte sullo stretto: la delibera della corte dei conti e le ragioni dell’illegittimità
Ponte sullo Stretto di Messina e Corte dei conti: il presidio della legalità finanziaria tra presente e futuro di Sergio Foà
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