1. In data 27 novembre 2025 è stata depositata la deliberazione n. SCCLEG/19/2025/PREV, con cui la Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato ha dichiarato non conforme a legge la delibera n. 41/2025 del CIPESS, adottata il 6 agosto 2025, avente ad oggetto “Collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria: assegnazione risorse FSC ai sensi dell’articolo 1, comma 273-bis, della legge n. 213 del 2023 e approvazione, ai sensi dell’articolo 3, commi 7 e 8, del decreto legge n. 35 del 2023, del progetto definitivo e degli atti di cui al decreto-legge n. 35 del 2023”.
2. La decisione dei magistrati contabili poggia su di un articolata esposizione di argomenti, in fatto e in diritto, preceduti, questi ultimi, dall’indicazione delle coordinate entro le quali ascrivere il controllo preventivo di legittimità, assegnato dall’art.100 della Costituzione alla Corte dei conti, quale organo magistratuale terzo e indipendente, a tutela dell’interesse generale alla legittimità dell’attività pubblica.
3. Si vuole quindi riassumere brevemente i contenuti di tale deliberazione, che pure si caratterizza per chiarezza, concisione e facilità di lettura, richiamando, prima di tutto, le premesse in fatto, dove si sintetizzano i passaggi in cui si è articolata l’ampia e complessa vicenda a monte, sviluppatasi nell’arco di quasi 57 anni, e quelli che hanno scandito l’istruttoria condotta dall’Ufficio di controllo, improntata ad estrema celerità per venire incontro alle esigenze rappresentate dalla stessa amministrazione.
4. Nella parte in diritto, il Collegio, preliminarmente, ha inquadrato il contesto entro il quale era chiamato a pronunciarsi, evidenziando che la funzione intestatagli, qualora abbia ad oggetto, come nel caso di specie, provvedimenti relativi a investimenti pubblici infrastrutturali, viene esercitata anche al fine di intervenire preventivamente su aspetti procedurali suscettibili di incidere negativamente sulla realizzazione dell’opera, una volta avviata.
5. La delibera, poi, ha affrontato analiticamente le illegittimità inficianti il provvedimento esaminato, anticipando che, data l’importanza strategica dell’opera e le risorse pubbliche alla stessa destinate, si era tenuto conto essenzialmente delle violazioni della normativa eurounitaria e di altri aspetti maggiormente significativi.
5.1. La Sezione, in primo luogo, si è soffermata sulla violazione della direttiva 92/43/CE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (c.d. direttiva “Habitat”), riferendo sui profili di difformità emersi in esito alla valutazione incidentale della deliberazione del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2025, di approvazione della c.d. “relazione IROPI”, non direttamente sottoposta al controllo ma rilevante quale atto endoprocedimentale inserito nella sequenza rivolta all’approvazione del progetto definitivo (l’adozione della delibera aveva consentito di superare la valutazione di incidenza negativa resa dalla competente Commissione tecnica di impatto ambientale con il parere n. 19/2024, proseguendo l’iter volto all’approvazione del progetto definitivo senza dover acquisire il previo parere della Commissione europea, sostituito da una mera informativa). Al fine di dar conto delle ragioni esposte dalle amministrazioni, si è chiarito che l’asserito carattere “politico” dell’atto non lo schermava dal sindacato (incidentale) della sua legittimità, trattandosi di una valutazione di incidenza ambientale espressione di esercizio di discrezionalità tecnica oltre che amministrativa: anzi, proprio la commistione fra la scelta politica - che, per essere consapevole, doveva seguire ad un provvedimento avente ad oggetto il contemperamento fra gli interessi coinvolti e l’applicazione di regole tecniche – e la decisione amministrativa, attestava un esercizio irregolare e non ordinato delle competenze proprie degli organi coinvolti. La Corte, quindi, ha esaminato gli aspetti tecnici e amministrativi della delibera, raffrontandoli con i parametri di riferimento, rinvenuti, in assenza di una normativa disciplina interna, nelle linee guida nazionali per la VlncA, predisposte nell’ambito dell’attuazione della Strategia nazionale per la biodiversità 2011-2020, finalizzate a rendere omogenea, a livello nazionale, l'attuazione dell'art. 6, paragrafi 2, 3 e 4, della c.d. “direttiva Habitat”, che individuano quali aspetti essenziali delle valutazioni rimesse alle amministrazioni l’aver accertato, da un lato, l’assenza di soluzioni alternative a progetti che incidono su zone speciali di conservazione e, dall’altro, la sussistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Nel caso di specie, entrambi gli aspetti sono stati risultatati connotati da significative criticità, tanto più in considerazione delle peculiarità ambientali del sito eventualmente inciso dall’opera ascrivibile alla Rete Natura 2000, trasmodanti in profili di illegittimità dell’atto assoggettato a controllo.
5.2. Il profilo della ricerca di eventuali soluzioni alternative è stato scrutinato in base a precisi criteri sostanziali, incentrati sulla tutela dell’ambiente, in base ai quali andavano individuate tutte le varie alternative, confrontate alla luce dei loro effetti sull’habitat e sulle specie presenti in misura significativa nel sito e sui relativi obiettivi di conservazione nonché sull'integrità del sito stesso, con puntuale descrizione e quantificazione delle rispettive incidenze. Ciò posto, l’esame degli atti che avrebbero dovuto dimostrare che l’amministrazione si era fatta carico di una siffatta complessa analisi ha evidenziato, invece, che i predetti criteri non erano stati soddisfatti. In particolare, il parere CTVA n. 19/2024 si era limitato a riportare la descrizione delle alternative ragionevoli prevista nell’ambito dello studio di fattibilità che il proponente doveva presentare unitamente all’istanza di VIA (così come inserita nei formulari predisposti dalla SdM ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) e la “relazione IROPI”, assiomaticamente, aveva definito il Ponte l’unico mezzo a disposizione per “soddisfare le necessità minimizzando gli impatti ambientali”. In sostanza, la mancata dimostrazione dell’effettivo esame di tutte le scelte alternative alla costruzione del ponte ha comportato l’impossibilità di affermare l’insussistenza di una soluzione alternativa, come preteso dal diritto unionale.
5.3. Sul versante del riscontro delle ragioni di interesse pubblico sono emerse carenze non dissimili. La delibera del Consiglio dei ministri la cui adozione aveva consentito di prescindere dall’acquisizione del formale parere della Commissione europea, sostituendola con una mera informativa, infatti, è apparsa priva di riferimenti ad un’adeguata istruttoria, che avrebbe dovuto essere svolta dalle strutture tecnico-amministrative dei ministeri competenti, non risultando supportata dalle valutazioni di organi tecnici e da una congrua documentazione giustificativa del ricorso alla procedura in deroga. Le obiezioni della Sezione, peraltro, risultano suffragate dalla corrispondenza intercorsa fra l’amministrazione statale e la Commissione europea, la cui trasmissione, pur sollecitata nel corso dell’istruttoria, ha coinciso con l’adunanza esitata con il provvedimento in commento.
5.4. Il contrasto fra il diritto eurounitario e l’atto scrutinato riguarda un ulteriore aspetto, determinante una seconda illegittimità, anch’essa già di per sé sufficiente a condurre alla ricusazione del visto. La Sezione, infatti, ha riscontrato la violazione dell’art. 72 della direttiva n. 2014/24/UE (c.d. “direttiva Appalti”), che subordina la possibilità di modificare un contratto senza necessità di nuova procedura concorrenziale alla presenza di precisi requisiti oltre che all’osservanza del limite del 50% dell’eventuale aumento del prezzo rispetto al valore inizialmente fissato. Le condizioni richieste dalla direttiva (applicabile al caso di specie sia in quanto espressione di principi di portata generale, già previsti nella direttiva 2004/18/CEE sotto la cui vigenza è stata indetta la gara iniziale, sia avuto riguardo all’epoca della stipula dell’atto aggiuntivo sottoscritto ai sensi dell’art. 4 del D.L. n. 35/2023) non sono state riscontrate dal Collegio, che, a seguito di un esame approfondito degli atti e delle spiegazioni offerte dalle amministrazioni, invece, ha ritenuto che fossero integrati i presupposti di cui al combinato disposto del paragrafo 1, lett. e) e del paragrafo 4 dell’art. 72, dai quali discende la necessità di un nuovo confronto concorrenziale. Ciò in quanto l’originario programma contrattuale aveva subito modificazioni integranti un mutamento dell’operazione economica favorevole ai soggetti aggiudicatari, conseguendone che le mutate condizioni avrebbero attratto ulteriori soggetti interessati a partecipare ad una procedura di gara proposta nei più vantaggiosi termini attuali. Tale conclusione poggia su plurimi elementi: si è passati dal ricorso alla finanza di progetto, con risorse da reperire sui mercati internazionali (tentativo, peraltro, naufragato nel 2012) al finanziamento pubblico integrale dell’opera; sono stati innovati anche i criteri di aggiornamento del corrispettivo; la quota di prefinanziamento è stata interessata da oscillazioni di significativa entità, che si riferiscono pedissequamente per meglio rendere il senso del ragionamento della Sezione: “il bando di gara prevedeva il prefinanziamento, a carico del Contraente generale, per una quota pari almeno al 10%, e non superiore al 20%, assegnando a detto requisito un punteggio pari a 5 punti; il Contraente generale si è aggiudicato il contratto proponendo per tale requisito il 15%. L’accordo integrativo del 2009 lo ha ridotto al 10% e ha assegnato a SdM la possibilità di ridurre ulteriormente la quota fino al limite del 5%.” Quanto al rispetto del vincolo del 50%, sembra oltremodo significativo richiamare le ragioni che hanno impedito ai magistrati contabili di verificarne l’osservanza: il calcolo della percentuale andava rapportato ad un valore complessivo non determinabile in ragione dell’incerta definizione dei costi dell’opera, in parte meramente stimati e della mancata contrattualizzazione di altre voci ricomprese nel quadro economico dell’opera (si fa riferimento, a titolo esemplificativo, ai “costi dei lavori indicati nella relazione del progettista per 787 milioni di euro”). Per finire: la corrispondenza fra l’amministrazione e la Direzione generale della Commissione europea in merito alla criticità in oggetto, pur se richiesta in via istruttoria, non è stata resa disponibile dall’amministrazione neppure in occasione dell’adunanza in quanto di carattere informale ed in ossequio a regole di “cortesia istituzionale.”
5.5. Da ultimo, è stata accertata la violazione degli artt. 43 e 37 del D.L. n. 201/2011, derivante dall’esclusione dell’Autorità di regolazione dei Trasporti (ART) dalla procedura di approvazione del Piano Economico Finanziario, con specifico riguardo al relativo sistema tariffario, ritenuta contrastante con l’ampia attribuzione di competenze ad opera del richiamato art. 37, confermata dalla interpretazione offertane dalla giurisprudenza amministrativa, coerente con i principi desumibili dalla direttiva (UE) 2022/362.
6. Le ragioni della ricusazione, a questo punto, risultano ampiamente delineate. Tuttavia, la Corte - dopo aver motivato diffusamente la ricorrenza del triplice ordine di illegittimità sopra illustrato, inerente, fra l’altro, al contrasto dell’atto con normativa unionale relativa al rispetto degli habitat naturali e ai principi di trasparenza e di tutela della concorrenza - ha elencato una serie di altre criticità, oggetto di una più sintetica valutazione, dato il carattere assorbente delle precedenti considerazioni.
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