Paesi sicuri e categorie di persone “insicure”: un binomio possibile? Il Tribunale di Firenze propone rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE
Commento a Trib. Firenze, Sez. specializzata protezione internazionale, ordinanze del 15 maggio 2024
di Cecilia Siccardi
Sommario: 1. Premessa: i casi da cui ha origine il rinvio pregiudiziale; 2. Alla ricerca di una ratio della designazione di Paesi sicuri con eccezioni di gruppi di persone: evoluzione normativa e prassi degli Stati membri; 3. I rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia UE e il “punto di vista” del Tribunale di Firenze; 4. Paesi sicuri, eccezioni personali e l’art. 10, comma 3 della Costituzione; 5. Un’altra possibile via? La questione di costituzionalità.
1. Premessa: i casi da cui ha origine il rinvio pregiudiziale
Con due distinte ordinanze il Tribunale di Firenze ha proposto, nel maggio 2024[1], due rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia concernenti l’interpretazione del diritto Ue su un aspetto specifico della disciplina dei Paesi sicuri.
Le due ordinanze, motivate in modo pressoché identico, sono state adottate nell’ambito di due giudizi su ricorsi avverso dinieghi delle Commissioni territoriali alle domande di protezione internazionale per manifesta infondatezza, intrapresi a seguito di procedure accelerate, ai sensi dell’art. 28-bis, comma 2 lett. c) del d.lgs. 25/2008.
Le procedure accelerate riguardano ricorrenti provenienti, in un caso dalla Nigeria e nell’altro caso dalla Costa d’Avorio, entrambi Paesi considerati di origine sicuri, ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008[2].
Nigeria e Costa D’Avorio sono stati aggiunti nella lista dei Paesi sicuri dal D.M. del 23 maggio del 2023 e, pur apparendo “in possesso delle caratteristiche necessarie per essere definiti sicuri”[3], rientrano tra quei Paesi che, come consentito dall’art. 2-bis, comma 2 del d.lgs. 25/2008, sono stati disegnati tali ad eccezione “di categorie di persone”[4].
Le categorie escluse dalla presunzione di sicurezza non vengono espressamente menzionate nel D.M. del 17 maggio 2023, bensì nelle “Schede Paese” redatte dagli Uffici territoriali competenti del Ministero degli Affari esteri che monitorano la situazione locale. Tali schede precisano che Nigeria e Costa d’Avorio possono essere considerati “sicuri” solo “tenendo conto di situazioni di particolare criticità e rischi di involuzione della situazione”[5].
Pertanto, le schede individuano alcune eccezioni di categorie di persone per le quali non può vigere una presunzione di sicurezza, quali i detenuti, i giornalisti, le vittime di discriminazione sulla base all’appartenenza di genere, incluse vittime e potenziali vittime di mutilazione genitale femminile, le persone con disabilità, gli albini e siero positivi, la comunità LGBTQ+.
La previsione di tali eccezioni ha delle conseguenze sulle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, poiché le domande presentate da persone appartenenti a tali categorie dovrebbero evitare l’esame accelerato di cui all’art. 28-bis, comma 2 lett. c) del d.lgs. 25/2008 ed essere trattate secondo quello ordinario.
Le ragioni che hanno convinto gli Uffici territoriali del Ministero a estromettere tali categorie di persone dalla presunzione di sicurezza del Paese si comprendono immediatamente leggendo le motivazioni delle schede Paese. Basta qui riportarne alcuni stralci significativi.
Così in Nigeria:
“La violenza domestica sulle donne è diffusa nel Paese e non esiste una legislazione volta alla prevenzione ed al suo contrasto. (…) Il Governo nigeriano ha altresì approvato un piano strategico per porre fine ai matrimoni tra minori entro il 2030, tuttavia la pratica risulta ancora piuttosto diffusa.
La comunità LGBT è stata oggetto di soprusi, minacce ed estorsioni, e forme di discriminazione anche gravi continuano a persistere, in particolare nelle aree rurali. Nel 2014 è stato emanato il Same Sex Marriage (Prohibition) Act che prevede ipotesi di reato penalmente perseguibili. Sono inoltre proibite le manifestazioni pubbliche di affetto tra persone dello stesso sesso”[6]
Così in Costa D’Avorio:
“La legge non affronta specificamente la violenza domestica e la violenza del partner o impone
pene speciali per questi atti. Al riguardo, le leggi non vengono applicate in modo efficace. I membri della famiglia e i leader della comunità spesso agiscono da “mediatori” nella gestione dei seguiti alle accuse di stupro, senza sentire la vittima, anzi provando a dissuadere le vittime dallo sporgere denuncia, per evitare conseguenze negative sulla famiglia, in particolare se l'autore dello stupro è legato alla vittima da rapporti di parentela”.
“Atteggiamenti di affetto espressi in pubblico tra persone dello stesso sesso sono suscettibili di azione penale, come crimine contro la moralità pubblica, con una pena fino a 2 anni di reclusione. I membri della comunità LGBT hanno denunciato discriminazioni anche nell'accesso all'assistenza sanitaria, così come sui posti di lavoro (con rifiuto nell’assunzione, licenziamenti ingiustificati praticati o impossibilità di carriera)”[7].
Leggendo tali stralci e il lungo elenco di categorie di persone a rischio di persecuzioni e violazioni di diritti, non stupisce che i ricorrenti abbiano contestato nei giudizi in commento la qualificazione della Nigeria e della Costa d’Avorio come Paesi di origine sicuri. Una domanda, infatti, sorge spontanea: può considerarsi davvero “sicuro” un Paese dove così tante categorie, che sono poi quelle tradizionalmente perseguitate e più bisognose di protezione, sono considerate “insicure”?
Per sciogliere tale quesito il Tribunale di Firenze ha deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia UE, domandando se il diritto dell’UE osti a normative nazionali che consentano la designazione di Paesi sicuri, con eccezioni di categorie personali (infra par. 3).
Le due ordinanze, che saranno commentante dalla prospettiva di una studiosa del diritto costituzionale, suscitano particolare interesse non solo perché aggiungono un tassello alla vivace e varia giurisprudenza sul sindacato giurisdizionale sulla lista dei Paesi sicuri[8] ma perché consentono di riflettere sulla portata attuale del diritto d’asilo alla luce del continuo evolversi del sistema comune europeo di asilo di recente oggetto di un’attesa riforma[9] (infra par. 2), e dell’art. 10, comma 3 della Costituzione italiana (infra par. 4 e 5).
2. Alla ricerca di una ratio della designazione di Paesi sicuri con eccezioni di gruppi di persone: evoluzione normativa e prassi degli Stati membri
Prima di analizzare più nel dettaglio le ragioni che hanno portato il Tribunale di Firenze a proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sembra importante ripercorre l’evoluzione normativa che ha portato all’introduzione della disciplina sui Paesi sicuri, cercando di comprendere le ragioni della norma che consente la designazione di Paesi sicuri con eccezioni di categorie di persone.
Come noto, la nozione di Paese di origine sicuro è stata disciplinata in prima battuta nell’ordinamento dell’Unione europea e poi, solo in un secondo momento, recepita nell’ordinamento nazionale[10].
A livello europeo tale concetto è stato disciplinato per la prima volta in modo vincolante dalla direttiva 2005/85/CE, la quale mirava - mediante l’attribuzione della facoltà agli Stati membri di designare una lista dei Paesi Sicuri e la creazione di una lista minima comune europea[11], poi ritenuta illegittima dalla Corte di giustizia[12] - ad armonizzare le diverse prassi esistenti in materia tra gli Stati membri[13].
Per quanto qui rileva, la predetta direttiva prevedeva una norma dedicata alla designazione di Paesi sicuri con eccezioni territoriali o personali. Con specifico riguardo alle eccezioni personali, l’art. 30 par. 3 precisava che queste potevano essere mantenute nelle legislazioni nazionali già in vigore al primo dicembre 2005. Di conseguenza, la direttiva escludeva implicitamente l’introduzione da parte degli Stati membri di nuove normative nazionali volte alla designazione di Paesi di origine sicuri con eccezioni personali, mirando a contenere il proliferare di prassi diverse tra gli Stati UE.
Tale obiettivo è stato perseguito ulteriormente mediante l’approvazione, nel 2013, dalla direttiva “procedure” 2013/32/UE.
La direttiva “procedure” - che si applica alle ordinanze in commento - pur disciplinando in termini dettagliati i contorni della nozione di Paese sicuro, la facoltà attribuita agli Stati di stilare una lista dei Paesi considerati sicuri, le conseguenze procedurali, non menziona la possibilità della designazione di un Paese sicuro con eccezioni di categorie di persone[14].
Anzi, l’allegato I della direttiva - che a norma dell’art. 37 indica i criteri per la designazione di un Paese di origine sicuro - stabilisce che un Paese è considerato sicuro “se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato”. Il riferimento all’assenza generale e costante di persecuzioni sembra escludere la possibilità per gli Stati di consentire la designazione di Paesi sicuri con eccezioni di categorie di persone a rischio; tanto più sembra escludere la designazione di Paesi sicuri con ampie liste di eccezioni, come nel caso di Nigeria e Costa di Avorio[15].
Nonostante il silenzio della direttiva 2013/32/UE in merito alla designazione dei Paesi sicuri con esclusioni personali, il legislatore italiano ha introdotto, di lì a poco, una previsione in tal senso nella disciplina nazionale sui Paesi sicuri.
Questa disciplina è stata introdotta in Italia, in sede di conversione del decreto sicurezza I (d.l. 113 del 2018, conv. con l. 132 del 2018), per mano di un emendamento del Governo[16], deciso ad adeguarsi ai dettami dell’Unione, mediante la previsione della lista dei Paesi sicuri e di procedure accelerate.
Leggendo i lavori parlamentari non si rinviene traccia però delle ragioni che hanno portato il Governo italiano a presentare, nel testo dell’emendamento, anche la possibilità di designazione di un Paese sicuro con eccezioni territoriali o di categorie di persone; norma che come visto non era più presente nelle direttive europee.
I rischi connessi a tale scelta sono emersi durante il dibattito parlamentare. Ciò si evince soprattutto dal tenore di alcuni emendamenti, presentanti da alcuni parlamentari dell’opposizione, e poi non approvati, durante i lavori in Commissione alla Camera dei Deputati. Tali emendamenti miravano a precisare che “la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone, a meno che le eccezioni non siano tali, per estensione o gravità, da compromettere la valutazione di sicurezza complessiva del Paese in questione”[17]. L’approvazione di tale specificazione avrebbe probabilmente scongiurato la designazione di Paesi sicuri, con numerose categorie escluse, come nel caso di Nigeria e Costa D’Avorio.
Analogamente all’Italia e nonostante il silenzio del legislatore europeo non sono pochi gli Stati membri che hanno mantenuto in vigore la designazione di Paesi di origine sicuri con eccezioni di gruppi di persone. Alcuni rapporti delle istituzioni europee ricostruiscono la situazione della disciplina dei Paesi sicuri tra gli Stati membri dando conto, ad esempio, che “le eccezioni per alcuni profili di richiedenti asilo sono spesso applicate a gruppi specifici e persone vulnerabili, in particolare: persone LGBTQI; minoranze come quelle religiose, persone albine, attivisti politici, difensori dei diritti umani, giornalisti, donne e bambine, vittime di violenza”[18].
La varietà delle eccezioni previste dagli Stati membri dimostra come la ratio di queste previsioni nazionali resti ambigua: tali eccezioni sembrano servire agli Stati per giustificare l’estensione della lista dei Paesi sicuri anche a quei Paesi (che magari figurano tra i primi di provenienza dei richiedenti asilo) nonostante la presenza di categorie a rischio.
Forse proprio la continua permanenza di soluzioni differenti nelle normative nazionali ha indotto il legislatore europeo a menzionarle nuovamente nel Regolamento (UE) 2024/1348 del 14 maggio 2024[19]. L’art. 61 par. 2 consente che “la designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale possa essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili”.
Dal momento in cui sarà applicato il regolamento, a partire dal 2026, occorrerà comprendere in quali casi una categoria può essere definita quale “chiaramente identificabile”.
La norma sembra voler limitare la previsione di eccezioni di categorie di persone la cui appartenenza non sia individuabile immediatamente e presupponga accertamenti complessi, non adatti alla procedura accelerata.
Ad esempio, potrebbero non essere classificati quali “chiaramente identificabili” l’appartenenza alla comunità lgbt+, poiché la verifica dell’orientamento sessuale è un accertamento delicato, le vittime di violenza, di tortura di tratta, i cui segni non sono sempre visibili o dichiarati immediatamente.
Al contrario sembrano “chiaramente identificabili” categorie quali le donne poiché il sesso è una caratteristica palese; o persone appartenenti ad un partito politico o ordine professionale in grado di dimostrarne l’iscrizione. La descritta novità normativa dovrebbe rendere più agevole l’individuazione di persone appartenenti a categorie “sicure” e categorie “insicure”, riducendo il margine di errore e indirizzando solo le prime alla procedura accelerata.
Nel contesto normativo descritto si collocano i rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia promossi dal Tribunale di Firenze, ai quali si applicano le norme della direttiva procedure 2013/32/UE, che nulla specificano riguardo a tali eccezioni.
3. I rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia UE e il “punto di vista” del Tribunale di Firenze
L’analisi del quadro normativo non chiarisce il dubbio interpretativo sulla compatibilità al diritto UE della designazione nazionale di Paese di origine sicuri con eccezioni personali, che il Tribunale di Firenze decide giustamente di sottoporre alla Corte di giustizia UE.
Prima di analizzare i dubbi di compatibilità tra la normativa nazionale e il diritto UE, il Tribunale di Firenze tiene a precisare alcune questioni preliminari.
Anzitutto ribadisce il potere del giudice di valutare la legittimità del presupposto della procedura accelerata, ovvero quello “della inclusione della Costa d’Avorio e della Nigeria nella lista dei Paesi di origine sicuri da parte dell’Italia”[20].
In secondo luogo, lo stesso Tribunale chiarisce le ragioni in base alle quali l’esito del predetto sindacato non è quello della disapplicazione del D.M. del 17 maggio 2023, come avvenuto in altri casi concernenti il mantenimento della Tunisia nell’elenco ministeriale.
Secondo il Tribunale la designazione di Paesi di origine sicuri, con eccezioni di categorie di persone, comporta una questione interpretativa del diritto UE, che non è possibile risolvere “senza interpellare la Corte di giustizia sulla corretta interpretazione degli articoli 36 e 37 della Direttiva”[21]. Tale questione interpretativa “non veniva in rilievo in precedenti casi esaminati da questo Collegio”[22], che hanno condotto alla disapplicazione.
Si aggiunga che nel caso della Tunisia, il Tribunale di Firenze aveva sostenuto la sussistenza di un contrasto tra il D.M. e le fonti sovraordinate, le quali avrebbero imposto un obbligo di aggiornamento alla luce dell’evoluzione della situazione del Paese, che non poteva più considerarsi “sicuro” secondo i criteri previsti dalla legge e dalle fonti europee[23]. Proprio tale contrasto aveva giustificato la disapplicazione dell’atto subordinato alla legge. Al contrario, altri Tribunali, investiti di casi analoghi, non hanno optato per la disapplicazione, non riscontrando alcun contrasto tra la fonte primaria e le scelte dell’amministrazione, essendo queste ultime non altro “che la conseguenza prevista dalla legge (europea e italiana)”[24].
Una simile divergenza non potrebbe riguardare il caso di specie in cui è incontrovertibile che la possibilità di designare un Paese sicuro con esclusioni territoriali, elencate negli atti amministrativi, trovi fondamento direttamente dalla legge (art. 2-bis d.lgs. 25/2008). L’opzione della disapplicazione del D.M. è pertanto esclusa e, a ben guardare, il Tribunale di Firenze sceglie un’altra strada, proponendo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE.
Dopo aver chiarito tali questioni preliminari, il giudice motiva - nella sezione dell’ordinanza dedicata al “punto di vista del giudice del rinvio” - i dubbi di compatibilità tra il diritto UE e la normativa nazionale.
In modo molto efficace, i giudici mettono in luce l’illogicità della designazione di Paesi sicuri con eccezioni personali, in particolare in riferimento a due profili: la definizione stessa di Paese sicuro prevista dal diritto UE e dalla direttiva “procedure”; la funzione delle procedure accelerate.
In primo luogo, rispetto alla nozione di Paese sicuro (art. 36, 37 dir. 2013/32/UE), il Tribunale nota come una previsione così ampia di categorie di persone escluse dalla sua stessa applicazione rischi di rendere vani i criteri previsi dalla direttiva 2013/32/UE all’art. 37 e all’allegato I.
Secondo il Tribunale infatti “la possibilità di qualificare un Paese come sicuro con esclusioni di intere categorie di persone a rischio significherebbe consentire, di fatto, ai singoli Stati Membri di qualificare qualunque paese come sicuro, in quanto, in disparte le situazioni di violenza indiscriminata, appare difficilmente individuabile uno Stato dove le discriminazioni riguardano la generalità della popolazione”[25]. Questo effetto paradossale rischierebbe non solo di rendere privi di ogni senso i criteri di designazione di un Paese sicuro previsti dall’art. 37 e dall’allegato I della direttiva, ma di minare lo stesso diritto alla protezione, che si fonda proprio sul presupposto della fuga dalle persecuzioni.
In secondo luogo, la designazione di Paesi sicuri con eccezione di intere categorie di persone può vanificare lo stesso scopo delle procedure accelerate, che dovrebbe essere quello di giungere ad una decisione rapida in tutti quei casi “non problematici”[26].
Tale semplificazione non si addice, secondo il Tribunale di Firenze, alle procedure che coinvolgono Paesi di origine sicura con eccezioni di categorie di persone poiché in tale sede l’autorità procedente dovrebbe “fin dal momento dell’avvio della procedura accertare in tempi brevi che il ricorrente non rientri in una delle predette categorie escluse”.
Tuttavia, come anticipato, molte delle categorie indicate nella “Scheda Paese” presuppongono accertamenti delicati che non possono essere effettuati in tempi rapidi.
In tali procedure, come ampiamente illustrato nelle ordinanze del Tribunale di Firenze, il diritto di difesa e alla tutela giurisdizionale, è fortemente compromesso e lo sarà ancor più nei confronti dei soggetti appartenenti alle categorie escluse[27].
Il Tribunale di Firenze ricorda infatti come, nella prima fase amministrativa delle procedure di esame della domanda, non è prevista l’assistenza legale obbligatoria e pertanto “i ricorrenti vedrebbero dichiararsi la propria domanda come manifestamente infondata senza neppure poter beneficiare dell’effetto sospensivo automatico e quindi della possibilità di permanere sul territorio nazionale”[28]. Nella seconda fase giurisdizionale, che è solo eventuale, i tempi dimezzati del giudizio e la cognizione del giudice vincolata alla presunzione di non fondatezza della domanda sono incompatibili con gli accertamenti complessi di simili vulnerabilità.
In altri termini, la designazione di Paesi sciuri con eccezioni personali comporta il rischio che procedure accelerate, fondante su una presunzione di infondatezza della domanda, vengano a avviate proprio nei confronti di chi fugge da persecuzioni e violazioni di diritti, presupposto dello stesso diritto alla protezione internazionale.
Le criticità descritte inducono il giudice a dubitare della compatibilità della normativa interna non solo con le norme della direttiva “procedure” che disciplinano la nozione e la designazione dei Paesi sicuri (artt. 36, 37 dir. 2013/32/UE), ma anche con il diritto al ricorso effettivo (art. 46 dir. 2013/32/UE), messo in discussione dalle caratteristiche della procedura accelerata non adatte all’accertamento di simili situazioni di persecuzione.
Nello specifico i giudici propongono due questioni pregiudiziali[29].
In via principale, il Tribunale domanda alla Corte di giustizia se il diritto dell’UE e, in particolare, gli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/UE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro designi uno Stato come Paese di origine sicuro con esclusione di categorie di persone a rischio, nei confronti delle quali non si applica la presunzione di sicurezza e se, quindi, in tal caso, il Paese nel suo complesso non possa essere considerato un Paese di origine sicuro ai fini della direttiva stessa.
In via subordinata, il Tribunale domanda se il diritto dell’UE osti ad una norma nazionale che designi un Paese di origine sicuro con esclusioni personali che, per numero e tipologia, sono di difficile accertamento, considerati i tempi ristretti della procedura accelerata (in particolare “Detenuti; Persone con disabilità fisiche o mentali; Albini; Sieropositivi; Comunità LGBT; Vittime di discriminazione sulla base dell’appartenenza di genere, incluse vittime e potenziali vittime di MGF; Vittime di tratta; Giornalisti” ) e se, quindi, in tal caso, il Paese nel suo complesso non possa essere considerato un Paese di origine sicuro ai fini della direttiva.
Mediante la questione pregiudiziale in via subordinata il Tribunale di Firenze sembra mettersi al riparo dalle possibili conseguenze che potrebbe avere sui casi in esame l’approvazione del regolamento (UE) 2024/1348 del 14 maggio 2024, il quale – pur applicabile solo a partire dal 2026[30] – consente agli Stati di designare Paesi sicuri con eccezioni personali “chiaramente identificabili”.
A prescindere da tale evoluzione normativa, la Corte di giustizia avrà l’occasione di fare chiarezza sulla corretta interpretazione di norme del diritto UE, contenendo prassi statali che rischiano di minare, nel profondo, il diritto alla protezione internazionale e il diritto alla tutela giurisdizionale dei richiedenti protezione.
4. Paesi sicuri, eccezioni personali e l’art. 10, comma 3 della Costituzione
Le ordinanze in commento offrono anche l’occasione per riflettere sulla coerenza della disciplina dei Paesi sicuri e delle eccezioni personali con i principi costituzionali ed in particolare con l’art. 10, comma 3 della Costituzione, il quale oggi deve essere letto alla luce delle evoluzioni del sistema comune europeo di asilo e delle direttive che lo compongono.
A proposito è utile ricordare che il dettato dell’art. 10, comma 3 Cost. non si riferisce in alcun modo alla nazionalità del richiedente protezione, ma individua quale unico presupposto del diritto d’asilo “l’impedimento delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione italiana”. La verifica di tale impedimento dovrebbe essere effettuata, secondo quanto ritenuto dai primi autorevoli commentatori dell’art. 10, comma 3 Cost. mediante un “paragone” “tra lo status di fatto dello straniero (e cioè della complessiva situazione in cui si trovi effettivamente tale straniero nel suo Paese) e quella che secondo la Costituzione spetta al cittadino italiano”[31]. Ciò che rileva quindi ai fini del riconoscimento del presupposto del diritto d’asilo non è la mera situazione di “sicurezza” del Paese di origine in astratto, quanto piuttosto l’esito di una valutazione in concreto, effettuata mediante il “paragone” tra la condizione individuale dello straniero nel Paese di origine e le libertà democratiche sancite dalla Costituzione italiana.
Tale valutazione non è del tutto esclusa nell’ambito delle procedure accelerate di cui all’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008 che, pur riducendo fortemente la cognizione del giudice essendo fondate su una presunzione di non fondatezza della domanda, consentono al richiedente di invocare “gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova”[32].
Per quanto attiene, invece, in modo specifico a quella parte dell’art. 2-bis, comma 2 che consente di designare un Paese sicuro con eccezioni territoriali o personali, non sono poche le criticità poste dalla norma, in riferimento ai principi costituzionali.
Anzitutto, tra le problematiche in relazione all’art. 10, comma 3 Cost. vi è quella concernente il rispetto della riserva di legge prevista dalla disposizione costituzionale che impone che le “condizioni” dell’asilo siano disciplinate dalla legge. Secondo la dottrina si tratta di una “riserva di legge assoluta per la fissazione delle condizioni cui potrà essere eventualmente sottoposto il diritto in esame, essendo rigorosamente escluso che la materia sia disciplinata da norme di fonte secondaria, fatta eccezione per i regolamenti di stretta esecuzione. A maggior ragione non sono possibili provvedimenti discrezionali del potere esecutivo”[33]. Ora, non si potrebbe affermare che l’inserimento di un Paese nella lista di quelli sicuri nel Decreto ministeriale e la previsione di categorie personali escluse nelle “Schede Paese” influenzi le condizioni del diritto d’asilo?
Anche a voler ritenere la riserva di legge meramente relativa il problema si pone ugualmente. Lo scopo della riserva di legge, seppur relativa, resta quello di limitare la discrezionalità dell’amministrazione nel riconoscimento di un diritto costituzionale.
Da questo punto di vista, è opportuno segnalare che il D.M. “Paesi sicuri” non avendo seguito la procedura di cui all’art. 17 della legge 400 del 1988 e mancando il parere del Consiglio di Stato, è di dubbia natura, potendo costituire tanto un atto normativo (fonte secondaria), quanto un atto amministrativo a contenuto generale[34].
Indipendentemente dalla natura del D.M., nel caso in esame, la fonte legislativa si limita a consentire la designazione di Paesi con eccezioni di categorie personali, senza indicare i criteri di individuazione di tali categorie.
Peraltro, né le categorie personali, né i relativi criteri di individuazione sono previsti dal D.M. di attuazione bensì in meri atti amministrativi – senza obbligo di pubblicazione - le “Schede Paese” allegate ad un Appunto del Ministero degli esteri. La discrezionalità dell’amministrazione nello scegliere i Paesi sicuri e le categorie escluse – incidendo così sulle “condizioni” di riconoscimento del diritto d’asilo - sembra ben più ampia di quella consentita dalla Costituzione.
Inoltre, la designazione di Paesi sicuri con eccezioni di categorie di persone sembra porre criticità dal punto di vista del contenuto del diritto d’asilo (art. 10, comma 3 Cost.), del diritto di difesa e tutela giurisdizionale (art. 24 e 113 Cost.), nonché del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).
Su questi profili si potrebbero riproporre le convincenti argomentazioni del Tribunale di Firenze che varrebbero anche in riferimento a tali principi costituzionali.
Per quanto attiene alla ragionevolezza della scelta legislativa, l’estensione della nozione di Paese sicuro anche a Paesi con esclusioni di categorie di persone pare contraria alla stessa ratio legis, che dovrebbe essere quella di individuare i contesti “sicuri” di provenienza dei richiedenti asilo per giungere agilmente a decisioni di manifesta infondatezza. Al contrario la previsione di eccezioni sembra vanificare l’applicazione dei criteri sanciti all’art. 2-bis d.lgs. n. 25/2008 ai fini della designazione di sicurezza del Paese, nonché gli stessi presupposti del diritto d’asilo.
Le categorie ritenute particolarmente a rischio di persecuzioni, torture, violenze, violazioni di diritti, come quelle elencate nelle “Schede Paese” di Nigeria e Costa D’Avorio, si trovano con tutta probabilità in una situazione di “impedimento delle libertà democratiche sancite dalla Costituzione italiana” (art. 10, comma 3 Cost.) o in una condizione (persecuzione individuale, violazione generalizzata di diritti umani) che dà diritto al riconoscimento di una delle forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria, protezione speciale) che oggi attuano il disposto costituzionale (art. 10, comma 3 Cost.)[35].
Come visto, queste eccezioni hanno l’effetto irragionevole di avviare all’esame accelerato fondato su una presunzione di non fondatezza della domanda, richieste di persone che fuggono da una situazione di impedimento delle libertà democratiche della Costituzione italiana, le quali dovrebbero essere le prime destinatarie delle procedure di asilo.
Ancora, come ben argomentato dal Tribunale di Firenze in relazione ai principi europei, in questi casi risulta particolarmente limitato il diritto alla tutela giurisdizionale e del diritto difesa, che – è bene ricordarlo – rientra tra quei diritti che attengono alla persona umana e spettano a tutti, indipendentemente dalla cittadinanza o dal titolo di soggiorno (art. 24 Cost. e 113 Cost.)[36].
Peraltro si ostacola l’accesso alla tutela giurisdizionale nei confronti di chi invece ha più bisogno di giustizia, essendo soggetto a discriminazioni e persecuzioni (art. 2 e art. 3 Cost.).
Come si accennava, dunque, le argomentazioni del Tribunale di Firenze potrebbero essere utilizzate anche per argomentare riguardo al dubbio di legittimità costituzionale sull’art. 2-bis, con una importante differenza che riguarda la questione pregiudiziale in via subordinata.
A differenza del diritto dell’UE, che nelle sue ultime evoluzioni, sembra ammettere la previsione di eccezioni personali purché “chiaramente identificabili” (reg. UE 2024/1348), la Costituzione non consente, in ogni caso, di lasciare un così ampio margine di discrezionalità all’autorità amministrativa, la quale non può avere il potere di scegliere le “condizioni” di un diritto costituzionale.
5. Un’altra possibile via? La questione di costituzionalità
Alla luce delle criticità costituzionali evidenziate si ritiene che il Tribunale di Firenze avrebbe potuto scegliere anche una strada diversa da quella del rinvio pregiudiziale. Certamente, trattandosi di una questione di interpretazione del diritto UE, ben ha fatto il giudice a proporre il rinvio pregiudiziale.
Tuttavia, come si è argomentato nei precedenti paragrafi, l’art. 2-bis, comma 2 del d.lgs. 25/2008 sembrerebbe porre dubbi di legittimità sia in riferimento alle norme del diritto dell’Unione (artt. 36, 37 e 46 della dir. 2013/32/UE), sia in riferimento alla Costituzione italiana (artt. 2, 3, 10, comma 3, 24, 113, 117, comma 1 Cost.).
In simili questioni, contraddistinte quindi da una c.d. doppia pregiudizialità, secondo l’orientamento della Corte costituzionale avviato a partire dalla sentenza 269 del 2107[37] “va preservata l’opportunità di un intervento con effetti erga omnes di questa Corte, in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di legittimità costituzionale a fondamento dell’architettura costituzionale (art. 134 Cost.), precisando che, in tali fattispecie, la Corte costituzionale giudicherà alla luce dei parametri costituzionali interni, ed eventualmente anche di quelli europei (ex artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), comunque secondo l’ordine che di volta in volta risulti maggiormente appropriato”[38].
Il giudice avrebbe potuto sollevare questione in relazione agli artt. 2, 3, 10, comma 3, 24, 113, 117, comma 1 Cost., evidenziando l’irragionevolezza della scelta legislativa, il suo impatto sul diritto d’asilo, sul diritto di difesa e alla tutela giurisdizionale, nonché il contrasto con le norme della direttiva procedure più volte richiamate.
Inoltre, è importante precisare che, anche alla luce dei principi costituzionali, ben ha fatto il giudice a non disapplicare il D.M., come avvenuto in altri casi già citati, poiché la presunta violazione dei principi costituzionali non deriva dalla mera previsione delle categorie di persone escluse per mano di atti amministrativi, ma trova giustificazione nella legge che espressamente consente all’amministrazione di prevederle.
A proposito sembra utile richiamare alcuni passaggi della sentenza n. 15 del 2024 della Corte costituzionale che - pur riguardando una questione del tutto peculiare attinente al rito antidiscriminatorio - fa chiarezza sui rapporti tra fonti. La Corte precisa che nel caso in cui il comportamento illegittimo della pubblica amministrazione “trovi origine nella legge, in quanto è quest’ultima a imporre, senza alternative, quella specifica condotta, allora l’attività illegittima è ascrivibile alla pubblica amministrazione soltanto in via mediata, in quanto alla radice delle scelte amministrative che si è accertato essere illegittime sta, appunto, la legge[39]”.
In evenienze del genere, non è possibile procedere alla disapplicazione di norme “che siano riproduttive di norme legislative” (…), ma questo rimedio sarebbe subordinato all’accoglimento “della questione di legittimità costituzionale sulla norma legislativa che il giudice ritenga essere causa della natura illegittima dell’atto regolamentare”[40].
Ecco che allora, in conclusione si propone una riflessione.
Nell’ambito delle procedure di asilo, specialmente nell’ambito di quelle di recente introduzione accelerate e di frontiera, i giudici sono costretti a confrontarsi con discipline che limitano fortemente i diritti costituzionali della persona, come il diritto di difesa, la libertà personale, il diritto di asilo. Tali limitazioni, seppur in un settore dominato da un complicato intreccio di atti amministrativi e fonti secondarie, trovano tendenzialmente giustificazione in chiare scelte legislative, spesso di recepimento di atti dell’UE.
È innegabile, infatti, che il legislatore europeo e nazionale stiano potenziando le procedure accelerate e di frontiera, tramite misure di dubbia compatibilità con i principi costituzionali, prevedendo forme sempre più limitative del diritto d’asilo, del diritto di difesa ed estendendo i casi di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale.
Tale contesto non può esimere i giudici dall’interrogarsi sulla coerenza di tali scelte legislative con i principi costituzionali: l’unico rimedio per non contraddire l’intenzione generale del legislatore e allo stesso tempo tentare di assicurare, con efficacia erga omnes, i diritti costituzionali, è il sollevamento della questione di costituzionalità. I tempi sono maturi?
[1] Trib. Firenze, Sez. specializzata protezione internazionale, ord. del 15 maggio 2024 (r.g. 3303/2024); ord. del 15 maggio 2024 (r.g. 3303/2024)
[2] Decreto del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, “Aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale”, del 17 maggio 2023, che ha aggiornato la versione antecedente del Decreto “Individuazione dei Paesi di origine sicuri, ai sensi dell'articolo 2-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25”, del 4 ottobre 2019. Di recente la lista dei Paesi sicuri è stata nuovamente aggiornata con Decreto del 7 maggio 2024.
[3] Cfr. Appunto n. 181962 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, richiamato nella premessa del D.M. del 17 maggio 2023, al quale sono allegate le “Schede Paese”.
[4] La norma consente anche la designazione di un Paese sicuro con eccezioni di parti del territorio. Su questo specifico aspetto è pendente un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE promosso dal Tribunale di Brno (C 406-22). Il presente commento si concentrerà sul tema delle eccezioni personali, oggetto delle ordinanze del Tribunale di Firenze.
[5] Cfr. Scheda Paese della Nigeria, del 3 novembre 2022, allegata all’appunto n. 181962 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, pubblicata sul sito di ASGI.
[6] Ibidem.
[7] Cfr. Scheda Paese della Costa di Avorio, del 21 ottobre 2022, allegata all’appunto n. 181962 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, pubblicata sul sito di ASGI.
[8] Ci si riferisce ai decreti adottati in sede cautelare (ex art. 35-bis d.lgs. 25/2008 e 737 c.p.c.) dal Tribunale di Firenze, il quale ritenendo illegittimo l’inserimento della Tunisia nella lista dei Paesi sicuri ha disapplicato il D.M. del 17 maggio 2023 cfr. decreti del 20.9.2023 (r.g. 9787/2023) e del 26.11.2023 (r.g. 11464-1/2023; r.g. 4988-1/2022; r.g. 3773-3/2023); in senso contrario si vedano Tribunale di Milano, decreti del 1.12.2023 (r.g. 38586-1/2023() e del 6 maggio 2024 (r.g. 14740-1/2024); Tribunale Firenze, decreto del 11.1.2024. A commento di questa giurisprudenza, in particolare sul potere del giudice di disapplicazione del giudice ordinario cfr. C. Cudia, Sindacabilità e disapplicazione del decreto Ministeriale di individuazione dei “paesi di origine Sicuri” nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale: osservazioni su una attività del giudice ordinario costituzionalmente necessaria, in Dir. Imm. Citt., 2/2024; A. De Santis, Sulla disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice civile. Il “caso” del c.d. Decreto Paesi sicuri, in Questione giustizia, 2/2024.
[9] Ci si riferisce al Nuovo Patto UE sulla migrazione, del 14 maggio 2024.
[10] Per un approfondimento sull’evoluzione di tale concetto cfr. F. Venturi, Il diritto di asilo: un diritto “sofferente”. L’introduzione nell’ordinamento italiano del concetto di «Paesi di origine sicuri» ad opera della l. 132/2018 di conversione del c.d. «Decreto Sicurezza» (d.l. 113/2018), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2/2019.
[11] Artt. 29 e 30 dir. 2005/85/CE.
[12] CGUE, 6.5.2008 (n. C-133/06). La Corte ha censurato l’incompetenza del Consiglio in materia.
[13] Cfr. Cons. 2005/85/CE n. 18: “Visto il grado di armonizzazione raggiunto in relazione all’attribuzione della qualifica di rifugiato ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi, si dovrebbero definire criteri comuni per la designazione dei paesi terzi quali paesi di origine sicuri”.
[14] Cfr. Direttiva 2013/32/UE: procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale; nella proposta e nella relazione accompagnatoria si evince la volontà della Commissione di eliminare tale previsione cfr. Com (2011)319 def., 1giugno 2011. Si veda su questo punto anche la motivazione dell’ordinanza del 15 maggio 2024 del Trib. di Firenze, p. 19.
[15] Argomenta molto bene sul punto il Trib. di Firenze cfr. ord. 15 maggio 2024, p. 18.
[16] Proposta di modifica n. 7.0.500 al DDL n. 840, 2 novembre 2018, n. 2.
[17] Cfr. Proposta emendativa pubblicata nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 21/11/2018, 7-bis.
[18]Cfr. A. Radjenovic, European Parliamentary Research Service, Members’ Research Service Safe country of origin’ concept in EU asylum law, may 2024, p. 7.
[19] Il Regolamento è stato approvato nell’ambito del Nuovo Patto UE sulla migrazione, del 14 maggio 2024.
[20] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 10 e p. 12.
[21] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 17 e p. 20.
[22] Ibidem.
[23]Cfr. Trib. Firenze, decreti del 20.9.2023 (r.g. 9787/2023), del 26.11.2023 (r.g. 11464-1/2023; r.g. 4988-1/2022; r.g. 3773-3/2023), cit.
[24] Cfr., ad esempio, Trib. Milano, decreto del 6 maggio 2024 (r.g. 14740-1/2024). In senso analogo cfr. Tribunale di Milano, decreti del 1.12.2023 (r.g. 38586-1/2023); Tribunale Firenze, decreto del 11.1.2024, cit.
[25] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 18 e p. 22.
[26] Cfr. cons. 20, dir. 2013/32/UE.
[27] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 11 e p. 12.
[28] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 20 e p. 24.
[29] Trib. Firenze, ordd. 15 maggio 2024, p. 22 e p. 26.
[30] Cfr. Art. 79, par. 2 regolamento (UE) 2024/1348.
[31] C. Esposito, Asilo (diritto di) – Diritto costituzionale, in Enciclopedia del Diritto – Volume III, 1958, p. 223.
[32] Cfr. art. 2-bis, comma 5, d.lgs. 25/2008.
[33] R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Art. 10. Costituzione commentata, One legale, 2024, p. 22.
[34] Sulla natura dubbia del D.M. cfr. Consiglio di Stato sez. IV - 19/06/2024, n. 5476. In dottrina su questi atti cfr. F. Massa, Regolamenti amministrativi e processo, Jovene, Napoli, 2012, p. 15.
[35] È noto che secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, l’art. 10, comma 3 Cost. “è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario” cfr. ex multis Cass., sez. VI, ord. 10686/2012, richiamata anche dalla Corte costituzionale nella sent. n. 194 del 2019.
[36] Cfr. C. cost. sent. n. 222 del 2004.
[37] Sulle permanenti ragioni della sent. n. 269 del 2017 si veda N. Zanon, Ancora in tema di doppia pregiudizialità: le permanenti ragioni della “precisazione” contenuta nella sentenza n. 269 del 2017 alla “grande regola” Simmenthal-Granital, in B. Carotti, Identità nazionale degli stati membri, primato Del diritto dell’unione europea, stato di Diritto e indipendenza dei giudici nazionali, Roma, ottobre 2022, pp. 79 ss.
[38] C. cost. sent. n. 20 del 2019, cons. in dir. 2.1. A commento della giurisprudenza della Corte costituzionale sulla c.d. doppia pregiudizialità sono particolarmente utili gli studi di M. D’Amico, La “resilienza” della carta dei diritti fondamentali dell’UE, in C. Amalfitano, M. D’Amico, S. Leone, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel sistema integrato di tutela, Giappichelli, Torino, 2022, pp. 243 ss., nonché di S. Catalano, Doppia pregiudizialità: una svolta ‘opportuna’ della Corte costituzionale, in Federalismi, 10/2019; S. Leone, Il regime della doppia pregiudizialità alla luce della sentenza n. 20 del 2019 della Corte costituzionale, in Rivista Aic, 3/2019: A. Cardone, Dalla doppia pregiudizialità al parametro di costituzionalità: il nuovo ruolo della giustizia costituzionale accentrata nel contesto dell’integrazione europea, in Osservatorio sulle fonti, 1/2020.
[39] C. cost. sent. n. 15 del 2024, cons. in dir. 7.3.2; rispetto al testo della sentenza la parola discriminatorio è stata sostituita con illegittimo.
[40] Ibidem.
Immagine: l'impiego della bussola, nella miniatura di una copia (sec. XV) del Livre des Merveilles du Monde di Marco Polo, via Wikimedia Commons.