«Non potendo eliminare con un sol colpo il flagello della guerra si cercò inizialmente di attenuarne i rigori inutili. L’interesse reciproco dei belligeranti li spinse perciò ad osservare, nella condotta delle ostilità, certe “regole del gioco": curare i feriti, proteggere donne e bambini[1].»
L’idea, nata a seguito dell’esperienza della Seconda guerra mondiale e delle gravi conseguenze del conflitto sulle popolazioni, era quella di creare, nell’ambito del diritto internazionale, un diritto che in tempo di conflitto armato, prevedesse la protezione delle persone che non prendono parte alle ostilità, ai beni che possono essere coinvolti e che ponesse limiti all’impiego di mezzi e metodi ai conflitti guerra.
Il diritto dei trattati di Ginevra e dell’Aja del 1948 e i protocolli addizionali del 1977 avevano codificato questi principi individuando i concetti di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio imponendo agli Stati , nel divenire parti della Convenzione di Ginevra del 1949, di rispettare quelle “regole del gioco”, sia perseguendo i responsabili delle violazioni al diritto internazionale umanitario (DIU), attraverso la propria giurisdizione penale oppure applicando il principio della giurisdizione universale[2]; sia infine rispondendone direttamente come Stati davanti alla giustizia internazionale.
Quello che accade nei conflitti in corso e il numero esponenziale delle vittime civili legittima la domanda se il diritto internazionale umanitario esista ancora o se quella idea di civiltà, forse utopistica, che fosse possibile una condivisione generalizzata della tutela dei diritti fondamentali anche in situazione di guerra, possa essere ancora perseguita.
Le reiterate violenze contro le donne e i bambini durante tutti i conflitti contemporanei farebbe pensare di no.
È di questi giorni la notizia che il Global Survivors Fund, lanciato nel 2019[3] per aiutare i sopravvissuti delle violenze sessuali legate ai conflitti ad avere accesso ai risarcimenti ed ottenere un sostegno economico, medico e psicologico, sarà attuato per la prima volta quest’anno in Ucraina in conseguenza alle richieste di centinaia di persone, per ora 500, prevalentemente donne e bambini, che hanno denunciato stupri di guerra ai loro danni da parte delle milizie russe.
Il riferimento a “coloro che sono sopravvissuti” testimonia tragicamente che allo stupro non sempre si sopravvive; e fa riflettere la tipologia delle vittime, individuate in particolare nelle donne e nei bambini, e cioè proprio coloro la cui tutela costituiva il nucleo ideale del DIU.
La notizia, con il suo evidente riferimento ad un crimine efferato, arma da guerra potente e a buon mercato, usata prevalentemente sul corpo delle donne su vasta scala nei conflitti di tutti i tempi ma praticata anche in quelli contemporanei, ha un unico aspetto positivo, che è quello di squarciare il velo che da sempre pesa su questo terribile fenomeno, finora non concretamente accertato e punito ma che certamente integra un crimine di guerra e contro l’umanità, atteso che nella lista, pur non esaustiva, individuata dall’art 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale[4] tale è ritenuto il danno all’integrità fisica e alla salute dei civili durante i conflitti.
Anche la fame (e il connesso rischio di carestia), come i fatti recenti mostrano all’evidenza, è un’arma di guerra, anche questa antica e a buon mercato e colpisce i civili non belligeranti e tra essi soprattutto donne e bambini.
L’UNICEF, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia, ha rilevato che in Palestina, a causa del conflitto, già da fine febbraio, il 90% dei bambini sotto i due anni e il 95% delle donne incinte o che allattano si trovano in condizione di “grave povertà alimentare”. E Save the Children ha dichiarato che le famiglie di Gaza sono costrette a mangiare foglie e resti di cibo contaminate dai topi per cercare di sopravvivere, e che il rischio morte per fame incombe su tutti i bambini che vivono attualmente a Gaza (1 milione circa).
Integrano gravi violazioni del diritto umanitario internazionale bloccare le consegne di acqua, cibo e carburante, radere al suolo intere aree agricole, così privando la popolazione della possibilità di accedere alla raccolta di essenziali fonti di sostentamento, impedire o rallentare l’assistenza umanitaria bloccando i convogli di aiuti e impedendo loro di accedere nei luoghi di distribuzione, colpendo i civili assembrati per approvvigionarsi, bloccare le forniture di elettricità e ostacolare ogni possibile sforzo per ripararli lasciando consapevolmente la popolazione civile senza nessuna fonte di energia; infine la distruzione degli ospedali dove sono ricoverate centinaia e centinaia di feriti e di malati[5].
La Corte Penale Internazionale ha già individuato tali azioni come crimini di guerra e contro l’umanità in relazione al conflitto russo ucraino, in particolare per la deportazione illegale di bambini dai territori occupati[6].
Ora, secondo lo Stato del Sud Africa queste violazioni perpetrate nel corso della guerra israelo-palestinese, molte delle quali imputate a Israele, integrano gli estremi del genocidio ai danni del popolo palestinese.
Il Sud Africa, infatti, ha presentato ricorso alla Corte Penale Internazionale contro Israele per violazione della Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio (1951), sulla base della clausola che consente agli stati parte (tra cui sia il Sud Africa che Israele) di sottoporre alla Corte qualsiasi controversia che riguardi l’applicazione del DIU. Il Sud Africa ha accusato Israele di aver commesso plurime violazioni del diritto umanitario tra cui la più grave sarebbe la commissione di genocidio, diretta o per incitamento, o comunque per complicità, mancanza di prevenzione e di repressione dell’azione di singoli o gruppi.
Anche se difficile che la Corte possa addivenire ad una condanna per genocidio atteso che la normativa dettata dalla Convenzione è particolarmente rigida, richiedendo la prova dell’intento specifico e unico di sopprimere un gruppo o di una comunità, in fase cautelare la Corte ha emesso un’ordinanza con cui ha imposto a Israele di cessare ogni condotta di violazione del diritto umanitario e di ostacolo o blocco o impedimento degli aiuti umanitari, ordinando altresì l’invio di report sull’implementazione di queste misure.
Il ricorso e la successiva ordinanza, che sembra allo stato aver avuto qualche successo, sono stati letti come la manifestazione del risveglio della comunità internazionale in relazione all’applicazione del DIU, se non altro perché hanno comportato l’apertura di un’istruttoria che coinvolge le parti coinvolte e le obbliga a fornire spiegazioni.
E tuttavia, come dimostrato dalle audizioni istruttorie fatte dalla Corte, le giustificazioni addotte dalle parti in causa, accusati di essere responsabili di queste gravi violazioni, si fondano prevalentemente sul diritto ad agire con l’uso della forza per tutelare un proprio presunto diritto o per reagire all’attacco altrui
Per contro, il nucleo centrale del DIU, nato con lo scopo di limitare le sofferenze causate dalla guerra proteggendo e assistendo al meglio possibile le sue vittime, è che esso si rivolge alla realtà della guerra senza considerare le ragioni o la legittimità del ricorso alla forza, applicandosi alle parti che combattono indipendentemente dalle ragioni del conflitto, a prescindere dal fatto che la causa sostenuta dall’una o dall’altra parte sia giusta e senza che sia dato alcun rilievo alla parte cui le vittime appartengono.
E ciò sulla base della considerazione di fatto- sempre verificata, come appunto anche nei conflitti in corso - che nel caso di conflitto armato internazionale l’accertamento di quale sia lo Stato responsabile della violazione del principio del divieto del ricorso all’uso della forza sancito dalla Carta delle Nazioni Unite è pressoché irrilevante.
Per definizione, infatti, l’applicazione del DIU non è condizionato dall’accertamento di siffatta responsabilità poiché ciò porterebbe immediatamente al sorgere di una controversia e paralizzerebbe l’applicazione del DIU consentendo a ciascuno degli avversari di sostenere di essere vittima di un’aggressione e di aver solo reagito all’aggressione altrui.
Di questo “risveglio” ci sono anche altri segnali.
Tra questi la richiesta dell’Unione Europea, come soggetto della Comunità Internazionale autonomo rispetto agli Stati che la compongono, di avviare un’indagine indipendente sui cadaveri e le fosse comuni a Gaza. E, ancora di maggior rilievo, la richiesta del Procuratore Generale presso la Corte Penale Internazionale di spiccare mandati di arresto verso i capi di Hamas e i leader israeliani, premier e ministro della difesa.
Nel suo comunicato il Procuratore ha dichiarato che sulla base delle evidenze raccolte ed esaminate dal suo ufficio ci fondati motivi di ritenere Hamas responsabile di sterminio, omicidio, stupro e altri atti di violenza sessuale come crimini di guerra e contro l’umanità nell’ambito dell’attacco contro la popolazione di Israele. E continua, nella seconda parte del documento, elencando le accuse di crimini di guerra rivolte ai vertici di Israele tra cui lo sterminio e la persecuzione di civili e la fame come metodo di guerra, nonché di aver privato intenzionalmente e sistematicamente la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza umana.
Oggi più che mai, si legge nella parte finale del comunicato, dobbiamo dimostrare collettivamente che il diritto internazionale umanitario, la base fondamentale della condotta umana durante i conflitti, si applica a tutti gli individui ed equamente. “Dimostreremo così concretamente che la vita di tutti gli esseri umani ha lo stesso valore”.
Le reazioni “politiche” di questi giorni sono perplesse o piene di distinguo o nettamente contrarie e solo in pochissimi casi favorevoli.
E tuttavia, com’è stato autorevolmente detto, non bisogna dimenticare che la posta in gioco, oltre al rispetto della vita umana, da tutelarsi “trasversalmente” ovunque e quale che sia la parte in causa, è anche la credibilità del diritto internazionale.
[1] Jean Pictet, autore di Etudes et Essais sur le Droit International Humanitaire e le Principes de la Croix Rouge, uno degli ideatori dei Protocolli addizionali (1977) alla Convenzione di Ginevra del 1949.
[2] Chi commette gravi infrazioni al diritto internazionale umanitario può essere punito a prescindere dalla sua nazionalità e dal luogo in cui è stato commesso il fatto.
[3] Il Global Survival Fund è stato lanciato dai premi Nobel per la pace Denis Mukwege e Nadia Murad.
[4] L’art 8 dello Statuto della CIG contiene una lista generalmente accettata delle violazioni al DIU e sulle azioni che costituiscono crimine di guerra che, ancorché non esaustivo, indica come crimini di guerra la tortura dei civili, l’omicidio intenzionale, la deportazione, la distruzione di beni civili pubblici e privati, gravi violazioni all’integrità fisica e alla salute dei civili.
[5] Al Jazeera, il primo aprile, ha mostrato le immagini dell’Ospedale di Shifa a Gaza, punto di riferimento e di cura essenziale per la zona, con le sue 26 camere operatorie e i suoi 750 letti di degenza, già al collasso prima dell’attacco per il gran numero di feriti ricoverati, completamente raso al suolo e bruciato.
[6] Fonte ISPI (Istituto Studi per le Politiche Internazionali): Israele Hamas e la CPI: questione di giustizia. 21.5.2024
Immagine: Rifugiati e personale all'esterno dell'Ospedale Al-Shifa a Gaza City. Fonte AFP/Getty Images.