Giustizia Insieme e il valore dell’accoglienza - 4. Approccio Hotspot in Italia ed “habeas corpus” delle persone migranti
di Fulvio Vassallo Paleologo
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Approccio Hotspot e violazioni del principio di legalità e della riserva di giurisdizione. - 3. L’approccio Hotspot ai tempi della pandemia da Covid 19: le navi quarantena. - 4. Nuovi sviluppi dell’approccio Hotspot dopo la fine dell’emergenza Covid e la dismissione delle navi quarantena.
1. Introduzione
A maggio del 2015, dopo la fine dell’operazione italiana Mare Nostrum e la strage del 18 aprile di quell’anno, con oltre 1000 vittime [1], la Commissione europea [2] proponeva di sviluppare un sistema di prima accoglienza nei cd. Centri Hotspot, nei paesi che in quel periodo erano più esposti all’arrivo di migranti, dunque in Italia e in Grecia, per identificare con il prelievo delle impronte digitali le persone subito dopo il loro arrivo per ragioni di soccorso o attraverso sbarchi autonomi, prima che proseguissero nella loro fuga in Europa. Si voleva perseguire, in questo modo, il fine di dare attuazione ai programmi di ricollocamento all’interno di altri Stati dell’Unione Europea con il sistema delle quote, ed evitare “movimenti secondari” in un contesto di illegalità. Ma solo una minima parte dei richiedenti asilo, presenti in questi due paesi, veniva poi effettivamente trasferita in un secondo paese di accoglienza. Il Regolamento europeo Dublino III n.604 del 2013 [3], tuttora vigente, consentiva infatti soltanto trasferimenti su base volontaria, quindi nessun governo poteva essere costretto ad accettare il ricollocamento di un determinato numero di richiedenti asilo. Di fatto, dopo la prima identificazione, molti potenziali richiedenti asilo non si fermavano in Italia, ma proseguivano verso altri paesi europei.
Nell’ambito dell’ Agenda europea sulla migrazione del 2015 venivano quindi adottate la Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 (GU L 239 del 15.9.2015, pag. 146) e la Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015 (GU L 248 del 24.9.2015, pag. 80) [4] che istituivano misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia basate sul cd. Approccio Hotspot (Hotspot Approach) [5]. In origine, le due decisioni avevano previsto che 160 000 persone avrebbero dovuto essere ricollocate dall’Italia, dalla Grecia e dall’Ungheria; in seguito la cifra veniva ridotta a 106 000 persone, unicamente dall’Italia e dalla Grecia, che poi però solo in parte e dopo molti mesi, venivano ricollocate in altri paesi europei. In base a queste decisioni, la ricollocazione avrebbe dovuto essere applicata unicamente ai migranti cittadini di paesi per i quali il “tasso di riconoscimento”, in termini di decisioni di concessione della protezione internazionale, fosse [almeno] pari al 75 %, in base agli ultimi dati Eurostat. Era dunque evidente la originaria funzione degli Hotspot, che dovevano servire alla identificazione ed al ricollocamento dei richiedenti asilo in diversi paesi dell’Unione Europea.
Il 23 settembre 2015, al termine del Consiglio europeo, il presidente della Commissione Juncker dava notizia dell’avvio delle operazioni per attivare gli hotspot, nei quali era prevista la presenza di rappresentanti di Frontex, Easo, Europol, ed Eurojust, agenzie che avrebbero dovuto operare non solo per controllare le operazioni di identificazione e le manifestazioni di volontà dei richiedenti asilo, ma anche in funzione anti-crimine ed anti-terrorismo. Di fatto il personale di queste agenzie si avvicendava spesso negli stessi locali, senza che gli immigrati potessero percepire le diverse funzioni alle quali i diversi operatori erano preposti. Poco prima, veniva comunicato dal governo italiano che il centro di identificazione di Lampedusa, già esistente come Centro di identificazione ed espulsione (CIE) e poi come Centro di primo soccorso e accoglienza (CPSA), sarebbe stato attivato in modalità Hotspot. In realtà la situazione a Lampedusa non mutava sostanzialmente, in quanto già dal 2008 il centro di Contrada Imbriacola era stato utilizzato con prevalente funzione di transito e prima identificazione, in base al cd. “sistema Morcone”, che nel giro di qualche giorno, nell’ambito del progetto Praesidium, con la partecipazione di UNHCR, IOM, Croce Rossa e Save The Children, prevedeva una pre-identificazione ed il trasferimento verso altre strutture di accoglienza dislocate in territorio italiano. Dopo la fine di quella breve esperienza di transiti rapidi, per i quali si ricorreva a trasporti aerei, il centro tornava ad essere di fatto un luogo di detenzione a tempo indeterminato, e soprattutto dopo la cd. “emergenza nordafrica” del 2011, toccava livelli di sovraffollamento che determinavano una situazione di forte tensione in tutta l’isola e la parziale distruzione della struttura [6], con punte di presenze oltre il migliaio di persone, che si continuano a registrare ancora oggi [7]
Nella Roadmap italiana presentata il 28 settembre 2015, in attuazione dell'articolo 8.1 della Proposta della Commissione europea e delle correlate Decisioni del Consiglio (2015/1523 e 2015/1601), che istituivano le misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia, il Governo italiano si impegnava a mettere in atto il nuovo Approccio «hotspot». La Roadmap individuava i primi quattro porti nei quali si sarebbero aperte o riconvertite strutture Hotspot, Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, ai quali poi si sarebbe aggiunto Taranto, e e tracciavano le linee fondamentali dell’approccio hotspot (Hotspot Approach), che si sarebbe realizzato con “un piano volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri” .
Con la prima circolare del 6 ottobre 2015, dell’allora Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, si precisava che «il meccanismo prevede – a regime – che tutti i migranti sbarchino in uno dei siti hotspot individuati, affinché possano essere garantite nell'arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità), registrazione e fotosegnalamento per ingresso illegale (categoria Eurodac 2)». Successivamente, «sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hubs presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hubs dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione».
Il 17 maggio 2016, il Ministero dell’interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e Dipartimento della Pubblica Sicurezza, pubblicava le Procedure Operative Standard, (SOP) [8] secondo cui «la persona può uscire dall’hotspot solo dopo essere stata foto-segnalata concordemente con quanto previsto dalle norme vigenti, se sono stati completate tutte le verifiche di sicurezza nei database, nazionali ed internazionali, di polizia». Salvo il verificarsi di afflussi eccezionali che potevano imporre l’adozione di iniziative diverse come il trattenimento prolungato senza alcun accesso alla procedura di asilo, e senza una completa informazione sulla condizione giuridica nella quale venivano a trovarsi le persone dopo l’ingresso nel territorio italiano. Trattenimento che come verificato nel corso degli anni costringeva ad una situazione di promiscuità anche donne, vittime di abusi, minori, soggetti vulnerabili per le torture subite prima dell’arrivo in Italia o per malattie contratte durante il loro viaggio.
La distinzione tra “migranti economici” e richiedenti asilo [9], che di fatto diventava da allora la principale funzione dell’approccio Hotspot, non può competere esclusivamente alle autorità amministrative, sia pure con il concorso dell’UNHCR e dell’Agenzia europea EASO. Il decreto legislativo n. 142/2015 (attuativo della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e della Direttiva 2013/32/UE sulle qualifiche della protezione internazionale) definisce come richiedente asilo/protezione internazionale colui che ha “manifestato la volontà di chiedere tale protezione”. Si diventa dunque “richiedenti asilo” per effetto della prima manifestazione di volontà di richiedere protezione, anche se questa verrà formalizzata in seguito.
Le Convenzioni internazionali escludono la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo il cui ingresso non può essere qualificato come “illegale” o “clandestino”. Nessuna norma di fonte europea o vigente nell’ordinamento interno, attribuisce alle forze di polizia la facoltà di distinguere tra richiedenti asilo (inespellibili) e migranti economici irregolari (espellibili), semmai il decreto legislativo n.142 del 2015 conferma proprio il contrario, sicché le procedure indicate nelle circolari sopraindicate, ribadite nelle SOP, possono configurare prassi illegittime di trattenimento, contrarie alla normativa italiana ed europea e dunque possibile fonte d responsabilità civile, penale ed amministrativa. Altro punto molto critico riguarda ancora oggi i minori stranieri non accompagnati, e le procedure sommarie di valutazione dell’età, che si continuano ad utilizzare malgrado i diversi criteri imposti dalla legge Zampa n.47 del 2017 [10].
Nelle disposizioni ministeriali, si precisava che le persone condotte negli Hotspot o ristrette in altre strutture nelle quali si operava con il cd. Approccio Hotspot, sarebbero state sottoposte a limitazioni della loro libertà personale per una durata di tempo assolutamente indeterminata e sostanzialmente rimessa alla discrezionalità delle autorità di polizia. Ed infatti si prevedeva soltanto che “il periodo di permanenza nella struttura,dal momento dell’ingresso, deve essere il più breve possibile, compatibilmente con il quadro normativo vigente” . Sempre secondo le SOP, si prevedeva “per le persone che non abbiano manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale e non abbiano diritto di rimanere sul territorio nazionale, compilazione del foglio notizie previsto nella direttiva rimpatri (cosiddetto“allegato 4”) e successiva emissione dei provvedimenti di respingimento del Questore o Espulsione del Prefetto. Tali provvedimenti, a seconda dei casi, potranno essere eseguiti, ove ne ricorrano le condizioni,i immediatamente, oppure mediante il trasferimento in un CIE o, nel caso di indisponibilità dei posti, mediante l’ordine del Questore a lasciare il territorio nazionale in 7 giorni”. Come si verificava nella maggior parte dei casi, atteso che la capienza complessiva dei CIE (oggi CPR) italiani non ha mai superato il numero di 700-1000 posti, a seconda dei diversi periodi, indipendentemente dai propositi dei governi che si avvicendavano.
La prima attivazione del centro Hotspot di Pozzallo registrava una fase fortemente conflittuale, perché mentre gli altri paesi europei lasciavano ancora aperte possibilità di ingresso ai potenziali richiedenti asilo, in quel tempo soprattutto siriani, le nuove più rigorose prassi di identificazione, con il prelievo forzato delle impronte digitali, creavano in Italia, in base al Regolamento Dublino III, ed al Regolamento EURODAC, le premesse per un respingimento immediato in frontiera o per un loro successivo ritorno nel nostro paese, primo Stato UE di ingresso. Nel corso degli anni la situazione peggiorava ancora per il periodico sovraffollamento della struttura nella quale venivano trattenuti per giorni in condizioni di totale promiscuità numerosi minori non accompagnati [11].
I principali porti di sbarco nei quali veniva introdotto l’approccio Hotspot, oltre Lampedusa e Pozzallo (Ragusa), erano Augusta (Siracusa), e Porto Empedocle (Agrigento), Trapani, Messina. In alcuni di questi porti, come a Catania e ad Augusta, si arrivava ad applicare le procedure Hotspot direttamente sulle banchine, con il prelievo immediato delle impronte digitali in aree attrezzate con tende, dove veniva anche effettuata la selezione tra i cd. migranti economici ed i richiedenti asilo. L’Hotspot di Porto Empedocle non veniva istituito stabilmente, anche se, al momento dell’arrivo in porto, una parte dei migranti, riconosciuta meritevole di accedere alla procedura per il riconoscimento di uno status di protezione, veniva trasferita verso l’HUB regionale per l’accoglienza di Siculiana (Agrigento). Negli anni di maggiori arrivi di migranti in Sicilia si è giunti a praticare l’Approccio Hotspot persino all’interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) di Mineo, in una area delimitata nella quale venivano o isolate le persone appena sbarcate e trasferite nel centro, ma ancora in attesa di una compiuta identificazione attraverso il prelievo delle impronte digitali. Il centro di accoglienza straordinaria di Messina, ubicato in una vecchia caserma dismessa dall’esercito, in condizioni di estrema fatiscenza, ha funzionato a tratti secondo le modalità dell’approccio Hotspot, ed è stato recentemente riaperto. Nel centro rimanevano trattenuti per mesi numerosi richiedenti asilo già selezionati per la relocation, in attesa che i paesi di destinazione ne accettassero il trasferimento. L’approccio Hotspot è stato utilizzato da tempo anche nel centro di Crotone in Calabria, da dove si registrano frequenti casi di uscita con provvedimenti di respingimento differito, con l’intimazione a lasciare entro 7 giorni il territorio nazionale (foglio di via) [12].
Il centro adibito ad Hotspot, attivato in Puglia, a Taranto, a partire dal mese di marzo del 2106, è stato invece utilizzato anche per operazioni di respingimento differito e di espulsione con accompagnamento forzato di categorie assai eterogenee di migranti, alcuni appena sbarcati, altri rastrellati sul territorio in condizioni di irregolarità. La stessa struttura si rivela ancora oggi di importanza strategica in quanto il governo sta indirizzando proprio verso Taranto parte delle navi delle ONG che, malgrado tutti gli ostacoli frapposti ai soccorsi umanitari, continuano a salvare vite umane nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Anche in questo Hotspot, di recente, vengono denunciate, dai sindacati di polizia, situazioni di sovraffollamento e di degrado che si sono aggravate durante l’estate del 2022 [13]. Nonostante vari tentativi di trovare le basi legali per il funzionamento di queste strutture continuavano a mancare norme specifiche di legge che disciplinassero il funzionamento degli Hotspot e lo stato giuridico delle persone che vi venivano accolte. Secondo la Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza istituita alla Camera nella XVII legislatura, che nel 2017 ha approvato una Relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri hotspot [14] l'applicazione dell'approccio hotspot in Italia presentava numerose criticità, che si possono riscontrare ancora oggi, per la insufficiente capacità di accoglienza dei centri rispetto al numero di persone che facevano ingresso per ragioni di soccorso o in modo autonomo nel territorio nazionale, e soprattutto a causa delle incerte basi legali che si potevano ricavare dalla normativa allora in vigore.
2. Approccio Hotspot e violazioni del principio di legalità e della riserva di giurisdizione
In assenza di una qualsiasi previsione normativa a livello europeo e nazionale, lacuna colmata solo in parte nel 2017. il regime dei centri hotspot, e la condizione giuridica delle persone che vi venivano trattenute [15], sono rimaste affidate alle decisioni dell’esecutivo, in particolare del ministero dell’interno, ed alla discrezionalità amministrativa degli organi periferici, le prefetture, che ne determinavano modalità di funzionamento e regolamenti convenzionali con gli enti gestori, e che pure avrebbero dovuto espletare attività di controllo sull’erogazione dei servizi da parte degli stessi enti [16]. Dopo il decreto legge n. 13 del febbraio 2017, convertito nella legge n. 46/17 (Minniti-Orlando) che per la prima volta faceva un parziale riferimento ai centri Hotspot [17], richiamati all’art. 10 ter [18], la legge n. 132/2018 (primo Decreto sicurezza Salvini) ha introdotto disposizioni ancora oggi in vigore, che fanno riferimento al trattenimento nei diversi centri adibiti all’approccio Hotspot, stabilendo che il richiedente protezione internazionale può essere altresì trattenuto, presso i punti di crisi, come il legislatore definisce gli hotspot, istituiti nei centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) o nei Centri governativi di prima accoglienza (CPA) di cui all’art. 9 d. lgs. 142/2015, per la determinazione o la verifica dell’identità o della nazionalità. In questo modo si stabiliva una estensione generalizzata dell’approccio Hotspot a tutti i centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA), e di prima acoglienza (CPA), già disciplinati in precedenza soltanto dall’ articolo 23 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98. Non risultava però alcuna disposizione specifica riguardo alla convalida del trattenimento oltre le 48 ore, sulla comunicazione della misura limitativa della libertà personale all’autorità giudiziaria, e sullo status giuridico delle persone “ospiti” dei centri, come si cercava di dire con un eufemismo che tendeva a nascondere la condizione di vera e propria detenzione amministrativa che si realizzava all’interno di queste strutture.
Con il Decreto legge sicurezza n.113 del 2018, poi convertito nella legge n.132 del 2018 [19], si è verificato un ampliamento delle strutture che potevano essere utilizzate con approccio Hotspot, per realizzare una limitazione della libertà personale dei migranti in attesa che fossero completate le procedure di pre-identificazione e foto-segnalamento, che si potevano così realizzare fino al tempo limite di 30 giorni non solo nei centri qualificati come Hotspot, ma anche in “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza” o “in locali idonei presso l’ufficio di frontiera”, se non all’interno dei CPR ( Centri per i rimpatri), fino al 2017 chiamati CIE ( centri di identificazione ed espulsione) [20]. Nulla si prevedeva invece per le persone internate in un Centro adibito ad Hotspot che non fossero (ancora) destinatarie di un provvedimento di espulsione con accompagnamento forzato, e restava del tutto discrezionale la scelta dell’accompagnamento forzato nei casi più numerosi di respingimento differito. Sul punto esprimeva ancora una volta perplessità il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, nella Relazione presentata al Parlamento per l’anno 2019 [21].
Con il Decreto legge 130 del 2020 si sono previste procedure accelerate per le domande di protezione internazionale presentate da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli. In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, aggiungendo che tali zone sono individuate con decreto del Ministro dell'interno. Lo stesso decreto prevedeva una ulteriore integrazione dell'articolo 10-ter, comma 3, del T.U. n. 286 del 1998, aggiungendo la previsione secondo cui “lo straniero è tempestivamente informato dei diritti e delle facolta' derivanti dal procedimento di convalida del decreto di trattenimento in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”.
L’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione non indicava comunque criteri certi per stabilire se la permanenza nei punti di crisi, altrimenti definiti Centri di prima accoglienza/Hotspot, dovesse avvenire in strutture aperte, dalle quali lo straniero avrebbe potuto allontanarsi, oppure in luoghi chiusi, ove, quindi, si sarebbe attuata un’autentica ipotesi di privazione della libertà personale, come si verificava nella prassi più diffusa. Le prassi si orientavano in senso molto diverso, anche in relazione ai criteri di gestione dei centri ed alla loro ubicazione. A Lampedusa, come a Messina, si riscontrava una totale limitazione della libertà personale a tempo indeterminato, mentre in altre strutture, ad esempio a Pozzallo ed a Crotone, dopo la prima identificazione ed il rilascio delle impronte digitali, era consentita l’uscita giornaliera dal centro e molte persone potevano allontanarsi proseguendo il loro percorso verso il Nord-Europa.
Secondo il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, che presentava una Relazione il 21 marzo 2017 [22], “la natura giuridica degli hotspot rimane poco chiara, mancando una previsione normativa specifica e la relativa disciplina, poiché tale non può essere considerato – quando trattasi di privazione della libertà – il documento Standard Operating Procedures (SOPs) redatto dal Ministero dell’interno con il contributo della Commissione europea né possono esserlo le circolari amministrative. Nel documento si legge che una persona può uscire dalla struttura solo dopo essere stata foto-segnalata, concordemente con quanto previsto dalle norme vigenti, se sono state completate tutte le verifiche di sicurezza nei database, nazionali ed internazionali, di polizia. Il tempo di permanenza è dunque indeterminato e rimesso di fatto allo svolgersi della procedura di foto-segnalamento e di rilevamento delle impronte”. Si verificava dunque una situazione potenzialmente in violazione dell’art.13 della Costituzione italiana, e dell’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Anche perché nel corso del tempo la durata del trattenimento, prima finalizzato al prelievo delle impronte ed alla ricollocazione, risultava sempre più prolungata al fine di eseguire trasferimenti nei centri di detenzione amministrativa, notoriamente carenti di disponibilità di posti, o per dare tempo alle autorità di polizia per eseguire respingimenti differiti con accompagnamento forzato in frontiera.
Come si osservava in un Parere del 25 novembre 2018 [23] dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), “la norma non sembra prevedere il procedimento di convalida per il trattenimento negli Hotspot, ma esso deve ritenersi applicabile anche a tale fase del trattenimento, pena la manifesta illegittimità costituzionale per violazione dell’art 13 della Costituzione” [24]. L’originaria funzione di identificazione ai fini di un successivo trasferimento verso centri di accoglienza per richiedenti asilo in Italia, o addirittura verso altri paesi europei, è diventata così marginale rispetto alla funzione di limitazione della libertà personale dei migranti trattenuti che venivano sempre più spesso qualificati come “migranti economici”, anche attraverso formulari subdoli che dovevano essere compilati in prossimità dello sbarco. Tra le domande alle quali si doveva rispondere obbligatoriamente ne contenevano una relativa alla volontà di svolgere attività lavorativa, che traeva in inganno, perché anche i richiedenti asilo manifestavano volontà di lavorare, ma questo precludeva loro l’accesso alla procedura, quando la risposta non veniva fornita direttamente da parte di operatori del centro, con l’apposizione di una crocetta in un piccolo quadratino, alla fine del cd. “foglio notizie”. Per coloro che venivano qualificati come migranti economici scattavano i provvedimenti di respingimento differito, ex articolo 10 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, come integrato dalla legge Bossi-Fini del 2002, e in assenza di posti nei Centri per il rimpatrio (allora chiamati CIE, centri di identificazione ed espulsione) restavano per settimane, talvolta addirittura mesi, chiusi all’interno degli Hotspot, se non venivano rimessi immediatamente in libertà con il cd. “foglio di via” contenente il provvedimento di respingimento differito con l’intimazione a lasciare entro sette giorni il territorio nazionale. Si realizzava così, e si può verificare ancora oggi, all’interno degli Hotspot , e delle altre strutture utilizzate con l’Approccio Hotspot, una limitazione della libertà personale al di fuori di una espressa previsione di legge, ben oltre i rigorosi limiti stabiliti dall’art. 13 della Costituzione [25] e dall’art. 5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo [26], con violazione della riserva di legge e della riserva di giurisdizione. Già la Consulta nel 2001 aveva segnalato la necessità di interpretare la normativa in materia di trattenimento ed allontanamento forzato dei migranti irregolari allora vigente in senso conforme alla Costituzione. Secondo la sentenza della Corte Costituzionale del 2001 (n.105) che pure dichiarava infondata la questione di costituzionalità relativa alla norma che prevedeva il trattenimento (detenzione amministrativa) nei CPTA (centri di permanenza temporanea e assistenza), come allora venivano definiti gli attuali CPR (centri per il rimpatrio) “Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione” [27].
In molti casi persone destinatarie di provvedimenti di respingimento differito sono rimaste all’interno di centri Hotspot fino all’esecuzione dell’accompagnamento forzato in frontiera, ed il provvedimento adottato dal questore a loro carico è stato notificato poche ore prima dell’imbarco sull’aereo che li avrebbe riportati in patria sotto scorta della polizia italiana, con una evidente lesione del diritto di difesa, riconosciuto, oltre che dall’art. 24 della Costituzione e dall’art.13 della CEDU, anche dall’art. 14 del Regolamento frontiere Schengen, 2016/399/UE, che in tutti i casi di respingimento prevede espressamente la possibilità di fare ricorso. Anche se la norma stabilisce che il ricorso non ha effetto sospensivo, non sembra ammissibile che lo stesso ricorso risulti “ineffettivo”, svuotato di qualsiasi efficacia, perché l’esercizio effettivo del diritto di difesa è spesso impedito dalla natura dei luoghi e dalla condizione di trattenimento, mentre i tempi di esecuzione dell’accompagnamento forzato risultano più veloci dell’intervento dell’autorità giudiziaria. L’art. 13 della CEDU stabilisce al riguardo il diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un' istanza nazionale a ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti dalla Convenzione siano stati violati. Ma gli Hotspot italiani, sotto questo profilo, sembrano realizzare quasi una condizione di extraterritorialità, come se non fossero soggetti ad alcuna giurisdizione, come se le persone trattenute per settimane si trovassero sospese in un limbo nel quale la loro condizione giuridica ( e materiale) restava stabilita, luogo per luogo, giorno dopo giorno, esclusivamente in base a regolamenti amministrativi ed a provvedimenti di polizia.
3. L’approccio Hotspot ai tempi della pandemia da Covid 19: le navi quarantena
L’emergenza da Covid-19 ha inciso in modo sostanziale sulle prassi adottate dalle autorità italiane per garantire un porto sicuro di sbarco ai naufraghi soccorsi in mare, o arrivati autonomamente a Lampedusa e in altri luoghi delle coste italiane. Il 7 aprile 2020 il Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con quello degli esteri, della sanità e degli interni, adottava il Decreto interministeriale (n.150) con il quale si definivano i porti italiani “non sicuri” per le navi battenti bandiera estera e per tutta la durata dello stato di emergenza sanitaria deliberato il 31 gennaio 2020. Il provvedimento veniva giustificato nella parte motiva n relazione alla salvaguardia della “funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19”. E quindi, “in considerazione della situazione di emergenza connessa alla diffusione del coronavirus e dell’attuale situazione di criticità dei servizi sanitari regionali e all’impegno straordinario svolto dai medici e da tutto il personale sanitario per l’assistenza ai pazienti Codiv-19, non risulta allo stato possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di [tali] luoghi sicuri”. Era dunque possibile “in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e salvataggio marittimo”, impedire l’ingresso nei porti italiani “per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana» (art. 1). Un provvedimento in linea con il decreto sicurezza bis n.53 imposto da Salvini nel 2019 per limitare le attività di ricerca e salvataggio elle navi delle ONG impegnate nel Mediterraneo centrale. In base al decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n.1287 del 12 aprile 2020, “con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)» si prevedeva che «il soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria” [28].Si verificavano anche casi nei quali venivano trattenuti indebitamente minori non accompagnati ed addirittura venivano imbarcate sulle navi quarantena persone già sbarcate a terra ed ospitate in un centro di accoglienza, ma poi risultate positive ad un successivo tampone per COVID 19. La morte di alcuni giovani, anche di minore età, trattenuti per giorni a bordo di queste navi, segnava tragicamente una esperienza che, soprattutto per il protrarsi dello stato di emergenza sanitaria, avrebbe dovuto essere chiusa nel più breve tempo possibile e sostituita da un sistema di prima accoglienza a terra. Le morti di Abou Diakite, di Bilal Ben Masoud e di Abdallah Said, dopo il loro trattenimento a bordo delle navi quarantena, sono rimaste senza giustizia e pesano come un macigno sull’esperienza della prima accoglienza a bordo di navi traghetto, utilizzate durante l’emergenza pandemia come parte integrante dell’approccio Hotspot [29]. Nel caso dell’isola di Lampedusa il ricorso alle navi quarantena colmava anche l’assenza di mazzi navali per i trasferimenti dal centro di Contrada Imbriacola ad altri centri di accoglienza ubicati nel territorio nazionale. Sempre nel 2020 ’si verificava l’ennesima “riconversione” del Centro di prima accoglienza(Hotspot di Trapani-Milo, chiuso formalmente dal mese di febbraio di quell'anno, in centro di detenzione (CPR). Un piccolo centro con funzioni Hotspot veniva allestito anche a Pantelleria, nella ex caserma Barone [30].
4. Nuovi sviluppi dell’approccio Hotspot dopo la fine dell’emergenza Covid e la dismissione delle navi quarantena
Dal primo giugno 2022 si è posto fine al noleggio delle navi traghetto utilizzate come hotspot per la prima accoglienza, al fine di garantire un periodo di sorveglianza sanitaria in quarantena. Tutti i naufraghi soccorsi dalle ONG, e quelli molto più numerosi, (oltre l’87 per cento) salvati dalla Guardia costiera o dalla Guardia di finanza, o arrivati in autonomia, sono stati accolti così, dopo lo sbarco, in centri di prima accoglienza/hotspot ubicati esclusivamente a terra. Ad oggi sono aperti in Italia sei centri con funzioni Hotspot, a Lampedusa, Trapani, Pozzallo, Messina, Crotone e Taranto. Si tratta di strutture molto diverse tra loro, comunque la diversificazione dei porti di destinazione e dei place of sadety, imposti dal ministero dell’interno, determina la possibilità di operare secondo l’approccio hotspot in numerose altre città italiane, da ultimo anche a Livorno, a Salerno ed a Ravenna. L’intensificarsi degli sbarchi autonomi nell’isola di Pantelleria ha determinato il ricorso ad un approccio Hotspot anche nella piccola isola al centro del Canale di Sicilia, in una struttura, una vecchia caserma, che da sempre si è rivelata del tutto inadatta, anche in vista del trasferimento dei migranti nell’’hotspot di Trapani (Milo), ubicato peraltro all’interno di un CPR (centro per i rimpatri). Ma anche dove non si verificano “sbarchi autonomi”, come a Taranto, la situazione degli Hotspot rimane sempre al limite del collasso [31]. Dal Viminale, con il nuovo governo Meloni, sono arrivate soltanto proposte di ripristino dei cd. Decreti sicurezza adottati nel 2018 e nel 2019, e fantomatici auspici rivolti alla istituzione di centri Hotspot al di fuori dell’Unione Europea, nei paesi di transito, che però non hanno mai dato la loro disponibilità ad accettare nel loro territorio questo tipo di strutture detentive, e che peraltro non sono firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati ( come la Libia) o non vi danno una effettiva attuazione, come l’ Egitto, la Tunisia e l’Algeria [32].
Rimane ancora operativa la previsione del Decreto sicurezza n.113, convertito nella legge n.132 del 2018, che introduceva la possibilità di trattenere i cittadini stranieri destinatari di un provvedimento di allontanamento in “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza” previsione che non veniva abrogata né modificata dal successivo Decreto Legge n. 130/2020, convertito con modifiche nella Legge n. 173/2020. A seconda della nazionalità, basti pensare ai tunisini, si sono verificati numerosi casi di migranti appena sbarcati a Lampedusa e destinatari di un provvedimento di respingimento notificato dalla questura di Agrigento subito dopo il trasferimento a Porto Empedocle. La criticità più grave che purtroppo si continua a riprodurre, anche negli Hotspot e nei centri di prima accoglienza, riguarda la sostanziale privazione della libertà personale che comporta la detenzione amministrativa al di fuori delle strutture definite come Centri per il rimpatrio (CPR), riservati ai destinatari dei provvedimenti di respingimento o di espulsione. Le persone trattenute nei centri di prima accoglienza o negli Hotspot, in molti casi, vi rimangono ancora oggi più a lungo dei quattro giorni previsti dalla Costituzione (art.13) per la convalida giurisdizionale delle misure amministrative di limitazione della libertà personale, senza alcun diritto di difesa, e spesso senza alcuna possibilità di accedere alla procedura di asilo [33]. I Rapporti delle Organizzazioni non governative che hanno potuto visitare più recentemente i centri di detenzione amministrativa in frontiera e le strutture Hotspot descrivono una realtà ben lontana dalle previsioni di legge e dalle prescrizioni amministrative imposte ai gestori dei centri. Tutto sembra affidato alla discrezionalità amministrativa delle autorità di polizia e delle prefetture. Dopo il ritiro delle navi quarantena e la fine dello stato di emergenza derivante dalla pandemia la situazione sembra ancora peggiorata, e però viene occultata attraverso l’uso mediatico di veri e propri argomenti di distrazione di massa come gli attacchi contro le ONG che farebbero da “spola” con i trafficanti nel trasporto dei migranti da una sponda all’altra del Mediterraneo [34] . Una menzogna smentita in tutte le sedi giudiziarie nelle quali si sono archiviati i procedimenti penali contro rappresentanti delle ONG, ma utile a sviare l’attenzione dell’opinione pubblica, e l’impegno delle autorità politiche, dai gravissimi problemi, non solo gestionali, ma anche di rispetto dei più elementari diritti umani e del principio di legalità costituzionale, che caratterizzano ancora oggi i centri con funzioni Hotspot in Italia.
Il sovraffollamento dei centri nei quali si pratica l’approccio Hotspot, a fronte di un incremento consistente degli arrivi via mare, oltre 100.000 nel 2022, deriva soprattutto dalla cronica mancanza di posti nei diversi sistemi di accoglienza italiani. Rispetto a 160.000 posti offerti fino al 2017 da centri di diversa natura e denominazione, oggi si può stimare che siano rimasti attivi effettivamente non più di 90.000 posti, compresi quelli recentemente attivati per i profughi ucraini. Per chi arriva attraverso le frontiere marittime l’accoglienza, dopo la fase del trattenimento negli Hotspot o nei centri di transito, prosegue nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) gestiti dalle prefetture. Ma per molti l'Italia è solo un paese di transito. La “guerra” ai soccorsi umanitari ed ai migranti, la deriva populista del nostro paese, la pesante discriminazione subita anche dai richiedenti asilo, i tempi delle procedure, inducono a lasciare prima possibile il nostro paese, magari con un "foglio di via" in mano. Che poi non è un lasciapassare per l'Europa, ma un provvedimento di respingimento differito che, se registrato nelle banche dati Eurodac (Regolamento UE n,603/2013,) pregiudica la possibilità di ottenere asilo in altri paesi europei. Manca una corretta informazione allo sbarco, e le autorità di polizia pensano solo di "liberarsi" dei migranti che non possono accogliere nei centri hotspot e nel sistema nazionale di accoglienza ed integrazione SAI (ex SPRAR). Un disastro umanitario poco visibile, che va affrontato con una svolta decisa.
All’interno dei centri Hotspot, o nelle altre strutture nelle quali si proceda con questo approccio, occorrerebbe stabilire criteri certi per i casi di temporanea limitazione della libertà personale, un ritorno al principio di legalità ed al rispetto dell’habeas corpus di tutte le persone “comunque presenti nel territorio nazionale”, base del riconoscimento dei diritti fondamentali ai quali fa espresso richiamo l’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Tutti i migranti, come stabilito dalla legge, dovrebbero ricevere informazioni circa i loro diritti, compreso quello di poter richiedere protezione internazionale, in forma e lingua per loro effettivamente comprensibili. Le procedure di identificazione e registrazione vanno svolte nel pieno rispetto dei diritti umani, senza alcuna forma di costrizione fisica e senza un trattenimento amministrativo prolungato, quando si renda necessario, oltre i limiti delle 48 ore per la comunicazione all’autorità giudiziaria e le successive 48 ore per la convalida. Nessun migrante deve essere respinto o espulso senza che il suo caso sia stato valutato singolarmente, considerato che nessuna norma attribuisce alle forze dell’ordine la facoltà di distinguere un richiedente protezione internazionale da un migrante cosiddetto economico. Nessuna persona può essere trattenuto nei centri di accoglienza a tempo indeterminato al solo fine di essere identificato e vanno comunque garantiti specifici percorsi protetti destinati alle categorie più vulnerabili, come donne, minori e vittime di tortura. Occorre ripristinare i controlli giurisdizionali sul trattenimento all’interno di tutte le strutture destinate al cd. Approcio Hotspot, fino ad oggi disciplinate esclusivamente in base alla normativa adottata in via amministrativa. Perché l’umanità indistinta che viene ammassata nei centri Hotspot non corrisponde esclusivamente a numeri da smaltire, ma contiene la somma di migliaia di vite spezzate e di sofferenze personali che vanno considerate con maggiore rispetto fin dal primo ingresso nel territorio italiano, non solo per quello che riguarda la loro attuale condizione giuridica e di fatto, ma anche nella prospettiva di un futuro dignitoso e nella legalità che non può essere negato.
[1] Vedi in https://www.open.online/2018/12/20/le-vittime-del-naufragio-del-18-aprile-2015-nel-canale-di-sicilia-erano-1100/
[2] Consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=es
[3] Vedi in https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/summary/eu-asylum-policy-eu-country-responsible-for-examining-applications.html
[4] Consultabile in https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32015D1601&from=IT
[5] G. Campesi, L’approccio Hotspot e il prezzo della coercizione, in https://www.rivistailmulino.it/a/l-approccio-hotspot-e-il-prezzo-della-coercizione
[6] Vedi la cronaca di quei giorni in https://stranieriinitalia.it/attualita/lampedusa-immigrati-in-rivolta-incendiato-il-centro-daccoglienza/
[7] R. Bottazzo, L’emergenza creata a Lampedusa aiuta a legittimare rimpatri e accordi dalla dubbia legittimità, in https://www.meltingpot.org/2022/07/lemergenza-creata-a-lampedusa-aiuta-a-legittimare-rimpatri-e-accordi-dalla-dubbia-legittimita/
[8] Vedi le Procedure operative standard (SOP) in http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/hotspot
[9] F. Vassallo Paleologo, Migranti economici e richiedenti asilo : una distinzione per escludere. Quali tutele per i veri migranti economici ? in https://www.a-dif.org/2017/06/04/migranti-economici-e-richiedenti-asilo-una-distinzione-per-escludere-quali-tutele-per-i-veri-migranti-economici/
[10] Vedi in https://www.avvisopubblico.it/home/home/cosa-facciamo/informare/osservatorio-parlamentare/attivita-legislativa/leggi-approvate/legge-n-47-del-2017-misure-di-protezione-dei-minori-stranieri-non-accompagnati/
[11] D. Aliprandi, Hotspot, strutture al collasso. A Pozzallo rinchiusi 180 minori, in https://www.ildubbio.news/carcere/hotspot-strutture-al-collasso-a-pozzallo-rinchiusi-180-minori-elr0vezd
[12] Vedi al riguardo, con riferimento alla situazione di sovraffollamento che si verifica ancora alla fine del 2022, https://www.lanuovacalabria.it/hotspot-di-crotone-al-collasso-quasi-mille-migranti-in-24-ore-e-casi-di-scabbia
[13] ASGI, Minori stranieri trattenuti illegalmente nel’hotspot di Taranto,:la CEDU chiede chiarimenti al governo italiano, in https://www.meltingpot.org/2018/02/minori-stranieri-trattenuti-illegalmente-nellhotspot-di-taranto-la-cedu-chiede-chiarimenti-al-governo-italiano/
[14] Vedi la Relazione della Commissione di inchiesta in https://www.camera.it/leg17/491?idLegislatura=17&categoria=022bis&tipologiaDoc=documento&numero=008&doc=intero ed anche la Relazione di minoranza Palazzotto, in ADIF, https://www.a-dif.org/2016/11/04/una-relazione-scomoda-sullapproccio-hotspot/
[15] C. Ruggiero, Le linee di tendenza della crimmigration nel sistema penale italiano dal “decreto Minniti” al “decreto sicurezza-bis”, in https://archiviopenale.it/le-linee-di-tendenza-della-crimmigration-nel-sistema-penale-italiano-dal-decreto-minniti-al-decreto-sicurezza-bis/articoli/25922
[16] Con particolare riferimento al centro Hotspot di Taranto si rinvia al rapporto dell’Autorità anti-corruzione (ANAC), reperibile in https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?id=28d2eda50a7780423adfc664d78c8915 con riferimento al centro Hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa si rinvia a http://www.prefettura.it/agrigento/contenuti/Procedura_aperta_affidamento_gestione_e_funzionamento_centro_accoglienza_hotspot_lampedusa_ag_2020-9458799.htm
[17] Vedi C. Leone, La disciplina degli hotspot nel nuovo art.10 ter del d.lgs.286/98: un occasione mancata, in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-2017-n-2/73-la-disciplina-degli-hotspot-nel-nuovo-art-10-ter-del-d-lgs-286-98-un-occasione-mancata
[18] L’art. 10 ter del T.U. n.286/98, introdotto nel 2017, è l’unica norma del Testo Unico sull’immigrazione che fa espressamente riferimento all’approccio Hotspot. Si stabilisce che “Lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell'ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito. In base alla stessa norma “Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all'articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. Lo straniero è tempestivamente informato dei diritti e delle facoltà derivanti dal procedimento di convalida del decreto di trattenimento in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.
[19] Vedi in https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/04/18G00140/sg
[20] Per gli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione, con accompagnamento forzato, secondo il nuovo articolo 13 comma 5 bis del T.U. immigrazione 286/98,“il questore comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L'udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito”
[21] La relazione del Garante Nazionale delle persone private della libertà personale presentata al Parlamento per l’anno 2019 è consultabile in https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/00059ffe970d21856c9d52871fb31fe7.pdf
[22] Vedi in in https://www.penalecontemporaneo.it/upload/PALMA_Relazione_2017.pdf
[23] https://www.associazionemagistrati.it/allegati/parere-commissioni-civile-e-penale-su-dl-sicurezza-25nov18.pdf
[24] Nel parere dell’ANM si osservava anche che “Desta perplessità la previsione di un trattenimento che può arrivare anche fino a 7 mesi per i soli fini identificativi. Se è vero che l’art 8 della direttiva UE 2013/33 (c.d. “direttiva accoglienza”) stabilisce che tale forma di trattenimento può essere adottata nei confronti dei richiedenti asilo”, la stessa norma dispone, però, che “gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente” e stabilisce, altresì, che il trattenimento deve essere disposto caso per caso in circostanze eccezionali e solo ove non sia possibile applicare misure meno afflittive. Si aggiunge, poi, che la possibilità che il trattenimento possa avvenire in “strutture idonee nella disponibilità dell’Autorità di Pubblica Sicurezza”, sembra costituire violazione dell’art. 10 della direttiva accoglienza (2013/33/UE) che prevede che il trattenimento possa di regola avvenire in appositi centri di trattenimento, ove, sempre in forza del medesimo art. 10, possano accedere, senza limitazioni, rappresentanti dell’UNHCR, familiari del richiedente, avvocati, consulenti e rappresentati delle ONG, accessi questi ultimi che paiono non compatibili con le attività che ordinariamente si svolgono nei locali nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza. Le esigenze sopra descritte, derivanti da obblighi di legge, non vengono soddisfatte dall’aggiunta – contenuta nella parte finale del comma 1 dell’art 4, nel testo licenziato al Senato della legge di conversione – del periodo “Le strutture ed i locali di cui ai periodi precedenti, garantiscono condizioni di trattenimento che assicurino il rispetto della dignità della persona”, integrando queste ultime la pre -condizione minima di qualsiasi restrizione della libertà personale che, però, non garantisce il rispetto degli ulteriori diritti fondamentali, come sopra richiamati”.
[25] In base all’art. 13 della Costituzione italiana, “non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria, e se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
[26] A. Mangiaracina, Hotspots e diritti: un binomio possibile?, in https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/5098-hotspots-e-diritti-un-binomio-possibile
[27] Si deve ricordare, dopo anni di interpretazioni assai contrastanti da parte degli uffici di polizia, la fondamentale sentenza a Sezioni unite della Corte di Cassazione, n. 15115 del 17 giugno 2013, secondo cui “il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l’atto è infatti correlato all’accertamento positivo di circostanze - preupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (art. 10, co. 1 e 2, T.U.) ed all’accertamento negativo della insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale...pertanto, in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione dell’impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione dell’inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte dell’amministrazione, spetta al giudice ordinario”
[28] Secondo l’art. 1, comma primo, del decreto “Per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica da COVID-19, anche nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi, è nominato Soggetto attuatore, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, che si avvale della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Il Soggetto attuatore, previo assenso del Capo del Dipartimento della protezione civile, provvede all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo. Con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) il Soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria. Per le attività finalizzate all’individuazione delle suddette navi e dell’attività istruttoria di natura tecnico-amministrativa ai fini delle procedure di affidamento dei contratti pubblici il Soggetto attuatore provvede per il tramite delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche in house. Relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo il Soggetto attuatore individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime che procedono alla stipula di contratti per il trattamento di vitto, alloggio e dei servizi eventualmente necessari, per le persone soccorse ovvero, in caso di mancanza di accordo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 6, comma 7 del decreto legge n. 18 del 2020. Nel caso in cui non sia possibile individuare le predette strutture sul territorio, il soggetto attuatore provvede alla sistemazione dei migranti ai fini dell’isolamento fiduciario e di quarantena anche sulle predette navi.
[29] Y. Accardo, Così si muore sulle navi quarantena. La storia del diciassettenne Abdallah Said, in https://www.lasciatecientrare.it/cosi-si-muore-sulle-navi-quarantena-la-storia-del-diciassettenne-abdallah-said/
[30] ASGI, Pantelleria e Lampedusa: le criticità dell’approccio Hotspot, in https://www.meltingpot.org/2022/10/pantelleria-e-lampedusa-le-criticita-dellapproccio-hotspot/
[31] Si rinvia al Comunicato stampa del SAP (Sindacato autonomo di polizia) nei primi giorni di agosto del 2022, in https://www.corriereditaranto.it/2022/08/05/taranto-hotspot-e-criticita/
[32] Si vedano al riguardo le dichiarazioni dell’on. Molteni, sottosegretario al Ministero dell’interno, nella passata legislatura, in https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1357311/migranti-molteni-situazione-in-hotspot-taranto-complessa.html
[33] Secondo la sentenza n.105/2001 della Corte Costituzionale, “Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia ispirato la disciplina dell’istituto emerge del resto dallo stesso articolo 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della disciplina dell’articolo 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto.”
[34] Come è stato sostenuto in diverse occasioni dal ministro dell’interno Piantedosi, anche attraverso i social, vedi al riguardo, https://twitter.com/i/web/status/1609006568930148352