Giustizia Insieme e il valore dell’accoglienza - Editoriale
1. Il biennio appena trascorso è stato segnato dalla rapida ed, apparentemente, inarrestabile esplosione di una pandemia, al cui contrasto sono state, quindi, dedicate le principali energie degli Stati Nazionali, impegnati, inevitabilmente, a dover fronteggiare, in primo luogo sul versante economico, le debolezze palesate di un’economia pur globalizzata.
In tale contesto sono state messe in atto una serie di iniziative, che hanno interessato, trasversalmente e non sempre in maniera organica, il settore economico, animate dall’obiettivo di sorreggere i settori maggiormente colpiti dagli effetti della pandemia e, quindi, dare compiuta attuazione al piano di ripresa e resilienza.
Il quadro si è, però, ulteriormente complicato lo scorso febbraio quando lo scacchiere economico e politico a livello internazionale, che ancora non aveva appieno assorbito le conseguenze della pandemia, è stato nuovamente scosso dallo scoppio del conflitto armato in Ucraina che ha visto milioni di persone costrette a lasciare il proprio Paese per sottrarsi alle conseguenze di un violento conflitto armato, riproponendo il dramma delle persone in fuga dalla guerra.
Da qui l’iniziativa della nostra Rivista di concepire e sviluppare un’ampia riflessione sul tema della gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza, terreno questo oggetto di una costante tensione, figlia del portato culturale e della carica ideologica che fa da sfondo a tali questioni, tra esigenze di regolamentazione dei flussi migratori e quelle di tutela e rispetto dei diritti fondamentali e di valori costituzionali.
Oggi, infatti, l’affannosa ricerca di un possibile punto di caduta tra la salvaguardia di esigenze di sicurezza pubblica , diffusamente avvertite, e ordinata regolamentazione dei flussi migratori, anche per le incidenze di carattere socioeconomico[1], da un lato, e l’attuazione ed il rispetto di principi solidaristici, dall’altro, rende l’accoglienza uno dei temi maggiormente controversi nel dibattito sociale e caratterizzato da un certo tasso di “schizofrenia legislativa” che – senza con ciò voler anticipare quanto sarà oggetto degli approfondimenti che seguiranno – è andata, dapprima, a restringere lo spazio dell’accoglienza e, quindi, a distanza di appena un biennio a modificare quello stesso tessuto legislativo, formalmente senza ripudiare la scelta di tecnica legislativa fatta, ma, nella sostanza, andando a prevedere – anche attraverso il richiamo all’ampia formulazione dell’art. 8 della CEDU e all’interpretazione che di esso è stata offerta dalla corte di Strasburgo – spazi di tutela fors’anche maggiori, resi applicabili in virtù di una specifica disciplina transitoria.
2. Al fine di consentire al lettore un qualche elemento di contesto nel quale collocare gli approfondimenti che saranno in seguito pubblicati, sia consentito ricordare che accanto alle protezioni cd. maggiori, il cui quadro normativo di riferimento è costituito dal d.lgs. 19 novembre 2007 n. 251 e s.m. (in particolare la novella del d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 18), fonte attuativa delle disposizioni eurounitarie ed internazionali pattizie succedutesi nel tempo (le direttive 2004/83/CE, 2011/95/UE e la Convenzione di Ginevra del 28.4.1951 recepita dall’Italia attraverso la legge 24.7.1954 n. 754), sul piano del diritto interno, in attuazione dell’art. 10, comma 3, Cost., lo spettro delle condizioni suscettibili di giustificare la concessione di una misura di protezione è ampliato attraverso forme di protezione complementare che risultano introdotte da distinti e molteplici provvedimenti normativi, succedutisi nel corso del tempo.
Il d. lgs. 286/1998, recante la disciplina del «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» (c.d. Testo Unico sull'Immigrazione), contemplava, in assenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale, la forma di tutela c.d. minore della «protezione umanitaria».
Come si accennava, tale istituto è stato abrogato dal d.l. n. 113/2018, recante «disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata» (c.d. «decreto sicurezza», convertito nella L. n. 132/2018), che ha eliminato ogni riferimento letterale all’istituto della protezione umanitaria presente nel Testo Unico sull'Immigrazione ed ha, contestualmente, introdotto nuove tipologie di tutela c.d. minore dei richiedenti protezione internazionale rappresentate dai permessi di soggiorno per calamità naturali, per atti di particolare valore civile, per cure mediche, per le vittime di violenza domestica, per le vittime di sfruttamento lavorativo, per i minori vulnerabili, ed è stato, poi, introdotto il «permesso per protezione speciale».
A distanza di appena due anni, il D.L. 130/2020 ha, però, apportato nuove modifiche al sistema della protezione ed in particolare: ha reintrodotto all’art. 5, comma 6, D. Lgs. 286/98, il riferimento agli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano (soppresso dal D.L. 113/18), ma non anche il riferimento ai motivi di carattere umanitario (parimenti soppresso dal D.L. 113/2018)a introdotto all’art. 19, comma 1.1, T.U.I. una nuova ipotesi di divieto di espulsione, stabilendo che: «1.1. … Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine»; ha ampliato i contenuti del permesso di soggiorno per protezione speciale, equiparandolo a quello del previgente (anteriormente al d.l. n. 113/18) permesso di soggiorno per motivi umanitari (in sintesi: durata biennale, rinnovabilità, convertibilità alla scadenza in permesso di soggiorno per lavoro).
La riforma in questione, quindi, se da un lato non ha voluto porre nel nulla il sistema di tipizzazione elaborato dalla previgente normativa, dall’altro, ha reintrodotto all’art. 5 comma 6 T.U.I. il riferimento al rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali, con ciò ripristinando l’attuazione legislativa del portato dell’art. 10 Cost.
L’ultima riforma non ha quindi cancellato tout court le modifiche introdotte dal d.l. 113/2018, scegliendo di conservarne gli sforzi di tipizzazione delle ipotesi di protezione assicurate dal diritto interno (la cd. protezione “minore”): al contempo, se è vero, infatti, che il D. L. 130/2020 non ha riproposto la stessa formulazione dell’art. 5, comma 6 T.U.I. nella versione precedente alle modifiche del 2018, è vero anche che è stato reintrodotto il divieto di revoca e di rifiuto del permesso di soggiorno se risulta contrario al necessario rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali, sì da garantire in ogni caso la piena attuazione del diritto di asilo costituzionale.
Ciò in quanto, da un lato, la reintroduzione all’art. 5, comma 6, d.lgs. 286/98, del riferimento agli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano – pur monco del riferimento ai seri motivi di carattere umanitario – e, dall’atro, l’introduzione, tra le ipotesi nominate di protezione minore, di un permesso di soggiorno per protezione speciale riconosciuto per la tutela della vita privata e familiare, sembra poter assicurare la presenza di una norma di chiusura, potenzialmente capace di garantire la tenuta costituzionale della nuova fattispecie e risultare del tutto congruente con la precedente formulazione dell’art. 5, comma 6 T.U.I. nella misura in cui assicura la presenza di una clausola aperta (gli obblighi costituzionali) attuativa del diritto di asilo[2].
Il quadro che si delinea è, pertanto, il seguente: da un lato, il legislatore, pur non introducendo, nuovamente, il riferimento ai “seri motivi di carattere umanitario” – richiamo di cui il “nuovo” art. 5, co. 6, rimane amputato – ha comunque ricordato il rispetto degli obblighi internazionali e costituzionali (tra cui l’art. 10 Cost.), il quale ben potrebbe saldarsi a previgente art. 5 comma VI t.u.i. garantendo la piena attuazione del precetto costituzionale dell’art. 10 Cost.[3]; dall’altro, la previsione di retroattività contenuta all’art. 15 del d.l. 130/2020 funge da norma di chiusura destinata a venire in rilievo con riferimento a tutte le domande di protezione presentate, quale che ne sia il regime applicabile, accordando una tutela potenzialmente anche maggiore.
3. I valori dell’accoglienza appartengono alla tradizione culturale dei popoli e sono la cifra della loro attitudine a crescere e a rinnovarsi attraverso il confronto delle diversità.
Dalle letterature classiche emerge il ruolo centrale dei valori dell’ospitalità e dell’aiuto dell’esule.
È Omero, nell’undicesimo Libro dell’Odissea, che fa dire ad Ulisse, rivolgendosi a Polifemo, che “…E ora alle tue ginocchia veniamo supplici, se un dono ospitale ci dessi, o anche altrimenti ci regalassi qualcosa; questo è norma per gli ospiti. Rispetta, ottimo, i numi; siamo tuoi supplici. E Zeus è il vendicatore degli stranieri e dei supplici, Zeus ospitale, che gli ospiti venerandi accompagna…”; ed è sempre Omero che, attraverso il personaggio di Nausicaa, descrive i Feaci come popolo attento alle regole fondamentali dell’ospitalità.
Si potrebbe, ancora, ricordare la lunga permanenza del troiano Enea presso la cartaginese Didone.
E, d’altro canto, Platone nel dodicesimo Libro delle Leggi ricorda che “…dobbiamo considerare che i rapporti con gli stranieri sono sacri al massimo grado; infatti, le offese commesse da uno straniero e quelle commesse nei loro confronti, confrontate con quelle contro un proprio concittadino, potremmo dire che attirano maggiormente la vendetta del dio. E questo perché lo straniero, che è senza amici o parenti, è tanto più oggetto della pietà umana e divina…”.
Non è, certamente, possibile ripercorre qui il tema del rapporto e della dimensione di “straniero” nel mondo classico, che già sul piano etimologico, manifestava la complessità del fenomeno.
Gli esempi appena ricordati ne evidenziano, però, la centralità del valore, senza che ciò implichi certo una rinuncia ad una necessaria regolamentazione del fenomeno.
In una ideale linea di continuità, spunti per una nuova valutazione della disciplina dell’accoglienza, sembrano tracciati da Corte Cost. 10 marzo 2022, n. 63 che, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 limitatamente alle parole «o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti», sembra muoversi nell’ottica di una massima valorizzazione della valutazione il principio solidaristico che sta alla base dell’accoglienza e che – rinviando a quanto sarà diffusamente osservato nei contribuiti che saranno pubblicati – consente di differenziare la condotta di aiuto all’ingresso illegale nel territorio dello Stato compiuto in favore di singoli stranieri per finalità altruistiche dalla condotta posta in essere a scopo di lucro da gruppi criminali organizzati nei confronti di un numero più o meno ampio di migranti destinati a essere trasportati illegalmente nel territorio dello Stato (in termini anche Corte Cost. sentenza n. 331 del 2011).
In particolare, nel dichiarare costituzionalmente illegittima la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere per tutte le ipotesi abbracciate dall’art. 12 t.u. immigrazione, la Corte aveva osservato che «le fattispecie criminose cui la presunzione in esame è riferita possono assumere le più disparate connotazioni: dal fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita; all’illecito commesso una tantum da singoli individui o gruppi di individui, che agiscono per le più varie motivazioni, anche semplicemente solidaristiche in rapporto ai loro particolari legami con i migranti agevolati, essendo il fine di profitto previsto dalla legge come mera circostanza aggravante»; a tale differente fenomenologia corrisponde, prosegue la Corte Costituzionale nel 2022, una differente posizione dello straniero che, beneficiario nel favoreggiamento altruistico, diviene vittima della condotta criminosa “esposta ora a pericolo per la propria vita o incolumità, ora a trattamenti inumani e degradanti, ora al rischio di essere avviata alla prostituzione o sfruttata in attività lavorative, e comunque - nel caso ordinario in cui la condotta sia compiuta con finalità di profitto - costretta a sborsare ingenti somme di denaro in cambio dell'aiuto a varcare le frontiere”
4. Ecco quindi che, in questo quadro, i temi di discussione e gli spunti di approfondimento non solo sono molteplici ma richiedono, necessariamente, una visione “multiforme” del fenomeno migratorio al fine di farne emergere la complessità a fronte di un quadro normativo che certo non brilla per il suo nitore e che, anche in ragione di ciò, può prestarsi a semplicistiche letture quando non a propagandistiche semplificazioni che non tengono in adeguata considerazione la complessità umana del fenomeno, che, facendo proprie le parole impiegate nel considerato 4.3 di Corte Cost. 63/2022, “…non possono non richiamare alla mente le drammatiche immagini di viaggi su imbarcazioni di fortuna e sovraffollate, o in precari nascondigli in celle frigorifere destinate al trasporto di merci, che spesso sfociano in eventi fatali…”
Questa, dunque, è la sfida che Giustizia Insieme intende raccogliere scegliendo di inaugurare la trattazione del tema dell’accoglienza, proprio in occasione delle festività cristiane.
Tale compito è affidato, anzitutto, all’articolo di Franco Roberti avente ad oggetto “Gli accordi europei in tema di immigrazione” con il quale si inaugura l’approfondimento sul tema dell’accoglienza.
I successivi approfondimenti che la Rivista dedicherà al tema saranno, quindi, sviluppati da prospettive e con modalità differenti.
Seguiranno, infatti, un approfondimento sulla disciplina degli sbarchi, sull’evoluzione della protezione internazionale e, segnatamente, sulla valenza e l’interpretazione del permesso per protezione speciale.
Accanto a tali riflessioni, poi, Giustizia Insieme proverà ad offrire una visione trasversale del fenomeno dell’accoglienza e del fenomeno migratorio in generale, ponendosi nella prospettiva di chi vive concrete esperienze di accoglienza, sia mediante un contributo sugli hotspot, sia secondo il già sperimentato format dell’intervista, attraverso testimonianze dirette di chi, su base volontaria, è impegnato nella quotidiana gestione dei flussi migratori.
[1] La Corte Costituzionale ha da tempo definito l’ordinata gestione dei flussi migratori «bene giuridico "strumentale", attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici "finali", di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata» (sentenza n. 250 del 2010 e ivi numerosi precedenti in senso conforme, tra cui, da ultimo, Corte Cost. 63/2022), quali, in particolare, gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse (limitate) del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica.
[2] In questi termini cfr. Cassazione Civile, Sez. II, ordinanza 29/3/2021 n. 8713.
[3] Se pure l’art. 5, comma 6, t.u.i. nella formulazione che prevedeva la protezione umanitaria (“Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. (…)”) non è stato integralmente ripristinato, l’odierna formulazione appare pressoché del tutto congruente con la precedente (oggi disponendo l’art. 5, c. 6, t.u.i. che “il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.) e in ogni caso assicura la presenza di una clausola aperta (appunto, gli obblighi costituzionali) che, per un verso, impedisce l’immediata applicazione dell’art. 10 della Costituzione e per altro verso ne costituisce necessaria attuazione.