GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​La riforma della giustizia israeliana: cronache dall’ultima frontiera costituzionale di Leonardo Pierdominici*

    Sommario: 1. Introduzione: le necessarie, molteplici chiavi di lettura. – 2. La proposta di riforma governativa. – 3. Gli elementi di contingenza. – 4. Le radici del conflitto tra poteri. – 5. I possibili sviluppi.

    1. Introduzione: le necessarie, molteplici chiavi di lettura

    Manifestazioni di protesta, consecutivamente per settimane, con centinaia di migliaia di partecipanti (in uno stato di poco più di otto milioni d’abitanti)[1]; opposizioni parlamentari sul piede di guerra e riservisti dell’esercito che si appellano alla disobbedienza civile[2]; influenti giuristi locali che denunciano il pericolo di un «coup without tanks», ossia nientemeno che di un colpo di stato senza carri armati[3]; preoccupazioni espresse anche dalle cancellerie di altri paesi liberal-democratici[4]; il Presidente della Repubblica che pubblicamente discute di rischi di guerra civile, e si incarica di mediazioni bruscamente rigettate[5]; alfine, un rinvio della trattazione concesso dal governo in carica, pur acceso propugnatore[6].

    Israele è da qualche mese al centro delle cronache, anche internazionali, per via della discussa proposta di riforma della giustizia che il governo Netanyahu VI, insediatosi a fine dicembre 2022, ha subito incardinato presso la neo-costituita Knesset, la locale assemblea elettiva nazionale, dopo averla posta al centro dell’accordo di programma della nuova coalizione di destra vincitrice delle elezioni.

    La proposta di riforma - oggi all’esame del parlamento in prima lettura, e saranno necessarie tre approvazioni - è già stata ampiamente discussa nella pubblicistica. Pare tuttavia opportuno ricapitolarne i contorni, e soprattutto interessante sottolinearne le necessarie molteplici chiavi di lettura, che partono dalla contingenza locale e globale ma affondano le proprie radici nella complessa storia costituzionale del paese, «un microcosmo formato da tutte le complessità concepibili»[7], e caratterizzato da un originale evoluzione «a tappe»[8], e da ripetuti conflitti tra poteri, rispetto ai quali siamo al cospetto dell’ultima, possibilmente non definitiva, frontiera.

    In altre parole, è senz’altro possibile ragionare della matrice populista, e potenzialmente autocratica, della proposta riforma, che nel prosieguo si analizzerà nel dettaglio, comparandola con altre contemporanee esperienze di cd. democratic backsliding che hanno, in effetti, interessato tipicamente gli assetti dei rapporti tra la magistratura e gli altri poteri dello stato, come nel caso di specie[9]; ma una compiuta comprensione del fenomeno può aversi solo addentrandosi, almeno per sommi capi, nel significato costituzionale dello scontro tra poteri che si profila, ed in particolare nel fondamentale ruolo della Corte suprema di Gerusalemme nello sviluppo ordinamentale d’Israele, i cui portati la proposta riforma vuole espressamente delimitare.

    Il contributo si svilupperà pertanto dapprima, nel prossimo paragrafo, descrivendo la proposta e discussa riforma; nel successivo paragrafo, sottolineandone le contingenze, relative alla dimensione politica locale e alle recenti tendenze globali; poi, nel paragrafo ancora successivo, inserendo le ultime cronache che la interessano nella prospettiva della storia costituzionale dello Stato di Israele, ed in particolare del ruolo della locale Corte suprema per la sua evoluzione e dei tentativi di resistenza ai suoi portati; da ultimo, ragionando dei possibili sviluppi che paiono profilarsi. 

    2. La proposta di riforma governativa

    La riforma della giustizia proposta dal governo Netanyahu VI e in discussione alla Knesset si compone di una serie di elementi. Essi vanno partitamente analizzati, al fine di giungere a una visione d’insieme delle sue finalità.

    La proposta intende intervenire su cinque fondamentali aspetti del sistema costituzionale israeliano.

    La prima dimensione del proposto intervento attiene alle modalità di selezione dei giudici nell’ordinamento.

    L’attuale sistema, fondato sulle disposizioni della Basic Law: the Judiciary (la legge costituzionale in materia di ordinamento giudiziario), prevede che i giudici siano nominati da un Judicial Selection Committee composto da nove membri: il Justice Minister e il Chairman Cabinet Minister in rappresentanza del governo, due membri della Knesset usualmente designati in rappresentanza di maggioranza e opposizione parlamentare, due membri della locale Bar Association, ossia designati dall’avvocatura, tre membri in rappresentanza dei giudici della Corte suprema, tra cui il Chief Justice. Sempre attualmente, la nomina dei giudici ordinari avviene a maggioranza semplice tra i membri del Judicial Selection Committee; quella dei giudici della Corte suprema, in esito ad una riforma del 2008[10], avviene a maggioranza di sette membri su nove, così da garantire un sostanziale e speculare potere di veto tanto in capo alla componente magistratuale che a quella politica (composta dai due membri del governo e dal deputato di maggioranza), e così da garantire nomine necessariamente congiunte.

    L’attuale proposta governativa mira alla modifica di tale assetto, al fine di dotare la maggioranza politica all’interno dell’eventualmente riformato Judicial Selection Committee di una capacità di decisione sostanzialmente autonoma. L’idea è di modificare la composizione del Committee portandola a undici membri: il Justice Minister, che fungerebbe anche da presidente, due altri ministri designati dal governo, i presidenti del Constitution, Law and Justice Committee, dello State Control Committee, dello Knesset Committee costituiti all’interno dell’assemblea parlamentare (anch’essi, quali presidenti di commissione parlamentare, solitamente riconducibili alla maggioranza), il Chief Justice e altri due giudici della Corte suprema scelti in autonomia dall’organo, due altri rappresentanti scelti dal Justice Minister, di cui uno avvocato. La necessaria maggioranza di sette membri per la nomina di ogni giudice, anche della Corte suprema, sarebbe così facilmente raggiungibile coi soli voti dei componenti in un modo o nell’altro riconducibili al governo in carica: così da potenzialmente dotare quest’ultimo di un pieno controllo su nomine e revoche degli appartenenti all’ordine giudiziario.

    La seconda dimensione del proposto intervento attiene alle modalità del controllo di costituzionalità delle leggi in essere nell’ordinamento.

    Nel sistema costituzionale israeliano - si vedrà più in dettaglio nei paragrafi seguenti - a partire dagli anni ‘90 s’è sviluppata per via pretoria una forma di controllo di costituzionalità delle leggi, nonostante l’inesistenza di una costituzione unidocumentale e rigida, e l’esistenza di un solo reticolo, incompleto, di cd. Basic Laws emanate nel corso dei decenni, adottate senza la previsione di alcun procedimento aggravato, e sino agli anni ’90 vertenti solo su aspetti organizzativi dei poteri dello Stato. Sulla scorta della adozione nel 1992, da parte della Knesset, delle prime Basic Laws in materia di diritti fondamentali, la Corte suprema d’Israele ha dichiarato, col noto caso United Mizrahi Bank del 1995[11] (non a caso da più parti paragonato alla storica sentenza Marbury v. Madison della Corte suprema degli Stati Uniti che nel 1803 “inventò” il judicial review of legislation[12]), l’esistenza di una «rivoluzione costituzionale» nell’ordinamento, ossia di un preteso cambiamento paradigmatico nella struttura costituzionale del paese e nei rapporti tra potere politico e potere giudiziario, prima modellati sull’ancoraggio alla common law britannica e ad un costituzionalismo “evoluzionista”[13], ma ormai da ritenersi fondati, invece, sulla judicial supremacy[14], e dunque sulla piena possibilità di un controllo giudiziale della conformità delle leggi ordinarie con i disposti delle Basic Laws.

    Tale «rivoluzione costituzionale», a far data dal 1995, ha costituito il paradigma ampiamente maggioritario nella lettura della struttura costituzionale d’Israele: ma - pure vedremo più specificamente - tale paradigma interpretativo, seppur largamente adottato, non è mai stato l’unico, ha condotto ad un uso cauto e spesso contestato degli effetti poteri di controllo di costituzionalità delle leggi, e ha sempre conosciuto tentativi «contro-rivoluzionari» da parte del potere politico tesi alla riaffermazione della propria primazia[15].

    Ecco dunque che l’attuale proposta governativa in discussione mira alla modifica di tale assetto, e dunque a porre un freno al potere di controllo di costituzionalità delle leggi che la Corte suprema d’Israele s’è arrogata: da un lato, finalmente, sancendone l’esistenza nell’ambito della normazione primaria, mediante l’adozione di una Basic Law: the Legislation sino ad oggi ripetutamente prefigurata ma mai emanata; dall’altro, espressamente limitandolo in due fondamentali sensi, ossia anzitutto vietando il judicial review avente ad oggetto Basic Laws, e dunque sancendo l’impossibilità di controllo giudiziale di «unconstitutional constitutional amendments»[16] (si noti: nell’ambito di un sistema che non differenzia l’adozione di Basic Laws mediante procedimenti legislativi aggravati, e dunque rimanendo solo nominalistica la differenza tra leggi ordinarie e tali “leggi fondamentali”), e poi richiedendo, per la dichiarazione d’incostituzionalità di leggi ordinarie, una pronunzia della Corte suprema in necessaria seduta plenaria di quindici membri, e con un quorum deliberativo dell’80% dei membri stessi.

    Fin troppo evidente, in tal ottica, l’intento governativo: una severa actio finium regundorum degli spazi tra potere giudiziario di controllo di costituzionalità delle leggi e potere politico, che, pur istituzionalizzando il primo, ne sancisca significativi limiti procedurali, e soprattutto esoneri dal controllo la normazione attuata nelle forme di Basic Law - senza però che tali forme prevedano, ad oggi, procedure aggravate particolari, e dunque essendo esse alla mercé di maggioranze politiche semplici.

    Tale intento di ridefinizione dei ruoli tra politico e giudiziario risulta vieppiù chiaro se poi si guarda alla terza dimensione del proposto intervento, che attiene alla possibilità di cd. override parlamentare delle decisioni della Corte suprema in punto di incostituzionalità della legislazione.

    L’idea che si propone è quella di dotare la Knesset in via generalizzata del potere di sovvertire, mediante votazione a maggioranza assoluta (61 deputati su 120), una decisione della Corte suprema che abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge: così ri-affermando, mediante deliberazione assembleare ulteriore, la vigenza della normazione censurata.

    La proposta è, come detto, collegata a quella precedente esaminata, anche nei suoi aspetti di dettaglio: nel senso che si prevede che ove la Corte suprema, nel sistema di controllo di costituzionalità riformato, censuri una legge a maggioranza (di almeno 80% dei suoi componenti), la Knesset potrà subito esercitare i poteri di override, purché ciò faccia esplicitamente (ossia deliberando una nuova disciplina normativa in cui si espliciti la volontà di ri-affermazione nonostante il dictum giudiziale), e ciò farà con effetti temporanei di vigenza, di quattro anni o sino al compimento della corrente legislatura, così che sia poi una nuova composizione della Knesset, previe nuove elezioni, a poter affermare definitivamente la perdurante vigenza della legislazione in questione pur censurata; ove invece la Corte suprema abbia censurato la disciplina di legge all’unanimità dei propri componenti, non potrà essere la Knesset nella legislatura corrente al tempo della sentenza a esercitare il potere di override, ma solo potrà essere, eventualmente, una nuova composizione dell’assemblea parlamentare previe nuove elezioni ad esercitare tale potere, il tutto però stavolta con effetti senz’altro permanenti.

    Si gioca, con tale proposta, con la generalizzazione di un meccanismo di pretesa soluzione della cd. counter-majoritarian difficulty teorizzata, da noti costituzionalisti americani[17], come insita in ogni esercizio di controllo di costituzionalità delle leggi: con il controllo di costituzionalità si sancisce sì la preminenza di regole e principi di rango costituzionale su deliberazioni legislative di rango ordinario; ma, sul piano istituzionale, si afferma la possibilità che giudici, o organi in ogni caso non eletti o comunque dotati di legittimazione diretta, annullino le volontà dei rappresentanti del corpo elettorale, e dunque agiscano in contrasto con la volontà maggioritaria, e ciò costituirebbe la “difficoltà” di base che alimenta il secolare dibattito sulla legittimità e sulle forme di legittimazione necessarie a tal fine[18].

    Il potere di cd. override parlamentare è uno degli svariati sistemi teorizzati e poi applicati, in ambito comparatistico[19], per la pretesa soluzione di tale intrinseco dilemma istituzionale: sancendo una deroga al principio di judicial supremacy, che darebbe all’organo di controllo di costituzionalità l’“ultima parola” sulla questione controversa, si prevede che l’organo politico si possa riappropriare di tale ultima parola, con deliberazione susseguente presa semmai con speciali maggioranze. Ma qui è ovviamente il punto: tale soluzione è invero prevista, in ambito comparatistico, da alcuni sparuti ordinamenti, e tra questi v’è già Israele rispetto a puntiformi disposizioni delle Basic Laws del 1992 sui diritti fondamentali (è insomma previsto che ove queste specifiche disposizioni fungano da parametro in un giudizio di costituzionalità, un override parlamentare è possibile); è di solito accompagnata da limiti di vigenza temporale e relativi ai possibili parametri costituzionali interessati[20]; la proposta in discussione è invece anzitutto relativa alla generalizzazione di tale istituto (relativamente ad ogni possibile parametro di costituzionalità, anche fondamentale), può condurre a ri-affermazioni di vigenza permanenti della legge censurata, e soprattutto si calerebbe in un contesto ordinamentale in cui, s’è detto, non esistono procedimenti legislativi aggravati per l’adozione di Basic Laws (donde il rischio che la disciplina costituzionale parametro sia sostanzialmente messa in dubbio, nella sua effettività, dalla successiva deliberazione che deroghi alla sua applicazione giudiziale), e la maggioranza assoluta di 61 deputati su 120 è usualmente appannaggio della coalizione governativa (donde il rischio che una mera maggioranza politica possa sovvertire in ogni caso decisioni giudiziali di incostituzionalità).

    Ancora sostanzialmente collegata è la quarta dimensione del proposto intervento, che attiene alla volontà governativa di vietare ex lege ogni modalità di censura giudiziale dell’azione amministrativa sub forma di controllo di ragionevolezza.

    Il vaglio giudiziale della ragionevolezza dell’azione amministrativa è istituto antico che appartiene ab origine all’ordinamento giuridico israeliano: come noto (e come di seguito si vedrà in extenso), tale ordinamento s’è modellato sin da principio con aderenza alla tradizione di common law britannica, che era unificante law of the land ai tempi del Mandato britannico in Palestina precedenti al 1948[21]. È importante rimarcare che all’aderenza a tale tradizione Israele deve anche la cd. original jurisdiction della Corte suprema quale Alta Corte di giustizia (High Court of Justice), supremo tribunale amministrativo destinato, in via diretta, al vaglio degli atti governativi e delle pubbliche autorità[22], che si affianca alla sua appellate jurisdiction quale organo di vertice dell’ordinamento per le questioni civili e penali.

    Ciò si rimarca al fine di comprendere come la proposta in discussione sia, nuovamente, indirizzata contro il perenne idolo polemico dell’attuale maggioranza politica conservatrice d’Israele: la Corte suprema, rea in questo caso di avere sviluppato appunto quale Alta Corte di giustizia, a partire dalla fine degli anni ‘70, una invero assai largheggiante giurisprudenza tesa alla sostanziale eliminazione, per via interpretativa, delle principali restrizioni procedimentali al potere di scrutinio degli atti amministrativi e dell’esecutivo, ed in particolare dei requisiti di justiciability (idoneità di una controversia a essere decisa da un giudice) e di standing (legittimazione/interesse ad agire), e che avevano in precedenza impedito di pronunciarsi su molte delle questioni portate, anche informalmente od irritualmente, dinanzi ad essa[23]. La trasposizione di questa innovativa giurisprudenza (in larga parte imputabile all’ispirazione teorica del presidente della Corte Aharon Barak[24], che poi sarà nel decennio successivo il fautore della proclamata «rivoluzione costituzionale» cui s’è accennato) ai procedimenti conosciuti in veste di Alta Corte di giustizia ha finito per conformare un modello di giustizia amministrativa fortemente aperto alle istanze provenienti dalla società, pronto ad affrontare ogni tipo di questione sensibile anche di natura militare, facendo giustizia del motto «everything is justiciable» con cui era stato apertamente teorizzato[25]. Le decisioni paradigmatiche, rispetto ai requisiti processuali in discussione, furono: la sentenza Elon Moreh[26] del 1979, caso particolarmente pregnante che assunse all’epoca il clamore di notevole evento politico, perché la Corte vi sanciva l’orientamento del proprio judicial review anche nei confronti delle azioni governative strettamente connesse con la sicurezza nazionale (in una prima fase rubricate alla stregua di 'political questions'), e lo faceva censurando una decisione in materia di insediamenti ebraici nei territori occupati, forse una delle questioni più delicate e connesse con l’identità dello stato-nazione israeliano[27]; e la sentenza Ressler v. Minister of Defence del 1988[28], con cui la Corte stabilmente definì un criterio di 'standing' pressoché sovrapponibile a qualsiasi lamentela di violazione della rule of law e quindi alla generica sussistenza di un pubblico interesse, anche diffuso, e delineò una distinzione tra casi di «giustiziabilità normativa» e casi di «giustiziabilità istituzionale» che avrebbe inteso restringere, per l'avvenire, la categoria delle political questions ad eccezionali evenienze in cui la scelta di pronunziarsi da parte della Corte stessa avrebbe potuto mettere in dubbio la fiducia dell’opinione pubblica nel suo operato[29]. La Corte ha in tal senso da decenni strategicamente aperto le proprie porte a pressoché ogni tipologia di attore sociale e di sue doglianze; si è così costruita un ruolo centrale nel vaglio di legittimità dei poteri amministrativi e poi anche legislativi e financo di normazione costituzionale, esercitato sino a censurare, di recente, proprio anche sub forma di vaglio di ragionevolezza, l’abuso del procedimento legislativo[30], l’abuso delle forme delle Basic Laws[31], oltre che la violazione dei principi costituzionali.

    Evidente allora che la contestazione governativa oggi in discussione non attiene di per sé al vaglio giudiziale di ragionevolezza, ma all’impiego, invero pervasivo, che la Corte ne ha fatto da decenni, sulla scorta di una giurisprudenza largheggiante ma mai sinora messa in discussione.

    Da ultimo, la disamina va completata con la quinta dimensione del proposto intervento, che mira alla relativizzazione dell’importante, e “costituzionalizzato”[32], ruolo dell’Attorney General.

    Tale organo, monocratico, si ispira anch’esso a forme di common law, ma assume nell’ordinamento israeliano un’originale postura. Anziché essere parte della compagine di governo, come omologhi organi in similari sistemi, ne è una sorta di consigliere giuridico, che però s’atteggia a mo’ di autorità indipendente: lo rappresenta in giudizio, sovraintende alla pubblica accusa, formula pareri, spesso obbligatori[33]. Ma, proprio alla luce dell’indipendenza che gli è conferita, l’azione e i pareri dell’Attorney General sono prese di posizione che spesso impegnano, malvolentieri, il governo.

    L’impegno al rispetto da parte del governo delle posizioni dell’Attorney General deriva, nella storia istituzionale d’Israele, proprio dalla tradizione del partito conservatore del Likud, il partito di Netanyahu. Dopo decenni di ininterrotto dominio politico laburista, nel 1977 si insediò il primo governo conservatore guidato da Menachem Begin, allora leader del partito Herut, poi trasformatosi appunto in Likud. Accadde nel 1979 che l’Attorney General allora in funzione, Yitzhak Zamir, esercitò l’azione penale contro funzionari del ministero dell’interno per questione sensibile e sempre relativa al conflitto tra poteri: la rimozione coattiva di una tribù beduina da un’area occupata mentre la Corte suprema, in veste di Alta Corte di giustizia, stava delibando il relativo giudizio e aveva emesso ordinanza cautelare. I membri della compagine governativa si adontarono rispetto all’azione dell’Attorney General, sino a richiederne la rimozione. Il primo ministro Begin non solo si oppose alla richiesta, ma tracciò la linea che da quel momento in poi ha disegnato l’autonomia dell’organo rispetto a quella governativa: «The attorney general has special status in Israel» Begin così iniziava il consiglio dei ministri del 29 aprile 1979 «I don't think this status is carved in stone in the law, but it's enshrined in the custom that has existed since the founding of the state – and the power of custom is like the power of the law. … Because of this status, the cabinet doesn't intervene in the attorney general's considerations. … No bureaucrat in this country is allowed to demand that the attorney general revoke what he has decided on». E concludeva: «The attorney general has reached a certain conclusion, and the cabinet will not cancel it. It has no authority to do so»[34].

    Alla luce di questo rapido excursus, ben si possono comprendere le finalità governative attuali, tese a rimodulare la configurazione dell’Attorney General da organo indipendente a mero consulente posto nei ranghi del Ministero della giustizia, a rendere i pareri del medesimo espressamente non vincolanti per il governo, a consentire ai ministri di svincolarsi dalla necessaria rappresentanza giudiziale dell’Attorney mediante la possibilità di rappresentanza su base volontaria da parte del libero foro, in caso di differenza di vedute con costui.

    Ovviamente, ha attratto critiche la posizione di un governo non solo esplicito nella sua volontà di diminuire la possibilità di vaglio da parte dei giudici sul proprio operato, ma anche riluttante ad accettare in tal ottica le prese di posizione dell’Attorney General[35].

    3. Gli elementi di contingenza.

    La proposta governativa di riforma in discussione, di cui si sono sopra delineati i contorni, va anzitutto compresa alla luce degli elementi di contingenza che la contestualizzano nell’attuale temperie, nel paese e a livello comparatistico, e che alcuni osservatori considerano come quelli maggiormente esplicativi[36].

    Si è già reso evidente che la proposta di riforma si innesti in un mai sopito conflitto tra poteri, di cui costituisce l’ultima frontiera, almeno dal punto di vista cronologico.

    L’idea di una «rivoluzione costituzionale» consumatasi negli anni Novanta, e conducente a pieni poteri di controllo di costituzionalità delle leggi da parte della Corte suprema, in un paese che non ha una costituzione unidocumentale e rigida, è da decenni il paradigma interpretativo maggiormente accettato, ma non è mai stata avallata in senso univoco da ogni strato della complessa, plurale popolazione israeliana. Ciò vale, in generale, per parte significativa del fronte conservatore, ed in particolare vale per i plurimi fronti conservatori religiosi, che temono da sempre un sovvertimento dei delicati equilibri politici di un paese che, sin nella propria Dichiarazione d’indipendenza del 1948, s’è proclamato «Jewish and democratic»: ossia, temono il potenziale impatto laicizzante che l’applicazione iussu iudicis di principi costituzionali liberal-democratici potrebbe avere, ad esempio in settori simbolici ma altamente sensibili quali la gestione pluralistica su base religiosa dei regimi di diritto di famiglia[37] o le storiche esenzioni, pure su base religiosa, dal servizio militare[38].

    Da tale constatazione deriva un primo elemento di contingenza da sottolineare: già si erano registrati, da almeno quindici anni, tentativi «contro-rivoluzionari» da parte del potere politico di riaffermazione della propria primazia rispetto alla proclamazione pretoria del potere di controllo di costituzionalità delle leggi, anche nelle gravi forme oggi proposte (o, rectius, riproposte)[39]; la proposta di riforma in discussione però li riunisce, ed è avanzata in un frangente in cui la dinamica politica può concretamente condurre ad una sua adozione.

    Occorre infatti considerare che almeno sin dal 2007, e dunque subito successivamente al ritiro di Aharon Barak dalla sua presidenza (e quale carismatica guida), gli attacchi politici alla Corte iniziarono a concretarsi. Chi si fece primo promotore di quella che sarebbe divenuta una serie ripetuta di tentativi di contenimento del potere giudiziario fu l’allora ministro della giustizia Daniel Friedmann, un illustre accademico già voce critica rispetto al tralaticio sistema di nomine giudiziali nel paese[40], e che avrebbe poi anche nella propria produzione scientifica evidenziato aspre critiche sulla «rivoluzione» giudiziale[41]. Fu nell’ambito del suo mandato che si iniziò a prefigurare l’impiego di quel tipico arsenale di metodi che gli studi comparatistici tradizionali e le riflessioni svolte ci fanno facilmente prefigurare, e che s’attualizzano oggi.

    In linea con le ragioni critiche del passato, egli propose anzitutto una riforma del sistema di selezione dei giudici, ed in particolare di quelli della Corte suprema, nella prospettiva di un «court packing»[42] in chiave conservatrice, ossia di una ridefinizione degli equilibri di forza al suo interno[43]: ciò in particolare ragionando della possibile riforma della Basic Law: the Judiciary così da emendare la composizione di quel Judicial Selection Committee tradizionalmente incaricato delle nomine, e tradizionalmente dominato dagli stessi giudici della Corte suprema, capaci dunque di porre in atto, sino a quel momento, una sostanziale politica di cooptazione rispetto a professionalità e sensibilità affini.

    Altra proposta fu quella di ridefinizione, addirittura mediante legge ordinaria, dell’ambito delle Basic Laws capaci di fungere da parametro in un giudizio di costituzionalità: giacché, da parte critica, si considerava che tra le varie questioni lasciate aperte dal caso United Mizrahi Bank del 1995 vi fosse quella di quali leggi fondamentali potessero fondare i nuovi poteri giudiziali, se solo quelle nuove sui diritti umani del 1992 od anche, opportunamente interpretate, anche quelle passate ed eventuali future[44]. A ciò, viste le polemiche sorte dalla sentenza che per prima aveva interessato la materia[45], si accompagnava l’idea di emendare la Basic Law: Human Dignity and Liberty, cui pur confermare il potenziale valore parametrico, così da esentare le leggi relative alla cittadinanza, visto il loro potenziale simbolico, dal vaglio di costituzionalità[46].

    Ancora, si propose di emendare sin da quell’epoca, in altri sensi, la Basic Law: the Judiciary: in particolare prevedendo ex lege la possibilità di judicial review of legislation solo da parte della Corte suprema (mirando a risolvere le pur registratesi incertezze sulla natura diffusa o accentrata dei relativi poteri[47]), e solo mediante deliberazioni di collegi di almeno nove giudici, con almeno due terzi dei voti dei giudicanti in favore (mirando a sradicare i pur registratisi episodi di deliberazioni di invalidità a composizione ristretta).

    Non solo. Sostanziando appieno l’idea di una «contro-rivoluzione» chiamata a sradicare i frutti della «rivoluzione» di Barak, e dunque in primis l’idea della judicial supremacy fondata sul potere di controllo di costituzionalità delle leggi, si propose la positivizzazione di un generale potere di ovverride da parte della Knesset rispetto ai dicta giudiziali: così che, nella configurazione dei disegni dell’epoca (comunque più garantistica rispetto a quella oggi propalata), una super-maggioranza di 70 membri su 120 della camera rappresentativa potesse rendere inefficace una dichiarazione di incostituzionalità, riasserendo validità ed efficacia della disciplina di legge censurata[48].

    Nessuna delle proposte suddette si fece effettivamente strada, in quell’iniziale frangente come poi successivamente. Ciò nonostante ognuna di esse sia stata destinata a riemergere a più riprese nel dibattito pubblico, ad esempio nel 2012[49] e poi ancora recentemente con il mandato al ministero della giustizia della combattiva conservatrice Ayelet Shaked, la quale propose già in quel frangente l’idea, oggi tornata à la page, di un generale override power legislativo a sola maggioranza assoluta[50].

    Solo, nel 2008, s’è emendata la disciplina del Judicial Selection Committee (la cui composizione pur rimase intatta) al fine di richiedere la cennata speciale maggioranza di sette membri su nove per nominare i giudici della Corte suprema: ciò motivando sulla base della delicatezza del ruolo, ma sostanzialmente nella speranza, già in effetti oggi in essere, di ribaltare le usuali dinamiche interne all’organo, che vedevano il sostanziale controllo delle nomine da parte dei giudici stessi, presenti nel Committee nel numero di tre, d’intesa coi membri dell’avvocatura, presenti nel numero di due, e così da privilegiare il peso dei componenti politici (due membri governativi e due membri parlamentari)[51]. Riforma parziale che però non ebbe effetti dirompenti, anzi avendone in fondo di condivisibili: richiamando ad un necessario vasto consenso nelle procedure di nomina, senza possibilità di preponderanze tra frange diverse di componenti.

    Va dunque ben inteso in che senso si sottolinei tale primo elemento di contingenza: analoghi tentativi di «contro-rivoluzione» rispetto a quelli odierni si registrano, appunto, da quindici anni almeno; essi però non hanno mai incontrato, nel sistema parlamentaristico israeliano fondato sulla formula proporzionale e dunque indefettibilmente su governi di coalizione[52], l’ampio supporto necessario tra le forze politiche delle varie maggioranze succedutesi, pur se spesso conservatrici e dunque generalmente ostili rispetto all’attivismo considerato liberal della Corte[53].

    Terminato tuttavia l’esperimento del governo di larga coalizione Bennett-Lapid in carica tra il 2021 e il 2022 (fondatosi sulla conventio ad excludendum «rak lo Bibi», ossia “tutti dentro fuorché Bibi Netanyahu”), il governo Netanyahu VI oggi in carica si presenta come un potenziale sovvertimento delle dinamiche politiche degli scorsi anni. Esso gode nella Knesset di una maggioranza di supporto solida, che ammonta a 64 deputati su 120; e si fonda su una coalizione che può dirsi quella più a destra della storia di Israele, che federa gli storici alleati ultraortodossi Shas e United Torah Judaism e per la prima volta formazioni di destra radicale quali Otzmà YehuditTkumà e Noam, rispetto alle quali il Likud è, insolitamente, “ala moderata”; e che è resa vieppiù omogenea dalla precedente, risentita esperienza all’opposizione.

    Quel che insomma non s’era concretato negli scorsi due decenni, ossia una convergenza di forze conservatrici, sia religiose che più laiche, programmaticamente ostili, nel conflitto tra poteri, rispetto alla Corte e al suo operato, e pronte per ciò a sovvertire il sistema costituzionale, oggi viene in essere: tanto che, in punto di contingenza politica, va registrato che non solo (s’è accennato) la proposta riforma era parte del programma elettorale espressamente propalato dall’attuale maggioranza, e siglato dalle sue forze componenti, ma che, addirittura, in simultanea rispetto alla sua presentazione, che è tesa alla ridefinizione dei poteri costituzionali della Corte, il governo è pure al lavoro sul sensibile tema dell’ampliamento simmetrico dei poteri delle Corti rabbiniche, nell’idea di facoltizzarle ad agire da arbitri in materia civile sulla base del diritto religioso in presenza di accordo delle parti in conflitto – ma dunque ulteriormente tendendo alla delegittimazione del sistema giudiziario civile, e attentando all’uniformità ordinamentale e di trattamento dei cittadini[54].

    Il fatto che anche il Likud, quale “ala moderata” di coalizione e soprattutto quale partito tradizionale, sia ormai decisamente spinto ad esacerbare il conflitto tra poteri - almeno ad oggi, e nonostante qualche primo timido recentissimo ripensamento[55] - deriva poi da un secondo elemento di contingenza, che pure va sottolineato.

    Benjamin Netanyahu, leader del Likud, è dal 2020 imputato per frode e corruzione dinanzi alla District Court di Gerusalemme. Ciò non solo comporta ragioni nuove di tensione tra coalizione di governo e ordine giudiziario, che aggravano quelle già esistenti e di cui s’è detto; ma ha comportato ripetuti interventi dell’Attorney General che hanno stigmatizzato il conflitto d’interessi del primo ministro rispetto alla proposta riforma giudiziaria, e lo hanno invitato a non assumere, nell’iter legis, un ruolo attivo, in ottemperanza al patto da lui stesso siglato nel 2020[56], su invito proprio dell’Attorney General, per continuare a rivestire legittimamente cariche pubbliche di governo nonostante la delicata posizione assunta[57]. Si è recentemente arrivati addirittura all’approvazione di una specifica disciplina di legge che garantisce l’impossibilità di rimozione del primo ministro dall’incarico per ordine giudiziario, evidentemente fondata sul timore che l’Attorney General potesse richiedere alla Corte suprema misure del genere contro Netanyahu: e subito successivamente all’approvazione di tale discutibile disciplina novella, il primo ministro ha ripreso senza requie il proprio battage polemico sul tema[58].

    Ciò spiega facilmente, già di per sé, perché la proposta di riforma sia largamente indirizzata contro la figura indipendente dell’Attorney General, oltre che contro l’ordine giudiziario organizzato.

    Va poi ulteriormente rimarcato come, nel sistema israeliano, il circuito Attorney General High Court of Justice si sia reso depositario di prerogative invero ampie, e di scarsa diffusione, per come delineatesi, a livello comparatistico.

    Tra queste vi è quella del vaglio di ammissibilità dei candidati a ruoli parlamentari e di governo: talvolta sulla base di discipline di legge specifiche, tra cui quella di cui all’articolo 7a comma 2 della Basic Law: the Knesset che impedisce la candidatura nell’assemblea a chi inciti al razzismo; talaltra sulla base, più discutibile, di un vaglio di ragionevolezza della candidatura rispetto a elementi ostativi pregressi. Su tali fondamenti si sono registrate esclusioni quali quelle, recenti, dell’estate 2019 relativa alla rimozione dal seggio dei deputati della destra radicale ebraica Gopstein e Marzel[59] - membri del partito Otzma Yehudit dell’attuale Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir - e del leader del partito Shas Aryeh Deri nel gennaio 2023 quale Ministro dell’interno dell’attuale compagine di governo, giacché reo di evasione fiscale e pregressi episodi corruttivi[60].

    Anche in tal ottica, risultano evidenti gli elementi di tensione diretta tra maggioranza governativa attuale e ordine giudiziario.

    V’è poi una contingenza che potremmo definire comparatistica, ossia che accomuna Israele ad altri ordinamenti nell’attuale temperie.

    A più riprese, nell’inusuale lunga serie di governi guidati da Benjamin Netanyahu tra il 2009 e il 2021 (che è coincisa, non a caso, con la gran parte delle iniziative «contro-rivoluzionarie» che abbiamo descritto) i commentatori hanno ragionato di tendenze populiste della politica israeliana, quando non proprio di arretramento delle sue credenziali democratiche. Si sono stigmatizzati i ripetuti attacchi al potere giudiziario e all’indipendenza della figura dell’Attorney General[61], su cui ci siamo soffermati; ma anche l’adozione di nuove discipline penalizzanti nei confronti delle ONG, ampiamente attive nel paese nell’ambito della tutela dei diritti umani[62]; la centralizzazione del ruolo del Committee of Ministers on Legislation così da controllare, da parte governativa, il calendario dei lavori parlamentari[63]; l’avocazione in capo al primo ministro di plurime deleghe diffusamente esercitate[64].

    S’è dunque molto ragionato in tema di preteso coinvolgimento del paese nelle odierne globali tendenze di «constitutional retrogression», o «constitutional capture» o «democratic decay»[65] che dir si voglia: le quali, secondo gli studiosi che più da vicino le hanno studiate, «drawing on comparative law and politics analysis», si invererebbero attorno a cinque tipiche dinamiche istituzionali, ossia la revisione costituzionale, l’eliminazione degli istituti di garanzia, la centralizzazione del potere nelle mani dell’esecutivo, la contrazione o distorsione della sfera pubblica, l’eliminazione della competizione politica[66].

    In particolare, specie in punto di eliminazione degli istituti di garanzia e di centralizzazione del potere nelle mani dell’esecutivo, l’attacco all’indipendenza e alla funzionalità della magistratura è tipico di tali tendenze, e ben conosciuto anche in ordinamenti a noi prossimi, persino appartenenti all’Unione europea: si pensi agli ormai noti «usual suspects» Polonia e Ungheria, già oggetto di plurime censure da parte della Commissione europea e della Corte di giustizia in proposito[67], ma anche a casi meno noti come la Romania, ove recenti riforme giudiziarie hanno attirato critiche da parte dei commentatori e delle stesse istituzioni sovranazionali[68].

    Proprio dall’accostamento tra analoghe tendenze alla tensione tra potere politico e ordine giudiziario, e a riforme limitanti la capacità della magistratura di svolgere in via indipendente il proprio ruolo, vari analisti hanno potuto osservare, soffermandosi anche su Israele, che «le somiglianze nelle misure adottate in diversi sistemi giuridici e politici, in contesti storici radicalmente diversi, suggeriscono non solo un certo grado di comunanza di idee e obiettivi, ma anche una certa condivisione di esperienze e pratiche da parte di forze illiberali»[69].

    Il fenomeno dello scivolamento verso tendenze autocratiche è indubitabile, e certo simile a quello di altri ordinamenti - sebbene nei contesti dell’Est Europa vengano in rilievo mancate compiute transizioni costituzionali di origine relativamente recente, posteriore al collasso dei sistemi socialisti[70], mentre in Israele, vedremo specificamente, il fenomeno è più radicato e, se vogliamo, strutturale, ossia relativo ad un programma di costituzionalizzazione frustrato sin da principio.

    L’osservazione di tali tendenze è comunque rilevante, e deve condurci ad una connessa, necessaria, e forse più approfondita riflessione, che pure riecheggia teorizzazioni già svolte proprio relativamente alle esperienze di democratic backsliding dei paesi dell’Est Europa e che ben si attagliano alla nostra analisi degli sviluppi israeliani.

    Kim Lane Scheppele, nota studiosa di Princeton, ha icasticamente descritto le riforme costituzionali ungheresi degli scorsi anni come una sorta di sindrome di Frankenstein, proprio nel senso del romanzesco personaggio mostruoso di Mary Shelley, capaci di condurre a un «Frankenstate»[71]: ciò al fine di sottolinearne il potenzialmente mostruoso effetto cumulativo, nonostante la possibile opinabilità di alcune di esse, e al fine di dissuadere gli osservatori, in tempo di tendenze globali al democratic backsliding, dal commentare riforme costituzionali simultanee una ad una, partitamente, nei loro aspetti magari innocui o similari ad altre esperienze comparatistiche, senza considerare il disegno complessivo capace di creare per accumulo, appunto, mostruosità costituzionali.

    Tale insegnamento è di particolare utilità per l’analisi della proposta riforma in Israele.

    Singolarmente prese, e a un occhio profano, le riforme attualmente suggerite possono sembrare relativamente innocenti, o essere vagamente giustificate proprio anche in ottica comparatistica - e ciò è stato puntualmente fatto nel corso del dibattito degli scorsi mesi[72]: in fondo assegnare le nomine giudiziarie apicali al controllo del governo in carica non è soluzione sconosciuta a ordinamenti liberal-democratici, persino prototipici come quello degli Stati Uniti d’America; richiedere una maggioranza speciale in un collegio giudiziale per la censura costituzionale delle leggi parlamentari può essere una soluzione inedita, ma prima facie forse nemmeno irragionevole, al problema storico, già cennato e onnipresente nelle teorizzazioni in materia, della cd. counter-majoritarian difficulty, specialmente sentito ove non si incarichi per disciplina costituzionale positivizzata un organo ad hoc di tale compito, come invece nella tradizione europea[73]; la stessa idea di consentire all’assemblea parlamentare di sovvertire ex post gli effetti delle decisioni giudiziali di illegittimità costituzionale non è esperienza sconosciuta, anzi è ispirata a modelli noti, Canada e Finlandia su tutti, già persino trasposti in via puntiforme in Israele[74]; e le specificità dei ruoli dell’Attorney General nel sistema israeliano, e la potenziale pervasività della sua figura, risultano certo inedite ad uno sguardo d’altrove, e dunque può non sembrare assurdo concepire una riforma di tali aspetti.

    È evidente però che la simultanea proposta di tali riforme non sia un caso, e il suo significato vada apprezzato organicamente, nell’interezza: connotandosi dunque, a prescindere dalla opinabilità di alcuni aspetti, come un sicuro affronto all’equilibro nella separazione tra i poteri, e fondato sull’esercizio di un fenomeno pure ormai noto agli studiosi di diritto costituzionale comparato, quello del cd. abusive constitutional borrowing, ossia sull’«appropriazione di modelli, concetti e dottrine costituzionali liberal-democratici, al fine di far avanzare progetti autoritari»[75]. Difatti, il successo del diritto costituzionale comparato, conclamatosi negli scorsi decenni, e che ha condotto alla rapida diffusione globale di istituti di marca liberal-democratica, porta con sé possibili dinamiche perverse: tra le quali quella che pare in atto proprio in Israele, come anche in altri ordinamenti, ossia la manipolazione e decontestualizzazione di modelli ed esperienze stranieri, asserviti strumentalmente alla giustificazione di soluzioni che tendono a limitare o corrompere, comunque a strumentalizzare, nozioni e istituti che negli ordinamenti di riferimento hanno avuto e hanno ben altro significato[76].

    4. Le radici del conflitto tra poteri.

    Si è già ampiamente suggerito che una piena contestualizzazione dell’attuale proposta riforma della giustizia in Israele non possa fare a meno di analizzare, a fianco delle sue pur evidenti ragioni contingenti, di cui s’è detto, le ragioni più profonde dell’esacerbato conflitto tra poteri che vi si incarna.

    La conoscenza di queste ragioni passa dalla comprensione della storia costituzionale del paese, per intendere come gli attuali snodi siano l’ultima frontiera di un conflitto tra poteri che la attraversa da decenni.

    Per comprendere tali sviluppi, occorre tornare all’origine, e dunque alla caratteristica fondamentale dell’ordinamento israeliano, cui già s’è fatto ampio cenno: quella relativa all'assenza di una costituzione propriamente intesa, rigida e unidocumentale.

    A propria volta, dette peculiarità hanno precise, e complesse e stratificate, ragioni storiche.

    Israele è naturalmente un sistema giuridico cd. “misto”[77] giacché nell'area geografica, già prima dell'edificazione dello stato, originariamente convivevano diritto islamico ed eterogenei complessi di norme civilistiche del periodo ottomano, che si rifacevano a propria volta tanto al sistema di pluralismo particolaristico su base etnica della Mejelle[78] basato sulla Shariya quanto a codici napoleonici tradotti direttamente dal francese al turco[79]; dopo l'affidamento alla Gran Bretagna del mandato sulla Palestina, si sovrappose l'applicazione per factum principis del common law inglese[80]; a seguito delle varie ondate di migrazione di cui si nutrì Israele nei primi decenni di vita, per lo più provenienti dalla Germania e dai paesi dell'Est europeo, si sono innestate su queste basi profonde influenze civilian; ad ulteriore complicazione, le prime facoltà di giurisprudenza del paese furono aperte grazie al sostegno proveniente dagli Stati Uniti, il che consolidò progressivamente il ruolo della cultura, anche giuridica, angloamericana[81]. Si è composto, per stratificazione, un quadro pluralistico (common lawcivil law, diritti confessionali) di rara complessità.

    Ciò ha influenzato anche la singolare strutturazione costituzionale del paese. L’idea che una costituzione dovesse essere posta al vertice dell’ordinamento d’Israele fu sancita dagli stessi atti fondativi[82]; al momento dell’indipendenza israeliana dal Mandato britannico la rapida adozione di un testo costituzionale era considerata quasi certa[83]; gli eventi si dispiegarono però in maniera differente dalle attese e dagli impegni ufficialmente assunti anzitutto a livello diplomatico.

    Il processo costituente formalmente aperto (nel fervido contesto storico del secondo dopoguerra) ebbe un primo intoppo già con la mancata conclusione dei lavori della prevista Assemblea costituente[84], che fu soppiantata dall'organo legislativo ordinario detto Prima Knesset; a livello politico, tanto le formazioni laburiste di maggioranza quanto i vari partiti del cd. «blocco religioso» cominciarono ad esprimere sempre più ampie ed esplicite riserve rispetto alla subitanea scrittura di un testo costituzionale; un primo progetto di costituzione pubblicato, il cd. “Progetto Kohn”, di matrice laica e liberale, fu l'espresso bersaglio critico del nuovo “arco anti-costituzionale”, proprio perché dotato di un chiaro contenuto valoriale, un preciso e progredito sistema di checks and balances, e - per quanto più qui interessa - perché esplicitamente votato ad investire la Corte suprema di poteri espressi di judicial review of legislation[85].

    Si palesarono nel frangente le più varie ragioni d'opposizione all'idea di dotare effettivamente Israele di una carta costituzionale: lo stato d'emergenza già incandescente ai confini del paese, che si sarebbe in effetti reso imperituro; l'argomento cd. sociologico di chi voleva evitare di porre decisioni fondamentali vincolanti, in una fase primitiva, per un paese destinato per sua natura a crescere mediante ondate di immigrazione nel futuro[86]; l'idea che la formalizzazione di testi costituzionali fosse appannaggio di paesi interessati da transizioni costituzionali da regimi autoritari, e non necessaria in uno stato di completa nuova formazione; l’influsso del modello della common law e dunque anche del costituzionalismo evoluzionista britannico[87]; l'idea che la già promulgata Dichiarazione d'indipendenza e certe leggi di transizione rispetto al previo regime mandatario potessero già fungere da leggi fondamentali[88]; il problema già vivido della coesione sociale e culturale, in particolare per quel che riguardava il rapporto tra stato e religione, in uno stato che programmaticamente nasceva per essere al contempo «Jewish and democratic»[89].

    Su basi tanto ideologiche quanto di contingenza politica venne adottata il 13 giugno 1950 la storica «Risoluzione Harari»[90]: con essa i latenti disaccordi e la dilazione del progetto costituente israeliano vennero in qualche modo ufficializzati, giacché la Prima Knesset incaricò il proprio Constitution, Law and Justice Committe di predisporre la futura costituzione gradatamente, portando all’attenzione dell’assemblea ciascuno dei singoli capitoli man mano approntati[91]; ognuno di questi capitoli avrebbe rappresentato una «legge fondamentale» (Basic Law), da discutere e approvare separatamente; e l’insieme dei capitoli sarebbe solo all'esito confluito in una organica costituzione dello stato[92].

    Proprio in riferimento a questa capitale e certo peculiare risoluzione fu coniata, per il contesto israeliano, la nota definizione di «costituzione a tappe»[93].

    Sulla natura di questo progetto dilatorio e dilatato di strutturazione costituzionale sono opportune alcune puntualizzazioni.

    La prima, la più evidente sin dalla lettura del testo della «Risoluzione Harari»: l'idea era di comporre una serie di capitoli, sotto forma di cd. Basic Laws, la cui riunione alla fine del progetto avrebbe composto una costituzione ancora da ratificare, «a draft constitution for the State». Nulla si prevedeva quanto al valore giuridico di dette Basic Laws nelle more del processo di strutturazione costituzionale, prima del vagheggiato imprimatur finale.

    La seconda puntualizzazione. Era formalmente la sola Prima Knesset ad essere incaricata di poteri costituenti, vagliate le Basic Laws ad essa man mano proposte: si pensava insomma ad una dilazione del progetto costituzionale che coinvolgesse lo spazio di una legislatura, intenzione però subito tradita giacché si dovette aspettare la terza legislatura solo per l'adozione della prima legge fondamentale.

    La terza, sostanziale, puntualizzazione, cui pure già s’è accennato: nei primi quarant’anni dalla storica risoluzione del giugno 1950, e sulla scorta di questa, furono adottate solo nove Basic Laws, essenzialmente di carattere «organico-istituzionale»[94], disciplinanti cioè l’organizzazione dello stato e le procedure di esercizio dei poteri degli organi costituzionali; molte di queste peraltro si limitarono a codificare e al massimo ad elaborare la normativa precedente, spesso senza alcuna innovazione che si potesse catalogare come di vera «rilevanza costituzionale»[95]. Il riferimento è alle Basic Laws «The Knesset» (1958), «State lands» (1960), «The President» (1964), «The Government» (1968, con emendamenti nel 1992 e nel 2001), «The State economy» (1975), «Israel defense forces» (1976), «Jerusalem» (1980), «The Judiciary» (1984), «The State Controller» (1988): una serie di 'leggi-capitolo', ognuna della quali peraltro non si differenziava sul piano formale dalla normazione ordinaria nemmeno per il procedimento d'adozione, né conteneva esplicite indicazioni al legislatore ordinario affinché completasse quanto stabilito nel proprio dettato, o espressi riferimenti e limiti ai contenuti della legislazione futura.

    Quindi, nei suoi settantacinque anni di indipendenza e di sviluppo democratico sulle orme del modello ideologico liberal-democratico, Israele non è mai più riuscito a dotarsi di quel testo fondamentale, unitario e organico, che più volte si era ripromesso di adottare. Il progetto di dilazione e dilatazione mediante adozione graduale di una costituzione si è trasformato per decenni, come ben sottolineato in dottrina[96], in sostanziale astensione.

    Occorre allora comprendere che, nei decenni in cui tale astensione politica dalla scelta costituzionale s’è perpetuata, anche nella forma del rifiuto di dotare il paese di un compiuto sistema di controllo di costituzionalità delle leggi, la Corte suprema ha svolto un sostanziale ruolo di supplenza, al contempo espandendo i propri poteri e la propria sfera d’influenza.

    Orientando la propria attività istituzionale «alla ricerca di una costituzione»[97], in un'ottica di supplenza rispetto alle astensioni del legislatore, la Corte si produsse, dopo una primitiva fase astensionistica di formalistico rispetto della separazione tra poteri[98], già dalla metà degli anni '50, nella composizione per via pretoria di un aggiornato judicial bill of rights, catalogo di diritti fondamentali non positivizzati ma riconosciuti dalla Corte in assenza di ogni normazione in materia, e da questa tutelati specialmente nella propria veste di Alta Corte di giustizia. Non poteva, specie in questa fase, risalente già al primo decennio di operare della Corte, essere messa in discussione apertamente la supremazia del potere legislativo che derivava dal modello britannico: ma attraverso una composita opera interpretativa, alfine risultante in una vera e propria «costituzione non scritta»[99], la Corte strutturò un'ampia giurisprudenza di “tenore costituzionale” nell'ambito latamente amministrativo, anche su temi sensibili e complessi per il paese (dall’eguaglianza e dal diritto di non discriminazione[100] alla tutela della proprietà contro le illegittime espropriazioni[101], dalla libertà di religione e di coscienza[102] ai diritti politici d’elettorato attivo e passivo[103]).

    Poi, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, in una fase di piena e matura consapevolezza del proprio ruolo e resasi ormai evidente «l’astensione degli organi politici e amministrativi»[104] da vaste aree di potenziale «decision making»[105], la Corte intensificò ed ampliò lo spettro del proprio interventismo in quest’ottica, mediante la giurisprudenza largheggiante in materia di standing e justiciability cui abbiamo già fatto cenno: in tal modo finendo per conformare un proto-modello di giustizia costituzionale fortemente aperto alle istanze provenienti dalla società, pronto ad affrontare ogni tipo di questione sensibile, secondo il motto «everything is justiciable» propalato da Aharon Barak[106].

    Il ruolo «attivista» che la Corte era così venuta assumendo nei primi decenni di sviluppo s’è confermato, e secondo alcuni è deflagrato, con la «rivoluzione costituzionale» degli anni ’90 che essa stessa ha voluto sancire.

    Dopo decenni di tentativi abortiti per l’emanazione di una Basic Law: the Legislation che disciplinasse il potere di judicial review[107], o per l’adozione di una Basic Law sui diritti che s’affiancasse a quelle organizzative sui poteri già man mano emanate, e assurgesse a sicuro valore parametrico, nel 1992, con modalità quasi rocambolesche, due Basic Laws in tema di diritti umani videro la luce, le Basic Law: Human Dignity and Liberty e la Basic Law: Freedom of Occupation. Esse nacquero dallo smembramento, tattico, di un'ennesima proposta originariamente organica di legge fondamentale sui diritti politici e civili avanzata dal giurista e politico liberale Amnon Rubinstein, e, complice una serie di contingenze politiche in un clima di fine legislatura[108], passarono quasi inosservate nell'iter parlamentare (e non furono, come usuale, approvate con maggioranze particolari né con procedimenti speciali) e nel dibattito pubblico prima di incontrare, indefettibilmente, il momento della loro richiesta applicazione giudiziale.

    Le vicende che seguirono sono però note. Arrivate alla cognizione della Corte con lo storico caso United Mizrahi Bank v. Migdal Cooperative Village,  esse furono l’occasione per sancire l'idea che una «rivoluzione costituzionale» era intercorsa nel paese, proprio stante il riconoscimento di un «supra-legislative constitutional status» delle nuove Basic Laws Freedom of Occupation e Human Dignity and Liberty, da cui si fece discendere la naturale possibilità per la Corte suprema di dichiarare l’invalidità della legislazione ordinaria che nel caso di specie non incontrava i requisiti previsti da queste. Israele, nelle parole del Chief Justice, con l’adozione delle leggi fondamentali del 1992 si era conformata all'evoluzione storica della «comunità dei paesi democratici», e aveva preso finalmente parte a quella che Barak ha da più parti definito come la «human rights revolution»[109] caratterizzante la seconda metà del XX secolo. L’idea fondante al centro di una simile rivoluzione gestaltica sarebbe proprio quella dell'importazione del controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi, nel caso di specie in forma di «cooperazione continua»[110] tra la Corte suprema e la Knesset, con il delinearsi in maniera progressiva di una cornice ideale per la protezione espressa dei diritti fondamentali: la Risoluzione Harari, le nove Basic Laws emanate prima degli anni ’90 e i loro emendamenti, i precedenti giurisprudenziali di interpretazione dello status delle leggi fondamentali (pur senza dichiarazione formale di incostituzionalità[111]) e quelli a tutela dei diritti in ambito amministrativo rappresenterebbero tutte tappe coerenti di un unico cammino decrittabile in quest'ottica, coerente con l'idea secondo cui «il ventesimo secolo» sia da leggere come «il secolo del judicial review, attraverso il quale è accordato un reale significato al principio costituzionale, alla democrazia costituzionale e al giusto bilanciamento tra la regola maggioritaria e i diritti umani, tra il collettivo e l’individuo», e che «si potrebbe dire che chiunque consideri antidemocratico il controllo di costituzionalità delle leggi, stia in effetti sostenendo che la stessa idea di costituzione sia antidemocratica»[112], qualunque sia il contesto costituzionale cui ci si riferisce e l'armamentario parametrico a disposizione.

    La ‘rivoluzione costituzionale’ - scriveva la Corte - non si sarebbe del resto manifestata in Israele nel mero riconoscimento per tabulas dei diritti umani, da tempo conclamatosi attraverso la fitta rete di leading cases della Corte: piuttosto, essa sarebbe stata e sarebbe «visibile nel mutato status costituzionale dei diritti umani» stessi, i cui fondamenti teorici sarebbero a giustificazione dell’abbandono della teoria della incoercibilità del potere legislativo per lungo tempo sostenuta nel paese, sulla scia del modello di common law[113].

    Nasceva così in Israele, in esito ad una pretesa «rivoluzione costituzionale» sancita in via interpretativa, il potere di controllo di costituzionalità delle leggi, tramite invenzione della Corte suprema di Gerusalemme: e veniva a mutare profondamente rispetto al passato l'assetto dei rapporti tra potere politico e potere giudiziario.

    L’esercizio effettivo dei poteri di judicial review of legislation è stato, nei decenni, parco, ma assai dibattuto[114]: e se persino le opinioni concorrenti alla storica majority opinion del Chief Justice Barak nel medesimo caso United Mizrahi Bank esprimevano dubbi sui fondamenti interpretativi della Corte[115], e similmente opinavano alcuni eminenti costituzionalisti locali[116], le maggiori opposizioni si ebbero - già lo si è rimarcato - da alcune frange degli schieramenti politici conservatori, e s’ampliarono nel corso del tempo. Del resto, senza poter in questa sede dilungarsi sulle opzioni dottrinali sottese[117], basti registrare un paradosso: per anni s’è assistito nel paese ad uno straniante dibattito, mai davvero sopito, nel cui ambito il presidente della Corte suprema, Aharon Barak, influente personaggio pubblico, discuteva i dettagli della ormai formalizzata costituzione d’Israele, mentre il presidente della Knesset, il Ministro della giustizia, il presidente della Israeli Bar Association ne negavano ancora l’esistenza stessa[118].

    Tali basi precarie della pretesa «rivoluzione costituzionale» hanno condotto ai ripetuti tentativi politici «contro-rivoluzionari» che abbiamo discusso, di cui la riforma in discussione è solo l’ultima frontiera.

    L’abbiamo sottolineato: già si sono avuti in più occasioni, negli ultimi quindici anni almeno, tentativi di riforma del sistema di selezione dei giudici e di «court packing» in chiave conservatrice, tentativi di riforma del sistema di controllo di costituzionalità anche mediante previsione di supermaggioranze nel collegio della Corte, tentativi di limitazione degli ambiti del judicial review e di previsione di un generalizzato override power parlamentare. Solo, a differenza di oggi, non si coagularono maggioranze politiche capaci di approvare simili riforme.

    Certo, le modalità populistiche e la tendenza globale a fenomeni di democratic backsliding paiono aver intensificato la posta in gioco, tanto da condurre oggi a una proposta congiunta di tali strumenti nell’ottica “mostruosa” cui pure abbiamo fatto cenno, sino a mettere in dubbio la storica adesione d’Israele al modello liberaldemocratico che l’ha caratterizzato nel contesto medio-orientale[119].

    *

    Va in quest’ottica fatto cenno all’ultimo episodio di tentata «contro-rivoluzione» costituzionale precedente a quella attuale: episodio che, vedremo, ci aiuterà sia a contestualizzare appieno le attuali proposte governative nell’ambito dello storico conflitto tra poteri, sia a ragionare di potenziali, futuribili sviluppi.

    Nel 2018 il tono del conflitto si alzò nuovamente: in quel frangente, non mediante un’ennesima proposta di riforma istituzionale - che pure è seguita, con magnitudo intensificata - ma mediante un’astuta iniziativa politica della maggioranza conservatrice dell’epoca (sempre guidata dal Likud di Netanyahu).

    La provocazione fu così riassumibile: ammettendo la volontà del potere politico di accettare la lettura proposta dalla Corte suprema rispetto all’impianto delle Basic Laws stratificatosi come disciplina di certa natura costituzionale, di per sé capace di fungere da parametro per il judicial review of legislation, in ogni caso lo stesso potere politico potrebbe certo riappropriarsi della prerogativa di scrivere nuove leggi fondamentali, ossia nuove leggi-capitolo di tale impianto costituzionale, così da forzosamente indirizzare la Corte nella propria attività interpretativa.

    E la nuova legge capitolo che nel 2018 la maggioranza conservatrice intese aggiungere al reticolo di Basic Laws fu difatti particolare, e così orientata: una Basic Law titolata Israel as the Nation State of the Jewish People, tesa a divenire il preambolo della futura costituzione e dunque il preteso strumento interpretativo di ogni altra legge fondamentale, e perciò tesa a intervenire su temi strutturali lungamente dibattuti nel paese, quali quello dell’identità etnico-religiosa e dei confini territoriali; e, sul piano simbolico, adottata poche ore prima della visita ufficiale del presidente ungherese Orbán, durante la quale Netanyahu dichiarava ampia consonanza con i paesi del gruppo di Visegrád sui temi identitari[120].

    L’idea era dunque quella di intervenire attivamente nell’opera di redazione del libro delle leggi costituzionali, e costruire, con tale nuovo capitolo, una «Israel’s new constitutional imagination» radicata su «exclusive ethno-theological values»[121]: mediante la costituzionalizzazione, pur nell’ambito di dichiarazioni di ampio respiro, di principi e regole quali l’idea che il paese sia «national home of the Jewish people» (art. 1a), che il (solo) popolo ebraico sia depositario di diritto all’auto-determinazione (art. 1c), che Gerusalemme, «completa ed unita», sia capitale (art. 3), che la lingua ufficiale sia il solo ebraico e che al più l’arabo goda di mero status speciale (art. 4), che gli insediamenti ebraici siano un patrimonio nazionale da incoraggiare e tutelare (art. 7). E si consideri che lo stesso testo della Basic Law licenziato nel 2018 è risultato essere un compromesso rispetto a ben più radicali visioni originarie: fu espunta in sede di Constitution, Law and Justice Committee l’idea generale che l’intero corpus giuridico israeliano dovesse essere interpretato alla luce dell’art. 1 della nuova Basic Law, subordinando espressamente il carattere democratico di Israele alla sua connotazione ebraica (proposta contro la quale dovette esprimersi pubblicamente anche l’allora Presidente della Repubblica Rivlin)[122]; la primitiva disposizione specifica in tema di promozione degli insediamenti ebraici, poi cassata, includeva persino la possibilità di istituire comunità segregate per religione e nazionalità[123].

    Il potenziale discriminatorio della Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People era insomma evidente e persino professato: e se il suo significato primo era, s’è detto, una riscrittura in chiave conservatrice del libro costituzionale israeliano, il portato subito conseguenziale è stato quello di chiamare, o persino sfidare, l’ordine giudiziario ad una sua applicazione, e ad un vaglio delle regole e dei principi che v’erano dettati.

    L’occasione non s’è fatta attendere: con plurimi ricorsi presentati in rapida successione, da parte di partiti d’opposizione e di associazioni riconducibili a minoranze quali quella araba e quella druza, la Corte suprema quale Alta Corte di giustizia è stata subito chiamata a pronunziarsi sulla legittimità della Basic Law del 2018; e dunque, per il tramite, a esprimersi sulla configurabilità nell’ordinamento della dottrina dell’«unconstitutional constitutional amendment», ossia sull’esistenza di un nucleo duro di valore super-costituzionale, intangibile anche mediante legge fondamentale, ad esempio da identificarsi nel concetto identitario della natura «Jewish and democratic» del paese posto come potenziale «clausola di eternità»[124] (come Barak, in un obiter dictum, già suggerì in United Mizrahi Bank[125]); o sulla configurabilità della più ancora radicale teoria dell’«abuso del potere costituente»[126], atta a invalidare non solo emendamenti ma anche l’impiego primigenio di leggi fondamentali[127].

    Ciò è avvenuto nel luglio 2021, con l’interessante sentenza Hason[128] pronunziata su tali ricorsi riuniti, in esito ad un partecipato dibattito pubblico nel cui ambito precedenti membri arabi della Corte si sono espressi, nella pubblicistica, a favore della censura della Basic Law[129], mentre l’allora Ministra della giustizia Shaked contestava invece in radice, ancora pubblicamente e in un discusso editoriale, il potere della Corte di vagliare la legittimità delle Basic Laws, pena la sua trasformazione sostanziale in un’assemblea costituente o la sostanziale usurpazione dei relativi poteri[130].

    La sentenza Hason è stata un’astuta replica da parte della Corte all’astuta iniziativa politica della maggioranza conservatrice: un esercizio di formale self-restraint interpretativo, che celava però, nemmeno troppo sommessamente, una piena resistenza all’attacco subito sul piano istituzionale nel conflitto tra poteri.

    S’è trattato di un rigetto delle varie doglianze poste, a maggioranza di dieci componenti su undici, con l’opinione dissenziente del giudice Karra appartenente alla locale minoranza araba. L’opinione di maggioranza è stata redatta dalla presidente Hayut, e ha affrontato apertamente le varie questioni sostanziali ed istituzionali poste: per quel che qui interessa, con una sorta di sentenza interpretativa di rigetto, negando l’incostituzionalità della nuova Basic Law, nonostante le sue denunziate e riconosciute carenze dispositive, giacché riconosciuto possibile leggere le sue disposizioni «in senso ampio e in armonia costituzionale con tutte le altre Basic Laws», facendo giustizia alla sua natura di «solo capitolo della futura organica costituzione»[131]. La sentenza però, sul piano istituzionale, riaffermava una volta per tutte il ruolo di ultimo interprete da parte della Corte suprema all’interno dell’ordinamento, alla luce della già dichiarata supremazia del diritto costituzionale e dunque del portato della «rivoluzione» del 1995, attestando l’esistenza di un suo ruolo anche a giudicare di possibili incostituzionalità di Basic Laws - in assonanza con le teoriche di common law sulla cd. basic structure doctrine[132] - giacché pur nella «incompletezza dell'impresa costituzionale israeliana» e nella perdurante «assenza di mattoni importanti nella struttura costituzionale»[133] si può già stabilire che il sistema costituzionale abbia fissati alcuni «principi di base che possono non essere modificati dall'autorità costituente»[134], e il cui rispetto deve poter essere posto al vaglio giudiziale.

    La sentenza Hason, nell’affermare tale vasto potere della Corte, opportunamente lo legava anche al tema della natura più o meno aggravata del procedimento di revisione costituzionale: così che, in linea con l’esperienza comparatistica, a prescindere da alcune teoriche nazionali del tutto recalcitranti all’idea di identificare limiti impliciti[135], si possa riconoscere l’opportunità della pratica specialmente ove si rinvengano procedure di revisione flessibili e sotto il controllo sostanziale degli esecutivi in carica, con maggioranze parlamentari temporanee e interessi politici di corto respiro, e dunque ove fisiologicamente aumenta la possibilità di abuso del potere di revisione. Ciò giacché in tal ottica, si osserva, il rischio di abusi è maggiore, ove l’organo depositario sostanziale del potere di revisione è il medesimo decisore politico ordinario: la commistione di ordinary politics di breve termine e constitutional politics, che dovrebbero essere di più ampio respiro, conduce alla possibile strumentalizzazione di queste ultime[136]. Riflessioni di tal fatta trovano in effetti sublimazione nel peculiare assetto israeliano: il parlamento, come osservato, è monocamerale; il governo controlla ampiamente l’iter legislativo, o comunque ne è capace; non esiste effettiva separazione verticale dei poteri tra centro ed enti territoriali, a fini di mutuo controllo nell’attività legislativa[137]; il concetto stesso di revisione costituzionale è sfuggente, in assenza di una generale procedura rafforzata per l’adozione e l’emendamento delle Basic Laws e stante il carattere incompleto della costituzionalizzazione[138]; si sono già registrati casi di dichiarato abuso delle forme delle Basic Laws[139], e pure s’è recentemente prodotta una intensificazione sospetta nell’esercizio del potere di revisione[140]; non esiste alcun vaglio giudiziale da parte di corti sovranazionali, come ormai d’uso in vari ordinamenti liberaldemocratici consolidati[141].  In tal ottica, il potere di judicial review sulle Basic Laws sembra imporsi come necessario: altrimenti, dinanzi al riconosciuto esercizio di un potere costituente permanente da parte dell’assemblea elettiva nella continua composizione della «costituzione a tappe», basterebbe alla Knesset impiegare la formale etichetta di legge fondamentale per rendere immune qualsiasi sua normazione dal vaglio giudiziale, e per farsi sostanzialmente potere assoluto – quel che oggi la proposta governativa, si teme strumentalmente, propugna.

    E ciò che s’è imposto come necessario s’è anche, in esiti ai descritti ultimi sviluppi, coerentemente concretato: la Corte suprema, dinanzi ad una sfida politica sul proprio ruolo ordinamentale giocata in punto di perimetrazione dei suoi poteri, dopo essersi arrogata in via interpretativa con la «rivoluzione costituzionale» i poteri di judicial review delle leggi ordinarie, ha posto espressamente le basi per un ampliamento del controllo alle Basic Laws, ove contrarie ad un nucleo duro costituzionale riconosciuto in senso antitetico al portato politico della Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People.

    5. I possibili sviluppi.

    Situare l’attuale proposta di riforma governativa nella prospettiva del conflitto tra poteri che pervade da decenni il costituzionalismo israeliano non è solo un modo per meglio comprenderne le ragioni.

    Certo, è evidente da quanto detto che la riforma della giustizia oggi all’esame della Knesset sia l’ultimo capitolo di uno scontro che affonda le proprie radici nei decenni di sviluppo dell’ordinamento: e che sia anzitutto la riproposizione di meccanismi di pervasivo depotenziamento del ruolo dell’ordine giudiziario già ipotizzati, ma oggi nutriti da una maggioranza governativa solida e da pulsioni populiste/autocratiche globali, e che soprattutto deriva dall’esito non brillante consumatosi nel 2021, con la descritta sentenza Hason della Corte suprema, del tentativo del potere politico di “regolare i conti” nel conflitto tra istituzioni con un intervento diretto sulla sostanza costituzionale del paese, al fine, non riuscito, di addomesticare l’interpretazione giudiziale.

    Situare l’attuale proposta di riforma governativa nella prospettiva del conflitto tra poteri, in particolare ragionando sull’esito del depotenziamento della Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People con la sentenza Hason della Corte suprema, è altresì rilevante giacché ci può aiutare a speculare su quali sviluppi possano porsi in esito all’infervorato dibattitto d’oggidì.

    Riuscirà il governo ad imporre la propria riforma ad un paese profondamento spaccato, e sul piede di guerra? Quali dinamiche istituzionali potranno seguire?

    Mi pare che ad oggi si profilino tre possibili esiti.

    Uno, che all’inizio pareva improbabile, ma che oggi non è da escludere, è relativo al ritiro della discussa proposta, magari per collasso del governo che la propugna, alla luce delle tensioni che potranno derivare anche rispetto al prefigurato rinvio della trattazione parlamentare. Tale esito appare difficile stanti le dinamiche politiche suddette, che vedono sfociare oggi istanze a lungo covate, in un momento considerato finalmente propizio da parte conservatrice dopo anni di attesa; e giacché primissime crepe nella maggioranza di governo dopo settimane di contestazioni si sono già aperte, con il Ministro della difesa Yoav Gallant, del Likud, che ha invocato un periodo di riflessione, e che è stato per ciò solo rapidamente congedato da Netanyahu[142]. Pare chiaro, insomma, che la maggioranza conservatrice tenti di serrare i ranghi, e voglia insistere nella riforma, nonostante la dilazione dell’esame parlamentare da ultimo proposta.

    L’altro possibile esito è quello di un compromesso, magari persino di alto significato costituzionale. Da più parti, anche a livello accademico[143], si è iniziato a ragionare su una simile soluzione; e soprattutto se ne è fatto pubblico latore il Presidente della Repubblica Isaac Herzog, con una proposta che sulle prime - complice l’esacerbato dibattito - è stata sdegnosamente rigettata dal governo, ma che è frutto di un’articolata opera di composizione delle diverse posizioni in campo, mediante plurime consultazioni, ed è dunque degna di attenzione come futuribile sbocco, ancora possibile[144]. La proposta di compromesso presidenziale, pubblicata online[145], prevede: una riforma della composizione del Judicial Selection Committee, che comprenda undici membri come da proposta governativa, ma concepita in modo tale da non affidare né alla maggioranza parlamentare né all’opposizione, se coalizzata con le componenti magistratuali e laiche, una forza decisionale autonoma (così da incentivare nomine di compromesso); la definitiva costituzionalizzazione di ogni Basic Law esistente e futura, il cui emendamento o la cui adozione ex novo sarebbero da approvarsi con supermaggioranza parlamentare di 80 deputati su 120; il completamento delle Basic Laws sui diritti del 1992 con il campionario di diritti non espressamente ivi contemplati (il diritto all'uguaglianza e il divieto di discriminazione, nonché i diritti alla libertà di manifestazione del pensiero e di riunione, che pure la Corte già variamente riconduce al concetto di dignità invece già tutelato[146]); l’istituzionalizzazione dei poteri di judicial review of legislation della Corte suprema quale Alta Corte di giustizia, ma con restrizioni, seppure non potenti come quelle nella proposta governativa, quali l’obbligo di deliberazione a maggioranza di due terzi in un collegio di undici giudici[147], e con salvezza dal vaglio giudiziale, in forma espressa e positivizzata, del sensibile tema del servizio militare e delle questioni connesse[148]; assenza di potere di override della Knesset sulle sentenze della Corte, che invece è caposaldo delle proposte governative[149]; conservazione dei poteri di vaglio giudiziale fondato sulla ragionevolezza degli atti amministrativi, eccettuando però le risoluzioni governative puramente politiche, tra cui quelle relative alla nomina e alla revoca dei ministri; salvezza dell’indipendenza dell’Attorney General, pur se ri-configurato nei ranghi del Ministero della giustizia, e conservazione della vincolatività dei suoi pareri, con la possibilità però per il governo di rimuoverlo dall’incarico in caso di disaccordi sostanziali e continuativi coi ministri, previa approvazione in tal senso di un comitato speciale, o di procacciarsi un parere autonomo nei procedimenti giudiziali ove un ministero sia coinvolto e vi sia difformità di vedute con l’Attorney General.

    Il terzo possibile esito è quello che conduce alla deflagrazione dello scontro tra poteri, e dunque alla definitiva approvazione della riforma, nelle prescritte tre letture, da parte dell’attuale maggioranza della Knesset, simpatetica con il governo in carica. È nell’ottica di tale opzione che, in particolare, abbiamo approfondito nel paragrafo precedente le vicende del periodo tra 2018 e 2021, e specificamente i portati della sentenza Hason della Corte suprema quale Alta Corte di giustizia. Si rammenterà infatti che in quel giudizio la Corte disinnescò il potenziale esplosivo della Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People offrendone una interpretazione “conforme a costituzione” ed in particolare allo sviluppo costituzionale come propugnato nei decenni dalla Corte stessa: ma, nel far ciò, la Corte asserì una volta per tutte la propria competenza nel giudicare della costituzionalità di Basic Laws, ossia di leggi costituzionali, considerandosi garante ultimo del nucleo duro della sostanza costituzionale dell’ordinamento e dunque della sua generale tenuta.

    A detta di insigni costituzionalisti, di ex Attorney General, di ex giudici apicali locali, tale ruolo di garante ultimo della Corte potrebbe venire sollecitato nel merito con l’approvazione della riforma: la Corte, nel paradossale ruolo di garante finale dei suoi stessi poteri in discussione, sarebbe con ogni probabilità chiamata ad esercitarli, se del caso per un’ultima volta, nel vaglio di una disciplina di Basic Law capace di attentare al quella natura «Jewish and democratic» dell’ordinamento consacrata nella Dichiarazione di indipendenza del 1948, e che osterebbe a discipline, anche in forma di leggi fondamentali, non conformi ai principi di rule of law, separazione dei poteri, indipendenza dell’ordine giudiziario, protezione effettiva dei diritti[150].

    Non è prospettiva rosea: sia perché affaccerebbe sull’abisso di incertezza relativo alla disponibilità della maggioranza conservatrice ad accettare l’eventuale responso giudiziale; sia perché si tratterebbe in ogni caso di esercizio opinabile, seppur magari opportuno, dei poteri giudiziali, e che potrebbe non avvenire all’unanimità dei giudici della Corte (già nel caso Hason alcuni di essi si dissero contrari alla possibilità del vaglio di costituzionalità delle Basic Laws[151]), la qual cosa potrebbe condurre a ulteriori strumentalizzazioni sul piano politico e a un indebolimento della posizione dell’ordine giudiziario come necessario contropotere.


    *Ricercatore di diritto pubblico comparato presso l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna.

    [1] H. Gold, A. Tal, Half a million Israelis join latest protest against Netanyahu's judicial overhaul, organizers say, in Edition.CNN.com, 12.3.2023, disponibile al sito https://edition.cnn.com/2023/03/12/middleeast/israel-protests-benjamin-netanyahu-intl/index.html.

    [2] T. Staff, IDF fears more pilots will refuse to serve over judicial overhaul - report, in Times of Israel, 22.3.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/idf-fears-more-pilots-will-refuse-to-serve-over-judicial-overhaul-report/.

    [3] D. Israel, Aharon Barak Says Levin’s Justice Reform Is Like ‘a Coup with Tanks,’ Fantasizes about Being Shot by Firing Squad, in JewishPress.com, 8.1.2023, disponibile al sito https://www.jewishpress.com/news/israel/aharon-barak-says-levins-justice-reform-is-like-a-coup-with-tanks-fantasizes-about-being-shot-by-firing-squad/2023/01/08/.

    [4] M. Lo Monaco, Scholz bacchetta Netanyahu, Israele ancora in piazza, in Ansa.it, 16.3.2023, disponibile al sito https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2023/03/16/scholz-bacchetta-netanyahu-israele-ancora-in-piazza_f7c832ec-1558-4d5f-bbe0-538f3092745e.html.

    [5] T. Staff, Warning of civil war, Herzog unveils framework for judicial reform; PM rejects it, in Times of Israel, 15.3.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/a-golden-path-after-weeks-long-effort-president-debuts-overhaul-compromise-offer/.

    [6] A. Tal, R. Picheta, Netanyahu announces delay to Israel judicial overhaul plans amid huge protests, in Edition.CNN.com, 27.3.2023, disponibile al sito https://edition.cnn.com/2023/03/27/middleeast/israel-judicial-overhaul-protests-intl/index.html.

    [7] G. Sartori, Parties and Party Systems. A Framework for Analysis, New York 1976, p. 151.

    [8] Secondo la definizione di R. Toniatti, Israele: una Costituzione a tappe, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1977, p. 510.

    [9] Sottolineano la consonanza, su cui vedremo nello specifico, M. Kremintzer, Y. Shany, Illiberal Measures in Backsliding Democracies: Differences and Similarities between Recent Developments in Israel, Hungary, and Poland, in Law & Ethics of Human Rights, 2020, p. 125, e sulla loro scorta E. Campelli, Le ipotesi di judicial overhaul in Israele. Riflessioni comparate sulla potenziale regressione delle democrazie anche alla luce dei casi di Polonia e Ungheria, in federalismi.it, 7/2023, p. 15.

    [10] Che già ha interrotto il denunziato precedente sostanziale dominio da parte dei giudici della Corte suprema nel consesso, considerati sino a quella data capaci di porre in atto una sostanziale politica di cooptazione rispetto a professionalità e sensibilità affini (deliberando a maggioranza semplice con il voto, tradizionalmente concorrente, dei rappresentanti dell’avvocatura e/o almeno di alcuni dei rappresentanti politici).

    [11] United Mizrahi Bank PLC v. Migdal Cooperative Village (1995) 49 (iv) PD 221.

    [12] Ex pluribus T. Groppi, La Corte suprema di Israele: la legittimazione della giustizia costituzionale in una democrazia conflittuale, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, p. 3543, 3554; Z. Segal, The Israeli Constitutional Revolution: the Canadian Impact in the Midst of a Formative Period, in Forum Constitutionnel, 1997, p. 53, 54; M. Halberstam, Judicial Review, A Comparative Perspective: Israel, Canada, and the United States, in Cardozo Law Review, 2010, p. 2393, 2424; ed estesamente sul raffronto  Y. Rabin, A. Gutfeld, Marbury v. Madison and its Impact on the Israeli Constitutional Law, in University of Miami International & Comparative Law Review, 2000, p. 303; criticamente infine M. Troper, Marshall, Kelsen, Barak and the Constitutionalist Fallacy, in International Journal of Constitutional Law, 2005, p. 24. Sulla «lucida, sillogistica, universale presentazione teorica del judicial review» nel noto caso Marbury v. Madison, e sul suo ruolo fondamentale, anche sul piano simbolico, negli studi costituzionalistici, v. B. Barbisan, Nascita di un mito. Washington, 24 febbraio 1803: Marbury v. Madison e le origini della giustizia costituzionale negli Stati Uniti, Bologna, 2008, specie pp. 180 ss.

    [13] M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giurisprudenza costituzionale, 2006, p. 1643, 1652: «E’ noto che si possono contrapporre due modelli di sviluppo costituzionale: quello britannico dell’evoluzione delle regole fondamentali della convivenza sociale attraverso il graduale sviluppo delle leggi, delle consuetudini, della giurisprudenza, e quello continentale dell’evoluzione attraverso passaggi ordinamentali, rotture della continuità, momenti - cioè - costituenti. L’idea della radicalità di tale contrapposizione, molto diffusa tra Ottocento e Novecento, è in realtà risalente: la ritroviamo, in particolare, nella tesi ciceroniana della superiorità della forma di governo romana (“quam patres nostri nobis acceptam iam inde a maioribus relinquerunt”) proprio in ragione della gradualità dei suoi sviluppi».

    [14] Per approfondimenti sulla ricostruzione teorica sottostante v. da ultimo S. Gardbaum, What is Judicial Supremacy?, in G.J. Jacobshon, M. Schor (a cura di), Comparative Constitutional Theory, Cheltenham,, 2018, p. 21.

    [15] Secondo la nota locuzione di D. Navot, Y. Peled, Towards a Constitutional Counter-Revolution in Israel?, in Constellations, 2009, p. 429

    [16] Cfr. Y. Roznai, Unconstitutional Constitutional Amendments: The Limits of Amendment Powers, Oxford, 2017, e, per riferimenti tradizionaliO. Bachof, Verfassungswidrige Verfassungsnormen?, Tubinga, 1951.

    [17] In primis A.M. Bickel, The Least Dangerous Branch: The Supreme Court at the Bar of Politics, New Haven, 1986, specie pp. 34 e ss.; sulla «ossessione» di certa dottrina costituzionalistica, specie nordamericana, per la questione v. B. Friedman, The Birth of an Academic Obsession: The History of the Countermajoritarian Difficulty, Part Five, in Yale Law Journal, 2002, p. 153.

    [18] Per una utile summa in italiano del dibattito in materia può vedersi L. Mezzetti, Teoria della giustizia costituzionale e legittimazione degli organi di giustizia costituzionale, in Estudios Constitucionales, 2010, p. 307.

    [19] Si v. ad es. rispetto al paradigma costituito dalla nota Section 33 della Canadian Charter of Rights and Freedoms, nella dottrina italiana, G. Gerbasi, Problematiche costituzionali sulla clausola nonobstant di cui all'art. 33 della Canadian Charter of Rights and Freedoms, in C. Amirante, S. Gambino (a cura di), Il Canada. Un laboratorio costituzionale, Padova, 2000, p. 241.

    [20] V. appunto Sez. 33 della Canadian Charter of Rights and Freedoms: «33. (1) Parliament or the legislature of a province may expressly declare in an Act of Parliament or of the legislature, as the case may be, that the Act or a provision thereof shall operate notwithstanding a provision included in section 2 or sections 7 to 15 of this Charter. (2) An Act or a provision of an Act in respect of which a declaration made under this section is in effect shall have such operation as it would have but for the provision of this Charter referred to in the declaration. (3) A declaration made under section (1) shall cease to have effect five years after it comes into force or on such earlier date as may be specified in the declaration. (4) Parliament or the legislature of a province may re-enact a declaration made under section (1). (5) Section (3) applies in respect of a re-enactment made under section (4)».

    [21] Lo sottolinea opportunamente oggi, discutendo della riforma, R. Ziegler, The British Are Not Coming: Why You Can't Compare Israel's Proposed Legal Overhaul to the UK System, in Haaretz, 7.2.2023, disponibile al sito https://www.haaretz.com/opinion/2023-02-07/ty-article-opinion/.premium/the-british-are-not-coming-why-you-cant-compare-israels-legal-overhaul-to-the-uk/00000186-2cdb-d2f6-afe6-3dffe4880000.

    [22] Sulla storia dell’istituzione v. da ultimo Y. Sagy, The Missing Link: Legal Historical Institutionalism and the Israeli High Court of Justice, in Arizona Journal of International and Comparative Law, 2014, p. 703.

    [23] D. Barak-Erez, Broadening the Scope of Judicial Review in Israel: Between Activism and Restraint, in Indian Journal of Constitutional Law, 2009, p. 118, 119 ss.

    [24] Facciamo soprattutto riferimento, a livello di pubblicistica internazionale, ad A. Barak, Judicial Discretion, New Haven, 1989; Id., Forward: A Judge on Judging: The Role of a Supreme Court in a Democracy, in Harvard Law Review, 2002, p. 119; Id., Purposive Interpretation in Law, Princeton, 2005; Id., The Judge in a Democracy, Princeton, 2006, su cui si v. anche H. Neuer, Aharon Barak’s Revolution, in Azure, 1998, p. 5758.

    [25] Un modello che è stato definito di «iperattivismo giudiziario», e paragonato per apertura alle istanze sociali al sistema di giustizia costituzionale canadese, da T. Groppi, La Corte suprema di Israele: la legittimazione, cit., p. 3557, sulla scorta della definizione di Y. Dotam, Judicial Accountability in Israel: The High Court of Justice and the Phenomena of Judicial Hyperactivism, in Israeli Affairs, 2002, p. 87 ss.

    [26] Izat Muhamad Mustafa Dwaikat and others v. The State of Israel and others (1980) 34(i) P.D. 1.

    [27] In proposito, anche con riferimento ai problemi di legittimazione affrontati dalla Corte nell'addentrarsi in simili questioni, R. Shamir, 'Landmark Cases' and the Reproduction of Legitimacy: The Case of Israel's High Court of Justice, in Law and Society Review, 1990, p. 781.

    [28] HCJ 448/81, Ressler v. Minister of Defense 35 P.D (1981) 81: una sentenza che si inseriva nella scia di ricorsi a più riprese promossi di fronte alla Corte volti a lamentare l’abuso, da parte del Ministero della Difesa, della propria discrezionalità nel garantire la esenzione dal servizio militare degli studenti delle scuole talmudiche superiori, le Yeshivot.

    [29] Così T. Groppi, La Corte suprema di Israele: la legittimazione, cit., p. 3558. Per una più estesa disamina si vedano A.L. Bendor, Are There Any Limits to Justiciability? The Jurisprudential and Constitutional Controversy in Light of the Israeli and American Experience, in Indiana International & Comparative Law Review, 1997, p. 311 e D. Barak-Erez, Broadening the Scope of Judicial Review in Israel, cit., p. 119 ss.

    [30] V. HCJ 10042/16 Quantiski v. the Israeli Knesset (Aug. 6, 2017), e il commento di Y. Bar-Siman-Tov, In Wake of Controversial Enactment Process of Trump’s Tax Bill, Israeli SC Offers a Novel Approach to Regulating Omnibus Legislation, in International Journal of Constitutional Law Blog, 13.12.2017, disponibile al sito www.iconnectblog.com/2017/12/in-wake-of-controversial-enactment-process-of-trumps-tax-bill-israeli-sc-offers-a-novel-approach-to-regulating-omnibus-legislation/.

    [31] V. HCJ 8260/16 The Academic Center for Law & Business v. Israeli Knesset (Sept. 6,2017), e le riflessioni di S. Navot, Y. Roznai, From Supra-Constitutional Principles to the Misuse of Constituent Power in Israel, in European Journal of Law Reform, 2019, p. 403.

    [32] Giacché il suo ruolo è positivizzato tanto nella Basic Law: the Judiciary (1984) che nella Basic Law: the Government (2001).

    [33] Sulla figura in extenso E. Ottolenghi, La forma di governo, in T. Groppi, E. Ottolenghi, A.M. Rabello (a cura di), Il sistema costituzionale dello stato di Israele, Torino, 2006, p. 111.

    [34] G. Weitz, Netanyahu Hasn't Passed a Single Law, but a Different System of Government Is Already Here, in Haaretz, 11.3.2023, disponibile al sito https://www.haaretz.com/israel-news/2023-03-11/ty-article/.premium/netanyahu-hasnt-passed-one-law-but-a-different-system-of-government-is-already-here/00000186-ccd2-dc44-abe6-cdfad7750000.

    [35] J.H.H. Weiler, Israel: Cry, the Beloved Country, in Verfassungsblog, 1.2.2023, disponibile al sito https://verfassungsblog.de/cry-beloved-country/.

    [36] V. ancora M. Kremintzer, Y. Shany, Illiberal Measures in Backsliding Democracies: Differences and Similarities between Recent Developments in Israel, Hungary, and Poland, cit., e E. Campelli, Le ipotesi di judicial overhaul in Israele. Riflessioni comparate sulla potenziale regressione delle democrazie anche alla luce dei casi di Polonia e Ungheria, cit.

    [37] Cfr. in merito E. Ottolenghi, Profili storici e A.M. Rabello, Costituzione e fonti del diritto, in T. Groppi, E. Ottolenghi, A.M. Rabello (a cura di), Il sistema costituzionale dello stato di Israele, cit., 11 ss.; G. Tedeschi, Le Centenaire de la Mejelle, in Revue internationale. de droit comparé, 1969, p. 125.

    [38] Sul punto cfr. la ricostruzione recente di D. Ellenson, The Supreme Court, Yeshiva Students, and Military Conscription: Judicial Review, the Grunis Dissent, and its Implications for Israeli Democracy and Law, in Israel Studies, 2018, p. 197.

    [39] D. Navot, Y. Peled, Towards a Constitutional Counter-Revolution in Israel?, cit.

    [40] Ivi, 440.

    [41] D. Friedmann, The Purse and the Sword: The Trials of Israel's Legal Revolution, Oxford, Oxford University Press, 2016: su cui, criticamente e in chiave comparatistica, F.I. Michelman, Israel’s “Constitutional Revolution”: A Thought from Political Liberalism, in Theoretical Inquiries in Law, 2018, p. 745.

    [42] Il riferimento è ovviamente all’antecedente del Judicial Procedures Reform Bill of 1937 nordamericano, con cui il Presidente Franklin D. Roosevelt si propose di emendare le procedure di selezione dei giudici della Corte suprema U.S.A. al fine di ottenere giudizi più favorevoli rispetto alla legislazione sul New Deal; per una recente ricostruzione storica in materia, si v. J. Braver, Court-Packing: An American Tradition?, in Boston College Law Review, 2020, p. 2747.

    [43] D. Izenberg, Friedmann Urges Revamping Judges Selection Committee, in Jerusalem Post, 27.3.2007, disponibile al sito www.jpost.com/israel/friedmann-urges-revamping-judges-selection-committee.

    [44] C. Price, Israel Cabinet Backs Bill Restricting Supreme Court Review Power, in Jurist.org - Legal News and Commentary, 7.9.2008, disponibile al sito www.jurist.org/news/2008/09/israel-cabinet-backs-bill-restricting/.

    [45] HCJ 7052/03 Adalah v. Minister of the Interior (2006) 2 TakEl 1754.

    [46] D. Navot, Y. Peled, Towards a Constitutional Counter-Revolution in Israel?, cit., 440.

    [47] Su cui v. O Aronson, The Democratic Case for Diffuse Judicial Review in Israel, cit., e, volendo, L. Pierdominici, Diffusione e concentrazione del giudizio di costituzionalità delle leggi in Israele. L’ottica del conflitto tra poteri, in D. Butturini, M. Nicolini (a cura di), Giurisdizione costituzionale e potere democraticamente legittimato, vol. II, Bologna, Bononia University Press, 2017, p. 183.

    [48] D. Navot, Y. Peled, Towards a Constitutional Counter-Revolution in Israel?, cit., 440.

    [49] A. Bottorf, Israel Bill Would Allow Parliament to Overturn Supreme Court Decisions Cabinet Backs Bill Restricting Supreme Court Review Power, in Jurist.org - Legal News and Commentary, 9.4.2012, disponibile al sito www.jurist.org/news/2012/04/israel-bill-would-allow-parliament-to-overturn-supreme-court-decisions.

    [50] Si v. criticamente A. Harel, The Israeli Override Clause and the Future of Israeli Democracy, in Verfassungsblog – On Matters Constitutional, 15.5.2018, disponibile al sito verfassungsblog.de/the-israeli-override-clause-and-the-future-of-israeli-democracy.

    [51] Y. Levy Ariel, Judicial Diversity in Israel: An Empirical Study of Judges, Lawyers and Law Students, tesi dottorale depositata alla Faculty of Laws, University College London, disponibile al sito www.ucl.ac.uk/judicial-institute/sites/judicial-institute/files/judicial_diversity_in_israel.yla__1.pdf, p. 50 ss.

    [52] E. Ottolenghi, La forma di governo, in T. Groppi, E. Ottolenghi, A.M. Rabello (a cura di), Il sistema costituzionale dello stato di Israele, cit., 79 ss.

    [53] M. Mautner, Law and the Culture of Israel, Oxford, 2011, p. 159 ss.

    [54] J. Ari Gross, Bills to ban hametz, expand powers of rabbinic courts breeze through committee, in Times of Israel, 19.2.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/bills-to-ban-hametz-expand-powers-of-rabbinic-courts-breeze-through-committee/.

    [55] A. Obel, M. Bachner, Two Likud MKs back Gallant’s call to pause overhaul; others urge PM to fire him, in Times of Israel, 26.3.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/several-likud-mks-back-gallants-call-to-pause-overhaul-others-urge-pm-to-fire-him/.

    [56] J. Federman, Israel’s Netanyahu pressed to sign conflict-of-interest deal, in Associated Press News, 10.9.2020, disponibile al sito https://apnews.com/article/trials-israel-virus-outbreak-benjamin-netanyahu-910eaed8d1ad6e8d985858c55931450e.

    [57] I. Debre, Israeli AG warns Netanyahu broke law on conflict of interest, in Associated Press News, 24.3.2023, disponibile al sito https://apnews.com/article/israel-netanyahu-politics-judicial-overhaul-protests-crisis-courts-aefbf9607a6e3a0e1bb5e3355e733043.

    [58] T. Stann, L. Kerrer-Lynn, Knesset passes law shielding Netanyahu from court-ordered recusal 61-47, in Times of Israel, 23.3.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/knesset-passes-law-shielding-netanyahu-from-recusal-in-61-47-final-vote/.

    [59] J. Magid, Supreme Court bans extreme-right Gopstein and Marzel from elections, in Times of Israel, 26.8.2019, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/supreme-court-bans-extreme-right-gopstein-and-marzel-from-election-race/.

    [60] J. Sharon, AG: Deri’s appointment as minister ‘unreasonable in the extreme’, in Times of Israel, 4.1.2023, disponibile al sito https://www.timesofisrael.com/ag-deris-appointment-as-minister-unreasonable-in-the-extreme/.

    [61] Si v. organicamente il report di D. Scheindlin, The Assault on Israel’s Judiciary, in The Century Foundation, 7.7.2021, disponibile al sito tcf.org/content/report/assault-israels-judiciary.

    [62] C. Levinson, Netanyahu Seeks to Clamp Down on Human-rights Groups and Bar Funding from Foreign States, in Haaretz, 11.6.2017, disponibile al sito www.haaretz.com/israel-news/1.795078.

    [63] Mediante un inedito accordo di coalizione che vincolava ogni parlamentare dei partiti di maggioranza al voto conforme agli indirizzi presi dal Committee ministeriale: lo rileva G. Stopler, Special Symposium–Part 2 of 7: Constitutional Capture in Israel, in International Journal of Constitutional Law Blog, 21.8.2017, disponibile al sito www.iconnectblog.com/2017/08/constitutional-capture-israel.

    [64] N. Mordechay, Y. Roznai, A Jewish and (Declining) Democratic State? Constitutional Retrogression in Israel, in Maryland Law Review, 2017, p. 244, 257: «Governmental powers and government departments are concentrated in the hands of Prime Minister Netanyahu, reducing the weight of his coalition partners. At a certain point, Prime Minister Netanyahu has simultaneously been Israel’s Prime Minister, Foreign Minister, Communications Minister, Economy Minister, and Regional Cooperation Minister». La stessa Corte suprema fu investita, quale Alta Corte di giustizia, della questione, giudicata legittima nella sua transitorietà sebbene, espressamente, non opportuna: v. HCJ 3132/15 Yesh Atid v. Prime Minister of Israel (Apr. 13, 2016) (Isr.).

    [65] Si v. almeno l’interessante dibattito online Symposium: Constitutional Capture in Israel? ospitato sulle pagine dell’International Journal of Constitutional Law Blog tra il 20.8.2017 e il 26.8.2017, la cui introduzione è disponibile al sito www.iconnectblog.com/2017/08/introduction-to-i-connecticon-s-il-symposium-constitutional-capture-in-israel/, nonché in italiano, volendo, L. Pierdominici, Evoluzioni, rivoluzioni, involuzioni. Il costituzionalismo israeliano nel prisma della comparazione, Padova, 2022.

    [66] A. Huq, T. Ginsburg, How to Lose a Constitutional Democracy, in UCLA Law Review, 2018, p. 78, 118: «Drawing on comparative law and politics analysis of these cases, we then extract five specific mechanisms by which constitutional retrogression unfolds. These are: (i) constitutional amendment; (ii) the elimination of institutional checks; (iii) the centralization and politicization of executive power; (iv) the contraction or distortion of a shared public sphere; and (v) the elimination of political competition».

    [67] Cfr. almeno L. Pech, K.L. Scheppele, Illiberalism Within: Rule of Law Backsliding in the EU, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2017, p. 3, e, in italiano, G. Delledonne, Ungheria e Polonia: punte avanzate del dibattito sulle democrazie illiberali all’interno dell’Unione Europea, in DPCE online, 2020, p. 3999.

    [68] E.S. Tănăsescu, The independence of justice as proxy for the rule of law in the EU - Case study – Romania, in Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 1/2021, p. 103.

    [69] M. Kremintzer, Y. Shany, Illiberal Measures in Backsliding Democracies: Differences and Similarities between Recent Developments in Israel, Hungary, and Poland, cit., 152: «it can be noted that the similarities in the measures taken across different legal and political systems, in radically different historical contexts, suggests not only some degree of commonality in ideas and goals, but also some sharing of experiences and practices by illiberal forces».

    [70] Cfr. per un inquadramento, tra i vari, L. Mezzetti, Corrosione e declino della democrazia, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2019, p. 441.

    [71] K.L. Scheppele, The Rule of Law and the Frankenstate: Why Governance Checklists Do Not Work, in Governance. An International Journal of Policy Administration and Institutions, 2013, p. 559.

    [72] Lo sottolinea opportunamente anche J.H.H. Weiler, Israel: Cry, the Beloved Country, cit.

    [73] A livello comparato, la previsione dei relativi poteri «expressis verbis in costituzione» è, o dovrebbe essere, la caratteristica fondamentale dei cd. sistemi accentrati di giustizia costituzionale: v. A.R. Brewer-Carias, Judicial Review in Comparative Law, Cambridge, 1989, p. 188; seppure proprio il caso di Israele sia una possibile eccezione, cfr. volendo L. Pierdominici, Diffusione e concentrazione del giudizio di costituzionalità delle leggi in Israele. L’ottica del conflitto tra poteri, cit.

    [74] La Basic Law: Freedom of Occupation, emanata nel 1992, fu emendata già nel 1994, su pressione dei partiti religiosi, proprio in esito ad un primo suo sensibile impiego giudiziale, quando, nel caso Mitral Ltd. v. The Prime Minister, 47(5) P.D. 485 (1993) la Corte suprema stabilì la violazione della legge fondamentale in parola da parte della legislazione ordinaria che poneva limiti all’importazione in Israele di carne non kosher, ossia non macellata secondo le regole ebraiche tradizionali. In esito a quella riforma, subito successiva alla pronunzia giudiziale, anche quella Basic Law fu dotata di una notwithstanding clause, che disponeva: «(A) provision of a law that violates freedom of occupation shall be of effect, even though not in accordance with section 4, if it has been included in a law passed by a majority of the members of the Knesset, which expressly states that it shall be of effect, notwithstanding the provisions of this Basic Law; such law shall expire four years from its commencement unless a shorter duration has been stated therein». Si dotò dunque il parlamento dell’ultima parola in tema di costituzionalità di una normativa in materia, purché mediante votazione a maggioranza assoluta e con una disciplina necessariamente a termine quanto ai suoi effetti.

    [75] R. Dixon, D. Landau, Abusive Constitutional Borrowing: Legal Globalization and the Subversion of Liberal Democracy, Oxford, 2021, p. 1 ss.: «Legal globalization has a dark side: norms intended to protect and promote liberal democratic constitutionalism can often readily be used to undermine it. Abusive constitutional borrowing involves the appropriation of liberal democratic constitutional designs, concepts, and doctrines to advance authoritarian projects. Some of the most important hallmarks of liberal democratic constitutionalism—including constitutional rights, judicial review, and constituent power—can be turned into powerful instruments to demolish rather than defend democracy».

    [76] Cfr. in tal ottica T. Groppi, Il diritto comparato nel prisma delle regressioni democratiche. Recensione al volume di Rosalind Dixon e David Landau, Abusive Constitutional Borrowing. Legal Globalization and the Subversion of Liberal Democracy, Oxford University Press, 2021, in Diritticomparati.it, 28.9.2022, disponibile al sito https://www.diritticomparati.it/il-diritto-comparato-nel-prisma-delle-regressioni-democratiche-recensione-al-volume-di-rosalind-dixon-e-david-landau-abusive-constitutional-borrowing-legal-globalization-and-the-subversion-of-liber/.

    [77] Sul punto v. E. Rivlin, Israel as a Mixed Jurisdtiction, in McGill Law Journal - Revue de droit de McGill, 2012, p. 781.

    [78] V. ancora E. Ottolenghi, Profili storici, cit.; A.M. Rabello, Costituzione e fonti del diritto, cit.; G. Tedeschi, Le Centenaire de la Mejelle, cit.

    [79]A.M. Rabello, Costituzione e fonti del diritto, cit., 42; D. Sassoon, The Israel Legal System, in N. Kittrie (a cura di), Comparative Law of Israel and the Middle East, Washington D.C., 1986, p. 75.

    [80] Fu formalmente l'art. 46 del Palestine Order in Council, promulgato nel 1922 con la funzione di costituzione scritta del mandato, ad innestare nel sistema ordinamentale già stratificato il diritto inglese; l'intero complesso sarebbe poi stato confermato in vigore nel neonato stato d'Israele con le disposizioni transizionali dell'art. 11 dell'Ordinanza sulla Legge e l'Amministrazione del 1948.

    [81] In tema si vedano le interessanti note di V. Caianiello, Istituzioni e liberalismo, Soveria Mannelli, 2005, pp. 100-101.

    [82] La Dichiarazione d'indipendenza del 1948 conteneva, notoriamente, un esplicito riferimento a una costituzione, da adottarsi da parte di un’assemblea costituente da eleggersi non più tardi del primo ottobre di quello stesso anno, in precisa correlazione quindi con l'indicazione contenuta nella Risoluzione ONU n.181 a riguardo: «We declare that, with effect from the moment of the termination of the Mandate being tonight, the eve of Sabbath, the 6th Iyar, 5708 (15th May, 1948), until the establishment of the elected, regular authorities of the State in accordance with the Constitution which shall be adopted by the Elected Constituent Assembly not later than the 1st October 1948, the People’s Council shall act as a Provisional Council of State, and its executive organ, the People’s Administration, shall be the Provisional Government of the Jewish State, to be called ‘Israel’».

    [83] «The constitution was perceived as inevitable», secondo G. Goldberg, Religious Zionism and the Framing of a Constitution for Israel, in Israel Studies, 1998, p. 214.

    [84] Ciò avvenne mediante una cd. Transition Law approvata tra il 14 e il 16 febbraio 1949, che venne denominata “costituzione transitoria” (Hukkat Hama’avar).

    [85] Sul tema A. Radzyner, A Constitution for Israel: The Design of the Leo Kohn Proposal, 1948, in Israel Studies, 2010, p. 1.

    [86] A. Anselmo, Costituzione e democrazia: l’esperienza israeliana, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2000, p. 423.

    [87] S. Aronson, David Ben-Gurion and the British Constitutional Model, in Israel Studies, 1998, p. 193 ss.

    [88] Ibidem.

    [89] Sin da quanto statuito nella Dichiarazione d'indipendenza del 1948 e nella Risoluzione ONU n.181; sul tema, in prospettiva comparata, si v. oggi S. Mancini, M. Rosenfeld, The Dilemmas of Identity in a Jewish and Democratic State: A Comparative Constitutionalist Perspective, in G. Sapir, D. Barak-Erez, A. Barak (a cura di), Israeli Constitutional Law in the Making, Oxford, 2013, p. 517.

    [90] Dal nome del Membro della Knesset proponente, il giurista Yizhar Harari del Progressive Party.

    [91] Previo dissolvimento dell’Assemblea costituente e sua trasformazione in Prima Knesset, dal che deriveranno teorizzazioni diverse sulla perpetuazione del potere costituente in parallelo a quello legislativo ordinario: sia consentito in tal senso il rimando a L. Pierdominici, Evoluzioni, rivoluzioni, involuzioni. Il costituzionalismo israeliano nel prisma della comparazione, cit., 22 ss., 83 ss.

    [92] Il testo della risoluzione difatti recitava: «The First Knesset charges the Constitutional, Law and Justice Committee with the duty of preparing a draft constitution for the State. The Constitution shall be composed of individual chapters, in such a manner that each shall constitute a Basic Law in itself. Each chapter shall be brought before the Knesset as the committee completes its work, and all chapters together will form the Constitution of the State».

    [93] R. Toniatti, Israele: una Costituzione a tappe, cit., 510.

    [94] Secondo la definizione di A. Anselmo, Costituzione e democrazia: l’esperienza israeliana, cit., 426.

    [95] S. Sager, Israel's Dilatory Constitution, in American Journal of Comparative Law, 1976, p. 88, 94; A. Rubinstein, B. Medina, The Constitutional Law of the State of Israel, Tel Aviv, 1996, p. 377; R. Gavison, A Constitution for Israel: Lessons from the American Experiment, in Azure, 2002, p. 133, 158; A.M. Rabello, Costituzione e fonti del diritto, cit., 43.

    [96] D. Barak-Erez, From an Unwritten to a Written Constitution: The Israeli Challenge in American Perspective, in Columbia Human Rights Law Review, 1995, p. 309, 314.

    [97] Parafrasiamo qui il titolo di uno storico contributo nello studio dell'azione della Corte suprema, quello di M. Nimmer, The Uses of Judicial Review in Israel's Quest for a Constitution, in Columbia Law Review,1970, p. 1217.

    [98] Contrassegnata dai casi Leon v. Gubernik (Acting District Commissioner of Tel-Aviv) (1948) 1 P.D. 58; 1 S.J. 41; Baron v. Prime Minister and Minister of Defence 1 P.D. 109 (1948); Jabotinsky and Kook v. Weizmann, HCJ 65/1951, su cui nello specific M. Mautner, The Decline of Formalism and the Rise of Values in Israeli Law, in Tel Aviv University Law Review, 1983, 503 (oggi in Id., Law and the Culture of Israel, cit.) e D. Kretzmer, Forty years of Public Law, in Israel Law Review,1990, p. 341.

    [99] D. Barak-Erez, From an Unwritten to a Written Constitution, cit., 315 ss.

    [100] Cargo & Freight Ships v. Finance Minister (1957) 11 PD 1490, 1498.

    [101] City of Tel Aviv v. Lubin (FH) (1959) 13 PD 118.

    [102] Peretz v. Kfar Shmariyahu (1962) 16 PD 201.

    [103] Appello Elettorale 1/65 Yerdor v. Commissione elettorale centrale (1965) PD 19 365.

    [104] S. Shetreet, Developments in Constitutional Law: Selected Topics, in Israel Law Review, 1990, p. 368, 405.

    [105] Ibidem.

    [106] V. nota 25 supra.

    [107] Su tali evenienze sia consentito il rinvio a L. Pierdominici, Evoluzioni, rivoluzioni, involuzioni. Il costituzionalismo israeliano nel prisma della comparazione, cit., 29 ss.

    [108] Che rese meno ferrea la disciplina di partito e più libero il voto di molti degli esponenti tradizionalmente conservatori: ne dà conto anche S. Baldin, La rigidità costituzionale come work-in-progress nell'ordinamento israeliano, in F. Palermo, La «manutenzione» costituzionale, Padova, 2007, p. 266, 271-272.

    [109] United Mizrahi Bank PLC v. Migdal Cooperative Village (1995) 49 (iv) PD 221, opinione del giudice Barak.

    [110] Ivi, par. 3: «ongoing cooperation». Barak prende apertamente spunto, in proposito, da J. Agranat, The Contribution of the Judiciary to the Legislative Enterprise, in Tel Aviv University Law Review, 1984, p. 233.

    [111] Il riferimento è a HCJ 98/69 Bergman v. Minister of Fin. [1969] IsrSC 23(1) 693, su cui si vedano R. Burt, Inventing Judicial Review. Israel and America, in Cardozo Law Review, 1988, p. 2013, 2044, e M. Nimmer, The Uses of Judicial Review in Israel's Quest for a Constitution, cit.

    [112] United Mizrahi Bank, opinione del giudice Barak, par. 80: «The twentieth century is the century of judicial review. It imparts real meaning to the principle of constitutionality, to constitutional democracy and to the proper balance between majority rule and human rights, between the collective and the individual. It may be said that whoever argues that judicial review is undemocratic is in effect arguing that the constitution itself is undemocratic».

    [113]Ivi, par. 4: «until now the prevailing view in Israel was that ‘the all-powerful legislature may permit harm to citizens without legal or judicial limits’ (Justice Sussman in H.C.J. 163/1957 Lubin v. City of Tel Aviv Yafo, 1958 12 PD 1041, 1079)».

    [114] Dettagli, volendo, in L. Pierdominici, Evoluzioni, rivoluzioni, involuzioni. Il costituzionalismo israeliano nel prisma della comparazione, cit., 114 ss.

    [115] Ivi, 83 ss.

    [116] Secondo Ruth Gavison, una delle voci più critiche rispetto all’impianto dottrinale di Barak, «(T)here is no precedent, anywhere in the world, wherein the court decides on the supremacy of basic laws, and confers to itself the power of judicial review of Knesset legislation, without the existence of a full constitutional document and without explicit provision»: R. Gavison, The Constitutional Revolution: A Description of Reality or a Self- Fulfilling Prophecy?, in Mishpatim, 1997, p. 28.

    [117] Per cui siano consentiti i rinvii supra alle note 114 e 115.

    [118] R. Weill, Hybrid Constitutionalism: The Israeli Case for Judicial Review and Why We Should Care, in Berkeley Journal of International Law, 2012, p. 349, 351: «there has been an ongoing vehement debate in Israel over the existence of a formal Israeli Constitution (including the question of whether a Constitution is even desirable). Thus, scholars and citizens have witnessed bizarre events over the last sixteen years in which the President of the Supreme Court discussed the details of Israel’s formal Constitution, while the Chair of the Knesset, the Minister of Justice, or the head of the Israeli Bar Association denied its very existence during the same discussion. This debate continues today».

    [119] Interessanti riflessioni in N. Mordechay, Y. Roznai, A Jewish and (Declining) Democratic State? Constitutional Retrogression in Israel, cit.

    [120] U. De Giovannangeli, Netanyahu festeggia l'etnocrazia d'Israele con Orban, smacchiato di antisemitismo, in Huffington Post, 19.7.2018, disponibile al sito www.huffingtonpost.it/2018/07/19/netanyahu-festeggia-letnocrazia-disraele-con-orban-smacchiato-di-antisemitismo_a_23485547/.

    [121] A. Jamal, Israel's New Constitutional Imagination: The Nation State Law and Beyond, in Journal of Holy Land and Palestine Studies, 2019, p. 193, 194: «The new hegemonic social and political elites seek to transform the Israeli constitutional identity from one that is based on constructive legal ambiguity into one that is based on exclusive ethno-theological values».

    [122] E. Campelli, L’instabile equilibrio costituzionale israeliano: simboli e diavoli della Basic Law sullo Stato Nazione, in Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 1/2019, p. 87, 93.

    [123] Ivi, p. 100.

    [124] Ossia come limite alla revisione costituzionale derivante da principio super-costituzionale intangibile: v. ancora O. Bachof, Verfassungswidrige Verfassungsnormen?, Tubinga, 1951.

    [125] R. Weill, The Strategic Common Law Court of Aharon Barak and its Aftermath: On Judicially-Led Constitutional Revolutions and Democratic Backsliding, in Law & Ethics of Human Rights, 2020, p. 227, 261: «After the United Mizrahi Bank decision, Barak in dicta in various decisions seems to have created a two-tier system of supra-constitutional law. Already in United Mizrahi Bank, he suggested in dicta that the Court may resort to the doctrine of the “unconstitutional constitutional amendment” or “misuse of constituent power” to invalidate Basic Laws or amendments thereof».

    [126] V. sul punto, in ottica comparatistica, R. Dixon, D. Landau, Abusive Constitutional Borrowing: Legal Globalization and the Subversion of Liberal Democracy, Oxford, 2021, in particolare al cap. 6.

    [127] Pure già concretamente esplorata dalla Corte in tema di contingenti Basic Laws sul bilancio dello Stato sanzionate come abusive, v. nota 31 supra.

    [128] HCJ 5555/18 Hason v. Knesset (July 8, 2021).

    [129]  M. Bachner, Retired High Court Judge Urges Ex-Colleagues to Overrule Nation-State Law, in Times of Israel, 31.7.2018, disponibile al sito www.timesofisrael.com/retired-high-court-judge-urges-ex-colleagues-to-overrule-nation-state-law/.

    [130] A. Shaked, The Basic Law of All of Us, in Israel Hayom, 2.8.2018, disponibile al sito israelhayom.co.il/ opinion/576425.

    [131] Hason v. Knesset, opinion del giudice Hayut, par. 44: «sarebbe stato meglio avere una Basic Law (…) che chiarisse che lo Stato di Israele, oltre ad essere lo Stato nazione del popolo ebraico, è anche uno Stato impegnato per la piena uguaglianza dei diritti di tutti i suoi cittadini (…) ma un’altra regola viene in tal senso in rilievo, quella per cui nel condurre il controllo giurisdizionale la Corte non esamina la saggezza della legge. Esamina la sua costituzionalità e non converte in proprie le considerazioni del legislatore».

    [132] V. in proposito lo storico caso Kesavananda Bharati Sripadagalvaru & Ors. v. State of Kerala & Anr. (Writ Petition (Civil) 135 of 1970), su cui cfr. anche A. Pillay, The Constitution of the Republic of India, in R. Masterman, R. Schütze (a cura di), The Cambridge Companion to Comparative Constitutional Law, Cambridge, 2019, p. 141, 159.

    [133] Hason v. Knesset, opinion del giudice Hayut, par. 18.

    [134] Ibidem: «il sistema costituzionale nel suo insieme non lascia spazio a dubbi sul fatto che l'esistenza e l'immagine dello Stato di Israele siano caratterizzate dal binomio ‘ebraico e democratico’ e che questo sia il cuore pulsante della ‘costituzione israeliana’».

    [135] Una preziosa disamina è in R. Albert, M. Nakashidze, T. Olcay, The Formalist Resistance to Unconstitutional Constitutional Amendments, in Hastings Law Journal, 2019, p. 639.

    [136] D. Grimm, The Basic Law at 60 - Identity and Change, in German Law Journal, 2010, p. 33, 40; D. Conrad, Constituent Power, Amendment and Basic Structure of the Constitution: A Critical Reconsideration, in Delhi Law Review, 1977-1978, p. 14; S. Navot, Y. Roznai, From Supra-Constitutional Principles to the Misuse of Constituent Power in Israel, cit., 421.

    [137] M. Kremnitzer, Israel’s War on Democracy Is Here – and the Justice Ministers Leading the Charge, in Haaretz, 1.8.2018, disponibile al sito haaretz.com/misc/writers/WRITER-1. 5601695: «Israel of all countries needs to recognize the court’s authority to intervene when a constitutional (i.e., Basic) law is involved – to the point of overruling it. Israel has no system of checks and balances like other democracies have, such as having two legislative houses, decentralization of power between states or regions, an obligation to be subject to international treaties or international courts, and so on. There is no real separation between the legislative and executive branches in Israel, and the Knesset’s oversight of the government is not worth much either. The executive branch controls legislation by dint of its majority. The Knesset, and in effect the government, is both the legislative branch and the constitutive authority. Enactment of constitutional (Basic) laws can be accomplished by a regular majority and ordinary legislative procedures. The only element in the legal system with the power to impose checks and balances is the Supreme Court. No wonder those aspiring to absolute rule are acting to castrate it. Let’s say the Knesset were to enact a law enshrining the supremacy of men over women, of heterosexuals over homosexuals, of whites over blacks, of soldiers over people who do not serve in the military and so on. According to Shaked’s approach, the court would have to say ‘Amen.’ How much does the nation-state law – which is in effect a Jewish supremacy law – differ from these examples? And if this is so, our judicial system has become wide open to tyranny, arbitrariness and discrimination, unfettered and unrestrained».

    [138] A. Barak, Unconstitutional Constitutional Amendments, in Israel Law Review, 2011, p. 321, 322.

    [139] V. ancora HCJ 8260/16 The Academic Center for Law & Business v. Israeli Knesset (Sept. 6, 2017), e S. Navot, Y. Roznai, From Supra-Constitutional Principles to the Misuse of Constituent Power in Israel, cit., 415 ss.

    [140] Lo nota il giudice Mazuz nella propria opinion nel caso HCJ 5555/18 Hason v. Knesset., par. 5: «tra il 2015 e il 2021, sono state apportate circa 20 modifiche alle Basic Laws, alcune nel giro di pochi giorni, e ulteriori emendamenti costituzionali sono attualmente sul tavolo»; in tal ottica si consideri che esplicitamente il giudice  Rubinstein, nella propria opinion nel precedente e discusso caso HCJ 8260/16 Ramat Gan Academic Center of Law and Business v. Knesset (6 September 2017) (Isr.), par. 35,  annotò che «the restraint that the constituent authority takes in amending the constitution obliges also restraint from the court; but the natural continuation is that the less restraint by the constituent authority when it amends basic principles, the wider the willingness of the court to review basic law».

    [141] S. Navot, Y. Roznai, From Supra-Constitutional Principles to the Misuse of Constituent Power in Israel, cit., 421.

    [142] H. Gold, A. Tal, H. Regan, L. Izso, E. Gotkine, Mass protests erupt in Israel after Netanyahu fires minister who opposed judicial overhaul, in Edition.CNN.com, 27.3.2023, disponibile al sito https://edition.cnn.com/2023/03/26/middleeast/israel-judicial-overhaul-legislation-intl/index.html.

    [143] S. Sokol, Right-wing Group Behind Netanyahu's Judicial Overhaul Turns on His ultra-Orthodox Allies, in Haaretz, 26.3.2023, disponibile al sito https://www.haaretz.com/israel-news/2023-03-26/ty-article/.premium/right-wing-group-behind-netanyahus-judicial-coup-turns-on-his-ultra-orthodox-allies/00000187-1d8d-d4ca-afff-1d8d3e690000.

    [144] V. sempre T. Staff, Warning of civil war, Herzog unveils framework for judicial reform; PM rejects it, cit.

    [145] È disponibile, in ebraico, al sito https://www.mitve-haam.org/.

    [146] V. D. Barak-Erez, Broadening the Scope of Judicial Review in Israel, cit.

    [147] Il disegno di legge del governo richiede invece una maggioranza dell'80% rispetto al plenum necessario di tutti i 15 giudici dell'Alta Corte.

    [148] Ciò consentirebbe essenzialmente alla Knesset di disciplinare a livello costituzionale il diritto degli studenti yeshiva ultraortodossi di ottenere esenzioni dal servizio militare, una questione estremamente controversa che ha diviso il paese per decenni: sul punto v. sempre D. Ellenson, The Supreme Court, Yeshiva Students, and Military Conscription: Judicial Review, the Grunis Dissent, and its Implications for Israeli Democracy and Law, cit.

    [149] Sebbene paiano emergere spaccature sul punto, da un punto di vista dottrinale, tra gli ispiratori della riforma: v. S. Sokol, Right-wing Group Behind Netanyahu's Judicial Overhaul Turns on His ultra-Orthodox Allies, cit.

    [150] V. variamente le posizioni espresse in D. Bar On, Israel’s High Court Will Strike Down the Coup Legislation, Top Legal Experts Say, in Haaretz, 17.3.2023, disponibile al sito https://www.haaretz.com/israel-news/2023-03-17/ty-article-magazine/.highlight/israels-high-court-will-strike-down-the-coup-legislation-top-legal-experts-say/00000186-eb16-df90-a19e-ebbf15960000.

    [151] L’impiego di teoriche come quella della Basic structure doctrine è in effetti, alla luce delle specificità di Israele, discutibile. Negli ordinamenti ove tradizionalmente si ragiona di unconstitutional constitutional amendments esiste difatti una costituzione completa, frutto di un esercizio esaurito del potere costituente: sicché tale dottrina verrà impiegata per vagliare la legittimità del potere di revisione del testo costituzionale che ne è scaturito, quale forma di esercizio di potere costituito. Viceversa, in Israele senz’altro, e anche a detta della Corte suprema, «il processo di composizione della Costituzione non è ancora terminato»: dal che promanano una serie di problemi teorici di non poco conto. Come può ragionarsi di una «basic structure doctrine», se non v’è ancora nemmeno una «full structure» costituzionale? Come può ipotizzarsi una «constitutional replacement doctrine» sul modello colombiano - che dunque facoltizzi il giudice costituzionale a vagliare il portato della revisione, al fine di stabilire se essa modifichi o stravolga il tessuto costituzionale - se la costituzione non è completa, e dunque non può stabilirsi organicamente il suo portato? Come può la Corte desumere limiti impliciti alla revisione ed agire quale «guardiana della costituzione», se il progetto costituzionale è ancora in divenire? Su questi problemi teorici, che esorbitano le finalità del presente scritto, sia consentito il rinvio a L. Pierdominici, Evoluzioni, rivoluzioni, involuzioni. Il costituzionalismo israeliano nel prisma della comparazione, cit., 140 ss.

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