GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Note brevi a margine della proposta “Cartabia” di  riforma della prescrizione penale di Licia Siracusa

    Note brevi a margine della proposta “Cartabia” di riforma della prescrizione penale*

    di Licia Siracusa  

    Sommario: 1. La genesi della riforma - 2. La prescrizione (sostanziale) del reato - 3. La prescrizione del processo - 4. Discrasie e cortocircuiti logici.  

    1. La genesi della riforma  

    Fra gli emendamenti del Governo al D.D.L. AC 2435 recante la Delega per la riforma della giustizia penale quelli in materia di prescrizione sono certamente i più discussi e controversi. Attorno ad essi si è rinfocolato un acceso confronto tra posizioni contrapposte tanto sul fronte giuridico, quanto sul terreno politico, a conferma dell’estrema delicatezza delle questioni che vi sono implicate. La prescrizione costituisce in effetti uno snodo cruciale del sistema penale sia rispetto ai rapporti di reciproca interferenza tra diritto penale sostanziale e processo, sia sotto il profilo del raccordo tra la teoria del reato e la teoria della pena. In essa, le ragioni del punire  incrociano le istanze del “non punire” legate all’elemento del tempo.  

    Le modifiche in cantiere si innestano in un più ampio disegno di riforma della giustizia penale voluto dall’ex ministro Bonafede e ora ripreso dall’esecutivo in carica il quale in vista degli obiettivi indicati come prioritari dall’UE ai fini del PNRR, ha preferito percorrere la strada dell’aggiustamento puntiforme del testo, piuttosto che quella di una sua radicale riscrittura. Gli emendamenti approvati si rifanno in gran parte (ma con alcune significative differenze) alle soluzioni prospettate dalla Commissione di studio presieduta da Giorgio Lattanzi cui la ministra Cartabia ha affidato il mandato di elaborare le singole proposte emendative al disegno di legge. La scelta di collegare a doppio filo le novità in materia di prescrizione alla riforma del processo penale rappresenta dunque la naturale prosecuzione dell’impostazione seguita dal precedente esecutivo che il nuovo ha inteso mantenere, nel quadro delle esigenze di speditezza dell’iter di riforma imposte dal Recovery Fund.

    Si è trattato di una scelta non neutra né nei contenuti, né rispetto ai possibili esiti, come dimostra il fatto che il nuovo testo colloca sul terreno del diritto processuale i principali rimedi alle storture di sistema create dalla legge “spazzacorrotti” in materia di prescrizione. Se infatti sul versante della disciplina sostanziale, l’emendamento all’art. 14 complessivamente riprende - seppure con taluni correttivi - l’impianto della riforma “Bonafede”, confermando il blocco del decorso della prescrizione a partire dalla sentenza di primo grado, le novità più importanti riguardano proprio il fronte processuale ove si introduce un’inedita “prescrizione del processo” per le fasi del gravame. Facile intravedere dietro tali posizioni il condizionamento esercitato dalla forze politiche di maggioranza che erano state promotrici della legge n. 3/2019 e che non avrebbero gradito un suo radicale superamento.

    Sarebbe tuttavia errato giudicare la validità delle proposte avanzate esclusivamente sulla base delle variabili di contesto che ne hanno condizionato la genesi, anche tenuto conto che gli effetti indotti dalla peculiarità del momento storico-politico in cui tali iniziative sono maturate non sembrano essere stati del tutto negativi. Essi hanno per esempio favorito la scelta di un metodo di lavoro improntato ad un certo pragmatismo e l’instaurarsi di un rapporto di collaborazione serrata tra il governo e gli esperti della Commissione Lattanzi. Ne ha giovato il risultato finale tanto in termini di contenimento delle possibili derive populiste in chiave “giustizialista”, quanto sotto il profilo del livello di accuratezza tecnica del testo esitato.  

    2. La prescrizione (sostanziale) del reato  

    Sul versante della prescrizione del reato, l’emendamento proposto dal governo conferma - come detto - la scelta compiuta dalla legge n. 3/2019 di bloccare il decorso del termine di prescrizione con la pronuncia della sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Viene però corretto l’erroneo inquadramento di tale stop tra le cause di sospensione della prescrizione attraverso una nuova collocazione topografica. Si passa dall’art. 159 co. 2 c.p. al coniando art. 161 bis c.p. rubricato “Cessazione del corso della prescrizione”.

    La cessazione definitiva del corso della prescrizione non opera però in caso di emissione di un decreto penale di condanna il quale diviene un atto interruttivo della prescrizione. L’emendamento colma inoltre il vuoto della disciplina vigente rispetto alla mancata considerazione degli effetti della sentenza di annullamento della pronuncia di primo grado e prevede espressamente che la prescrizione cominci nuovamente a decorrere dalla data in cui la sentenza di primo grado sia dichiarata nulla.

    Infine, si ripristina l’originario limite di efficacia temporale degli atti interruttivi pari “a non più della metà del tempo necessario a prescrivere” che la legge “ex-Cirielli” aveva - com’è noto - da un lato, drasticamente abbassato (non più di un quarto del tempo necessario a prescrivere), dall’altro lato, fortemente parcellizzato, introducendo eccezioni di carattere oggettivo per i reati di particolare allarme sociale di cui all’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p. e censurabili deroghe di tipo soggettivo per talune categorie di autori (recidivi, delinquenti abituali e professionali).

    Qui si arrestano le modifiche suggerite dal Governo.

    La riforma Bonafede non viene drasticamente abrogata, bensì semplicemente emendata. Se ne ribadisce l’impianto complessivo attraverso il mantenimento della sopravvenuta imprescrittibilità del reato a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado e se ne limano alcune imprecisioni, ma nulla viene disposto rispetto ad altre questioni cruciali, di indubbio rilievo sistemico che invece rimangono sul tappeto: dalla necessità di una revisione dei criteri di determinazione del tempo necessario a prescrivere introdotti dalla legge “ex-Cirielli” alla riconsiderazione dei rapporti tra prescrizione del reato e prescrizione della pena, in una prospettiva di possibile ricorso a quest’ultima quale “sanzione” per l’irragionevole durata del processo.

    La logica del compromesso ha imposto di percorrere la strada di una soluzione ibrida in cui l’intangibilità delle opzioni di fondo della previgente riforma ha costituito il prezzo da pagare per una rapida definizione delle linee di azione del cd. “pacchetto giustizia” dalla cui approvazione dipende non soltanto la buona riuscita del PNRR ma anche la possibilità di introdurre finalmente nel sistema importanti e attese misure di deflazione penalistica tanto in materia processuale, quanto sul versante del sistema sanzionatorio.  

    3. La prescrizione del processo

    Più dirompenti sono invece le modifiche prospettate in materia di prescrizione processuale. L’emendamento governativo prevede una nuova causa di improcedibilità sopravvenuta per superamento dei termini di durata massima del procedimento penale. Dopo la sentenza di primo grado, inizia a decorrere la prescrizione del processo per un tempo pari a due anni per il giudizio di appello e ad un anno per quello di cassazione. Un volta trascorsi tali termini, il giudice dispone il non luogo a procedere.

    La soluzione prospettata non costituisce, com’è noto, un’assoluta novità. Essa si colloca nel solco di analoghe proposte in passato presentate al Parlamento[1] e riecheggia posizioni autorevolmente sostenute con varietà di accenti in dottrina, soprattutto tra gli studiosi di diritto processuale[2]. Altrettanto intuibile è la ragione di fondo che la ispira e che è riassumibile nella necessità di impedire che il blocco del tempo dell’oblio del reato lasci l’imputato prigioniero di un processo irragionevolmente lungo, mortificandone il diritto fondamentale “ad essere lasciato in pace” dallo Stato ove il procedimento volto ad accertare il fatto non si sia concluso entro un congruo lasso di tempo.

    La nuova “prescrizione del processo” ha dunque ratio e finalità eterogenee rispetto a quella del reato. Essa trae fondamento nel principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) - la cui piena attuazione costituisce a sua volta garanzia per altri diritti fondamentali (difesa, finalismo rieducativo etc.) -  e mira a sanzionare i processi irragionevolmente lunghi.

    Malgrado siano rispettivamente orientati a soddisfare esigenze diverse, i “due orologi” -  quello sostanziale e quello processuale - recano tuttavia effetti sostanzialmente identici. In entrambi i casi, il semplice decorso del tempo rende non punibile il fatto (ed irripetibile il processo).

    Eppure, mentre nei confronti dell’orologio che scandisce il tempo della prescrizione del reato l’ordinamento è tenuto, per consolidata giurisprudenza costituzionale, ad assicurare una piena conformità ai fondamentali principi penalistici (riserva di legge, irretroattività in malam partem, finalismo rieducativo della pena etc.), così potrebbe non essere nei riguardi della prescrizione del processo data la sua natura processuale. Che tale sospetto non sia del tutto infondato, lo dimostra la presenza nel testo dell’emendamento di una disposizione temporale transitoria che restringe l’applicazione dei nuovi termini del procedimento ai giudizi di impugnazione aventi ad oggetto reati commessi dal 1°gennaio 2020[3] .

    La causa di improcedibilità di nuovo conio è in sostanza, senza alcun dubbio - almeno nelle intenzioni del legislatore - un istituto di natura processuale, come tale sottratto ai vincoli imposti dallo “statuto costituzionale” della prescrizione del reato. Con buona probabilità, la Corte costituzionale farebbe grande fatica ad estendergli la rigida e ampia copertura costituzionale della prescrizione sostanziale.  

    4. Discrasie e cortocircuiti logici  

    Alle preoccupazioni espresse riguardo il pericolo che un istituto da cui discende un esito liberatorio dalla scure penale identico a quello della prescrizione del reato resti assoggettato esclusivamente alle garanzie costituzionali relative al piano del processo ma non anche a quelle del diritto penale sostanziale, si aggiungono altri elementi di perplessità sui quali vale la pena di soffermarsi sia pure brevemente, anche in prospettiva di un futuro miglioramento del testo.

    - La scelta di non prevedere termini di fase per il primo grado del processo presenta profili di incoerenza rispetto al principio che ispira la riforma. Blindando una fase del processo, essa assegna al diritto dell’imputato “ad essere lasciato in pace” due distinte velocità. Ciò però, di fatto, frustra le istanze di garanzia sottese al diritto in questione, rispetto alla prima fase del processo ove il tempo può invece dilatarsi sine die.  

    Tale soluzione rischia poi di produrre effetti distorsivi rispetto all’obiettivo di garantire una ragionevole durata del processo, tenuto conto che un processo troppo lungo per un reato non ancora prescritto potrebbe continuare nei successivi gradi, per il tempo previsto, nonostante la violazione della garanzia della ragionevole durata si sia oramai pienamente consumata. Simmetricamente, vi è la possibilità che un processo molto rapido in primo grado svanisca ingiustamente in fase di gravame.

    Rimane inoltre in questo modo irrisolto il nodo del grosso numero di reati che si prescrivono in primo grado o nella fase delle indagini preliminari.

    - La pronuncia di improcedibilità esclude l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., con la conseguenza che l’imputato innocente non avrà altro strumento per ottenere una decisione assolutoria che rinunciare alla prescrizione, accollandosi, con tutta evidenza, il rischio dell’imprevisto. Potrà invece aspirare al proscioglimento pieno l’imputato di un reato che si prescriva prima della fase del gravame.

    - Non del tutto in linea con la ratio della riforma appare altresì l’esclusione dalla prescrizione processuale dei procedimenti che hanno ad oggetto reati puniti con la pena dell’ergastolo. Considerato che il nuovo istituto mira a soddisfare istanze garantiste di tipo strettamente processuale - in particolare, il diritto alla ragionevole durata del processo -, a rigor di logica, non dovrebbero prevedersi eccezioni all’improcedibilità per decorso del tempo incentrate su ragioni relative al diritto sostanziale, come invece accade per l’eccezione in questione, chiaramente ispirata al principio di proporzione. Coerenza imporrebbe che tali deroghe sorgessero esclusivamente in presenza di precise esigenze di carattere processuale.

    - Dubbi di illegittimità costituzionalità per violazione dell’art. 25 Cost. potrebbero riguardare il comma 4 art. 14 bis nella parte in cui per i delitti di cui all’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. e per la stragrande maggioranza dei reati contro la pubblica amministrazione affida alla discrezionalità del giudice procedente - in totale assenza di contraddittorio con le parti - la facoltà di prorogare i termini di fase, senza descrivere in modo tassativo le ipotesi che possono giustificare tale decisione.

    In tale previsione sembrano peraltro annidarsi anche ulteriori problemi. In primo luogo, la straordinaria ampiezza della gamma di fattispecie incriminatrici per le quali può operare la deroga rischia di annacquare, nei fatti, la finalità di accelerazione della macchina giudiziaria perseguita dalla riforma. Un enorme mole di procedimenti giunti in fase di gravame potrebbe sfuggire alla mannaia del processo breve attraverso un escamotage sostanzialmente rimesso all’arbitrio del giudice ed interamente sottratto al controllo della difesa e delle parti civili.

    Un cortocircuito logico parrebbe inoltre delinearsi anche nel rapporto tra il comma 8 e il comma 4 dell’art. 14 bis. L’eccezione prevista dal primo di tali commi si ispira a principi di diritto sostanziale che però perdono inaspettatamente di rilievo rispetto all’insieme di reati di particolare allarme sociale di cui al comma 4, per i quali si prevede invece una deroga incentrata esclusivamente su ragioni di carattere esclusivamente processuale. Così come non si rintracciano ragioni diverse da quelle di un mero opportunismo politico alla base della scelta di includere nel suddetto comma 4 anche i delitti contro la pubblica amministrazione.

    - Siano da ultimo consentite due battute conclusive.

    Sul versante teorico/sistematico, a fronte dell’obbligatorietà dell’azione penale, la previsione di una prescrizione processuale costituisce un ossimoro difficilmente superabile. Nessuna modifica in tal senso è davvero possibile senza un contestuale ripensamento di tale principio la cui vigenza contribuisce peraltro ad incrementare in materia considerevole il sovraccarico giudiziario e la lentezza della giustizia penale.

    Dal punto di vista delle conseguenze pratiche invece, ad assetto organizzativo invariato della macchina giudiziaria e senza un incremento delle risorse materiali e umane disponibili, vi è il serio rischio che la contrazione dei tempi del processo voluta dal governo si compia a spese dei diritti delle parti offese e a costo di significative ricadute in termini di tenuta general-preventiva del sistema. Di tali possibili effetti collaterali occorrerà indubbiamente farsi carico in sede di approvazione definitiva del testo.

     

    *Sul medesimo argomento si rinvia, in questa Rivista, a L'improcedibilità non è la soluzione di Giorgio Spangher

    [1] Il riferimento è al DDL. n. 260 presentato al Senato il 20 giugno 2001 dal sen. Fassone ed altri, al DDL. n. 1302 presentato alla Camera l’11 luglio 2001 dall’on. Kessler ed altri ed infine al DDL. n. 1880 approvato in Senato il 20 gennaio 2010 sul cd. “processo breve”. Anche la bozza di Disegno di legge delega per l’emanazione di un nuovo codice di procedura penale elaborata dalla Commissione Riccio proponeva di affiancare alla prescrizione del reato la prescrizione del processo.

    [2] Mazza O., La riforma dei due orologi: la prescrizione fra miti populisti e realtà costituzionale, in Sistema penale online, 21 gennaio 2020; Giostra C., La prescrizione: aspetti processuali, in Giurisprudenza italiana, 2005, p. 2221 e ss.; Id., Un giusto equilibrio dei tempi, sfida per la nuova prescrizione, in Sistema penale online, 13 gennaio 2020.

    La proposta fa propria una soluzione minoritaria che era stata discussa e poi non votata in seno alla Commissione Lattanzi e che per questo non è transitata nel testo finale esitato, v. Relazione finale e proposte di emendamenti al DDL AC. 2435, p. 54 e ss.

    [3] Ad eccezione di quelli per i quali alla data di entrata in vigore della legge siano già pervenuti gli atti al giudice di appello o alla Corte di cassazione e rispetto ai quali i termini di durata massima del procedimento decorrerebbero dalla data di entrata in vigore della riforma. 

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