Sull’utilizzabilità in sede disciplinare delle intercettazioni eseguite in sede penale. A proposito delle recenti Sezioni Unite Civili n. 9390/2021.
di Giorgio Spangher
Le Sezioni Unite civili sono chiamate ad affrontare alcune questioni connesse all’uso dei risultati di intercettazioni telefoniche poste a fondamento di un provvedimento di sospensione cautelare dalla funzione e dallo stipendio.
In particolare, con i motivi del ricorso avviato nei confronti dell’ordinanza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, la difesa eccepiva: a) la violazione dell’art. 270 c.p.p., in relazione all’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quelli in cui le stesse sono state disposte; b) la preclusione per la difesa nel processo ad quem di eccepire la mancanza o l’illegalità dell’autorizzazione disposta nel giudizio a quo; c) l’impossibilità per l’incolpato in sede disciplinare di verificare il reale contenuto delle intercettazioni acquisite in sede penale; d) il difetto in relazione ad alcune specifiche intercettazioni (quelle successive al 22 marzo 2019) del vincolo della connessione di cui all’art. 12 c.p.p., alla luce di quanto precisato dalle Sezioni Unite Cavallo, sempre in tema di utilizzabilità dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse sono state autorizzate.
Se in relazione alle censure sub b) e c) la sentenza agevolmente supera le eccezioni richiamando consolidati orientamenti giurisprudenziali che sono in grado di assicurare ampia tutela alla difesa dell’incolpato al profilo critico coinvolgente le questioni a) e d) meritano una attenzione particolare ancorché la decisione richiami un orientamento consolidato delle Sezioni Unite civili sul punto.
La Corte dopo aver riconosciuto e ribadito che “il procedimento disciplinare a carico dei magistrati ha piena natura giurisdizionale e quindi durante l’intero procedimento devono essere rispettati il diritto di difesa e il principio del contraddittorio”, rigetta le riferite eccezioni (a e d), sulla scorta della ritenuta specialità della procedura de qua orientata all’accertamento penetrante sulla correttezza del comportamento dei magistrati, al fine di alimentare la fiducia dei consociati nell’ordine giudiziario tenuto conto che l’efficacia dell’azione di accertamento e repressione degli illeciti disciplinari trova fondamento nell’art. 105 Cost. in relazione alle funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura.
Nel ricercare un fondamento normativo di natura fattuale e processuale, la Corte richiama gli artt. 16 e 18 del d. lgs. n. 109 del 2006.
Con la prima disposizione si stabilisce che “per le attività di indagine si osservano, in quanto compatibili le norme del codice di procedura penale”; con la seconda si dispone che “si osservano in quanto compatibili le norme del codice di procedura penale sul dibattimento”.
In altri termini, il riferimento alla “compatibilità” servirebbe a modulare l’operatività delle norme processuali in relazione alla ricordata specialità dell’oggetto della procedura disciplinare nei confronti dei magistrati. Alle Sezioni Unite non sfuggono che argomentazioni che il tema della segretezza ha assunto nella giurisprudenza costituzionale che seppur risalente resta fondamentale in materia.
Non mancano del resto altre previsioni espresse derogatorie come in tema di prescrizioni varie nella procedura de qua, ma – appunto – sono definite ex lege, ancorché sottendono una tutela specifica della funzione.
In particolare, con la sentenza n. 63 del 1994 si afferma che l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni disposte nell’ambito di un determinato processo limitatamente ai procedimenti diversi, limitatamente all’accertamento di reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza risponde all’esigenza di ammettere una deroga alla regola generale del divieto di utilizzazione.
In altri procedimenti, giustificata dall’interesse dell’accertamento di reati di maggiore gravità...la norma che eccezionalmente consente, in casi tassativamente indicati dalla legge,...limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata di reati presuntivamente capaci di destare allarme sociale.
Si impongono due riflessioni che si integrano tra loro.
In primo luogo, lascia perplessi che una clausola di compatibilità possa incidere su diritti fondamentali a copertura costituzionale, anche perché la stessa previsione non manca di specificare limiti precisi all’azione disciplinare, ed il riferimento agli atti coperti dal segreto (investigativo) non appare suscettibili di allargare il novero degli atti acquisiti, ma solo di quelli legittimi coperti dal segreto.
In secondo luogo, il riferimento al bilanciamento che comunque richiederebbe una specificazione dei reati e dell’autore (magistrato) di cui alla motivazione di C. cost. n. 63 del 1994 andava a fondamento di una espressa “estensione” ritenuta in quel caso legittima e giustificata, ma non prospettava la legittimità di ulteriori bilanciamenti, tutti da verificare nel loro fondamento costituzionale, alla luce di una espressa previsione normativa che la prevedesse.
Infatti, proprio quel passo della decisione prevede che sia il legislatore a fare quell’opera di bilanciamento. Con tutto il rispetto per la Corte di Cassazione, di operazioni di bilanciamento la giurisprudenza costituzionale è rigogliosa, per cui richiamare la sentenza relativa alla questione Ilva-Taranto, non può non suscitare perplessità, in quanto estranea alla materia de qua.
Invero, trattandosi di estensione in malam partem rispetto al dato codicistico la copertura di un diritto costituzionalmente garantito sembra attribuibile al solo legislatore e del resto resta dubbio se la stessa Corte costituzionale possa dare copertura ad un diritto “vivente” così costruito.
Va altresì considerato che per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la materia disciplinare è considerata Materia penale con tutte le ricadute che ciò determina in materia di riserva di legge oltre agli effetti propri di sistema sanzionatorio.