Presentazione codice antimafia di Giorgio Spangher e Antonella Marandola
La diffusa – e forse pressoché unanime – convinzione che la repressione delle attività illecite, ancorché significativa, è sicuramente tardiva, sta suggerendo di attivare meccanismi di prevenzione atti ad impedire lo svolgimento di attività illegali, dannose o pericolose.
Lo stesso meccanismo processuale, del resto, tende ad individuare nei suoi percorsi mezzi e strumenti cautelari, motivati da indici prognostici e significativi di pericolosità. Si tratta, spesso, di strumenti operanti in tempi contingentali. Peraltro, oltre ai tempi che gli sviluppi processuali richiedono, stratificatisi nel tempo, devono essere assicurati diritti e garanzie rispettosi delle disposizioni costituzionali e sovrannazionali, che spesso possono rendere non pienamente efficace l’accertamento della responsabilità e la conseguente sanzionabilità dei comportamenti contra legem.
Sotto questa prospettiva, recuperando un armamentario proprio della pubblica sicurezza si sono individuati strumenti di prevenzione articolati intorno alla pericolosità delle persone desunte dai loro comportamenti, atteggiamenti, modi di vita, propensioni che suggerivano l’adozione nei loro confronti di provvedimenti impeditivi, ostativi, restrittivi.
Lo sviluppo dinamico della società e l’esigenza di evitare che la condizione soggettiva, sotto vari profili, possa non arginare adeguatamente le attività illegali, l’esigenza di proteggere la società, le persone, lo sviluppo economico, ha finito per fare degli strumenti di prevenzione una risorsa sempre più usata, considerata la bassa soglia di ingresso, la sua flessibilità, la sua efficacia.
Nella sostanziale unitarietà del suo nucleo essenziale, si è trattato, storicamente, di uno strumento che si è modellato con facilità alle diverse finalità che il potere voleva di volta in volta eseguire: protezione della proprietà, dissenso politico, disordine sociale.
Nel nostro Paese, superato il riferimento alle deviazioni antiregime, il nucleo essenziale ha preso le mosse dalla legislazione antimafia, nella sua dimensione soggettiva, per approdare più recentemente alla dimensione patrimoniale ed economica.
Gli ampliati strumenti di intervento e il dilatato orizzonte dei destinatari ha reso necessario il consolidamento strutturale delle attività espletabili, degli uffici proponenti e degli organismi decisori, consolidando un corpus normativo, nel quale non potevano non innestarsi – seppur ad un livello diversificato – le garanzie proprie di ogni percorso sanzionatorio.
Si è reso opportuno e forse necessario approvare un “Codice” della legislazione antimafia, di prevenzione, che si è venuto progressivamente arricchendo ma soprattutto modificando, in relazione alle esigenze che sono venute maturando in materia, soprattutto per effetto dello spostamento del focus della prevenzione personale e quella patrimoniale, con la necessità di creare organi di gestione dei patrimoni sequestrati e confiscati.
Il modello “antimafia” ha fatto crescere in parallelo altre procedure di prevenzione, diversamente modulate in relazione alla diversità dell’oggetto e della finalità ostativa ed impeditiva perseguita.
Si tratta di un panorama “altro”, diverso, sorretto, tuttavia, dalla medesima finalità e dalla stessa ispirazione.
Di tutto ciò, il Commentario cerca di fornire una lettura teorico-pratica corredata dai riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, anche sovrannazionali, che ne stanno progressivamente arricchendo la ricostruzione.