La nuova fattispecie di femminicidio ha suscitato notevoli criticità tra gli operatori del settore per l’asserita mancanza del requisito della determinatezza. Il presente contributo intende dimostrare che il suo punto debole non consiste tanto nella violazione del principio di determinatezza, quanto nella trasformazione di un “fatto” in un atteggiamento mentale, così da punire più gravemente l’omicida per l’adesione a un certo sistema filosofico, cioè, in definitiva, per il suo modo di essere. Con l’ulteriore conseguenza che, essendo il sistema filosofico in questione alquanto vago e nebuloso, si corre il rischio di infliggere al reo la sanzione penale massima non per ciò che è, ma per ciò che il giudice (o il popolo, di cui il giudice si fa interprete ufficiale) crede che sia. Una tendenza sempre più diffusa nel nostro sistema penale, che a volte si spinge a punire l’autore per una mera etichetta, ossia per l’apparente adesione (meglio: incarnazione) a uno stereotipo antropologico o culturale, ritenuto antisociale e/o moralmente biasimevole. Qui il maschio prevaricatore, tossico e, in definitiva, misogino.
Il nuovo articolo 577-bis c.p., previsto dal disegno di legge governativo n. 1433 (“introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”), punisce con l’ergastolo “chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. Segue la disciplina delle circostanze.
La pena dell’ergastolo per la fattispecie base indica di per sé che questo è un reato (ben) più grave dell’omicidio comune, che resta applicabile laddove l’uccisione della donna non sia legata alle peculiari caratteristiche indicate.
Di recente il prof. Fiandaca, sulle pagine di una nota Rivista [1], ha delineato le criticità, dal punto di vista del rispetto dei valori costituzionali, del disegno di legge in questione. Pur condividendosi i rilievi critici esposti, però, non sembrano potersi condividere integralmente le premesse di fondo del ragionamento.
L’Illustre, nelle prime battute, scrive: «ma questa contrarietà si inquadra - ho sempre motivo di supporre - in un orizzonte critico ben più ampio, che include il sempre più frequente uso del diritto penale come strumento di consenso politico o come mezzo pedagogico (...). Creando nuovi reati o introducendo circostanze aggravanti i politici di turno mostrano di rispondere in modo sollecito alle aspettative di protezione e alle paure dei cittadini (...). Una ulteriore ragione dell’uso smodato del penale è individuabile nella tendenza a sfruttarne il potenziale simbolico-comunicativo, come medium per rimarcare agli occhi dei cittadini l’importanza dei valori da tutelare e per promuoverne l’interiorizzazione nella coscienza sociale».
In questo passaggio, in definitiva, viene sottolineata la possibilità di utilizzare in modo distorto la funzione propulsiva del diritto penale, volta all’adempimento dei doveri individuali di solidarietà economica e sociale, nonché alla rimozione degli ostacoli economico-sociali che, impedendo l’omogeneizzazione della società, finiscono, dal punto di vista causalistico, col predisporre alla criminalità [2].
Aggiunge, poi, che «in una democrazia costituzionale degna di questo nome, convertire i maschilisti dovrebbe costituire un obiettivo da perseguire solo con la cultura, l’educazione, la promozione di condizioni ambientali più evolute nei contesti in cui perdurano visioni patriarcali».
Questa linea argomentativa si espone alla critica – subito mossagli dai sostenitori della necessità di una svolta nel contrato alla violenza di genere – di lasciare senza una tutela penale specifica le donne vittima di aggressioni suscettibili di varcare la pur avanzata linea di difesa fissata dall’art. 612 bis c.p. (cd. stalking).
Lasciando da parte queste – e altre – valutazioni di politica criminale e di tecnica legislativa, ci sembra che la figura di delitto in gestazione sconti un difetto per certi versi più serio della semplice indeterminatezza: l’aver sussunto, nell’ambito del ‘fatto commesso’ (termine impiegato dall’art. 25 cost. per sottolineare l’esigenza che il diritto penale si occupi delle azioni degli umani capaci di modificare la realtà, piuttosto che dei loro pensieri), un qualcosa che, invece, appartiene a una mera costruzione filosofica.
È fuor di dubbio, infatti, che la ratio sottesa all’incriminazione di chi uccide per “odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio delle sue libertà o l’espressione della sua personalità” sia quella di sanzionare più gravemente l’omicidio commesso quale espressione di una concezione maschilista o, come si suol dire oggi, “patriarcale”.
Ma, dal punto di vista scientifico [3], termini come maschilismo o patriarcato evocano concetti vaghi, vaporosi e indefiniti, rappresentando nozioni universali che, in quanto tali, risultano prive di verifica empirica. Se, infatti, si tiene conto delle divergenze che esistono tra estensione di una parola (classe delle cose a cui la parola si applica) e intensione di una parola (l’insieme delle proprietà che stabiliscono a quali cose la parola è applicabile), si ha che per aumentare l’estensione di un termine se ne deve ridurre l’intensione. Procedendo in questo modo, possiamo ricavare un termine più inclusivo che non diventa, però, impreciso. Se, da un lato, un concetto generale che sussume una molteplicità di specie entro un più largo genere prelude a generalizzazioni scientifiche, dall’altro una mera generalità non può che approdare soltanto a discorsi nebulosi e confusi [4].
In tal modo, in definitiva, a mancare, seguendo l’approccio del Prof. Fiandaca e quello del Prof. Manes [5], non sarebbe tanto il requisito della determinatezza quanto, piuttosto, quello della precisione della fattispecie penale.
Si ricorre, ora, a delle immagini mentali per spacchettare in idee più semplici un concetto complesso: la teoria delle stringhe è completa sul piano della precisione ma, allo stesso tempo, carente sul piano della determinatezza perché, al momento, non si dispone degli strumenti per verificarla empiricamente. La disposizione volta a punire chi, invece, veste male è carente, innanzitutto, sul piano della precisione, perché la mancanza del requisito della determinatezza deriva logicamente dalla costruzione del precetto attorno a una teoria, di fatto, non falsificabile, con l’effetto di non essere scientifica.
Solo riconoscendo, pertanto, la fumisteria verbale adottata per veicolare l’incriminazione del maschilismo et similia si può, come logica conseguenza, dedurre che la disposizione in esame finisce col punire il soggetto per quello che è (ossia, un individuo che sostanzialmente adotta un altro modello filosofico e che, pertanto, disobbedisce alla dottrina di Stato), anziché per quello che fa. Il modello filosofico, infatti, può essere visto, seguendo l’impostazione severiniana [6], come uno spazio che, in quanto tale, influenza i movimenti degli attori che vi si muovono. Coerentemente, il Prof. Northrop [7] scrive che «ogni teoria fisica costruisce sempre un numero di supposizioni fisiche e filosofiche maggiore di quello che i semplici fatti fornirebbero o implicherebbero». Einstein ed Heisenberg non sono d’accordo, in definitiva, perché sono i presupposti filosofici delle loro teorie a essere differenti [8].
Il punto, però, è che una teoria deve essere definita. Omnis determinatio est negatio. Nel caso del maschilismo e del patriarcato sfugge il loro negativo e, a livello teorico, non è ben chiaro cosa significhi essere maschilisti (o non esserlo). Di conseguenza, sorge il sospetto che quando si scrive che «la riflessione da fare è di tipo culturale: ossia quella di contrastare un maschilismo (direi machismo) tossico, che non tollera la perdita di proprietà sul corpo femminile in un contesto sociale profondamente mutato rispetto ai rapporti patriarcali» si stia dando per definito e scontato qualcosa che invece è tutto da definire [9].
Si potrebbe aggiungere, inoltre, facendo un parallelismo con gli organismi viventi, che ogni uomo, per un istinto primario, tende a vivere (si pensi, sempre per meglio chiarire il concetto, alla impossibilità di tapparsi il naso e lasciarsi morire per mancanza di ossigeno). Allo stesso modo, la Costituzione, essendo un’opera dell’uomo, è pervasa dalla stessa ratio, con l’effetto che non potrebbe mai consentire, salvo la frustrazione del proprio teleologismo, di dare vita a degli atti che portano alla distruzione degli scopi che persegue.
Così, ad esempio, la Costituzione ha come scopo (argomentando, ex multis, dalla dodicesima disposizione transitoria e finale) quello di evitare il ritorno di una forma di governo fascista. Di conseguenza, la qualifica di “fascista”, “nazista” ecc. (essendo incompatibile con i valori costituzionali) attribuita a un certo soggetto comporta la lesione della sua reputazione [10]. Si immagini, per assurdo, che l’anima di Hitler si reincarni in un nuovo essere che inizia a fare politica e ad ottenere sempre più consensi, proponendo temi hitleriani. Formalmente, dovremmo condannare per diffamazione lo studioso che attribuisce a tale figura l’epiteto di fascista ma, così ragionando, andremmo contro il teleologismo della Costituzione, che consiste proprio nell’evitare l’instaurarsi di una nuova dittatura. Pertanto, sarebbe falsa analogia mettere sullo stesso piano la condotta dello studioso che accusa Tizio, privato cittadino, di essere fascista con quella dello studioso che, invece, rivolge lo stesso epiteto al politico dell’esempio.
Questo discorso serve per meglio comprendere la tesi del Prof. Sartori [11]: «resta da spiegare - facendo un passo indietro - come mai, d’un tratto, la differenza diventa un problema, e anzi il problema dei problemi. Nei limiti, ogni individuo è ed è sempre stato diverso da ogni altro in tutto (bellezza, mole, salute, talenti, interessi ecc.). E lo stesso è vero per gli aggregati. La domanda dunque è: perché una differenza diventa rilevante - viene percepita come rilevante - e altre no? È chiaro, infatti, che se siamo diversi in tutto non è né possibile né concepibile attribuire rilevanza a tutte le differenze. Allora, ridomando, perché nel riconoscere soltanto alcune differenze scegliamo proprio quelle che scegliamo? Torniamo, per illustrare, al caso della affirmative action negli Stati Uniti. Qui il trattamento preferenziale si applica, ufficialmente, ai neri, messicani, portoricani, indiani (nativi), filippini, cinesi, giapponesi. Perché a loro e soltanto a loro? E cioè perché la loro differenza conta, mentre le differenze, che so, degli armeni, cubani, polacchi, irlandesi, italiani, non contano? La spiegazione è che si deve privilegiare chi è stato più discriminato. Questa spiegazione ha una sua logica, anche se la selezione che ne deriva non è altrettanto logica. Passi. Ma in prosieguo di tempo è accaduto che il principio delle discriminazioni compensanti si è esteso di fatto alle donne, agli omosessuali e persino sui malati di AIDS (privilegiati, per esempio, rispetto ai malati di cancro). Perché? Quale è a questo punto la logica che stabilisce quali sono le differenze rilevanti? A me sembra che a questo punto il perché logico cede il passo a questa spiegazione pratica: che le differenze che contano sono sempre più le differenze evidenziate da chi sa fare rumore e si sa mobilitare nel favorire o danneggiare interessi economici o interessi elettorali (...). E il fatto è che le entità che oggi richiedono rispetto non esistevano, nell’autoconsapevolezza, cinquanta anni fa. Pertanto, la sequenza storicamente e logicamente corretta è che prima si inventa o comunque visibilizza una entità, per poi dichiararla calpestata e così infine scatenare le rivendicazioni collettive dei misconosciuti che in precedenza non sapevano di esserlo. Negli anni sessanta scrivevo che non è la classe che produce il partito di classe ma che semmai è il partito che produce la classe (...). La politica del riconoscimento non si limita a riconoscere; in realtà fabbrica e moltiplica differenze mettendocele in testa. Il punto è che in questo modo la comunità pluralistica viene sfasciata».
La norma in esame prosegue un trend oramai più che decennale, ispirato da una logica multiculturale che finisce con lo spaccare la società pluralista, ponendosi in tensione financo con l’art. 52 Cost., secondo cui “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Come può il cittadino, in base a una malpensata applicazione dell’ideologia dell’inclusione, sentirsi tenuto a difendere una Patria che lo discrimina rispetto ad altri suoi concittadini? Solo una società pluralista che non impone una morale assoluta è idonea a spingere persone con diverse idee a sacrificarsi per essa.
La logica multiculturale, comportando la riduzione degli spazi riservati alla generalità ed astrattezza della legge [12], dà vita a un diritto penale che, anziché basarsi sulla punizione delle “costanti” [13], si trasforma in “mera sovrastruttura di una sottostante struttura economico-sociale” [14].
Come osserva il prof Fiandaca, «se fosse davvero necessaria una nuova incriminazione diversa dal generale delitto di omicidio, si dovrebbe per coerenza configurare una ulteriore e autonoma fattispecie per sanzionare l’omicidio motivato da omofobia». Ciò dovrebbe avvenire anche per il reato di lesioni personali dolose, per il delitto di diffamazione, per gli atti persecutori ecc. L’assurdità di queste conclusioni, non può che far ritenere l’erroneità della premessa volta a considerare necessaria l’introduzione di un autonomo delitto di femminicidio.
Chi la propugna, evidentemente, dà per provato un costrutto teorico che, per ora, oltre a non aver ricevuto verifica empirica (perché ad esempio si uccidono più donne nelle società non patriarcali?) [15], non sembra neanche ben definito (cosa è una società patriarcale? Come si misura?).
La conclusione, allora, è specularmente inversa a quella cui giunge il prof. Fiandaca («creando nuovi reati o introducendo circostanze aggravanti i politici di turno mostrano di rispondere in modo sollecito alle aspettative di protezione e alle paure dei cittadini»): più che creare reati per rispondere alle paure dei cittadini, si creano paure, da cui nascono nuovi reati.
È un percorso nei risultati non lontano dalla teorizzazione nazista del “gesundes Volksempfinden” (sano sentimento popolare). A furia di dipingere la società italiana come patriarcale, si è creata una presunzione di pericolosità sociale dei maschi in quanto tali. Ci si augura che, quantomeno, sia una presunzione iuris tantum, e che, soprattutto, possa tornarsi al più presto verso un diritto penale incentrato principalmente sulla razionalità delle “costanti”.
1 Cfr. G. FIANDACA, Cari prof. di diritto penale, è ora di protestare contro il delitto di femminicidio, in Sistema penale on-line del 14 marzo 2025.
2 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2017, p. XLVI.
3 Cfr. G. SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, Bologna, 2011; Id., Politics, ideology and belief systems, in American Political Science Review, giugno 1969, pp. 398 – 411.
4 Cfr. G. SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, cit., p. 27.
5 Cfr. V. MANES, Perché il reato di femminicidio non sta in piedi. Parla il Prof. Manes, in il Foglio dell’11 marzo 2025 secondo cui “la commissione di un femminicidio come atto di discriminazione è insuscettibile di una verifica empirica”.
6 Cfr. E. SEVERINO, La filosofia antica, Milano, 1990 p. 15 secondo cui «in genere si pensa che a determinare una grande epoca storica non possa essere la filosofia (che è il lavoro di una élite ristretta, vissuta sempre al di fuori dei luoghi dove si decidono le sorti del mondo), ma movimenti che abbiano una presa immediata sulle masse, come la religione, e, per quanto riguarda la nostra civiltà, il cristianesimo. Dicendo che la filosofia greca apre lo spazio dove giocano le forze dominanti della nostra civiltà non intendiamo confondere lo spazio col gioco che vi si conduce, ma rilevare che ogni gioco della nostra civiltà – e ormai ogni gioco della terra – vien fatto all’interno di tale spazio e ne resta determinato così come i nostri movimenti sono condizionati dallo spazio fisico in cui veniamo a trovarci».
7 Cfr. F.S.C. NORTHROP, in W. HEISENBERG – Fisica e filosofia, Milano, 2021, p. 12.
8 Cfr. F.S.C. NORTHROP, in W. HEISENBERG – Fisica e filosofia, cit. p. 13 secondo cui «la teoria fisica non è né una semplice descrizione di fatti sperimentali né qualche cosa di deducibile da tale descrizione. Invece, come Einstein ha messo in rilievo, il fisico perviene alla sua teoria attraverso mezzi puramente speculativi. La deduzione, nel suo procedimento, non va dai fatti alle supposizioni teoriche, ma da queste ai fatti e ai dati sperimentali”. È questo assunto teorico che consente di meglio comprendere l’affermazione testé riportata di Northrop secondo cui “ogni teoria fisica costruisce sempre un numero di supposizioni fisiche e filosofiche maggiore di quello che i semplici fatti fornirebbero o implicherebbero. Per questa ragione è soggetta a subire modificazioni o sviluppi non appena si presenti una nuova testimonianza che sia incompatibile, come è accaduto per i risultati dell’esperimento di Michelson e Morley, con i suoi principi fondamentali».
9 Cfr. M. Pelissero, Nuovo reato di femminicidio, le criticità del disegno di legge in https://www.otto.unito.it/it/articoli/nuovo-reato-di-femminicidio-le-criticita-del-disegno-di-legge.
10 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale – parte speciale. Delitti contro la persona, Padova, 2022, p. 217 ss. La ratio indicata sembra essere conforme a quanto statuito dalla Corte di cassazione (sentenza n. 29433 del 20 luglio 2007) secondo cui «è appena il caso di considerare, infine, che dare gratuitamente del fascista ad un comune cittadino è certamente offensivo perché mira a dipingere lo stesso come arrogante e prevaricatore, ma riferirlo ad un politico che, peraltro, esercita rilevanti poteri pubblici è espressione di critica perché si paragona il modo di governare e di amministrare la cosa pubblica dello stesso ad una prassi ben nota ai cittadini ». La sentenza è reperibile al seguente link: https://canestrinilex.com/risorse/dare-del-fascista-ad-un-politico-non-e-reato-se-cass
11 Cfr. G. SARTORI, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica, Milano, 2000, p. 75 ss.
12 Cfr. G. SARTORI, Elementi di teoria politica, Bologna, 1995, p. 107 secondo cui «forma giuridica non sta affatto per dire apparenza o vuotaggine. La forma di legge e la natura formale della legge sono, quantomeno in sede di diritto positivo, le caratteristiche in virtù delle quali una legge è legge. Si dà anche una più ampia accezione etica del concetto di forma per la quale è precisamente la formulazione formale delle norme morali che tratta l’uomo come un agente libero».
13 Cfr. P. NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, p. 39 ss.
14 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, cit. p. XXVI secondo cui «il diritto penale – per il fatto di poggiare su un sistema di sanzioni limitatrici dell’altrui libertà – più di ogni altro ramo del diritto è lo strumento più immediato per proteggere ma anche per negare i diritti umani fondamentali”.
15 Cfr. M. WEMRELL – M. LILA – E. GRACIA – A. K. IVERT, The nordic Paradox and intimate partner violence against women in Sweden: a background overview, in Sociology Compass, dicembre 2019.