La certezza del diritto penale e l’incertezza del resto: la nozione di pubblico servizio tra diritto penale e altri diritti
Maria Sabina Calabretta
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il punto di vista della legge penale – 3. L’incertezza del resto – 4. La nozione di incaricato di pubblico servizio nella sua declinazione giurisprudenziale penale - 5. L’attività “BANCOPOSTA” - 6. Ultime riflessioni in tema di coerenza interna del sistema normativo.
1. Introduzione
Spesso l’interprete affronta acque perigliose quando deve risolvere problemi applicativi che coinvolgono ambiti e materie diverse, ciascuna connotata da profili peculiari: così è per l’interprete penale che deve risolvere, spessissimo, il problema dell’applicabilità delle norme che puniscono condotte del pubblico ufficiale e dell’esercente un pubblico servizio. In casi come questo, gli strumenti interpretativi del diritto penale sostanziale si intersecano, indubitabilmente, con quelli propri del diritto amministrativo. Verrebbe da dire che nel mondo del perfetto sistema, del legislatore unico e quasi “creatore” di un mondo perfetto, tutto dovrebbe corrispondere e nessun problema dovrebbe sorgere nella concreta casistica applicativa. Ma, indubbiamente, la realtà giuridica vive di regole, eccezioni e diversità e l’operatore penale, ogni volta che si trovi ad applicare una fattispecie inclusa tra i reati contro la pubblica amministrazione, deve verificare se il soggetto che esercita una determinata attività percepita e disciplinata secondo le regole del servizio pubblico sia un esercente un pubblico servizio. Proprio così: perché non è così scontato che ad ogni servizio pubblico corrisponda un esercente un pubblico servizio quale descritto dall’art. 358 c.p.
2. Il punto di vista della legge penale
Sia consentita una premessa preliminare: il codice sostanziale non prevede una nozione universalmente valida né di pubblico ufficiale né di pubblico servizio. Tanto è vera questa premessa, che sia l’art. 357 c.p. che il successivo art. 358 c.p. contengono un inciso chiarificatore: “agli effetti della legge penale”. E ciò si comprende alla luce del fatto che scopo della norma penale è quello di individuare soggetti e condotte di soggetti meritevoli di sanzione penale.
Il legislatore, pertanto, con le disposizioni citate si riferisce alla materia penale e pone dei confini precisi. Quanto ai pubblici ufficiali dispone:
- agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria (2) o amministrativa.
- agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.
Quanto invece agli incaricati di un pubblico servizio:
- agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
- per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
L’osservazione che si può fare, sulla base del dato letterale della norma, è che il punto di vista del legislatore penale oltre ad essere metodologicamente mirato all’ambito strettamente penale, è altresì indubbiamente connotato da una prevalente dimensione sostanzialistica. Sia il pubblico ufficiale che l’incaricato (cioè, chi riceve un incarico) di pubblico servizio tali sono in quanto svolgono una determinata attività.
Quanto alle caratteristiche di tale attività essa, sia nel caso del pubblico ufficiale che nel caso del pubblico servizio, di sicuro può dirsi che le stesse rivestano un interesse ultra individuale le cui insopprimibili esigenze di tutela sono proprio quelle che giustificano inasprimenti sanzionatori (si pensi alle differenza tra appropriazione indebita e peculato) o previsioni di sanzioni penali per comportamenti altrimenti di mero rilievo civilistico (turbativa d’asta e violazione di regole concorrenziali) o meramente amministrativo.
Ebbene, l’impostazione sostanzialistica delle anzidette nozioni è evidentemente desumibile dal tenore letterale degli articoli citati, e ciò vale sia per la pubblica funzione che per il pubblico servizio. Quanto alla funzione pubblica, posto che nessun particolare dubbio ponevano le funzioni legislativa e giudiziaria, il legislatore del 1992 ha inserito nell’art. 357 c.p. il secondo comma, specificatamente rivolto alla funzione amministrativa, elencando una serie di indici rivelatori della natura pubblica di una funzione di amministrazione (ulteriori rispetto alla natura pubblicistica delle norme che la disciplinano) ovvero: l’agire per atti non paritari rispetto al destinatario, il contenuto tendenzialmente volitivo di questi atti ed il loro estrinsecarsi mediante poteri autoritativi o certificativi (o entrambi) .
La declinazione della nozione di pubblici ufficiali a fini penali si è per l’effetto attuata, nella applicazione giurisprudenziale, attraverso percorsi che possono definirsi condivisi: si riconosce la qualità di pubblici ufficiali (alle condizioni previste dalla legge) agli appartenenti alle forze armate e alle forze dell’ordine che commettano fatti previsti dalla legge come reato nell’esercizio delle loro funzioni, ai docenti universitari, di scuole statali e di istituti parificati nell’esercizio delle attività certificative e autorizzative e, alle stesse condizioni, ai dipendenti degli enti locali (si pensi al dipendente del Comune addetto all’ufficio tecnico) ed al personale delle aziende sanitarie e del servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alla tipologia di attività svolta (Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 16/12/2019, n. 9393 (Rv. 278665-01), così massimata: “L'infermiere operante in una struttura sanitaria privata, anche se non accreditata con il servizio sanitario nazionale, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto l'attività svolta, come evidenziato anche dall'art. 1 della legge 10 agosto 2005, n. 251, persegue finalità pubbliche di rilievo costituzionale, garantendo il diritto alla salute individuale e collettiva ed esercita, quindi, un'attività amministrativa con poteri certificativi assimilabili a quelli del pubblico ufficiale quando redige la cartella o la scheda infermieristica. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen. per le false attestazioni compiute in una scheda infermieristica di una casa di cura privata, in quanto atto destinato a confluire nella cartella clinica, condividendone, quindi, la natura di atto pubblico munito di fede privilegiata).”
Più problematica, nello stesso approccio ermeneutico, la nozione a fini penali dell’incaricato di pubblico servizio. Il secondo comma dell’art. 358 c.p. sebbene non contenga lo stesso inciso di rinvio “ agli effetti penali” deve intendersi riferito e limitato ad essi e specifica la nozione non mediante l’utilizzo del verbo essere (come sarebbe delle definizioni, laddove ogni cosa o concetto è o non è altra cosa o un altro concetto astratto) bensì attraverso una “convenzione”: dice infatti la legge che “…Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.”
Nel definire si dice sia cosa “deve essere” (un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione”) sia cosa “non deve essere”, ovvero una semplice mansione di ordine o una prestazione di opera meramente materiale.
Nel diritto penale, diritto vivente e del fatto, la declinazione di pubblico servizio (ulteriormente declinata con riferimento ai servizi di pubblica necessità ex art. 359 c.p.) prescinde dall’inserimento del soggetto attivo in un determinato contesto soggettivo pubblicistico: nell’art. 358 c.p. la legge, infatti, espressamente prevede che l’esercente un pubblico servizio è tale a prescindere dal titolo in ragione del quale svolga l’attività riconducibile al canone definitorio (posto che il primo comma della norma prevede che “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.”). Sotto tale profilo, indubbiamente, il legislatore ha delineato una nozione oggettiva di pubblico servizio, derivante dalla disciplina normativa dell'attività considerata, indipendentemente dalla natura, pubblica o privata, del soggetto da cui l'attività è svolta. A confortare la declinazione oggettiva delle definizioni di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, vale altresì citare il disposto dell’art.360 c.p., “Cessazione della qualità di pubblico ufficiale” a norma del quale ove il fatto reato sia commesso da soggetto che riveste la qualità, ovvero anche solo aggravato in ragione della stessa, la cessazione di tale qualità, nel momento in cui il reato è commesso, non esclude la esistenza di questo né la circostanza aggravante, se il fatto si riferisce all'ufficio o al servizio esercitato[1].
Simmetricamente, quindi, il pubblico ufficiale è tale quando agisce nell’esercizio dei poteri legislativo, giudiziario, amministrativo e l’esercente un pubblico servizio tale è quando svolga un’attività (non di mero ordine né meramente materiale) che sia disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione.
Questa premessa ci induce a ritenere che, delle molte possibili (e particolarmente care al diritto amministrativo, che tradizionalmente declina la nozione di pubblico servizio secondo impostazioni soggettive, oggettive o miste), il legislatore penale abbia inteso fare propria una nozione sostanzialistica del pubblico servizio.
3. L’incertezza del resto
Il diritto amministrativo conosce la categoria del pubblico servizio e del servizio pubblico locale, ed ancora del servizio pubblico essenziale (art. 43 Cost.) sebbene fatichi, e non poco, ad approdarne ad una definizione esaustiva e finale dell’uno e dell’altro.
Si sono nel tempo variamente confrontate tra loro nozioni di pubblico servizio (locale e non) improntate ad una prevalente dimensione soggettiva, ovvero oggettiva o, infine, mista.
Nella presente riflessione non si pretende certo di individuare una nozione condivisa in quell’ambito, piuttosto, da interprete penale, si tenta di raccogliere, con sporadiche incursioni nel diritto pubblico, indizi che possano risultare altresì utili a declinare la corrispondente nozione penalistica.
Ebbene, alla nozione di servizio pubblico fa senz’altro riferimento l’art. 43 della Costituzione per il quale “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”: la norma certamente collega la nozione di servizio e quella di impresa, con una connotazione in termini di rilievo ultra individuale ed economico dell’attività svolta e, altresì, individua, tra i servizi pubblici, un sottoinsieme dedicato ai servizi pubblici “essenziali”. L’impostazione costituzionale sembrerebbe quindi optare per una nozione del pubblico servizio in senso oggettivo
In via di prima approssimazione interpretativa, può certamente affermarsi che la nozione di “servizio pubblico” è comunque declinata dal legislatore costituzionale in correlazione con la funzionalizzazione di una determinata attività al soddisfacimento di bisogni di carattere collettivo.
Così letta, la norma costituzionale sembra superare (anche in ragione della natura della fonte) l’originaria impostazione della legge Giolitti (legge 29 marzo 1903 n. 103), che istituiva le aziende municipalizzate e del TU n. 2578 del 1925, e conteneva, all’art. 1[2], un elenco dei servizi pubblici (che il Comune poteva assumere) ripartiti in n. 19 categorie : la legge citata seguiva, quindi, un’impostazione prevalentemente soggettiva del servizio pubblico al contempo temperato dalla elencazione di attività finalizzate al soddisfacimento di bisogni collettivi (acqua, luce, fognature, trasporti ecc. ecc.).
La materia risulta oggi ampiamente trattata nel Decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201, “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, sempre però con un occhio assolutamente privilegiato alla dimensione, appunto, economica del servizio: ebbene la citata dimensione economica non risulta invece necessariamente valutata come coessenziale ai fini del diritto penale, rispetto al quale, ad esempio, valgono piuttosto, oltre al rilievo ultra individuale dell’interesse sotteso, la presenza di eventuali poteri attestativi, certificativi, valutativi e di controllo connaturati all’attività svolta (come nel caso del capocantiere Anas, cfr. Cass. Sez. 6, sent. n. 3342 del 20/12/2023 Ud. (dep. 26/01/2024) Rv. 285906 – 01, così massimata: “In tema di reati contro la pubblica amministrazione, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il "capo cantiere sorvegliante" dipendente di Anas s.p.a., il quale non è assegnatario di semplici mansioni d'ordine, né prestatore di opere meramente materiali, ma svolge attività disciplinate nella stessa forma della pubblica funzione, essendo titolare di numerosi compiti di guida, sorveglianza e vigilanza sull'operato degli altri lavoratori, di sottoscrizione di verbali di accertamento, di redazione di un rapporto settimanale dei lavori eseguiti.”.
Altri “indizi”, potenzialmente utili all’interprete penale (ferma restando l’impostazione definitoria del legislatore penale attuata attraverso l’inciso “a fini penali”) li ritroviamo nel nuovo Codice degli appalti (decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36), in particolare, nel capo dedicato al partenariato pubblico privato di tipo contrattuale o istituzionale (anche menzionato come PPP) disciplinato dagli artt. 174-208. Il raccordo, non intuitivo, tra il concetto di servizio pubblico e quello di partenariato pubblico privato diviene evidente avuto riguardo alla declinazione della relativa nozione, contenuta nell’art. 174 del decreto legislativo citato[3],: indubbiamente la norma segue una impostazione sostanzialistica e privilegia una valutazione di tipo economico dell’istituto (basti pensare che il legislatore al riguardo prevede una programmazione, ed altresì la valutazione di fattibilità ed efficienza, art. 175 commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 36 citato).
Resta ferma la assoluta rilevanza del tema relativo alla individuazione della nozione di servizio pubblico nel diritto processuale amministrativo, posto che l’art. 133 del codice di quel processo espressamente prevede che tale materia costituisca ipotesi di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (in particolare la lettera c) del citato articolo testualmente prevede che siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: “c) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità;…”.
Quanto alle fonti eurounitarie, l’art. 106 del TFUE prevede al secondo paragrafo che “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”. Le citate fonti sovranazionali paiono quindi approcciare ad una prevalente valutazione della dimensione economica del servizio/prestazione, astrattamente idonea a soddisfare una “missione” di rilievo ultra-individuale (e perciò di interesse pubblico).
Concludendo, queste rapide e senz’altro sintetiche incursioni nel diritto pubblico interno e nel diritto euro unitario, di certo non sembrano risolvere i dilemmi dell’interprete penale (cui il legislatore ha indicato, come detto, una via “riservata”): in esse, tutte, prevale, all’evidenza, una valutazione economica del servizio pubblico (inteso come attività che produce prestazioni o beni di interesse per la collettività) che non risulta del tutto corrispondente a quella utilizzata in sede penale.
4. La nozione di incaricato di pubblico servizio nella sua declinazione giurisprudenziale penale
Premessa la nozione di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p., valutata la sua diversità rispetto alle nozioni proprie del diritto amministrativo, pare doveroso verificare in quali casi concreti la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto sussistente la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
La prima e più ampia categoria certamente comprende i dipendenti di enti che svolgono un pubblico servizio: così è stato affermato che fosse incaricato di pubblico servizio il gestore del servizio di ambulanza, il gestore del servizio di soccorso stradale, il depositario di veicoli coinvolti in incedenti stradali, il ricevitore autorizzato a ricevere giocate, il custode del cimitero, l’addetto alle casse dell’azienda sanitaria locale ed altre variegate ipotesi.
Si osserva che di frequente si ritiene ricorra tale particolare qualifica nei casi in cui il soggetto movimenti denaro proveniente dallo Stato o da enti locali (così ad esempio l’amministratore di una comunità per il recupero di tossicodipendenti beneficiaria di erogazioni finanziarie pubbliche vincolate) ovvero sia preposto alla raccolta dai privati di somme di denaro destinate all’erario (il caso più evidente quello del soggetto autorizzato alla raccolta delle giocate, con specifico riferimento al versamento del c.d. PREU).
Questo, si intende, perché in ipotesi di tale specie senz’altro risulta agevolmente individuabile la norma che impone comportamenti doverosi analoghi a quelli previsti per la pubblica funzione, ovvero una norma che vincola l’agire del soggetto nell’interesse di una collettività e segna le direzioni dei suoi comportamenti.
Così, ad esempio, nel caso del soggetto esercente attività di raccolta di giocate, la convenzione sottoscritta tra il predetto e l’ente concessionario dei monopoli, impone all’esercente tanto le modalità della raccolta tanto l’esazione del PREU ed il suo successivo pagamento all’Erario.
Sembra quindi possa affermarsi che, dopo la riformulazione dell’art. 358 c.p. ad opera del legislatore del 1990, si è adottato un criterio oggettivo-funzionale per la definizione del pubblico servizio, sicché la qualifica pubblicistica dell'attività prescinde dalla natura dell'ente in cui è inserito il soggetto e dalla natura pubblica dell'impiego. Possiamo altresì affermare, con un certo grado di convinzione, che un ulteriore indice rivelatore della qualità di pubblico servizio e del soggetto incaricato risiede nella disciplina dell’attività ad esso correlata: deve essere quindi possibile rinvenire una norma di natura pubblicistica che indichi un comportamento doveroso per il soggetto che lo esercita al precipuo fine di consentire la realizzazione di interessi propri della collettività (in ciò il servizio è pubblico). Se il soggetto è totalmente libero nella realizzazione di una determinata attività, nella scelta del contraente, nella individuazione dei propri scopi di impresa e delle modalità con cui perseguirli, sarà ben difficile che lo stesso possa ritenersi incaricato di pubblico servizio, anche se l’ambito in cui opera sia di interesse pubblico.
Certamente questa conclusione costituisce approdo certo della giurisprudenza della Corte di la quale ha recentemente affermato che “Il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è dunque identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l'operatività dell'agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata, con esclusione in ogni caso dall'area pubblicistica delle mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv. 261835; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, Ferrazzoli, Rv. 254337).” (cfr. Cass. Sez. 6, sent. N. 21624 del 2022)
5. L’attività “BANCOPOSTA”
La questione relativa all’ambito di operatività della nozione di esercente un pubblico servizio si è recentemente posta con specifico riferimento alla attività c.d. di “BANCOPOSTA” svolta dal Poste s.p.a.: come noto la soluzione della questione, ritenuta controversa, circa la natura dell’attività bancoposta è stata recentemente rimessa alle Sezioni Unite della Corte (notizia di decisione n. 10/24).
Poste S.p.a., ente avente forma giuridica di società per azioni, nel nostro sistema può svolgere attività “bancaria” o “finanziaria”, attività oggi pacificamente privatistica sebbene vigilata dalle competenti Autorità (Banca d’Italia, in particolare, per il settore dell’attività bancaria e Consob per quello del mercato finanziario): entrambe tali attività si estrinsecano in negozi giuridici sottoposti a regime privatistico, nonostante l’interesse delle Autorità di Vigilanza al rispetto di determinati standard di tutela finalizzati ad assicurare sana e prudente gestione dell’attività bancaria ed i controlli necessari e opportuni per l’attività finanziaria.
Tuttavia, non si ritiene di poter affermare che Poste svolga attività bancaria in regime parificabile a quello degli altri operatori, rispetto ai quali le attività di vigilanza sono comunque successive e di gestione ed estranee alla concreta disciplina dei singoli rapporti: ed invero, in virtù di una specifica normativa Poste s.p.a. svolge tale attività in regime “concessorio” da Cassa Depositi e Prestiti ed è proprio la relazione genetica con tale ente che deve essere valutata al fine di verificare se dalla stessa sorgano obblighi comportamentali e precetti di disciplina che realizzano proprio quella particolare condizione cui la giurisprudenza della Corte riconnette l’operatività dell’art. 358 c.p., ovvero quella “regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l'operatività dell'agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata”. La questione, come noto, è controversa ed oggetto di una recente rimessione alle Sezioni Unite, proprio al fine di scongiurare pronunce tra loro contrastanti sul punto.
Ebbene, tornando alla eventuale esistenza di una regolazione pubblicistica, l’analisi delle norme vigenti pare fornire elementi indizianti in tal senso: ciò varrebbe, in particolare, proprio con riferimento a quella attività di raccolta del risparmio che si estrinseca attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi (cfr. sul punto Cass. Sent. Sez. 6 n. 44146 del 22 giugno 2023) e tanto si desume dalla circostanza che tali forme di risparmio abbiano un regime fiscale agevolato e l’esenzione da taluni oneri in materia successoria e, ancor prima, che tale attività sia svolta per conto della Cassa Depositi e Prestiti, anch’essa ente con forma societaria sebbene con una “spiccata vocazione al sostegno degli investimenti pubblici”.
Quanto a tale ultimo aspetto, val la pena considerare che l’art. 5, comma 7) lett. a) del DL 30 settembre 2003 n. 269 (convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003 n. 326) prevede tra l’altro che “La CDP S.p.A. finanzia, sotto qualsiasi forma:
- lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico, utilizzando fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste italiane S.p.A. o società da essa controllate, e fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, che possono essere assistiti dalla garanzia dello Stato. L'utilizzo dei fondi di cui alla presente lettera è consentito anche per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della CDP S.p.A. effettuata nei confronti dei medesimi soggetti di cui al primo periodo, o dai medesimi promossa, nonché nei confronti di soggetti privati per il compimento di operazioni nei settori di interesse generale individuati ai sensi del successivo comma 11, lettera e), ((o al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale nonché su altri beni pubblici globali ai quali l'Italia ha aderito,)) tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione. Le operazioni adottate nell'ambito delle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo, di cui all'articolo 22 della legge 11 agosto 2014, n. 125, possono essere effettuate anche in cofinanziamento con istituzioni finanziarie europee, multilaterali o sovranazionali, nel limite annuo stabilito con apposita convenzione stipulata tra la medesima CDP S.p.A. e il Ministero dell'economia e delle finanze. Le operazioni di cui alla presente lettera possono essere effettuate anche in deroga a quanto previsto dal comma 11, lettera b); …”
Risulta quindi, per quanto di interesse ai fini della individuazione della rilevanza della qualifica di esercente un pubblico servizio, la circostanza che a monte dell’attività Banco Posta ci sia una norma primaria che prevede espressamente che Cassa depositi e prestiti nello svolgimento delle proprie finalità si finanzi attraverso prodotto nominativamente definiti (libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali) assistiti dalla garanzia dello stato e distribuiti attraverso Poste Italiane Spa. Tanto significherebbe, altresì, che quale mera distributrice il prezzo di distribuzione non sia necessariamente determinato da Poste: se nel contratto tipico di offerta al pubblico dei predetti prodotti si rinvenissero disposizioni limitative della concreta volontà contrattuale non tanto dell’acquirente ma dell’offerente-distributore Bancoposta, ecco che si invererebbe proprio la condizione già ritenuta dalla cassazione come coessenziale alla natura del pubblico servizio.
Dalla consultazione del sito delle Poste è possibile acquisire ulteriori informazioni: si tratta di prodotti emessi da Cassa Depositi e Prestiti che appunto li distribuisce attraverso Poste spa, con agevolazione fiscale sia su interessi che su eventuali premi (con tassazione al 12,50%) e che sono esenti da imposte di successione.
Va da sé che già per esempio la determinazione ad opera di CDP del prezzo di vendita del prodotto potrebbe costituire argomento utilizzabile al fine di ritenere che la libertà contrattuale di Poste non sia del tutto priva di limiti, non sia una libertà contrattuale piena e che, per l’effetto, vi siano i presupposti per ritenere che l’attività relativa alla collocazione sul mercato di quel tipo di prodotti si sostanzi nell’esercizio di un pubblico servizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 358 c.p. : tuttavia, occorre ben ponderare, in ottica più ampia, la circostanza che anche nei rapporti giuridici privati sono possibili vincoli contrattuali in virtù dei quali un determinato soggetto assume l’obbligo di collocare sul mercato beni o servizi a prezzi predeterminati dalla propria controparte contrattuale. Il discrimine potrebbe, quindi, rinvenirsi nella circostanza che la ratio del vincolo contrattuale risponda ad interesse non meramente individuale, ovvero ad interesse collettivo, senza peraltro trascurare che comunque attraverso la vendita di tali prodotti CDP, ente che svolge attività di rilievo ed interesse pubblicistico, si finanzia.
La questione di diritto (controversa) del “Se, nell'ambito delle attività di "bancoposta" svolte da Poste Italiane s.p.a., ai sensi del D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, la "raccolta del risparmio postale”, (raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata per conto della Cassa depositi e prestiti art. 2 comma 1 lett. b) d. lgs. 30 luglio 1999 n. 284) -, abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l'operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio ex art. 358 cod. pen.” risulta, come detto, di recente rimessa alle Sezioni Unite della Corte con l’ordinanza n. 31605 del 29 maggio 2024.
In attesa della decisione delle Sezioni Unite, pare ragionevole affermare comunque che proprio la correlazione dell’attività bancaria svolta da Poste Spa rispetto a quella della Cassa Depositi e Prestiti, unitamente alla circostanza che quella specifica categoria di prodotti sia presidiata da garanzia dello Stato, porta ad evidenziare a monte una “vocazione pubblicistica in senso oggettivo” dell’attività bancaria svolta da Poste e relativa a questi prodotti.
Si verte, quindi, nel caso di specie di una duplice corrispondenza tra l’attività bancoposta ed il pubblico servizio, trattandosi di attività che da una lato è relativa, anche se in senso ampio, al patrimonio destinato dello stato, dall’altro finalizzata, in senso oggettivo, al finanziamento dello stato, delle regioni, degli enti locali, degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico, attività che ex se e in senso oggettivo integra un pubblico servizio (anche prescindere dall’utilizzo che gli enti destinatari facciano di queste risorse).
Il regime di tassazione agevolata, l’esenzione dalle imposte di successione e, ultimo ma non per importanza, la strumentalità dell’attività Bancoposta al raggiungimento dell’obiettivo senz’altro di rilievo pubblicistico, di finanziare soggettività di rilievo pubblico, in particolare, concreta quella particolare ipotesi di delimitazione esterna del pubblico servizio che vincola l'operatività dell'agente (se non Poste spa, strumento di collocazione sul mercato di prodotti emessi da Cassa Depositi e Prestiti, direttamente quest’ultima, vincolata ad utilizzare la provvista ricavata per il surriferito finanziamento pubblico) e che costituisce presupposto per l’operatività dell’art. 358 c.p., limitatamente all’attività di collocamento sul mercato dei prodotto emessi da CDP.
6. Ultime riflessioni in tema di coerenza interna del sistema normativo
Posta la non corrispondenza tra i concetti di esercente un pubblico servizio in ambito penale e quello in materia penale, è interessante chiedersi se possano esservi incompatibilità tra norme che disciplinano l’esercizio del servizio pubblico nella declinazione propria del diritto amministrativo e norme che mirano ad individuare condotte sanzionabili penalmente poste in essere dall’esercente ex art. 358 c.p.
Ora, questa distanza tra i due sistemi, astrattamente configurabile ad esempio con riferimento a comportamenti “efficienti” (in ambiti nei quali è ammessa discrezionalità) non pienamente conformi alle previsioni di una norma di rango qualificato, deve pur trovare un momento di applicazione coerente.
In tali casi, se di certo non può giungersi a ritenere lecito per il diritto amministrativo un comportamento meramente predatorio posto in essere dall’esercente un pubblico servizio, potrebbe valutarsi invece lecito il caso in cui l’esercente un pubblico servizio tenga un comportamento diverso da quello previsto dalla norma che disciplina l’attività, senza recare nocumento ( ed anzi recando un vantaggio all’amministrazione): si ponga il caso di scelta non conforme ad un criterio predefinito ma vantaggiosa (e non illecita, posto che l’illiceità costituisce sempre ragione di anno per l’amministrazione).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione dimostra come questo potenziale conflitto sia stato già affrontato: il caso che si vuole richiamare è quello risolto (in senso favorevole all’imputato) dalla Corte di legittimità con la sentenza delle sez. 6, n. 25173 del 13/04/2023 Ud. (dep. 09/06/2023) Rv. 284790 – 01). In essa, si afferma tra l’altro , per quanto di interesse in questa sede quale concetto condiviso, che il legale rappresentante di una società a totalitaria partecipazione pubblica, deputata allo svolgimento di attività di pubblico servizio corrispondente a quello affidato all'ente pubblico controllante riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio e che parimenti rivesta la medesima qualità anche il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, interamente controllata da una società "in house", deputata all'espletamento di attività di carattere tecnico che si pongano in rapporto ausiliario e strumentale rispetto ai compiti pubblicistici perseguiti dalla società controllante. Tuttavia, riconosciuta la sussistenza del profilo soggettivo, nel merito la Corte è giunta ad escludere la configurabilità del cd. peculato per distrazione nella condotta di uno degli imputati in ragione di una destinazione da questi impressa a somme di denaro che, sebbene non corrispondente a quella astrattamente prevista, non giungeva comunque ad integrare un fatto appropriativa in senso stretto, in ragione della sussistenza di un interesse pubblico anche alla diversa e non prevista destinazione (ovviamente destinazione non privatistica).
Ecco, quindi, che il sistema già dimostra di essere in grado di porre rimedio a quei potenziali conflitti interni (derivanti dalla diversità tra regole amministrative di efficiente amministrazione e regole penali) valorizzando l’esistenza di un concreto vulnus quale presupposto essenziale per l’operatività della sanzione penale.
Il principio di offensività, unito alla valutazione della sussistenza del dolo quale elemento psicologico che connota i delitti contro la pubblica amministrazione, costituiscono strumenti attraverso i quali risolvere le pur configurabili diversità tra comportamenti doverosi nelle diverse sedi penale e amministrativa. Ovvia la considerazione (finale) che ogni intervento normativo che “riempia” le fattispecie incriminatrici in tema di reati contro la pubblica amministrazione di elementi connotanti (l’intenzionalità del dolo, la sussistenza del danno) costituisce strumento di ausilio per l’interprete nella individuazione del discrimine tra incriminazioni di pura forma ed incriminazioni rispondenti al principio di offensività, oltre a garantire, al contempo, la giusta reazione del sistema rispetto a condotte invece pacificamente meritevoli di rilievo nella sede penale.
[1] Interessante sul punto la recente sentenza della Corte di Cassazione sez 6, n. 33016 del 2024 udienza 11 luglio 2024 in tema di peculato dell’amministratore di sostegno così massimata “ …La ratio sottesa all'art. 360 cod. pen. è volta ad estendere gli effetti della qualifica pubblicistica, anche ad un periodo successivo alla sua cessazione, nella misura in cui sussiste un rapporto di strumentalità tra la qualifica precedentemente ricoperta e il reato commesso, la cui realizzazione deve essere stata possibile proprio sfruttando la pregressa posizione.”
[2] “Art. 1 I Comuni possono assumere, nei modi stabiliti dilla presente legge, l'impianto e l'esercizio diretto dei pubblici servizi, e segnatamente di quelli relativi agli oggetti seguenti: 1° costruzione di acquedotti e fontane e distribuzione di acqua potabile; 2° impianto ed esercizio dell'illuminazione pubblica e privata; 3° costruzione di fognature ed utilizzazione delle materie fertilizzanti; 4° costruzione ed esercizio di tramvie, a trazione animale o meccanica; 5° costruzione ed esercizio di reti telefoniche nel territorio comunale; 6° impianto ed esercizio di farmacie; 7° nettezza pubblica e sgombro di immondizie dalle case; 8° trasporti funebri, anche con diritto di privativa, eccettuati i trasporti dei soci di congregazioni, confraternite ed altre associazioni costituite a tal fine e riconosciute come enti morali; 9° costruzione ed esercizio di molini e di forni normali; 10° costruzione ed esercizio di stabilimenti per la macellazione, anche con diritto di privativa; 11° costruzione ed esercizio di mercati pubblici, anche con diritto di privativa; 12° costruzione ed esercizio di bagni e lavatoi pubblici; 13° fabbrica e vendita del ghiaccio; 14° costruzione ed esercizio di asili notturni; 15° impianto ed esercizio di omnibus, automobili, e di ogni altro simile mezzo, diretto a provvedere alle pubbliche comunicazioni; 16° produzione e distribuzione di forza metrico idraulica ed elettrica e costruzione degl'impianti relativi; 17° pubbliche affissioni, anche con diritto di privativa, eccettuandone sempre i manifesti elettorali e gli atti della pubblica autorità; 18° essicatoi di granturco e relativi depositi; 19°stabilimento e relativa vendita di semenzai e vivai di viti ed altre piante arboree e fruttifere.”
[3] Art. 174
Art. 174 “Nozione”:
1.Il partenariato pubblico-privato è un'operazione economica in cui ricorrono congiuntamente le seguenti caratteristiche: a) tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico;
b) la copertura dei fabbisogni finanziari connessi alla realizzazione del progetto proviene in misura significativa da risorse reperite dalla parte privata, anche in ragione del rischio operativo assunto dalla medesima; c) alla parte privata spetta il compito di realizzare e gestire il progetto, mentre alla parte pubblica quello di definire gli obiettivi e di verificarne l'attuazione;
d) il rischio operativo connesso alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi è allocato in capo al soggetto privato.
2. Per ente concedente, ai sensi della lettera a) del comma 1, si intendono le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all'articolo 1 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014.
3. Il partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale comprende le figure della concessione, della locazione finanziaria e del contratto di disponibilità, nonché gli altri contratti stipulati dalla pubblica amministrazione con operatori economici privati che abbiano i contenuti di cui al comma 1 e siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela. L'affidamento e l'esecuzione dei relativi contratti sono disciplinati dalle disposizioni di cui ai Titoli II, III e IV della Parte II. Le modalità di allocazione del rischio operativo, la durata del contratto di partenariato pubblico-privato, le modalità di determinazione della soglia e i metodi di calcolo del valore stimato sono disciplinate dagli articoli 177, 178 e 179. 4. Il partenariato pubblico-privato di tipo istituzionale si realizza attraverso la creazione di un ente partecipato congiuntamente dalla parte privata e da quella pubblica ed è disciplinato dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, e dalle altre norme speciali di settore. 5. I contratti di partenariato pubblico-privato possono essere stipulati solo da enti concedenti qualificati ai sensi dell'articolo 63.