I “Fratelli minori” di Contrada e le possibili conseguenze nei rapporti con la Corte europea dei diritti dell’uomo: note a margine di SS.UU. n. 8544 24.10.2019 – 3.3.2020 Genco.
di Marina Silvia Mori
Ancora sulla sentenza a Sezioni Unite n. 8544/2020 (ric. Genco) in tema di concorso esterno in associazione mafiosa e sulle ricadute della sentenza di Corte EDU Contrada (n. 3) contro Italia. Nel testo si esaminano alcune delle problematiche riscontrabili nella pronuncia di legittimità, in particolare in relazione alle sentenze della Corte europea che individuano violazioni strutturali al di fuori delle procedure “pilota” e “quasi – pilota”, alle modalità di adeguamento già poste in essere in passato dall’ordinamento interno e, infine, alle conseguenze che la pronuncia Genco potrebbe comportare, non solo nei confronti dei condannati per concorso esterno per fatti precedenti alla sentenza Demitry.
Sommario: 1.Premessa. 2. Il mito della sentenza pilota e l’individuazione della violazione strutturale. 3.Gli effetti generali e speciali della pronuncia: l’impasse sulle violazioni strutturali non conclamate e la inefficacia sopravvenuta dei rimedi interni. 4. I possibili sviluppi.
1. Premessa.
Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e, in particolare, la sua applicazione nella vicenda Contrada continuano a essere un indiscutibile nervo scoperto per l’ordinamento italiano. Dopo i ripetuti interventi della Cassazione nella sua composizione più ampia[1], per la definizione dei margini applicativi di una fattispecie astratta dalla connotazione sfuggente, la notissima e assai commentata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che concludeva la sorte del terzo ricorso presentato dall’ex dirigente del SISDE[2], è stata l’indiretto (ma obbligato) oggetto di una pronuncia del Supremo Consesso in ordine alla possibilità di estenderne il principio a coloro i quali, pur non avendo adito la Corte europea, si trovassero in una situazione analoga a quella di Contrada.
È indubbio, infatti, che la massima parte delle motivazioni della sentenza Genco è incentrata su un esame delle caratteristiche della pronuncia Contrada (n. 3).
Si eviterà in questa sede di affrontare specifiche prese di posizione della sentenza europea (prime fra tutte, il “reato di creazione giurisprudenziale” e l’attribuzione alla sentenza Demitry di connotazioni tali da integrare mutamento in malam partem), che hanno già abbondantemente occupato il dibattito dottrinale[3] e che sono state riprese, per lo più in termini significativamente critici, da varie pronunce di legittimità.
Si cercherà, invece, esaminate alcune caratteristiche delle sentenze della Corte EDU, di comprendere se la pronuncia delle Sezioni Unite potrà avere – e quali – conseguenze sui rapporti con la Corte alsaziana, in relazione in particolare alla esecuzione delle sentenze nei confronti dell’Italia.
Come noto, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, su rinvio della Sesta Sezione Penale, dirimevano la questione di diritto sollevata dalla Sezione rimettente esprimendo il seguente principio: “I principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata”.
L’attenzione delle Sezioni Unite si è, in particolare, soffermata sulle caratteristiche della pronuncia europea, riprendendo note indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale, per escludere la possibilità di un suo recepimento da parte dell’ordinamento interno che potesse superare gli obblighi di adeguamento imposti dall’art. 46 della Convenzione europea, che riguarderebbero la sola posizione giuridica del singolo ricorrente vittorioso a Strasburgo.
2. Il mito della sentenza pilota e l’individuazione della violazione strutturale
Il requisito di “sentenza pilota”, ripreso direttamente dai parametri evidenziati dalla sentenza 49/2015 della Corte Costituzionale per individuare un potere “espansivo” di una sentenza della Corte EDU, costituirebbe una etichetta indicatrice di una violazione strutturale: di conseguenza, lo Stato non potrebbe sottrarsi all’adeguamento e dovrebbe predisporre misure strutturali idonee a sanare la problematica individuata dalla Corte europea.
Se è indubbio che la sentenza pilota individua una violazione strutturale, la corrispondenza è solo univoca, in quanto è falso il ragionamento inverso per cui ogni violazione strutturale sarebbe necessariamente individuata attraverso una sentenza pilota.
La procedura pilota è codificata nell’art. 61 del Regolamento della Corte[4], norma modificata nel 2011 che, nella nuova formulazione, cristallizzava una via procedurale già intrapresa in alcuni casi dalla Corte europea, espressione di esigenze di carattere essenzialmente pratico.
Il problema si pose, in particolare, con il caso Broniowski[5], complessa vicenda relativa ai risarcimenti in favore di coloro che erano stati rimpatriati in Polonia dopo la Seconda Guerra Mondiale e la fissazione dei nuovi confini dello Stato polacco. Per il significativo numero di ricorsi pendenti al momento della redazione della sentenza e di molti altri che, presumibilmente, sarebbero stati successivamente inviati[6], la Corte aveva valutato sia il rischio di un aggravamento della responsabilità dello Stato convenuto, sia, più prosaicamente, le difficoltà che la gestione di un tale numero di potenziali ricorsi, per quanto ripetitivi, avrebbe causato allo strumento convenzionale di protezione dei diritti.
Ne seguiva una valutazione ripresa in altre pronunce successive (anche non ascrivibili alla categoria delle sentenze pilota): premesso che non spetta alla Corte indicare le misure di adeguamento conseguenti all’obbligo di cui all’art. 46 della Convenzione, tuttavia, per l’imponente numero di potenziali vittime della medesima violazione, a giudizio della Corte si imponeva la adozione di misure di carattere generale adatte a rimediare al deficit strutturale da cui derivava la violazione individuata, con introduzione di rimedi nazionali anche, eventualmente, ad effetto retroattivo[7].
Due note questioni riguardanti l’Italia hanno, in particolare, portato all’applicazione della procedura pilota: in materia di sovraffollamento carcerario, per cui è stato stabilito un termine entro il quale lo Stato convenuto avrebbe dovuto approntare un rimedio interno che soddisfacesse i requisiti di accessibilità ed adeguatezza come ricavabili dall’art. 35 della Convenzione[8], e in relazione al mancato riconoscimento dell’indennità integrativa speciale per danno da trasfusione di emoderivati infetti[9].
La procedura pilota “in senso stretto”, utilizzata dalla Corte in circa quindici occasioni[10] insomma, trova la sua origine nella risoluzione di un problema eminentemente pratico di gestione dei ricorsi da parte della Corte europea, e si caratterizza per il numero significativamente elevato di potenziali ricorrenti che potrebbero adire la Corte di Strasburgo. Lo Stato, del resto, ha l’obbligo di evitare che la Corte sia destinataria di ricorsi ripetitivi[11] predisponendo le misure interne adeguate.
Per le caratteristiche della imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa, che non pare coinvolgere un numero ipotetico di ricorrenti tale da mettere a rischio il funzionamento del meccanismo convenzionale, e per il ridotto numero di relativi ricorsi pendenti in Corte europea[12] l’abusato riferimento alla mancanza di “sentenza pilota” pare, francamente, una clausola di stile, né sarebbe ipotizzabile, da parte della Corte europea, l’utilizzo di detto meccanismo procedurale per invitare lo Stato a predisporre misure generali adeguate.
Oltre alle sentenze pilota in senso stretto, però, la Corte europea ha utilizzato nel tempo una seconda procedura, non espressamente qualificata nel Regolamento, caratteristica di casi in cui la sentenza individui comunque la necessità da parte dello Stato di introdurre misure di carattere generale per evitare la reiterazione di ricorsi aventi ad oggetto la medesima violazione. Nessuno potrebbe negare che sentenze come Sejdovic[13] o Scoppola[14], sebbene non qualificabili come “pilota” in senso stretto, abbiano affrontato violazioni sistemiche presenti nell’ordinamento italiano e che abbiano comportato, come conseguenza, l’adozione di strumenti generali – non necessariamente legislativi - atti a impedire nuove violazioni (in caso del processo contumaciale, incidentalmente, la riforma dell’art. 175 c.p.p. era già intervenuta prima della pronuncia della sentenza). Proprio le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota vicenda Ercolano[15] evidenziavano le caratteristiche della sentenza Scoppola come spia di una problematica strutturale, con un ragionamento che, evidentemente, non è stato condiviso dalla attuale composizione della Corte di legittimità nell’affrontare la problematica dei “Fratelli minori” di Contrada. Tra le decisioni più recenti, le sentenze Cestaro[16] e Marcello Viola (n. 2)[17] hanno certamente evidenziato ulteriori problemi strutturali dell’ordinamento italiano, sebbene in nessuna delle due pronunce sia indicata nel dispositivo la necessità di prevedere misure generali di intervento.
L’aspetto più significativo, però, della prassi della Corte europea, tra sentenze “pilota” e “quasi pilota”, e che purtroppo non è stato oggetto di esame da parte della sentenza Genco, è che una terza categoria di sentenze – tra le quali potrebbe essere inserita anche la Contrada (n. 3), per i motivi che si diranno – pur non contenendo l’esplicito accertamento della natura strutturale della violazione e nemmeno la specificazione relativa alla necessità di adozione di misure generali, evidenzia comunque problematiche sistemiche dell’ordinamento dello Stato convenuto[18].
Si pensi, ad esempio, alla sentenza Brazzi[19]: detta pronuncia non contiene, né nel dispositivo, né nella motivazione, un espresso riferimento alla necessità di introdurre rimedi generali a una violazione strutturale. La Corte evidenzia come la previsione di una verifica successiva alla perquisizione da parte di un giudice possa compensare l’assenza di un controllo ex ante sull’operato del pubblico ministero; nel caso di specie tale controllo successivo non era previsto, in quanto l’ordinamento italiano non consente la verifica giurisdizionale in assenza di sequestro. E, nel respingere l’eccezione del Governo in tema di ricevibilità, la Corte precisa: “Per quanto riguarda la posta in gioco oggettiva della causa, la Corte rileva che quest’ultima riguarda l’esistenza, nell’ordinamento italiano, di un efficace controllo giurisdizionale rispetto a una misura di perquisizione, ossia una questione di principio importante sia a livello nazionale che sul piano convenzionale”[20]. L’aspetto strutturale della violazione, insomma, non è inserito nel dispositivo e non è oggetto di espresse valutazioni ai sensi dell’art. 46, ma si annida nel giudizio prodromico di ricevibilità. Ne consegue che solo l’attenta lettura di una pronuncia e l’individuazione delle caratteristiche della violazione riscontrata, al di là di rigidi indicatori che peccano di artificiosità e mal si attagliano alle caratteristiche delle sentenze della Corte europea, consente di classificare come “strutturale” la carenza dell’ordinamento interno[21].
È appena il caso di evidenziare che la frase “la Corte constata che il reato in questione è stato il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni ottanta del secolo scorso e consolidatasi nel 1994 con la sentenza Demitry. Perciò, all’epoca in cui sono stati commessi i fatti ascritti al ricorrente (1979-1988), il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile per quest’ultimo. Il ricorrente non poteva dunque conoscere nella fattispecie la pena in cui incorreva per la responsabilità penale derivante dagli atti da lui compiuti”[22], sulla base delle premesse esposte, per come formulata è oggettivamente indicativa di una problematica suscettibile di valutazione anche in relazione a casi analoghi.
Un’indicazione utile, e con caratteristiche di oggettività, per rinvenire l’esistenza di una violazione strutturale caratteristica è ricavabile dalla scelta da parte del Comitato dei Ministri di prevedere una sorveglianza rafforzata sull’esecuzione di una determinata sentenza, procedura che infatti può riguardare anche sentenze non classificabili come pilota o quasi pilota. Lo Stato, cioè, diventa destinatario dell’onere di predisporre piani di azione e rapporti di azione con l’indicazione delle misure generali da approntare per fare fronte alla violazione sistemica. La sentenza Contrada (n. 3) è stata inserita dal Comitato dei Ministri tra i leading cases meritevoli di sorveglianza rafforzata[23].
Secondo la sentenza Genco, la circostanza non sarebbe invece decisiva, e il fatto che la Contrada (n. 3) non abbia individuato i rimedi interni generali da approntare porterebbe ad escludere una sua potenziale applicabilità estensiva[24].
Detta considerazione, alla luce della ricostruzione delle caratteristiche delle sentenze di Corte EDU, non è decisiva. Prima di tutto, anche nelle sentenze pilota più classiche, da Broniowski in poi, la Corte premette e precisa sempre di non avere tra le proprie prerogative quella di indicare o imporre il rimedio interno che lo Stato convenuto dovrebbe approntare per risolvere la violazione strutturale. Poi, come si è visto per le violazioni strutturali non conclamate, anche in questo caso la corrispondenza non è biunivoca: se l’indicazione delle misure generali consegue all’accertamento di una violazione strutturale, non tutte le violazioni strutturali sono individuabili grazie alla individuazione di misure generali. E già in passato la giurisprudenza interna ha sopperito alle carenze strutturali dell’ordinamento, sebbene fossero state evidenziate da una sentenza che non era stata emessa secondo i canoni della procedura pilota e che nemmeno conteneva la specificazione delle misure generali da assumere[25].
3. Gli effetti generali e speciali della pronuncia: l’impasse sulle violazioni strutturali non conclamate e la inefficacia sopravvenuta dei rimedi interni
La sentenza delle Sezioni Unite esclude sia la possibilità di utilizzare i parametri sopra individuati per verificare se la Contrada (n. 3) possa rientrare tra le sentenze indicatrici di una violazione strutturale, sia di affrontare la tematica dell’effetto di “chose interpretée” rispetto agli effetti della singola sentenza di Corte EDU[26], optando per la verifica della sussistenza dei parametri individuati dalla Corte Costituzionale per certificare la presenza di un orientamento “consolidato” nella giurisprudenza della Corte.
L’esclusione dell’orientamento consolidato sarebbe di per sé discutibile, specie in considerazione dello sbarramento imposto dalla Grande Camera al ricorso del Governo, del fatto che alcune delle sentenze regolarmente citate per escludere l’applicabilità dell’art. 7 CEDU al concorso esterno in associazione mafiosa patiscano il decorso del tempo e – quelle sì – il loro limitato ambito di applicazione[27], e che altre non siano, forse, state adeguatamente valorizzate[28].
Incidentalmente, in relazione al rigetto del ricorso in Grande Camera, è appena il caso di notare che, se il Governo avesse ritenuto profondamente errata la sentenza Contrada (n. 3), avrebbe potuto utilizzare le due procedure che il Regolamento prevede per superare la definitività di una pronuncia: la revisione (art. 80 Reg.) e la richiesta di interpretazione (art. 79 Reg.)[29], ad esempio in relazione all’esecuzione di eventuali misure generali, come detto non specificate nella sentenza.
Le conseguenze della pronuncia delle Sezioni Unite potrebbero essere diverse. Sotto un profilo generale, nel solco delle sentenze che hanno tentato di tipizzare le caratteristiche delle sentenze di Strasburgo passibili di estensione oltre l’effetto immediato e diretto nei confronti del ricorrente vittorioso, potrebbero essere difficilmente oggetto di esecuzione erga alios tutte le sentenze che non esplicitino l’esistenza di una violazione strutturale, con la conseguenza di rinviare alla Corte europea i ricorrenti con doglianze analoghe a quelle già esaminate da Strasburgo. Considerato che le uniche sentenze escluse (pilota e – forse – quasi pilota) sono un numero esiguo, rischierebbe allora di venir meno il principio di coordinamento tra ordinamenti interni e ordinamento sovranazionale finalizzato alla massimizzazione della tutela dei diritti fondamentali.
Per quanto i riguarda i cosiddetti “fratelli minori” di Contrada, viene in rilievo un ulteriore aspetto. È evidente che, a seguito della sentenza Genco e della valenza della composizione della Corte di legittimità che l’ha pronunciata, sarebbe al momento attuale ben difficile individuare un rimedio interno connotato da quei requisiti di adeguatezza che la Convenzione richiede per esaurire utilmente i ricorsi interni prima di accedere alla tutela sovranazionale. Quando un ricorso interno è votato all’insuccesso, non deve essere esperito, in particolare in presenza di una consolidata giurisprudenza interna sfavorevole al ricorrente[30]. L’attuale consolidamento verificatosi con la sentenza Genco potrebbe, allora, portare le persone interessate da condanne per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti antecedenti alla sentenza Demitry a ricorrere direttamente a Strasburgo, senza dover prima esperire i rimedi interni (incidenti di esecuzione o revisioni europee che siano) che non offrirebbero possibilità di accoglimento. Sarebbero valutabili, inoltre, ulteriori violazioni, sia per la mancanza di un rimedio interno adeguato, sia per la discriminazione rispetto a chi, in una situazione giuridica sovrapponibile, abbia invece ottenuto la cessazione degli effetti penali della propria sentenza di condanna.
4. I possibili sviluppi
Il redde rationem di tutta la querelle sul concorso esterno potrebbe non essere lontano. Come si è anticipato, in Corte europea sono in fase di avanzata trattazione due procedure che sono quasi integralmente sovrapponibili alla Contrada (n. 3): Lo Sicco, comunicata al Governo il 5.7.2016 (e ignorata sia dalle Sezioni Unite che da vari commentatori) e la più nota Dell’Utri, comunicata al Governo il 16.11.2017. In particolare, per quanto qui di interesse, il ricorrente Dell’Utri nel ricorso introduttivo del dicembre 2014 lamentava la violazione dell’art. 7 sottolineando il carattere evanescente e privo di tipicità del delitto di concorso esterno, i cui elementi costitutivi tipici sono stati canonizzati solo in un momento molto successivo ai fatti oggetto della condanna, e l’applicazione del regime sanzionatorio più grave nonostante la parte più rilevante della condotta oggetto di condanna fosse precedente al 1982 e all’introduzione del delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso.
I quesiti posti dalla Corte al Governo[31], sempre limitandosi alla parte di interesse in relazione al presente contributo, sono i seguenti:
5. Les faits pour lesquels le requérant a été condamné étaient-t-ils constitutifs de l’infraction de concours externe en association de type mafieux avant le 13 septembre 1982 (date de l’entrée en vigueur de la loi no 646/1982 introduisant le délit d’association de malfaiteurs de type mafieux), au sens de l’article 7 de la Convention? En particulier, était-il suffisamment clair et prévisible que, en persévérant dans ses agissements répréhensibles postérieurement à l’entrée en vigueur de ladite loi, le requérant pouvait engager sa responsabilité sur la base de cette disposition à raison de ces mêmes agissements antérieurement à cette date (voir Rohlena c. République tchèque [GC], no 59552/08, CEDH 2015 et Veeber c. Estonie (no 2), no 45771/99, CEDH 2003‑I)?
6. L’infraction litigieuse était-elle définie, à l’époque des faits reprochés au requérant (jusqu’en 1992), avec suffisamment de clarté et de prévisibilité, au sens de l’article 7 de la Convention, pour permettre au requérant de savoir à l’avance que son comportement était répréhensible (Contrada c. Italie (no 3), no 66655/13, 14 avril 2015)?
7. Le requérant disposait-t-il d’un recours effectif au sens de l’article 13 de la Convention, pour faire valoir son grief tiré de l’article 7 à raison de l’absence de prévisibilité et clarté de la définition de l’infraction litigieuse?
Se la Corte europea, per le ragioni più disparate di ricevibilità o di merito, non giungesse ad individuare la violazione dell’art. 7 CEDU nei due casi citati, Contrada resterebbe figlio unico, e il possibile conflitto verrebbe solo posticipato.
Il problema si porrà se, però, Lo Sicco e Dell’Utri consolideranno (ulteriormente) l’interpretazione dell’art. 7 in relazione al concorso esterno in associazione mafiosa, pur con tutte le specificità dei singoli casi concreti. Le eventuali sentenze, infatti, potrebbero proseguire nel solco della Contrada (n. 3) senza esplicitare il carattere strutturale della violazione e senza indicare misure generali che, incidentalmente, nella questione oggetto di attenzione sfuggirebbero alla competenza della Corte, considerata anche la diatriba interna sull’eventuale rimedio esperibile, oggetto di rimessione alle Sezioni Unite. Certo è che il semplice richiamo alla pronuncia precedente, già esplicitato nei quesiti, fornirebbe comunque alle giurisdizioni interne un significativo elemento di valutazione di una possibile violazione strutturale non conclamata, e riproporrebbe la necessità di chiarire gli effetti di res interpretata delle sentenze della Corte EDU.
[1] Oltre alla sentenza Demitry (5.10.1994, spartiacque, secondo la Corte EDU, che avrebbe “fornito per la prima volta una elaborazione della materia controversa” e “finalmente ammesso in maniera esplicita l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso nell’ordinamento giuridico interno” – Contrada c. Italia (n. 3), 14.4.2015, par. 69), si tratta, come noto, delle sentenze Carnevale (30.10.2002) e Mannino (12.7.2005).
[2] Contrada c. Italia (n. 3), cit.., ric. 66655/13. Le prime due decisioni della Corte europea sulla vicenda del ricorrente avevano, rispettivamente, escluso la sussistenza della violazione dell’art. 5 par. 5 CEDU (Contrada c. Italia, ric. 27143/95, 24.8.1998) e stabilito invece la violazione dell’art. 3 CEDU in relazione al mantenimento in detenzione nonostante le precarie condizioni di salute dell’interessato (Contrada c. Italia (n. 2), ric. 7509/08, 11.2.2014).
[3] Tra gli ultimi contributi in materia, in termini critici, si veda il recentissimo Cardamone, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla non estensibilità degli effetti della sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia del 14 aprile 2015 ai casi simili, Questione Giustizia.
[4] Nel testo inglese: “1. The Court may initiate a pilot-judgment procedure and adopt a pilot judgment where the facts of an application reveal in the Contracting Party concerned the existence of a structural or systemic problem or other similar dysfunction which has given rise or may give rise to similar applications. 2. (a) Before initiating a pilot-judgment procedure, the Court shall first seek the views of the parties on whether the application under examination results from the existence of such a problem ordysfunction in the Contracting Party concerned and on the suitability of processing the application in accordance with that procedure. (b) A pilot-judgment procedure may be initiated by the Court of its own motion or at the request of one or both parties. (c) Any application selected for pilot-judgment treatment shall be processed as a matter of priority in accordance with Rule 41 of the Rules of Court. 3. The Court shall in its pilot judgment identify both the nature of the structural or systemic problem or other dysfunction as established as well as the type of remedial measures which the Contracting Party concerned is required to take at the domestic level by virtue of the operative provisions of the judgment. 4. The Court may direct in the operative provisions of the pilot judgment that the remedial measures referred to in paragraph 3 above be adopted within a specified time, bearing in mind the nature of the measures required and the speed with which the problem which it has identified can be remedied at the domestic level. 5. When adopting a pilot judgment, the Court may reserve the question of just satisfaction either in whole or in part pending the adoption by the respondent Contracting Party of the individual and general measures specified in the pilot judgment. 6. (a) As appropriate, the Court may adjourn the examination of all similar applications pending the adoption of the remedial measures required by virtue of the operative provisions of the pilot judgment. (b) The applicants concerned shall be informed in a suitable manner of the decision to adjourn. They shall be notified as appropriate of all relevant developments affecting their cases. (c) The Court may at any time examine an adjourned application where the interests of the proper administration of justice so require. 7. Where the parties to the pilot case reach a friendly-settlement agreement, such agreement shall comprise a declaration by the respondent Contracting Party on the implementation of the general measures identified in the pilot judgment as well as the redress to be afforded to other actual or potential applicants. 8. Subject to any decision to the contrary, in the event of the failure of the Contracting Party concerned to comply with the operative provisions of a pilot judgment, the Court shall resume its examination of the applications which have been adjourned in accordance with paragraph 6 above. 9. The Committee of Ministers, the Parliamentary Assembly of the Council of Europe, the Secretary General of the Council of Europe, and the Council of Europe Commissioner for Human Rights shall be informed of the adoption of a pilot judgment as well as of any other judgment in which the Court draws attention to the existence of a structural or systemic problem in a Contracting Party. 10. Information about the initiation of pilot-judgment procedures, the adoption of pilot judgments and their execution as well as the closure of such procedures shall be published on the Court’s website.”
[5] Broniowski c. Polonia [GC], 22.6.2004.
[6] Broniowski, cit., par. 193: al momento della pronuncia risultavano pendenti 167 casi analoghi, ma il rimpatrio dai territori oltre confine aveva riguardato circa ottantamila persone, tutte nella stessa situazione giuridica di violazione dell’art. 1 Prot. 1.
[7] Broniowski, cit., par. 193. Si vedano anche Hutten-Czapska c. Polonia, 19.6.2006, par. 236; Rutkowski e altri c. Polonia, 19.6.2004. Per ulteriori approfondimenti sulla procedura pilota, Zagrebelsky – Chenal – Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, Il Mulino 2019, pag. 472 e ss.
[8] Torreggiani e altri c. Italia, 8.1.2013, par. 99: “les autorités nationales doivent sans retard mettre en place un recours ou une combinaison de recours ayant des effets préventifs et compensatoires et garantissant réellement une réparation effective des violations de la Convention résultant du surpeuplement carcéral en Italie. Ce ou ces recours devront être conformes aux principes de la Convention, tels que rappelés notamment dans le présent arrêt (…), et être mis en place dans un délai d’un an à compter de la date à laquelle celui-ci sera devenu définitif”.
[9] M. C. e altri c. Italia, 3.9.2013, con differimento di un anno dei ricorsi non esaminati e con indicazione, sia nella motivazione che nel dispositivo, della necessità di introdurre misure legislative e amministrative idonee ad assicurare il pagamento dell’indennità integrativa a chiunque ne avesse diritto.
[10] Per un elenco dettagliato comprensivo dei dati sull’incidenza della violazione strutturale e della modalità di gestione del contenzioso da parte della Corte, Saccucci, La responsabilità internazionale dello Stato per violazioni strutturali dei diritti umani, Editoriale Scientifica 2018, pag. 303 e ss., Tabella A.
[11] Nascimbene, Violazione «strutturale», violazione «grave» ed esigenze interpretative della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale 3/2006, pag. 656, e riferimenti ivi. Tra le pronunce della Corte EDU sul punto, si veda ad es. Salah c. Paesi Bassi, 6.7.2006, par. 77.
[12] Per quanto disponibile sul sito ufficiale della Corte, in relazione ai ricorsi comunicati al Governo italiano – unici accessibili per una seppur parziale consultazione - risultano pendenti il ricorso Lo Sicco c. Italia (ric. 14417/09), comunicato il 5.7.2016, e il ricorso Dell’Utri c. Italia (ric. 3800/15), comunicato il 16.11.2017, sui quali si tornerà, più diffusamente, infra.
[13] Sejdovic c. Italia [GC], 10.11.2004, relativa al processo contumaciale e alla impossibilità di ottenere la celebrazione di un nuovo giudizio per chi non avesse avuto conoscenza effettiva del processo
[14] Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], 17.9.2009, sulla applicazione retroattiva di una norma penale con effetti in malam partem.
[15] Cass. Pen. SS.UU. 19.4.2012, n. 34472: “di fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza stigmatizzate in sede europea, il mancato rimedio di cui all’art. 34 (ricorso individuale) e la conseguente mancanza, nel caso concreto, di una sentenza della Corte EDU cui dare esecuzione, non possono essere di ostacolo ad un intervento dell’ordinamento giuridico italiano, attraverso la giurisdizione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale (…) La sentenza della Corte EDU, G.C., 17/09/2009, Scoppola c. Italia, che viene in rilievo nel caso in esame, presenta i connotati sostanziali di una
[16] Cestaro c. Italia, 7.4.2015, parr. 243 – 246, che si riportano nella traduzione italiana a cura del Ministero della giustizia, in quanto emblematici dell’individuazione di problema strutturale al di fuori della ordinaria procedura pilota: “nell’ambito dell’analisi che riguarda il rispetto degli obblighi procedurali che derivano dall’articolo 3 della Convenzione, la Corte ha dichiarato che la reazione delle autorità non è stata adeguata (…). Dopo aver escluso negligenze o compiacenze da parte della procura o degli organi giudicanti, la Corte ha concluso che è la legislazione penale italiana applicata al presente caso ad essersi rivelata «inadeguata rispetto all’esigenza di sanzionare gli atti di tortura in questione e al tempo stesso priva dell’effetto dissuasivo necessario per prevenire altre violazioni simili dell’articolo 3 in futuro» (…). Il carattere strutturale del problema sembra quindi innegabile. Peraltro, tenuto conto dei principi posti dalla sua giurisprudenza relativa al profilo procedurale dell’articolo 3 (..) e ai motivi che l’hanno indotta nel caso di specie a giudicare sproporzionata la sanzione inflitta, la Corte ritiene che questo problema si ponga non soltanto per la repressione degli atti di tortura, ma anche per gli altri maltrattamenti vietati dall’articolo 3: mancando un trattamento appropriato per tutti i maltrattamenti vietati dall’articolo 3 nell’ambito della legislazione penale italiana, la prescrizione (…) come pure l’indulto (in caso di promulgazione di altre leggi simili alla legge n. 241 del 2006…) possono in pratica impedire non soltanto la punizione dei responsabili degli atti di «tortura», ma anche degli autori dei «trattamenti inumani» e «degradanti» in virtù di questa stessa disposizione, nonostante tutti gli sforzi dispiegati dalle autorità procedenti e giudicanti. 243. Per quanto riguarda le misure da adottare per rimediare a questo problema, la Corte rammenta innanzitutto che gli obblighi positivi imposti allo Stato in base all’articolo 3 possono comportare il dovere di istituire un quadro giuridico adatto, soprattutto per mezzo di disposizioni penali efficaci (…). 244. Come nella sentenza Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 82, CEDU 2013, la Corte osserva, inoltre, che tale obbligo deriva, almeno in parte, anche da altre disposizioni internazionali quali, in particolare, l’articolo 4 della Convenzione contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (…). Come sottolineano il ricorrente (…) e i terzi intervenienti (…), le osservazioni e le raccomandazioni del Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, del CAT e del CPT vanno nella stessa direzione (…). 245. La competenza della Corte si limita, comunque, ad assicurare il rispetto degli obblighi che derivano dall’articolo 3 della Convenzione e, in particolare, ad aiutare lo Stato convenuto a trovare le soluzioni appropriate al problema strutturale individuato, ossia all’inadeguatezza della legislazione italiana. In effetti spetta in primo luogo allo Stato convenuto la scelta dei mezzi da utilizzare per adempiere al suo obbligo in base all’articolo 46 della Convenzione (…). 246. In questo quadro, la Corte ritiene necessario che l’ordinamento giuridico italiano si doti degli strumenti giuridici atti a sanzionare in maniera adeguata i responsabili degli atti di tortura o di altri maltrattamenti rispetto all’articolo 3 e ad impedire che questi ultimi possano beneficiare di misure che contrastano con la giurisprudenza della Corte.”
[17] Marcello Viola (n. 2) c. Italia, 13.6.2019, parr. 140 e ss.: “La Corte rammenta che, come interpretato alla luce dell’articolo 1 della Convenzione, l’articolo 46 crea per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico non soltanto di versare agli individui interessati le somme accordate loro a titolo di equa soddisfazione, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali che si rendono necessarie per porre fine ai problemi all’origine delle constatazioni da essa operate e agli effetti degli stessi (…). Per agevolare il rispetto da parte dello Stato membro dei suoi obblighi derivanti dall’articolo 46, la Corte può, in via eccezionale, prevedere di indicare il tipo di misure individuali o generali auspicabili allo scopo di porre fine alla situazione di violazione constatata (…). 141. La presente causa mette in luce un problema strutturale che fa sì che un certo numero di ricorsi sono attualmente pendenti dinanzi alla Corte. In prospettiva, essa potrebbe dare luogo alla presentazione di molti altri ricorsi relativi alla stessa problematica. (…) 143. La natura della violazione riscontrata dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione indica che lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena, il che permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione di quest’ultima, il detenuto si sia talmente evoluto e abbia fatto progressi tali verso la propria correzione che nessun motivo legittimo in ordine alla pena giustifichi più il suo mantenimento in detenzione, e al condannato di beneficiare così del diritto di sapere ciò che deve fare perché la sua liberazione sia presa in considerazione e quali siano le condizioni applicabili. La Corte considera, pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della «dissociazione» dall’ambiente mafioso, che tale rottura possa esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia e l’automatismo legislativo attualmente vigente. 144. Gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento per decidere la durata adeguata delle pene detentive per determinati reati, e il semplice fatto che una pena dell’ergastolo possa, in pratica, essere scontata nella sua totalità non la rende non riducibile (…). Di conseguenza, la possibilità di riesame della reclusione perpetua implica la possibilità per il condannato di chiedere una liberazione, ma non di ottenere necessariamente la scarcerazione se continua a costituire un pericolo per la società” (traduzione a cura del Ministero della giustizia).
[18] Per la suggestiva definizione di “violazioni strutturali invisibili”, Saccucci, cit., pag. 42 e ss., con ampia casistica in nota, che evidenzia anche l’impossibilità di individuare caratteristiche minime comuni di dette sentenze.
[19] Brazzi c. Italia, 27.9.2018.
[20] Brazzi, cit., par. 28 (traduzione italiana a cura del Ministero della giustizia).
[21] Per avere un’idea di quanto possa essere difficoltoso rinvenire un canone unitario nelle pronunce di Corte EDU, si pensi alle misure individuali che la Corte può indicare nella sentenza e che, a logica, dovrebbero risultare più agevolmente classificabili. Nella propria dissenting opinion a una nota sentenza in tema di esecuzione (Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2) [GC], 11.7.2017) il Giudice Pinto de Albuquerque ricostruisce ben dodici categorie diverse di misure individuali (contenute nel dispositivo o nella motivazione: Moreira Ferreira, cit., par. 16 della dissenting).
[22] Contrada (n. 3), cit., parr. 74-75.
[23] Cappelletti, Per le Sezioni Unite la sentenza Contrada c. Italia (n. 3) della Corte EDU non dispiega i suoi effetti erga omnes: i “fratelli minori” restano in attesa di riconoscimento da Strasburgo, in Giurisprudenza Penale Web, pag. 14. Si rinvia, in particolare, alla nota 34 del medesimo commento, nella quale è riportata relazione sullo stato d’esecuzione della sentenza Contrada (n. 3) presentata al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 12.4.2018.
[24] Si veda spec. pagg. 19-20 della sentenza.
[25] Cfr. supra, nota 15. Altro esempio significativo, oltre alla pronuncia Ercolano, si trae dall’intervento delle Sezioni Unite e della Consulta relativo agli effetti della sentenza De Tommaso c. Italia ([GC] 23.2.2017). Per una valutazione sul superamento dei criteri filtro e sull’utilizzo del bilanciamento nell’ottica di una maggiore estensione delle tutele, in opposizione alla pronuncia Genco, si veda Gaeta, Ipotesi di spiegazione sul revirement delle Sezioni unite circa la permeabilità dei princìpi europei nelle decisioni interne, Archivio Penale 2020, n. 1, pag. 4-5.
[26] La valenza di “cosa interpretata” delle sentenze della Corte rispetto a coloro che si trovino in situazioni analoghe a quella del ricorrente vittorioso (nei cui confronti le sentenze hanno valenza di “cosa giudicata”), nonché all’interno della stessa giurisprudenza della Corte, è materia complessa e non facilmente sintetizzabile. Già nel Mémorandum du Président de la Cour Européenne des Droits de l’Homme aux Etats en vue de la Conférence d’Interlaken il Presidente Costa, in relazione agli effetti estensivi di una pronuncia anche nei confronti di Stati non parti della controversia precisava: “Il n’est plus acceptable qu’un Etat ne tire pas le plus tôt possible les conséquences d’un arrêt concluant à une violation de la Convention par un autre Etat lorsque son ordre juridique comporte le même problème. L’autorité de la chose interprétée par la Cour va au-delà de la res judicata au sens strict. Une telle évolution ira de pair avec l’”effet direct” de la Convention en droit interne et avec son appropriation par les Etats” (testo poi trasfuso al punto 4c della Dichiarazione di Interlaken https://www.echr.coe.int/Documents/Speech_20090703_Costa_Interlaken_FRA.pdf), riportato anche nella dissenting di Pinto de Albuquerque in G.I.E.M. e altri c. Italia [GC], 28.6.2018, nota 161. Per un approfondimento, Sudre e a., Les grands arrêts de la Cour européenne del Droits de l’Homme, 2019, pag. 917 e ss. (La consolidation de l’autorité des arrêts). In relazione specificamente alla sentenza Genco, Esposito, Giochi di luce: quando il mostro diventa riconoscibile, Archivio Penale, 2020, 2.
[27] In particolare, S.W. c. Regno Unito, 22.11.1995.
[28] Ad esempio, Žaja c. Croazia, 4.1.2017. Sulle caratteristiche soggettive dell’imputato /ricorrente, ci si limita in questa sede a rinviare a Sotis, “Ragionevoli prevedibilità” e giurisprudenza della Corte Edu, Questione Giustizia 4/2018, spec. pag. 78, e Donini, Il caso Contrada e la Corte Edu. La responsabilità dello stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, Rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc.1, 2016, pag. 346, spec. par. 6 e ss.
[29] Zagrebelsky – Chenal – Tomasi, cit., pag. 493 e ss.
[30] Kleyn e a. c. Paesi Bassi, 6.5.2003, par. 156.
[31] Per il contenuto integrale dei quesiti posti dalla Corte, http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-179372