L’emergenza e ‘le’ emergenze secondo un recente climate case.
di Andrea Giordano
Sommario: 1. Un recente climate case olandese. 2. Il prisma delle tutele. 3. L’ellisse della C.e.d.u. e le geometrie multilivello.
1.Un recente climate case olandese.
L’emergenza[1] non ammette l’inerzia degli Stati.
Ciò che plasticamente si constata nel periodo della corrente emergenza epidemiologica da COVID-19[2] è stato, a chiare lettere, sancito dalla Suprema Corte olandese che, con una innovativa sentenza in tema di emergenza climatica[3], ha ritenuto che il Governo olandese debba ridurre al 25% le emissioni di biossido di carbonio e degli altri gas serra[4] entro il corrente 2020[5].
Sulla domanda della Fondazione “Urgenda”, che aveva convenuto in giudizio lo Stato per vederlo condannare alla riduzione delle dette nocive emissioni[6], si erano pronunciate, con sentenze favorevoli, sia la Corte distrettuale, sia la Corte di Appello.
L’orientamento è stato suggellato dalla Suprema Corte, che – contrariamente alla tesi erariale, secondo cui un ordine di “creare legislazione” non sarebbe ammissibile e inciderebbe sullo stesso sistema di separazione dei poteri [7] – ha riconosciuto l’esistenza di una vera e propria obbligazione positiva dello Stato di proteggere la vita e la salute dei cittadini.
Più in particolare, seguendo il ragionamento della Corte, dagli articoli 93 e 94 della Costituzione olandese[8] discenderebbe l’obbligo dello Stato di osservare ogni disposto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, siccome in ogni sua parte vincolante; essendo l’Olanda sottoposta alla giurisdizione della Corte Edu, le Corti olandesi dovrebbero interpretare gli articoli della Convenzione ai lumi degli stessi parametri ermeneutici impiegati dalla Corte di Strasburgo[9]. Le garanzie scolpite negli articoli e 2 e 8 della Cedu – i diritti alla vita e al rispetto della vita privata e familiare – implicherebbero la doverosità di misure tali da scongiurare, anche nell’ottica del principio di precauzione, i pregiudizi correlati al cambiamento climatico[10].
Dal carattere necessario di misure di mitigazione[11] idonee alla riduzione, nella misura del 25%, delle emissioni di gas serra deriverebbe, quindi, secondo la catena logica sottesa al decisum, la possibilità della Corte di ordinare l’adozione delle medesime misure. Se così non fosse, si finirebbe per vulnerare, insieme a una regola fondamentale delle democrazie costituzionali, lo stesso “diritto a un ricorso effettivo” di cui all’art. 13 C.e.d.u.. [12]
Un “order to create legislation” sarebbe, in definitiva, ammissibile, attesa l’inesistenza di un generale divieto di ingerenza delle Corti nei processi decisionali politici e, comunque, considerata la necessità – imposta dall’art. 94 della Costituzione olandese – di disapplicare le norme contrastanti con obblighi internazionali.
Secondo il Supremo Collegio olandese, conflitti con il principio di separazione dei poteri scaturirebbero soltanto da ordini di riempire la norma di contenuti precisamente determinati[13]; l’individuazione del ‘fine’ di ridurre le emissioni di gas serra non intersecherebbe la libertà del legislatore di forgiare i ‘mezzi’ che all’obiettivo meglio e più efficacemente si attaglino[14].
2.Il prisma delle tutele
Lungi dall’essere una voce isolata, la pronuncia olandese riecheggia una sinfonia condivisa e dall’ordinamento internazionale e da quello europeo.
Le radici delle politiche ambientali volte a contrastare i cambiamenti climatici affondano nella Convenzione di Rio de Janeiro (United Nations Framework Convention on Climate Change – UNFCCC), che aveva, come obiettivo, quello della stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera onde escludere qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico[15]. Mezzo al fine era l’impegno, solo politico, delle Parti di riportare le emissioni di diossido di carbonio ai livelli del 1990. Le politiche di mitigazione – fondate sul rilievo per cui, dipendendo il cambiamento del clima globale dalla quantità dei gas serra riversati nell’atmosfera, la riduzione delle emissioni rallenta il cambiamento, sino a diminuirlo – avevano, dunque, la meglio su quelle di adattamento.
Il quadro internazionale si è, poi, arricchito del Protocollo di Kyoto dell’11 settembre 1997[16], con cui gli Stati contraenti si sono legalmente vincolati a ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni complessive di gas serra del 5.2% rispetto ai valori del 1990[17].
Tre i fondamentali pilastri del Protocollo: l’International Emissions Trading (IET), che consentiva ai Paesi soggetti al vincolo che avessero ottenuto un surplus nella riduzione delle emissioni di “vendere” il suddetto ad altri Paesi[18]; la Joint Implementation (JI), secondo cui gruppi di Paesi soggetti a vincolo, fra quelli indicati dall’Allegato I del Protocollo, potevano collaborare per raggiungere gli obiettivi fissati accordandosi su una diversa distribuzione degli obblighi, purché l’obbligo complessivo venisse osservato; il Clean Development Mechanism (CDM), preposto a fornire assistenza alle Parti non incluse nell’Allegato I negli sforzi per la riduzione delle emissioni[19].
I dubbi sulla possibilità di conseguire la stabilizzazione delle emissioni, evidenziati dal secondo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)[20], le rilevate criticità del Protocollo di Kyoto (specie in relazione alla prevista esenzione dagli obblighi di contenimento dei Paesi in via di sviluppo, agli ingenti costi che avrebbero inciso sugli Stati sviluppati e alla stessa impossibilità di regolare le emissioni globali con un Trattato internazionale[21]), il rifiuto di ratifica da parte degli Stati Uniti (ai tempi responsabili del 36% delle emissioni globali[22]) e il ritardo nell’entrata in vigore del Protocollo hanno condotto a una graduale virata verso le politiche di adattamento o, comunque, verso la sinergica integrazione della mitigazione con le strategie di adattamento[23].
Tale percorso di crescente promozione di queste ultime è culminato con l’Accordo di Parigi del 2015, che si è prefissato di rafforzare la risposta ai cambiamenti climatici, limitando il riscaldamento globale “ben al di sotto di 2° C” rispetto ai livelli preindustriali (fatti salvi gli sforzi di mantenerlo entro 1.5° C[24]) e promuovendo la adaptation[25].
Il diritto europeo ha seguito il sentiero delle Convenzioni internazionali.
L’Unione ha, infatti, aderito alla Convenzione di Rio de Janeiro e ha attuato il Protocollo di Kyoto a partire dal 1998, quando ha dato vita al Burden Sharing Agreement[26].
All’Accordo è seguita, a cascata, la Comunicazione sul cambiamento climatico, adottata dalla Commissione, il Libro Verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all’interno dell’Unione, la ratifica del Protocollo di Kyoto e la Direttiva 2003/87 istitutiva del sistema per lo scambio delle quote di emissione dei gas serra[27].
Più segnatamente, in consonanza con il diritto internazionale convenzionale, la Direttiva ha introdotto il sistema per cui i gestori di impianti, cui viene assegnato un cap di emissioni producibili, divengono – se diligenti nel rispetto del “tetto” – “creditori di emissioni”, abilitati a cedere i “crediti” agli Stati che abbiano oltrepassato il cap: coloro che non riescono a ridurre le emissioni debbono acquistare “crediti” dai soggetti virtuosi, onde raggiungere il livello del cap superato a causa delle emissioni sovrabbondanti[28].
Allo stato, il c.d. Emissions Trading System – come aggiornato alla luce della Direttiva n. 2018/40 – si inquadra nel cerchio a più ampio diametro del “Pacchetto per il clima e l’energia 2020” e, quindi, del “Quadro per il clima e l’energia 2030”; con quest’ultimo, l’Unione Europea si è impegnata a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 40% al di sotto dei livelli del 1990[29].
In linea con il trend internazionale, a tale rilevante disegno di mitigazione – i cui mezzi risultano, da una parte, il miglioramento dell’efficienza energetica almeno del 32.5%[30] e, dall’altra, l’aumento della quota di consumo energetica proveniente da fonti rinnovabili di almeno il 32%[31] – si aggiunge la nota “Strategia Europea in tema di adattamento ai cambiamenti climatici”[32], volta alla minimizzazione degli impatti economici, ambientali e sociali derivanti dai mutamenti climatici[33].
3.L’ellisse della C.e.d.u. e le geometrie multilivello
La sentenza olandese[34] ha aggiunto una tessera a tanto uniforme mosaico.
Stando alla predetta, l’obbligo di riduzione del gas serra al 25% vanterebbe una precipua base positiva negli artt. 1, 2, 8, 13 e 32 C.e.d.u., concretamente azionabile dai singoli.
Se il principio sia condivisibile e applicabile al nostro ordinamento è cosa che dipende dalla disamina del detto reticolato di disposti e dalla loro dialettica con i sistemi giuridici interno, unionale e internazionale[35].
Ora, mentre l’art. 1 sancisce il principio per cui le Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della Convenzione, l’art. 2 consacra il diritto alla vita, implicitamente erigendolo a precondizione di ogni altro diritto[36].
Il predicato di irreversibilità delle violazioni della vita e il carattere di essenzialità della tutela del ‘valore dei valori’[37] rispetto al godimento di ogni altro diritto fanno sì che al concetto di “protezione” venga attribuita una portata ampia[38], tale da far gravare sugli Stati non solo obblighi negativi, di astensione da atti che possano intenzionalmente cagionare la morte delle persone soggette alla giurisdizione statale[39], ma anche positivi di intervento con misure di protezione e repressione[40].
Come la vita, così le sfere dell’autonomia personale, protette dall’art. 8 (che, tanto quanto l’art. 2, impiega ampie locuzioni, quali “rispetto”, “vita privata e familiare” e “ingerenza”), implicano la coesistenza di obblighi negativi e positivi: al divieto di ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici e, quindi, al divieto di misure legislative, atti amministrativi e comportamenti materiali che limitino l’esercizio dei diritti garantiti si aggiungono obblighi positivi “di fare”, volti a rendere effettivo l’esercizio delle prerogative di cui alla Convenzione o a proteggerle dalle ingerenze di terzi[41].
Se è, poi, vero che il lessema “ambiente” non trova positiva cittadinanza nella Convenzione, il rispetto della vita e della sfera personale del soggetto non possono prescindere dalla salvaguardia di un bene tanto rilevante[42].
Ciò è stato, a più riprese, affermato dalla Corte di Strasburgo, che, oltre a riconoscere una generale responsabilità dello Stato per violazione dei diritti umani in conseguenza di un danno ambientale[43], non ha esitato ad affermarla con specifico riguardo ai disastri naturali, al ricorrere di un rischio prevedibile e della mancata adozione, da parte della nazione interessata, delle misure rientranti nelle sue possibilità[44].
Il riconoscimento ai singoli dei diritti e delle libertà di cui alla Convenzione passa, infine, attraverso l’effettività dei rimedi[45] e la possibilità del privato di agire individualmente innanzi alla Corte Edu allorché quei rimedi si siano rivelati ineffettivi. Se le Carte internazionali e le fonti europee hanno di norma, come destinatari, gli Stati, nel contesto di una comunità internazionale di governanti più che di governati[46], il sistema introdotto dalla Convenzione[47] rompe i tradizionali schemi, orientato – quale è – verso la diretta protezione di interessi individuali[48].
Vi è, nondimeno, uno speculare fuoco dell’ellisse disegnata dalla C.e.d.u..
Garanzie e tutele trovano un dovuto bilanciamento nel margine di apprezzamento dello Stato; non si sovrappongono al suo assetto costituzionale, per come veicolato dalla dialettica dei poteri e dal sistema delle fonti.
La c.d. dottrina del margine di apprezzamento[49] preserva, infatti, la discrezionalità dello Stato nell’applicare la Convenzione, consentendo al primo di soppesare gli obblighi pattizi con i propri interessi ed esigenze.
I diritti contemplati dalla C.e.d.u. non trovano, dunque, un’estensione incondizionata, risultando, piuttosto, soggetti ai limiti dettati dalle particolari circostanze e condizioni degli Stati contraenti[50] e, in definitiva, dalla sfera di sovranità non abdicata da questi ultimi[51].
Ciò deve, anzitutto, valere in relazione all’assetto costituzionale dei poteri dello Stato, che necessariamente sfugge all’universo dei limiti alla sovranità accettati dai Governi firmatari della Convenzione.
Non può non rilevare, in quest’ottica, il potere dello Stato di legiferare e, soprattutto, di legiferare introducendo nel tessuto delle norme questo o quel contenuto, questa o quella previsione di dettaglio. L’attività legislativa, prerogativa della sovranità nazionale, è istituzionalmente libera nei fini[52]. A riconoscerlo è non solo la giurisprudenza nostrana[53], ma anche, almeno per implicito, quella della Corte di Strasburgo. Lo dimostrano gli indirizzi che fanno dello Stato il sovrano del tempo e del modo di legiferare, avallando finanche la legislazione retroattiva, se suffragata da motivi imperativi di interesse generale[54]. Lo dimostra il rilievo per cui, anche allorché la Corte ha ritenuto esistenti lacune legislative, ha deciso con self restraint, rimettendo al legislatore nazionale il quomodo della regolamentazione normativa[55].
La dialettica della sovranità degli Stati con il sistema C.e.d.u. non è, poi, nel suo atteggiarsi, coincidente con quella che lega lo Stato al sistema unionale, ove il principio di primauté impone la disapplicazione, con sindacato diffusamente attribuito agli organi giurisdizionali, delle norme nazionali confliggenti con quelle europee[56] e la mancata attuazione delle direttive prive di efficacia diretta comporta la responsabilità dello Stato legislatore[57].
Né può la Convenzione – vieppiù in difetto di un obbligo di disapplicazione delle confliggenti norme nazionali[58] (obbligo che la Corte Suprema olandese ha invece desunto, nella pronuncia del 20 dicembre 2019[59], dall’art. 94 della Carta costituzionale olandese) – imporre al giudice interno di fare più di quanto non possa alla luce del disegno costituzionale delle attribuzioni degli organi statali.
L’attività giurisdizionale deve arrestarsi da una parte dinanzi a petita che valichino il perimetro dei poteri decisori, sagomato dal principio di separazione dei poteri, e, dall’altra, a domande sprovviste di condizioni dell’azione, con particolare riguardo ai predicati di attualità e concretezza dell’interesse ad agire[60].
E vi è di più. I fuochi dell’ellisse si inquadrano in un articolato e sofisticato contesto di geometrie multilivello.
Il sistema C.e.d.u. non è una monade isolata, vivendo piuttosto di relazioni osmotiche con l’ordinamento internazionale tutto, con quello eurounitario e con i singoli ordinamenti degli Stati. Applicare gli artt. 2 e 8 della C.e.d.u., imponendo allo Stato di ridurre, di una data misura ed entro un ristretto spatium temporis, le emissioni di gas a effetto serra, pur a fronte, non tanto di un ordinamento nazionale che fissa parametri flessibili nell’ottica di una progressiva e graduale decarbonizzazione[61], quanto di norme unionali che conferiscono margini di discrezionalità a fronte di obiettivi di lungo periodo e a portata transfrontaliera[62], significa dare prevalenza al sistema sovranazionale della Convenzione su quello eurounitario.
Privare lo Stato della flessibilità che le norme europee (e le stesse Carte internazionali) gli attribuiscono (con la generale previsione – in forza del “Quadro per il clima e l’energia 2030” – di un target del 40% entro il 2030, con l’affermazione del principio della responsabilità ‘comune’ o con la valorizzazione dell’impegno nelle strategie di adattamento[63]), per dare peso assorbente ai canoni ‘a rime libere’ della C.e.d.u. rischia di risolversi in una gerarchizzazione di ordini giuridici di pari livello.
Se è vero che la vita merita incondizionata protezione e che l’emergenza – climatica tanto quanto epidemiologica – deve essere contrastata con ogni mezzo, appare discutibile che una Corte nazionale possa veicolare i contenuti della legislazione interna, fissando standards of care ‘individualizzati’ (siccome indirizzati al solo Stato convenuto) e di breve periodo e, così, sovrapponendosi agli obiettivi globali ed europei di lungo periodo[64]; come appare vieppiù discutibile che ciò non avvenga all’esito dei circuiti dialogici di cui all’art. 267 T.F.U.E.[65] e al Protocollo n. 16 alla C.e.d.u.[66], ma nel silenzio di una camera di consiglio.
[1] Segnatamente, climatica, conseguente al fenomeno del riscaldamento globale. Come è noto, determinate attività umane, quali la combustione di combustibili fossili, la deforestazione e l’agricoltura, danno luogo alla produzione dei c.d. gas serra, che trattengono il calore irradiato dalla superficie terrestre e dall’atmosfera e ne impediscono la dispersione nello spazio, così provocando il riscaldamento globale. In argomento, v. M. A. Sandulli, Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche, in Riv. giur. dell’edilizia, n. 4/2019, 291; S. Nespor, L’adattamento al cambiamento climatico: breve storia di un successo e di una sconfitta, in Riv. giur. amb., n. 1/2018, 29; M. Montini, La disciplina settoriale sulla protezione dell’ambiente, in P. Dell’Anno-E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Torino, 2015, 43; V. Cavanna, Il cambiamento climatico globale: il Quinto Rapporto IPCC, in Riv. giur. dell’ambiente, n. 3-4/2014, 425; F. Fracchia-M. Occhiena (a cura di), Climate change: la risposta del diritto, Napoli, 2010. Più in generale, sulle dinamiche del diritto dell’emergenza, v., da ultimi, L. Giani-M. D’Orsogna-A. Police (a cura di), Dal diritto dell’emergenza al diritto del rischio, Napoli, 2018.
[2] Su cui si confrontino i molti contributi pubblicati da “Giustizia insieme” (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19). In particolare, sulla gestione in chiave europea dell’emergenza, v. E. Arbia-C. Biz, L’Unione Europea contro la pandemia di COVID-19, in www.giustiziainsieme.it, 2020.
[3] Hoge Raad der Nederlanden, 20 december 2019, n. 19/00135, visionabile in lingua inglese (trad. non ufficiale) in https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:HR:2019:2007.
[4] Che – come è noto – riescono a trattenere una parte considerevole della componente nell’infrarosso della radiazione solare che colpisce la Terra ed è emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole; proprietà tale da originare il c.d. “effetto serra”.
[5] Sono, del resto, noti gli effetti negativi del cambiamento climatico; in argomento, v., ad es., S. Nespor, L’adattamento al cambiamento climatico: breve storia di un successo e di una sconfitta, cit., 30-31:“Con il mutare del clima, molti sistemi naturali, e la fauna e la flora che li compongono, si stanno trasformando: i ghiacci si sciolgono, il livello degli oceani aumenta mettendo a rischio isole e aree costiere, aree prima fertili o coperte da foreste si inaridiscono, la desertificazione aumenta, gli ecosistemi si modificano in modo spesso irreversibile”.
[6] Così il § 2.2.1 della sentenza: “Urgenda (‘Urgent Agenda’) is engaged in developing plans and measures to prevent climate change. Urgenda’s legal form is that of a foundation under Dutch law (stichting). Its object according to its Articles is to stimulate and accelerate transition processes towards a more sustainable society, starting in the Netherlands. Urgenda’s view is that the State is doing too little to prevent dangerous climate change. In these proceedings, to the extent relevant in cassation, it is requesting an order instructing the State to limit the volume of greenhouse gas emissions in the Netherlands such that this volume would be reduced by 40% at the end of the year 2020, or at least by a minimum of 25%, compared to the volume in the year 1990. It institutes its claim pursuant to Article 3:305a DCC, which enables interest organisations to bring class action suits. It is pursuing its claim, to the extent relevant in cassation, on behalf of the interests of the current residents of the Netherlands (the inhabitants of the Netherlands) who are being threatened with dangerous climate change”.
[7] § 2.2.2 della pronuncia: “The defences asserted by the State include the following. The requirements of neither Article 3:296 DCC (court order) nor Article 6:162 DCC (unlawful act) have been met. There is no basis in either national or international law for a duty that legally requires the State to take measures in order to achieve the reduction target as sought. The target laid down in AR4 is not a legally binding standard. Articles 2 and 8 ECHR do not imply an obligation for State to take mitigating or other measures to counter climate change. Granting the reduction order being sought would also essentially come down to an impermissible order to create legislation and would contravene the political freedom accruing to the government and parliament and, thus, the system of separation of powers”.
[8] Secondo l’art. 93, “Provisions of treaties and of resolutions by international institutions which may be binding on all persons by virtue of their contents shall become binding after they have been published.”; stando, poi, all’art. 94, “Statutory regulations in force within the Kingdom shall not be applicable if such application is in conflict with provisions of treaties that are binding on all persons or of resolutions by international institutions”.
[9] § 5.6.1 della sentenza: “Pursuant to Articles 93 and 94 of the Dutch Constitution, Dutch courts must apply every provision of the ECHR that is binding on all persons. Because the ECHR also subjects the Netherlands to the jurisdiction of the ECtHR (Article 32 ECHR), Dutch courts must interpret those provisions as the ECtHR has, or interpret them premised on the same interpretation standards used by the ECtHR”.
[10] § 5.6.2 della pronuncia: “Pursuant to the findings above in paras. 5.2.1-5.3.4, no other conclusion can be drawn but that the State is required pursuant to Articles 2 and 8 ECHR to take measures to counter the genuine threat of dangerous climate change if this were merely a national problem. Given the findings above in paras. 4.2-4.7, after all, this constitutes a ‘real and immediate risk’ as referred to above in para. 5.2.2 and it entails the risk that the lives and welfare of Dutch residents could be seriously jeopardised. The same applies to, inter alia, the possible sharp rise in the sea level, which could render part of the Netherlands uninhabitable. The fact that this risk will only be able to materialise a few decades from now and that it will not impact specific persons or a specific group of persons but large parts of the population does not mean – contrary to the State’s assertions – that Articles 2 and 8 ECHR offer no protection from this threat (see above in para. 5.3.1 and the conclusion of paras. 5.2.2 and 5.2.3). This is consistent with the precautionary principle (see para. 5.3.2, above). The mere existence of a sufficiently genuine possibility that this risk will materialise means that suitable measures must be taken.”.
[11] Sul concetto di “mitigazione”, v., da ultimo, S. Nespor, L’adattamento al cambiamento climatico: breve storia di un successo e di una sconfitta, cit., 30: “Il cambiamento climatico può essere affrontato con due diverse strategie: la mitigazione e l’adattamento. La mitigazione interviene sulle cause del cambiamento climatico e consiste in interventi idonei a contenere ridurre le emissioni di gas serra prodotte dall’attività dell’uomo fino al raggiungimento di livelli di emissioni sostenibili. L’adattamento consiste in interventi idonei a ridurre gli effetti e le conseguenze negative del cambiamento climatico e a sfruttare le conseguenze positive”.
[12] § 8.2.1 della sentenza: “If the government is obliged to do something, it may be ordered to do so by the courts, as anyone may be, at the request of the entitled party (Article 3:296 DCC). This is a fundamental rule of constitutional democracy, which has been enshrined in our legal order. As far as the rights and freedoms set out in the ECHR are concerned, this rule is consistent with the right to effective legal protection laid down in Article 13 ECHR referred to above in 5.5.1-5.5.3. Partly in connection with this fundamental rule, the Dutch Constitution stipulates that civil courts have jurisdiction over all claims, so that they can always grant legal protection if no legal protection is offered by another court”.
[13]§ 8.2.4 della decisione: “The first consideration does not mean that courts cannot enter the field of political decision-making at all. In the case law referred to above, therefore, the earlier case law of the Supreme Court has been reiterated, which dictates that, on the basis of Article 94 of the Dutch Constitution, the courts must disapply legislation if any binding provisions of treaties entail such. It has also been decided in that case law that the courts may issue a declaratory decision to the effect that the public body in question is acting unlawfully by failing to enact legislation with a particular content. The first consideration on which the case law referred to in 8.2.2 is based must therefore be understood to mean that the courts should not interfere in the political decision-making process regarding the expediency of creating legislation with a specific, concretely defined content by issuing an order to create legislation. In view of the constitutional relationships, it is solely for the legislator concerned to determine for itself whether legislation with a particular content will be enacted. Therefore, the courts cannot order the legislator to create legislation with a particular content.”.
[14] § 8.2.7 della sentenza: “[…] this order does not amount to an order to take specific legislative measures, but leaves the State free to choose the measures to be taken in order to achieve a 25% reduction in greenhouse gas emissions by 2020. This is not altered by the fact that many of the possible measures to be taken will require legislation, as argued by the State. After all, it remains for the State to determine what measures will be taken and what legislation will be enacted to achieve that reduction. The exception to Article 3:296 DCC made in the case law referred to in 8.2.2 above therefore does not apply in this case”.
[15] Posto che l’influenza dell’uomo è stata rinvenuta nel riscaldamento dell’atmosfera e dell’oceano, nel cambiamento del ciclo globale dell’acqua, nella riduzione di ghiaccio e neve, nell’innalzamento del livello del mare e nei cambiamenti in dati eventi metereologici estremi. V., in argomento, B. Pozzo, Il nuovo sistema di emission trading comunitario. Dalla Direttiva 2003/87/CE alle novità previste dalla Direttiva 2009/29/CE, Milano, 2010, 1; M. D’Auria, L’emission trading e la negoziazione policentrica, in S. Cassese-M. Conticelli (a cura di), Diritto e amministrazioni nello spazio giuridico globale, Milano, 2006, 247.
[16] Sul Protocollo di Kyoto v., ad es., W. Th. Douma-L. Massai-M. Montini (a cura di), The Kyoto Protocol and Beyond, The Hague, 2007; M. Bothe-E. Rehbinder, Climate Change Policy, Utrecht, 2005; D. Freestone-C. Streck (a cura di), Legal Aspects of Implementing the Kyoto Protocol Mechanisms: Making Kyoto Work, Oxford, 2005.
[17] Per l’Europa l’8%; successivamente, tale impegno è stato ripartito in modo diverso tra i singoli Stati, in forza del Burden Sharing Agreement del 16 giugno 1998 (segnatamente, l’Italia si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 6.5% rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008-2012).
[18] Sullo scambio di quote di emissione, v. amplius V. Jacometti, Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva comparatistica, Milano, 2010.
[19] In particolare, i privati o i governi dei Paesi dell’Annex I che forniscono tale assistenza possono ottenere, in cambio dei risultati raggiunti nei Paesi in via di sviluppo, “certified emission reductions” (CERs), il cui ammontare viene calcolato ai fini del raggiungimento del target.
[20] AA.VV, Climate change 1995: Economic and Social dimensions of Climate Change, Cambridge, 1996, 183 e 187-188.
[21] Su tali limiti, si rinvia a R. N. Cooper, The Kyoto Protocol: A Flawed Concept, in FEEM Working Paper No. 52.2001, 2001 in https://ssrn.com/abstract=278536.
[22] S. Nespor, L’adattamento al cambiamento climatico: breve storia di un successo e di una sconfitta, cit., 41.
[23] S. Nespor, op. cit., 42-47.
[24] Art. 2.1 a): “Holding the increase in the global average temperature to well below 2°C above pre-industrial levels and pursuing efforts to limit the temperature increase to 1.5°C above pre-industrial levels, recognizing that this would significantly reduce the risks and impacts of climate change”.
[25] Anche in forza della previsione per cui “Each Party should, as appropriate, submit and update periodically an adaptation communication, which may include its priorities, implementation and support needs, plans and actions, without creating any additional burden for developing country Parties” (v. S. Nespor, op. cit., 49).
[26] “Accordo sulla ripartizione degli oneri”, raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998, con cui – come è noto – l’Unione Europea ha ‘ripartito’ l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra dell’8% nel periodo 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990, previsto dal Protocollo di Kyoto, tra gli allora quindici Stati membri dell’Unione, in base al principio di equità e proporzionalità.
[27] Su cui v., in particolare, C. Fraterrigo, Il diritto dell’energia in un sistema multilivello: legislatori e prassi a confronto, Palermo, 2015, 42; V. Jacometti, La direttiva Emissions Trading e la sua attuazione in Italia: alcune osservazioni critiche al termine della prima fase, in Riv. giur. ambiente, n. 2/2008, 273; M. D’Auria, L’emission trading e la negoziazione policentrica, in S. Cassese-M. Conticelli (a cura di), Diritto e amministrazioni nello spazio giuridico globale, cit., 247.
[28] V., da ultima, la Direttiva 2018/410, che ha stabilito il funzionamento dell’Emissions Trading System europeo (EU-ETS) nella fase IV del sistema (2021-2030).
[29] Https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it; in tema, v. M. A. Sandulli, Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche, cit., 291 ss.. La strategia ancora successiva risulta delineata nella “Energy Roadmap 2050”.
[30] L’obiettivo originario del 27% è stato rivisto al rialzo nel 2018.
[31] Originariamente del 27%.
[32] Sui cui ancora M. A. Sandulli, Cambiamenti climatici, tutela del suolo e uso responsabile delle risorse idriche, cit., 291 ss..
[33] Si veda, del resto, già il Libro verde della Commissione sull’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa: quali possibilità di intervento per l’UE, 2007 in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM:l28193, nella cui introduzione si legge: “La modifica del clima è comunque ineluttabile e comporterà impatti significativi legati, tra l’altro, all’aumento delle temperature e delle precipitazioni, alla riduzione delle risorse idriche e all’aumento della frequenza delle tempeste. Le misure di mitigazione devono pertanto essere accompagnate da misure di adattamento destinate a far fronte a questi impatti. L’adattamento deve riguardare sia i cambiamenti in corso sia i cambiamenti futuri che devono essere anticipati”.
[34] Supra, § 1.
[35] In generale, sui rapporti tra C.e.d.u. e ordinamenti europeo e italiano, v., per tutti, D. Tega, La Cedu e l’ordinamento italiano, in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, 2007, 69-70; A. Barbera, “Nuovi diritti”: attenzione ai confini, in L. Califano (a cura di), Corte costituzionale e diritti fondamentali, Torino, 2004. Si rinvia, altresì, più di recente, a D. Trabucco, Tutela multilivello dei diritti e sistema delle fonti nei rapporti tra la CEDU e l’ordinamento italiano. Verso un ritorno ai criteri formali-astratti a garanzia della superiorità della Costituzione?, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018, 1. Sulla c.d. tutela multilivello dei diritti fondamentali, v. F. Sorrentino, La tutela multilivello dei diritti, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 1/2005, 79 e ss.; P. Bilancia, Le nuove frontiere della tutela multilivello dei diritti, in Rivista A.I.C., 16 maggio 2006.
[36] In tema, per tutti, S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 36: “La disposizione dedicata al diritto alla vita è la prima tra le norme della CEDU relative ai diritti sostanziali, in quanto, come la Corte europea ha più volte affermato, consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio d’Europa. Al diritto alla vita spetta una posizione speciale all’interno della Convenzione: il suo mancato rispetto è una delle più gravi infrazioni in materia di diritti dell’uomo, posto che senza protezione del diritto alla vita il godimento di ogni altro diritto e libertà garantito dalla CEDU è illusorio”; C. Russo, Le Droit à la vie dans le décisions de la Commission et la jurisprudence de la Cour Européenne, in Mélanges en l’honneur de Nicolas Valticos, Parigi, 1999, 509. In argomento, v. anche A. Giordano, Dignità dell’uomo e tutela effettiva. Strumenti e garanzie dal diritto sostanziale al processo, in Studi Senesi, n. 2/2010, 185.
[37] In analoghi termini, Corte Edu, 24 febbraio 2005, ric. nn. 57947/00, 57948/00 e 57949/00, Isayeva, Yusupova e Bazayeva, spec. § 168. Sulla centralità della vita nel sistema della C.e.d.u.: R. Conti, I giudici e il biodiritto, Roma, 2014, 254.
[38] Con l’ulteriore, necessitato, corollario per cui le ipotesi di cui all’art. 2, c. 2, debbano essere intese come rigorosamente tassative e, quindi, di stretta interpretazione (in merito, da ultimi, A. Allegria-D. Di Leo-F. Federici (a cura di), Commentario alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, Padova, 2019, 8-9: “In primo luogo, l’elenco delle eccezioni deve ritenersi avente carattere tassativo e ciascuna di esse è di stretta interpretazione. In secondo luogo, il requisito della necessità deve essere inteso in modo ancor più rigoroso e cogente rispetto agli artt. 8-11 CEDU: infatti, non a caso, la norma fa riferimento alla stretta necessità e non alla necessità tout court. Infine, occorre inserire, in via interpretativa, accanto al limite espresso della stretta necessità, quello aggiuntivo della proporzione nell’uso della forza in relazione alle finalità espresse dalla norma, il quale impone la gradazione della forza in relazione alla gravità del crimine commesso nell’ipotesi in cui si debba impedire l’evasione di una persona detenuta o procedere a un arresto”).
[39] S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, cit., 36.
[40] S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, cit., 41-42: “L’art. 2 CEDU, nella sua prima frase, prevede un obbligo di protezione della vita, a partire dal quale gli organi di Strasburgo hanno ricavato una serie di obblighi in capo agli Stati membri di adottare misure positive volte a rendere concreti ed effettivi i valori che l’art. 2 mira a tutelare. Si tratta di prescrizioni che non sono espressamente contemplate nel testo dell’articolo, ma sono ricavate implicitamente dall’art. 2, letto in congiunzione con l’obbligo generale dell’art. 1 CEDU di rispettare i diritti contemplati nella CEDU”.
[41] V., ad es., C. Edu, 8 luglio 2004, ric. n. 48787/99, Ilaşcu, § 313: “gli impegni assunti da una Parte contraente in base all’art. 1 della Convenzione implicano, oltre al dovere di astenersi da qualsiasi ingerenza nel godimento dei diritti e delle libertà garantiti, obblighi positivi di adottare misure adeguate per assicurare il rispetto di tali diritti e libertà sul suo territorio”. Per la dottrina, ad es., S. Bartole-B. Conforti-G. Raimondi, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, 308: “[…] sussiste interferenza non solo quando uno Stato pone in essere comportamenti attivi nei confronti di un individuo, ma anche quando le sue omissioni sono suscettibili di ledere le situazioni giuridiche che si ritengono protette”.
[42] V., in merito, le considerazioni di N. Lipari, in R. Conti, CEDU e cultura giuridica italiana. 5. La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e i civilisti, in www.giustiziainsieme.it, 2020: “Certo è comunque che la Convenzione europea dei diritti umani si è venuta progressivamente affermando come un organismo vivo, capace di offrire sia alla Corte che ai giudici nazionali la possibilità di estendere la tutela anche a diritti non esplicitamente enunciati nella Convenzione”. Sull’ambiente come valore nell’ottica del diritto europeo, v., per tutti, P. Dell’Anno-E. Picozza (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente. Principi generali, Padova, 2012; M. Renna, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. quadr. di diritto dell’ambiente, n. 1-2/2012, spec. 62-69.
[43] V., per tutti, Corte Edu, 9 dicembre 1994, n. 16798/90, López Ostra.
[44] Sui requisiti della “foreseeability of the risk” e del “best efforts requirement”, v. Corte Edu, 20 marzo 2008, ric. nn. 15339/02, 21166/02, 20058/02, 11673/02 e 15343/02, Budayeva e Corte Edu, 28 febbraio 2012, ric. nn. 17423/05, 20534/05 e 20678/05, Kolyadenko.
[45] Quale “diritto all’efficacia della protezione statale” dei diritti materiali (così, R. Sapienza, Il diritto ad un ricorso effettivo nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int., n. 2/2001, 281).
[46] B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, 2006, 20.
[47] Che è un trattato internazionale sui generis (ad es., S. Mirate, Giustizia amministrativa e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: l’“altro” diritto europeo in Italia, Francia e Inghilterra, Napoli, 2007, 169).
[48] Cosa discendente, anzitutto, dall’art. 1 C.e.d.u.. Sulla finalità della C.e.d.u., non di soddisfare interessi specifici degli Stati, ma di tutelare i diritti degli individui lesi: S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, cit., 11. Nel senso di una generale personalità internazionale degli individui, v. ancora B. Conforti, op. cit., 20.
[49] Su cui v. P. Tanzarella, Il margine di apprezzamento, in M. Cartabia, I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, cit., 149.
[50] Y. Arai-Takahashi, The defensibility of the margin of appreciation doctrine in the ECHR: value-pluralism in the European integration, in Revue Européenne de Droit Public, 2001, 1162.
[51] R.ST.J. Macdonald, The margin of appreciation in the jurisprudence of the European Court of Human Rights, in Collected Courses of the Academy of European Law, 1992, 95.
[52] E, quindi, sottratta al sindacato giurisdizionale: Cass. civ., sez. lav., 11 ottobre 1995, n. 10617. Sulla neutralità delle norme, nelle quali è dato veicolare ogni contenuto, v. N. Irti, Nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004, 43.
[53] Sulla insindacabilità dell’atto espressivo della funzione legislativa, v., ad es., Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2016, n. 10319 e Cass. civ., sez. un., 14 maggio 2014, n. 10416; sulla incompatibilità della detta libertà nei fini con l’attributo di “ingiustizia” che deve avere il danno per essere soggetto a risarcimento, v. Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23730.
[54] Ad es., Corte Edu, 7 giugno 2011, ric. nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09, Agrati; Corte Edu, 31 maggio 2011, ric. nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08, Maggio. Per la giurisprudenza interna, v. C. Cost., 12 luglio 2017, n. 166: “Il riferimento va, per tal ultimo profilo, alla sentenza n. 264 del 2012 (cui ha fatto seguito l’ordinanza n. 10 del 2014), con la quale questa Corte - premesso che ad essa spetta di «opera[re] una valutazione sistemica e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata» - ha ritenuto che, nel bilanciamento tra la tutela dell’interesse sotteso alla richiamata norma convenzionale (art. 6, paragrafo 1, CEDU) e la tutela degli altri interessi costituzionalmente protetti, «prevale quella degli interessi antagonisti di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata, in relazione alla quale sussistono, quindi, quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva»”. Per un confronto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in punto di discrezionalità nell’adottare, modificare o sopprimere regimi di sostegno (segnatamente, alla produzione di energia da fonti rinnovabili), v., da ultima, la pronuncia C.G.U.E., 11 luglio 2019, cause riunite C-180/18, C-286/18 e C-287/18, Agrenergy S.r.l. e Fusignano Due S.r.l. (in senso consonante, per la giurisprudenza arbitrale internazionale: SCC Case No. ARB/16/132, Sunreserve Luxco Holdings s.a.r.l., Sunreserve Luxco Holdings II s.a.r.l., Sunreserve Luxco Holdings III s.a.r.l. v. Italian Republic, Final Award, 25 marzo 2020; ICSID Case No. ARB/15/40, Belenergia S.A. v. Italian Republic, Award, 17 luglio 2019; ICSID Case No. ARB/14/3, Blusun S.A., Jean-Pierre Lecorcier and Michael Stein v. Italian Republic, Final Award, 27 December 2016, recentemente confermata in appello da Blusun S.A., Jean-Pierre Lecorcier and Michael Stein v. Italian Republic, Decision on Annulment, 13 April 2020).
[55] Corte Edu, 21 luglio 2015, ric. nn. 18766/11 e 36030/11, Oliari, in tema di protezione giuridica offerta alle coppie dello stesso sesso.
[56] Sul principio di supremazia, scolpito dalla nota sentenza C.G.U.E., 15 luglio 1964, C-6/64, Costa c. Enel, v., ad es., L. Daniele, Diritto dell’Unione Europea, Milano, 2018, 313 e F. Fabbrini, Introduzione al diritto dell’Unione europea, Bologna, 2018, 156; sull’obbligo di garantire la piena efficacia delle norme comunitarie mediante disapplicazione di qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale: C.G.U.E., 9 marzo 1978, C-106/77, Simmenthal.
[57] C.G.U.E., 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich, su cui, ad es., L. Daniele, op. cit., 302. Più in generale, sulla parabola evolutiva della responsabilità dello Stato per violazione del diritto unionale, v. F. Ferraro, voce Responsabilità dello Stato [dir. UE], in Treccani Diritto on line (2014), § 2, che evidenzia come il risarcimento del danno integri, all’esito della sentenza Brasserie du Pêcheur, un rimedio di carattere generale, esperibile a prescindere dall’efficacia diretta o meno della norma violata. Sulla configurabilità anche di una responsabilità da legislazione incompatibile con il diritto europeo, v. Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7124: “Il danno da “adozione di legislazione incompatibile con il diritto comunitario” è in via di principio riconoscibile: ciò però, purché si fornisca la prova della diretta scaturigine del medesimo dalla norma e lo si differenzi da quello asseritamente arrecato dal provvedimento applicativo della medesima; ché altrimenti si postulerebbe una doppia liquidazione di una medesima voce di danno, inammissibile nel sistema (per l’affermazione secondo cui “deve escludersi che dalle norme dell’ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell’ordinamento italiano il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo - che è libero nei fini e sottratto perciò a qualsiasi sindacato giurisdizionale”, si veda Cassazione civile , sez. lav., 11 ottobre 1995, n. 10617).”.
[58] C. Cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e C. Cost., 24 ottobre 2007, n. 349 (diversamente, tuttavia, Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220, su cui, in senso critico, A. Celotto, Il Trattato di Lisbona ha reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano? (in margine alla sentenza 1220/2010 del Consiglio di Stato), in www.giustamm.it, 2010); così, del resto, la stessa Corte di Giustizia, che, nella nota sentenza C.G.U.E., 24 aprile 2012, C-571/10, Kamberaj, ha statuito che “il rinvio operato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta Convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa”, precisando che detto disposto “non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale Convenzione ed una norma di diritto nazionale”. Sui rapporti tra C.e.d.u. e ordinamento interno, v., da ultima, C. Feliziani, Giustizia amministrativa, amministrazione e ordinamenti giuridici. Tra diritto nazionale, diritto dell’Unione europea e Cedu, Napoli, 2018, spec. 159-164.
[59] Supra, § 1.
[60] Sul punto, la stessa giurisprudenza della Corte Edu appare consonante; v. Corte Edu, 22 maggio 2003, ric. n. 41666/98, Kyrtatos, § 52: “[…] the crucial element which must be present in determining whether, in the circumstances of a case, environmental pollution has adversely affected one of the rights safeguarded by paragraph 1 of Article 8 is the existence of a harmful effect on a person’s private or family sphere and not simply the general deterioration of the environment. Neither Article 8 nor any of the other Articles of the Convention are specifically designed to provide general protection of the environment as such”. In generale, sull’articolata quaestio della protezione degli interessi diffusi in sistemi processuali improntati alla tutela delle situazioni individuali, v., ad es., W. Giulietti, Danno ambientale e azione amministrativa, Napoli, 2012, 53.
[61] V., con riferimento al nostro ordinamento, da ultimo, il “Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima” del dicembre 2019, in https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/PNIEC_finale_17012020.pdf.
[62] Del resto, la natura ontologicamente transfrontaliera del fenomeno del riscaldamento globale fa sì che trascolori lo stesso nesso di causalità tra l’azione od omissione del singolo Stato e la violazione invocata.
[63] Che possono essere (e di norma sono) beneficiali agli scopi della mitigazione. V., supra, § 2.
[64] Indispensabili anche in relazione alla corrente emergenza epidemiologica da COVID-19, nel cui contesto il raccordo tra Stati si appalesa quanto mai opportuno, onde evitare che le misure adottate da uno Stato non siano vanificate da antitetiche o comunque distoniche politiche poste in essere dagli Stati confinanti. In generale, sulla necessità di una gestione unitaria dell’emergenza, v., pur con riferimento ai diversi centri di produzione delle norme interni allo Stato (italiano), v. Cons. St., parere 7 aprile 2020, n. 260, il quale si è espresso sulla proposta di annullamento straordinario ex art. 138 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 di una nota ordinanza del Sindaco di Messina, così, significativamente, statuendo: “In presenza di emergenze di carattere nazionale […] pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali” (§ 8.5), su cui, da ultimo, A. Celotto, Emergenza e ordinanze comunali: l’«isola della ragione nel caos delle opinioni» (a prima lettura del parere 7 aprile 2020, n. 260/2020), in www.giustizia_amministrativa.it, 2020.
[65] La cui rilevanza è stata ribadita anche dalla più recente giurisprudenza costituzionale. Se è vero che – con un obiter dictum – la Corte Costituzionale ha statuito che “laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, [deve] essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE” (C. Cost., 14 dicembre 2017, n. 269), la Corte di Giustizia appare ferma nel sancire la doverosità del rinvio ex art. 267 T.F.U.E. (C. Giust., 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet Ltd: “Occorre ricordare che un giudice nazionale investito di una controversia concernente il diritto dell’Unione, il quale ritenga che una norma nazionale sia non soltanto contraria a tale diritto, ma anche inficiata da vizi di costituzionalità, non è privato della facoltà o dispensato dall’obbligo, previsti dall’articolo 267 TFUE, di sottoporre alla Corte questioni relative all’interpretazione o alla validità del diritto dell’Unione per il fatto che la constatazione dell’incostituzionalità di una norma di diritto nazionale è subordinata ad un ricorso obbligatorio dinanzi ad una corte costituzionale. Infatti, l’efficacia del diritto dell’Unione rischierebbe di essere compromessa se l’esistenza di un ricorso obbligatorio dinanzi ad una corte costituzionale potesse impedire al giudice nazionale, investito di una controversia disciplinata dal suddetto diritto, di esercitare la facoltà, attribuitagli dall’articolo 267 TFUE, di sottoporre alla Corte le questioni vertenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, al fine di permettergli di stabilire se una norma nazionale sia compatibile o no con quest’ultimo”) e la stessa Consulta ha, più di recente, ribadito che sono fatti salvi il potere (-dovere) del giudice comune di compiere il rinvio pregiudiziale su ogni questione ritenuta necessaria (C. Cost., 21 febbraio 2019, n. 20: “Resta fermo che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria. In generale, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione”), il dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (C. Cost., 21 marzo 2019, n. 63), il potere (-dovere) della stessa Corte Costituzionale di avviare il dialogo con la Corte di Giustizia, ove la disposizione censurata violi le garanzie riconosciute, al tempo stesso, dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali e ciò sia necessario per chiarire il significato e gli effetti delle norme di quest’ultima (C. Cost., 10 maggio 2019, n. 117). V., per gli ulteriori riferimenti sul tema, A. Giordano, voce Pregiudiziale comunitaria, in www.ilprocessocivile.it, 5.8.2019.
[66] Secondo cui “Le più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente […] possono presentare alla Corte delle richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli”; in tema, R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, in Consulta Online, 2014; O. Pollicino, La Corte costituzionale è una “alta giurisdizione nazionale” ai fini della richiesta di parere alla Corte EDU ex Protocollo 16?, in www.forumcostituzionale.it, 2014; A. Ruggeri, Ragionando sui possibili sviluppi dei rapporti tra le corti europee e i giudici nazionali (con specifico riguardo all’adesione dell’Unione alla CEDU e all’entrata in vigore del Prot. 16), in Rivista AIC, 1, 2014.