di Tiziana Orrù
Sommario: Premesse. 1.Linee guida per l’adozione di protocolli di sicurezza nelle aziende. 2.La sospensione del rapporto di lavoro e le misure a sostegno del reddito. 3.Il divieto di licenziamento. 4.La sospensione dei termini giudiziali e stragiudiziali. 5.Lo Smart Working. 6.Considerazioni finali
Premesse.
La pandemia del coronavirus sta comportando una modifica senza precedenti nelle relazioni di lavoro in Italia e nel mondo.
I rischi della diffusione del virus e la necessità di affrontare la grave emergenza sanitaria hanno portato alla pubblicazione di numerosi provvedimenti normativi di urgenza che autorizzano, tra l'altro, misure di isolamento, quarantena, riduzione dell’attività giudiziaria; chiusura di scuole, musei, teatri, cinema, ristoranti e di tutti gli spazi in cui la riunione di persone potrebbe rappresentare un pericolo di diffusione del virus, come ad esempio i parchi pubblici; serrata degli esercizi commerciali e delle attività produttive in settori non essenziali per la sopravvivenza fisica e per la sanità.
Senza pretesa di esaustività vi offro una breve rassegna dei provvedimenti normativi più incisivi, lasciando spazio e tempo per ulteriori e necessari approfondimenti.
Quale è la situazione dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti di fronte agli effetti della pandemia?
1.Linee guida per l’adozione di protocolli di sicurezza nelle aziende.
Innanzitutto merita menzione il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro non sanitari sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali (CGIL CISL e UIL) il 14 marzo 2020 in attuazione dell’art. 1, co. 1 n. 9 del DPCM 11 Marzo 2020.
Il documento, composto da dodici punti, contiene linee guida per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti contagio e di regolamentazione delle attività negli ambienti di lavoro per favorire il contrasto ed il contenimento della diffusione del virus. A titolo esemplificativo sono trattati i doveri di informazione del personale, le modalità di ingresso in azienda, l’obbligo di pulizia e sanificazione dell’azienda, l’adozione dei dispositivi di protezione individuale, la predisposizione di un sistema che eviti sistematicamente che i lavoratori possano avvicinarsi a meno di un metro uno dall’altro o dalla clientela.
Il protocollo fa inoltre riferimento alla doverosa adozione di alcuni accorgimenti in materia di trattamento dei dati personali e tratta, infine, il tema della sorveglianza sanitaria.
Stante la espressa raccomandazione che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano "adeguati livelli di protezione", deve ritenersi che in mancanza degli adeguamenti organizzativi previsti dal Protocollo, anche se non iscritti nell’aggiornamento al Documento di Valutazione dei Rischi, l’attività lavorativa debba essere sospesa.
Il Protocollo siglato il 14 marzo, pur non essendo stato concepito né in una logica vincolante né quale documento universalmente valido può tuttavia costituire un importante punto di riferimento per determinare i livelli minimi di sicurezza sui luoghi di lavoro in analogia con quanto espressamente previsto dall’art. 1, comma 7 lett. d) ed e) e commi 8 e 9 del DPCM 11 Marzo 2020.
A questo proposito deve essere richiamato l’art. 44 d.lgs. 81/08 che prevede espressamente: il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa.
Di conseguenza un eventuale provvedimento sanzionatorio adottato nei confronti di un lavoratore che rifiuti di prestare la propria attività in luoghi di lavoro ove non siano stati adottati adeguati livelli di protezione sarebbe da considerare sicuramente illegittimo.
La violazione delle disposizioni di protezione giustifica pertanto a mio parere l’astensione dal lavoro con diritto alla retribuzione ai sensi dell’art. 1460 c.c., potendosi ritenere che il rifiuto di prestare l’attività lavorativa costituisca una reazione proporzionata all’inadempimento del datore di lavoro agli obblighi di sicurezza, in violazione oltre che dell’art. 2087 c.c., anche di principi di rilievo costituzionale quale è sicuramente il diritto alla salute.
Può inoltre senz’altro ritenersi che il Protocollo possa costituire altresì un valido punto di riferimento per rimodulare l’attività aziendale nel caso di sua continuità secondo i criteri indicati al punto 8, che prevedono la chiusura dei reparti non produttivi, la rimodulazione dei livelli produttivi, la turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione per ridurre al minimo i contatti e l’utilizzo dello smart working per tutte quelle attività che possono essere svolte a distanza.
2.La sospensione del rapporto di lavoro e le misure a sostegno del reddito.
Successivamente il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, dopo aver previsto la chiusura di numerose attività produttive ritenute non essenziali, ha offerto alcune soluzioni alla vasta gamma di specificità derivanti dalla sospensione del funzionamento delle imprese.
Innanzitutto e come criterio generale è stato previsto l’intervento della Cassa Integrazione Guadagni (anche in deroga) con procedura semplificata o di altre forme di integrazione salariale, della durata di nove settimane, per le sospensioni o riduzioni dell’orario di lavoro per tutti i lavoratori ai quali non è consentito rendere la propria prestazione lavorativa perché l’attività produttiva del datore di lavoro risulta compresa nei settori individuati per disposizioni normative e/o comunque per ordine delle Autorità delegate; con la precisazione importante che la domanda di accesso motivata dalla causale “speciale” COVID-19 esclude la verifica della sussistenza dei requisiti legati alle causali ordinarie contemplate dall’art. 11 del d.lgs. 148/2015 ed il versamento della contribuzione addizionale (cfr. messaggio n. 1287 del 20.3.2020 dell’Inps).
In virtù di quanto previsto al citato punto 8 del Protocollo del 14.3.2020 deve ritenersi che per le imprese ammesse a fruire degli ammortizzatori sociali questi debbano essere utilizzati “in via prioritaria”, e solo nel caso in cui questi non risultino sufficienti si potranno utilizzare i periodi di permesso e ferie arretrati non ancora fruiti, così come i periodi di congedo straordinario.
Diversamente, per le attività escluse da possibili interventi di sostegno al reddito dei lavoratori e per i periodi di obbligata sospensione dal lavoro le parti del rapporto di lavoro potranno utilizzare alcuni strumenti quali ferie arretrate o permessi accantonati negli anni precedenti, congedi ed indennità previsti per i genitori di figli di età non superiore ai 12 anni, permessi ex legge 104/1992, esauriti i quali il lavoratore potrà essere sospeso in aspettativa non retribuita per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Il d.l. 18/2020 ha istituito inoltre uno specifico congedo conseguente alla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche.
L’art. 23 ha previsto per i genitori (anche affidatari) di bambini fino ai 12 anni il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 15 giorni, cui corrisponde una indennità pari al 50% della retribuzione. Il congedo straordinario spetta alternativamente a entrambi i genitori, entro il limite complessivo di 15 giorni. Il diritto all’indennità si applica senza limite di età in caso di congedo specifico richiesto da lavoratrici o lavoratori con figli minori con disabilità accertata. In alternativa, i dipendenti beneficiari potranno optare per la corresponsione di un bonus per l’acquisto di servizi di baby sitting nel limite massimo complessivo di 600 euro, ovvero potranno usufruire di un congedo non retribuito con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro per tutto il periodo di chiusura delle scuole, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.
Tra le misure a sostegno del reddito merita menzione anche l’art. 24 che ha previsto l’estensione del numero di giorni di permesso mensile retribuito di cui all’art. 33, co. 3, L. 104/1992 per ulteriori complessive 12 giornate, usufruibili nei mesi di marzo ed aprile 2020.
Infine devono essere prese in considerazione le ipotesi nelle quali la sospensione dal lavoro derivi da provvedimenti autoritativi di quarantena per i quali sia previsto il divieto di allontanamento dalla propria abitazione. Si tratta a ben vedere di ipotesi di impossibilità sopravvenuta a rendere la prestazione che l’art. 26 del d.l. 18/2020 ha espressamente equiparato alla malattia, con esclusione di ogni rilievo ai fini del computo del periodo comporto. Non trattandosi di periodo di malattia resta ferma la possibilità per il datore di lavoro di organizzare la prestazione del dipendente con modalità da remoto che consentano perciò la prosecuzione dell’attività.
Diversamente nel caso in cui la sospensione della prestazione derivi dalla circostanza dell’aver contratto il virus, è importante segnalare che con la nota del 17 marzo 2020 l’Inail ha disposto la trattazione dei casi di Covid 19 come infortunio sul lavoro per tutto il personale medico e paramedico sia del SSN sia dipendente di strutture sanitarie pubbliche o private. La causa violenta, elemento costitutivo dell’infortunio sul lavoro ex art. 2 D.P.R. 1124/65, è stata ravvisata nella causa virulenta di natura biologica, ciò che consente di ritenere che possano essere ammessi alla tutela dell’Inail tutti quei casi di contrazione di contrazione del virus da parte di lavoratori non addetti al settore sanitario, qualora sia dimostrata l’eziologia professionale della stessa.
3.Il divieto di licenziamento.
Tra le misure a sostegno del lavoro durante l’emergenza sanitaria il governo ha introdotto diverse limitazioni alla possibilità del datore di lavoro di procedere al recesso dal rapporto, in particolare agli articoli 23, comma 6, 46 e 47, comma 2.
L’art. 23 co. 6, come già detto, vieta il licenziamento dei lavoratori che fruiscono dello speciale congedo per il periodo di chiusura delle scuole. La finalità dichiarata di conservazione del posto parrebbe escludere la possibilità di recesso dal rapporto di lavoro per qualsiasi causa.
In altri termini l’art. 47 co. 2 prevede che fino alla data del 30 aprile 2020, l’assenza dal posto di lavoro da parte di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non può costituire giusta causa di recesso dal contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile, a condizione che sia preventivamente comunicata e motivata l’impossibilità di accudire la persona con disabilità a seguito della sospensione delle attività dei Centri di cui al comma 1.
In quest’ultimo caso, fermo restando quanto previsto dagli articoli 23, 24 e 39 del medesimo decreto il divieto è espressamente riferito alle sole ipotesi di licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c.
Diversamente, l’art. 46 -non ostate la rubrica riferita alla Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti- contiene norme destinate a limitare la facoltà di licenziamento disponendo che: 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604.
La norma si applica a tutti i datori di lavoro imprenditori e non imprenditori a prescindere dal numero di dipendenti dell’azienda.
Dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020 sono pertanto bloccate le procedure di avvio della riduzione collettiva del personale, nonché i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020 ai sensi degli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223.
Deve perciò ritenersi che fino alla scadenza del suddetto termine i datori di lavoro che abbiano iniziato una procedura di licenziamento collettivo, anche se giustificata da motivi diversi dall’emergenza epidemiologica da Covid 19, non possano procedere oltre gli atti già compiuti. Di conseguenza se la lettera di licenziamento non è stata ancora consegnata, quel licenziamento - a prescindere dalla fase procedurale in cui si trovava all’entrata in vigore del decreto - è congelato.
Diversamente per i licenziamenti individuali non è prevista la sospensione della procedura ex art. 7 l. 604/66 (tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi la Commissione Provinciale di Conciliazione presso l'Ispettorato del Lavoro).
La norma, infatti, per i licenziamenti individuali dispone esclusivamente il divieto di recesso dal contratto sino al 16 maggio 2020, con la conseguenza che le procedure di licenziamento già avviate sono poste nel nulla e dovranno essere eventualmente riattivate dopo tale data (salvo proroghe).
Un licenziamento irrogato dopo il 23 febbraio e durante tutto il periodo di blocco si dovrebbe senz’altro configurare come affetto da nullità assoluta, in analogia con altre situazioni contemplate dall'ordinamento, come ad esempio il divieto di licenziamento della lavoratrice madre con diritto alla reintegra piena ex art.. 18, comma 1 L. 330/70 nonché art. 2 co. 1 del d.lgs. n. 23/2015 ove è disposta negli “altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”.
Restano esclusi dalla sospensione: il licenziamento disciplinare (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), il licenziamento per superamento del periodo di comporto, i licenziamenti dei dirigenti, i licenziamenti dei lavoratori domestici, la risoluzione del rapporto di apprendistato, i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età, per la fruizione della pensione di vecchiaia.
4.La sospensione dei termini giudiziali e stragiudiziali.
La formulazione dell’art. 83 co. 2 e 8 ha interamente recepito l’interpretazione autentica del previgente art. 1 co. 2 del d.l. n. 11/2020 indicata dallo stesso Governo nella relazione tecnica che ne ha accompagnato il Disegno di Legge n. 1757 di conversione: pertanto la sospensione dei termini è ora prevista in via generale per tutti i procedimenti e processi civili e penali pendenti -anche quando non sia fissata udienza nel periodo interessato.
L’ampia formula utilizzata dal legislatore e la ratio sottesa alla sospensione consentono senz’altro di ritenere che nel concetto di procedimento pendente debbano essere ricondotti anche i procedimenti per i quali è pendente il termine per proporre opposizione (es. decreti ingiuntivi), ovvero più in generale per proporre impugnazione.
Comma 2: Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo.
L’art. 83 è intervenuto altresì a colmare un’importante lacuna del precedente provvedimento disciplinando i cc.dd. termini a ritroso, prevedendo che quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.
Il successivo comma 8 dell’art. 83 contiene una rilevante previsione relativa alla sospensione dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti limitatamente ai periodi di efficacia dei provvedimenti di limitazione dell’attività giudiziaria adottati dai capi degli Uffici ai sensi dei commi 5 e 6 del medesimo art. 83.
La materia lavoristica è densa di disposizioni -quali l’art. 6 della legge n. 604/1966, l’art. 32 della legge n. 183/2010, gli artt. 28 e 39 del d.lgs. 81/2015- che impongono rigidi termini di decadenza.
Ebbene, il citato comma prevede la sospensione dei termini di decadenza e di prescrizione dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti adottati dai capi degli uffici ai sensi dei commi 5 e 6.
Ne consegue che non possono essere ricompresi nella sospensione disciplinata dal comma 8 tutti gli atti che devono essere compiuti dalle parti personalmente o attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale, quali ad esempio l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento.
Restano ovviamente salve le diverse disposizioni originariamente previste per le cc.dd. zone rosse dall’art. 10, co. 4, del d.l. n. 9/2020 per il quale il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.
Il successivo art. 1 del d.l. n. 11/2020, che ha esteso le limitazioni della zona rossa a tutto il territorio nazionale, ha previsto espressamente che resta ferma l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 10 del decreto legge 2 marzo 2020, n. 9.
Viceversa l’art. 83 del d.l. n. 18/2020 non solo non ha riprodotto la norma ma ha abrogato l’art. 1 anzidetto.
Questo consente senz’altro di ritenere che la previsione della sospensione dei termini stragiudiziali resti limitata alla originaria zona rossa e solo sino al 31 marzo 2020.
5.Lo Smart Working.
In data 1 marzo 2020 è stato approvato il primo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il cui art. 4 ha stabilito che … la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti. Gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro.
La previsione è stata confermata dal DPCM del 4 marzo 2020.
Il successivo DPCM dell’8 marzo 2020 ha ulteriormente previsto che gli obblighi di informativa in materia di sicurezza sul lavoro (articolo 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81) sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.
In data 11 marzo 2020 è stato emanato un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il cui articolo 1, fra l’altro, raccomanda di massimizzare l’utilizzo dello Smart Working per quelle attività che possono essere svolte dal proprio domicilio o in modalità a distanza, anche se non interessate dalla sospensione, stabilendone la priorità rispetto ad altre misure contrattuali quali la concessione di ferie e permessi.
Si tratta di una disposizione di fondamentale importanza che, unitamente alla possibilità di deroga alla necessità di accordo tra le parti, fonda un vero e proprio diritto potestativo in capo al datore di lavoro ed un conseguente obbligo del lavoratore.
La previsione, che ben si concilia in termini costituzionali con l’art. 41 co. 2 della Costituzione, disciplina tuttavia una fattispecie di lavoro agile difforme dalle disposizioni contenute negli artt. 18-23 l. n. 81/2017.
Per evitare di ingenerare confusione sarebbe perciò preferibile l’utilizzo di una terminologia diversa da quella della legge n. 81.
In assenza di accordo tra le parti ad esempio su orario di lavoro, strumenti aziendali, tutela delle informazioni, diritto alla disconnessione, etc., sembra più opportuno parlare di homeworking o lavoro a distanza la cui regolamentazione, rimessa totalmente al datore di lavoro, dovrà necessariamente essere la medesima del contratto di lavoro per quanto compatibile con la diversa modalità di prestazione dell’attività.
Resta ovviamente salva la possibilità di una diversa regolamentazione tra le parti che definisca gli ambiti di fruibilità dell’istituto e gli aspetti di dettaglio nel periodo di emergenza indicato dalla norma.
Deve, infine essere fatta menzione:
- dell’art. 39 del d.l. n.18/2020 che testualmente prevede: 1.Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
- dell’art. 87 del medesimo decreto legge che sancisce il principio che il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto limita la presenza negli uffici dei dipendenti addetti ai soli lavori indifferibili, con la precisazione che nella gestione della suddetta modalità lavorativa si prescinda dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
L’art. 87 ha anche previsto che la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione. In tali casi l’articolo 18, comma 2, della legge 23 maggio 2017, n. 81 non trova applicazione.
Infine deve ulteriormente essere osservato - a conferma della diversità dell’istituto dello Smart Working “dell’emergenza” rispetto al lavoro agile disciplinato dalla l. n. 81/2017- che il recente d.l. n. 19/2020 all’art. 1, comma 2, lett. ff) ha previsto la predisposizione di modalità di lavoro agile, anche in deroga alla disciplina vigente, da dottarsi con la procedura del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri indicata dal successivo art. 2.
6.Considerazioni finali
L’analisi della disciplina emergenziale fin qui esaminata mette senz’altro in evidenza che di fronte all'epidemia di Coronavirus Covid-19 il governo è in totale solidarietà con le imprese ed i loro dipendenti.
L’auspicio è che nelle relazioni di lavoro così come in quelle sociali la mobilitazione futura continui ad essere improntata all’imperativo del buon senso, cercando di contemperare la necessità di salvaguardare la salute oltre che i posti lavoro.
Allo stato tutto è molto incerto, ma l’auspicio è che da questa emergenza possiamo uscire più rafforzati come società, con il miglioramento dei rapporti di lavoro e il consolidamento dei valori costituzionali che ci sono tanto cari, tra i quali primo fra tutti il dovere di solidarietà, che mai come in questo periodo deve essere urgentemente salvaguardato a livello universale.