Protezione della salute pubblica, restrizioni della libertà personale e caos normativo
di Antonio d’Andrea
Sommario: 1. Il tempo del Coronavirus - 2. La necessaria normativa statale per restringere legittimamente la libertà personale 3. Le buone ragioni delle Regioni e il rispetto della riserva di legge statale: due esigenze costituzionali
1. Il tempo del Coronavirus
Per cercare di orientarsi nella mole di disposizioni statali e regionali introdotte nell’ordinamento a partire dal d.l. 24 febbraio 2020 n. 6 così da cercare di contenere gli effetti della grave pandemia che nel nostro Paese si sono disvelati con dati impressionanti nella loro drammatica progressività nell’ultimo mese, bisogna, in primo luogo, riconoscere l’insidiosità rappresentata dalla modalità di propagazione del contagio (il tema è quello dei “portatori sani” e inconsapevoli della loro positività) e ricordare l’assenza, al momento, di cure specifiche che lo possano prevenire e in ogni caso consentire il superamento delle forme più acute della patologia che cagiona. Queste semplici considerazioni di contesto sono utili per richiamare come dal mondo medico-scientifico più accreditato – e al di là di quanto sperimentato, si dice con efficacia, in Cina da dove l’epidemia diffusiva è partita ed è stata poi esportata – si sia insistito sulla necessità da parte delle autorità pubbliche di “governare” questa emergenza, almeno nell’immediato, con drastiche misure di riduzione dei contatti sociali tra le persone (molte delle quali veicoli involontari della diffusione dell’infezione) a partire dalla loro libera circolazione nel territorio nazionale. Lo scopo di tali misure sarebbe quello di ridurre il più possibile il numero dei contagi così da consentire al personale delle strutture sanitarie di dedicarsi con maggiori probabilità di successo all’assistenza di ammalati che nei casi più gravi (si tratta, com’è noto, spesso anche se non solo, di soggetti affetti da precedenti patologie e comunque indeboliti, ad esempio, dall’età avanzata) presuppone lunghe degenze in reparti dotati di sofisticate tecnologie (ad esempio i respiratori artificiali) e che poterebbero, dilagando il virus, non essere sufficienti, come in parte verificatosi, per fronteggiare la montante emergenza sanitaria.
Un altro dato preliminare da richiamare è l’immediata emersione nel territorio nazionale di “zone rosse” nelle quali si è da subito manifestato una peculiare e intensa diffusione del contagio registrandosi un’alta percentuale di ricoveri e decessi così concentrati prevalentemente in Lombardia e in alcune zone del Nord del Paese: dapprima, in alcuni Comuni del Lodigiano e del basso Veneto sino poi a spingersi con rapidità impressionante in una fascia più estesa che oramai coinvolge buona parte delle Provincie di Cremona, Bergamo, Brescia e della stessa Emilia. Ciò al contrario di quanto inizialmente è accaduto in altre Regioni, che sembrano perciò “preservate” dal dilagare del contagio e che, pur essendosi modificate le condizioni inziali, ancora adesso non affrontano emergenze sanitarie di quella portata pur avvertendone gli echi, drammatici ma territorialmente distanziati. Questo solo per ricordare come, in tale caso, la differente posizione delle tre Regioni ordinarie Lombardia, Veneto, Emila Romagna (che da tempo spingono per ottenere, ai sensi dell’art. 116 co 3, Cost., una più avanzata autonomia rispetto alle altre), deve in effetti essere valutata come peculiare per tragici motivi oggettivi che hanno indotto i rispettivi Presidenti, insieme alle altre autorità di governo locale (si pensi ai Sindaci coinvolti), a mettere in atto forme di intensa interlocuzione istituzionale, per certi versi inevitabilmente conflittuale, tanto con il livello di governo centrale quanto con gli altri Presidenti di Regioni nelle quali l’epidemia era ed è meno dilagante, la cui preoccupazione adesso sembra essere piuttosto quella di evitare gli ingressi di cittadini che si trovano nelle zone di maggior diffusione del contagio, propensi – si potrebbe dire istintivamente – in molti casi a ritornare nei luoghi di provenienza o di origine considerati, non si sa quanto a ragione, più sicuri (certo non per i familiari che li hanno accolti, per come purtroppo si è già dimostrato).
2. La necessaria normativa statale per restringere legittimamente la libertà personale
A parte l’attuale, richiamata diseguale distribuzione del contagio sul territorio nazionale, sono inevitabilmente “uniche” le coordinate costituzionali che dovrebbero consentire di affrontare con equilibrio, ma soprattutto legittimamente il tema delle misure restrittive della libertà personale dei consociati per fronteggiare al meglio la grave emergenza sanitaria. L’evoluzione dell’epidemia su scala planetaria non può ovviamente che essere affrontata nell'ordinamento italiano come una cruciale questione di rilievo nazionale.
Si parte dunque dalla necessità di osservare da parte delle autorità politiche statali il rigoroso rispetto della c.d. riserva di legge che necessariamente accompagna qualsiasi limitazione dei diritti di libertà individuale, a partire da quello che viene immediatamente in considerazione del caso di specie e che incide sulla libertà di muoversi liberamente su tutto il territorio nazionale e perfino di uscire e rientrare dal Paese, quale che sia la motivazione che induce il soggetto a lasciare il luogo di residenza o di domicilio per raggiungerne altro, da solo o in compagnia, da un comune all’altro, da una Provincia o da una Regione, percorrendo da Nord a Sud e viceversa, con qualsiasi mezzo privato o pubblico che sia, il territorio statale. Da questo punto di vista è solo la legge parlamentare a stabilire “in via generale per motivo di sanità e sicurezza” (art. 16, co 1, Cost.) le limitazioni di circolazione e soggiorno che interessano le persone, anche eventualmente avendo riguardo di preservare questo o quel territorio e così circoscrivendo, ove ritenuto utile, il diffondersi dell’epidemia. Egualmente è la legge statale ad obbligare – proprio perché la salute costituisce non solo un diritto individuale ma un interesse della collettività – le persone a sottoporsi, ai sensi dell’art. 32, co 2, Cost., ad un “determinato trattamento sanitario (alludo eventualmente alla "prova" imposta del c.d. tampone per accertare la positività al virus e perciò la contagiosità dei soggetti da obbligare a restrizioni più stringenti di movimento) così come ricade pur sempre nella piena responsabilità del legislatore statale e non già regionale, ai sensi dell’art. 117, co 2, lett.h, Cost., disporre in materia di “ordine pubblico e sicurezza” (si pensi alla "chiusura" di determinate attività produttive, alla riduzione dei trasporti e di tutto quanto venga ritenuto utile al miglioramento della salute collettiva).
Quando vengono in questione, per ragioni certo contemplate dalla stessa normativa costituzionale, limiti che toccano la libera (e di per sé lecita) determinazione comportamentale di ciascun individuo – che coinvolge non solo la libertà di muoversi, ma anche di svolgere attività di impresa, di commercio e altro ancora – come pure ogni qualvolta si attenuano le garanzie individuali non è, in linea di principio, legittimo prevedere una statuizione regionale fatalmente produttiva di effetti limitati in questo o quel territorio (del tipo, per semplificare “non si entra e non si esce” dalla Regione) neppure ove si deleghi la facoltà di disporre in tal senso in forza di una (illegittima) norma legislativa statale. Non a caso è previsto che la Regione non possa “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni” (art. 120, co 1, Cost.)
3. Le buone ragioni delle Regioni e il rispetto della riserva di legge statale: due esigenze costituzionali
Nel contempo è bene che nessuno, a partire dalle istituzioni statali, sottovaluti la concorrente competenza legislativa regionale garantita costituzionalmente (art. 117, co 3, Cost.) concernente la "tutela della salute", la "protezione civile", il "governo del territorio" così come la loro esclusiva competenza regolamentare, dunque di carattere secondario, in queste stesse materie.
Le Regioni, in generale, sono evidentemente gravate di diretta responsabilità anche nel governo dell'emergenza sanitaria in atto sebbene prevalentemente con implicazioni nella sfera della gestione amministrativa del fenomeno più che non nella scelta di indirizzi politici strategici o di fondo (affrontare e cercare di risolvere l'emergenza sanitaria è, come detto, primariamente una questione nazionale). Tuttavia, e anzi proprio per questo, lo Stato non solo non è affatto esentato dal supportare logisticamente e finanziariamente il gravoso compito gestionale che ricade, al momento, sulle principali Regioni del Nord del Paese ma dovrebbe, prima di tutto secondo buon senso, provare a condividere almeno con queste stesse le strategie di contrasto dell'epidemia in nome di quella leale collaborazione che spesso viene evocata a sproposito ma che, al contrario, nelle relazioni Stato-Regioni ha sempre trovato la sua vera ragion d'essere e oramai persino la sua stessa "cristallizzazione" costituzionale (art. 120, co 2, Cost). Il coinvolgimento nelle scelte politiche nazionali degli Enti locali toccati da vicino dall'epidemia e dunque in prima linea nell'affrontare l'emergenza sanitaria è anche l'unica strada che potrebbe scongiurare ulteriori "fughe" in avanti di tali Regioni che certamente ci sono già state, incalzate peraltro da una pressante domanda al loro interno di "fare qualcosa" per invertire la maledetta curva dei contagi e dei morti. Inoltre solo dal "centro" sembra potersi irradiare un senso effettivo e non solo caricaturale (tra balli e canzoni) di appartenenza nazionale che consolidi vincoli comunitari che altre realtà regionali, sorprendentemente ma comunque illegittimamente, dimostrano di aver dimenticato innalzando, a loro volta, "muri interni" che oltretutto non potrebbero, da soli, evitare il propagarsi dell'epidemia partita dalla Cina e purtroppo annidata ovunque nel mondo.
Resta tuttavia prioritario chiedersi anche sul piano logico se la costituzionalmente indispensabile normativa statale di rango primario (non certo i convulsi numerosi decreti del Presidente del Consiglio - DPCM - così come pure le ordinanze ministeriali del responsabile del dicastero della Salute piuttosto che di quello dell'Interno in qualche caso persino contestuali o sfalsati di qualche ora l'uno dall'altra) contenuta essenzialmente nel d.l.n. 6/2020, subitaneamente convertito nella legge n. 13/2020, abbia davvero soddisfatto il richiamato e noto requisito della riserva di legge, sia pure relativa, disciplinando compiutamente le restrizioni che ormai si spingono, in definitiva, ad impedire alle persone, tranne le sempre più circostanziate eccezioni, di "uscire di casa"; in secondo luogo ci può interrogare, naturalmente retoricamente, se la normativa statuale richiamata sia in effetti considerata dalle Regioni, specie quelle in prima linea nel fronteggiare l'epidemia, come un'apprezzata e accettata "base legale " da rispettare e da implementare. Per le considerazioni peraltro da subito richiamate è facile rispondere che l'attivazione normativa regionale contenuta in improbabili - sul piano della sistematica delle fonti - ordinanze dei rispettivi Presidenti (da "tutti a casa", "tutto chiuso", "nessun arrivo") finisce per essere, almeno spero, niente altro che lo stimolo provocatorio nei confronti del Governo affinché affronti con il maggiore rigore possibile il tema del "distanziamento sociale". Quel che è certo è che proprio recentemente, tra sabato 21 e domenica 22 marzo, a distanza di poche ore da quanto deliberato dal Presidente della Regione Lombardia, è in effetti arrivato un nuovo, ennesimo DPCM che ha finito per irrigidire le precedenti misure restrittive generali, valide sull'intero territorio nazionale, circa "lo stare fuori casa" (ad esempio per svolgere attività fisica) nella direzione reclamata dai governi regionali e in particolare da quello lombardo che, invertendo la ratio del c.d.potere sostitutivo, aveva ritenuto di poter disporre in autonomia la "blindatura" del territorio regionale (egualmente aveva così proceduto in quel frangente la stessa Regione Calabria).
Ad onor del vero a me pare comunque poco in linea con l'ortodossia costituzionale non tanto l'uso dello strumento della decretazione d'urgenza per fronteggiare l'emergenza sanitaria in atto - la dottrina ha sostenuto autorevolmente la fungibilità a certe condizioni del decreto legge rispetto alla legge ordinaria - quanto l'auto-delega prevista nel citato decreto convertito in legge in favore del solo Presidente del Consiglio (senza perciò l'emanazione del Capo dello Stato prevista per i regolamenti governativi adottati dall'organo governativo collegiale) affinché, attraverso norme di rango sub-secondario, si possa dare sostanza normativa alle impalpabili disposizioni primarie che quella sostanza non hanno per nulla. Non solo questo in verità; nel testo del decreto legge n. 6 si introduce una sorta di "delega" a generiche "autorità istituzionali" (inclusi i Presidenti delle Regioni?), cosicché, pur non essendo questo il tempo dei sofismi e dei distinguo, si ricava la disarmante impressione che "il governo" della grave emergenza sanitaria che sicuramente suggerisce drastici e opportuni mutamenti comportamentali di ciascuno di noi e un inevitabile affievolimento della nostra libertà personale, finisce per essere lasciato, certo non proprio in sintonia con il dettato costituzionale vigente, nella indeterminatezza di regole cangianti rapidamente e rimesse in esclusiva al solo Presidente del Consiglio (ma il Parlamento è, in tali delicati frangenti, in grado di funzionare?) e a chi lo affianca "tecnicamente" ma, verrebbe da pensare, consegnate principalmente al buon senso di ciascuno e di quanti sono chiamati a fare rispettare i confusi divieti e a comminare sanzioni. Speriamo che almeno basti e che ci si possano presto consentire toni meno concilianti per stigmatizzare le evidenti deroghe "emergenziali" all'applicazione dei precetti costituzionali vigenti.