Normazione emergenziale e ‹‹buon senso›› interpretativo
di Antonio Scarpa
Che valore ha il “criterio del buonsenso” nella interpretazione della legislazione sulla emergenza epidemiologica da COVID-19?
E’ capitato assai spesso che, nei commenti fatti (a ‹‹prima›› o a ‹‹seconda lettura››) sull’abbondante normazione emergenziale da Covid-19, si leggesse un richiamo ad un meditato criterio interpretativo di “buon senso” (o “buonsenso”, come ormai si scrive in modo più diffuso e corretto): la forza di tale regola operazionale di “buonsenso” tende ad essere, per tali commentatori emergenziali, talmente dirompente da privare di decisività gli indici letterali delle norme e da indurre a conclusioni diverse da quelle derivanti dalla piana lettura dei testi.
Il rispetto delle restrizioni personali imposte dalla situazione sanitaria costituirebbe, infatti, lo scopo travalicante rispetto ad ogni altro criterio di interpretazione delle leggi.
In una parola, si suppone implicitamente che, in questi due mesi ed oltre di frenetica nomopoiesi, sia stato riscritto pure l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, il quale ora, sulla base di questi nuovi principi etici, funzionerebbe più o meno così: nell’applicare la legge si deve tener conto prioritariamente non del senso fatto palese dal significato proprio delle parole, ma del “buonsenso” derivante essenzialmente dall’osservanza delle sovraordinate indicazioni igienicosanitarie fornite dal Ministero della salute, anche d’intesa con le Regioni, dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero della giustizia e delle prescrizioni adottate in materia con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
L’idea dell’interpretazione della legge “secondo buonsenso”, com’è noto, non è volutamente eversiva. Essa nacque dall’intimo e puro convincimento che l’uomo sia per sua natura buono e giusto, e sappia perciò discernere ciò che è lecito e ciò che non lo è. Il bon sens, good sense, gesunder Mensschenversand, era la “norma ideale” kantiana, la “chose du monde la mieux partagées” per Cartesio dei Discours de la Méthode, giacché espressione del “bien juger” e del “distinguer le vrai d’avec le faux” (Weinrich).
Il buon senso cartesiano equivaleva, dunque, all’uso della ragione. Ma già nel secolo successivo, il buonsenso si allontanò dal suo significato intimamente correlato all’idea della innata razionalità umana, per divenire sinonimo del senso comune, il quale costituisce, piuttosto, soltanto espressione dell’opinione dominante, e, cioè, un ambito “premio di maggioranza”. Così, oggi, professare una “interpretazione della legge secondo buonsenso” rischia di teorizzare l’opportunità di una interpretazione normativa modulata sull’opinione avvertita dalla maggioranza, e in tal modo flettere il diritto secondo il dogma di divinizzazione del popolo espresso dalla massima vox populi, vox dei (G. Zagrebelsky).
Chi, brandendo il “buonsenso”, interpreta le leggi dirette a contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, anche quelle in materia di giurisdizione, come le norme processuali, o di ordinamento civile e penale, non soltanto nel rispetto della Costituzione e dei vincoli comunitari o internazionali, ma intendendo il “Divieto di assembramento” quale nuovo e dominante principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato, dichiara apertamente di voler considerare e “concettualizzare” una realtà più ampia di quella di volta in volta regolata dal legislatore nella singola norma (Gorla).
Il rischio della generalizzazione della “interpretazione secondo buonsenso” può, però, presagire anche il ritorno alla figura di Dahm del “ladro nella sua essenza”, che serviva a giustificare l’assoluzione del membro della Hitler-Jugend.
Senonché, l’oggetto della scienza del diritto è la norma, non la realtà che il legislatore disciplina: l’attività legislativa è volizione astratta, e l’interprete abusa della sua funzione se, sulla base della sua intuizione, concettualizza l’ambiente sociale in cui essa deve operare. Né appartiene alla scienza del diritto la ricerca di massime di esperienza sul prevalente contegno dei legislatori di fronte a determinati problemi (Gorla).
Se il legislatore ha valutato determinati comportamenti umani secondo criteri di doverosità, liceità o illiceità, e così attribuito «situazioni» di dovere, facoltà o potere, ed ha dettato norme che disciplinano l’attività dei soggetti del processo per apprestare i mezzi di tutela giurisdizionale, non spetta all’interprete ricercare e spiegare, con concetti empirici, l’esistenza di interessi primari, che nella specie sarebbero poi dettati dalle misure amministrative di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica in atto, salvo ripiombare nelle oscurità della Interessenjurisprudenz.
Dunque, le norme che attribuiscono e tutelano diritti non possono interpretarsi, “secondo buonsenso”, in nome del divieto amministrativo di assembramento. A meno di intendere che il giurista debba rinvenire il diritto positivo non in quello dettato dall’autorità legislativa, ma nel fatto della vita per come narrato dalla voce della comunità, della quale si renda intermediatore (Grossi), e, in questa contingenza, per come esplicitato in provvedimenti amministrativi, arrivando fino al punto che ogni interpretazione della legge debba essere funzionale all’esigenza organizzativa di evitare contatti ravvicinati tra persone. E’ da comprendere, come affermò Manzoni, condividendo i dubbi del Muratori, che nessuno sia “abbastanza ardito per esporre al pubblico un sentimento così opposto a quello del pubblico”. Anche a quel tempo, “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.