1. Una delle ragioni di preoccupazione per l’assetto futuro della magistratura è dovuto alla grande incertezza su quali saranno le direttrici che il legislatore ordinario seguirà – ove il referendum popolare dovesse approvare il testo di riforma costituzionale votato dal Parlamento – nel dare attuazione al nuovo impianto.
Una sorta di mandato in bianco viene concesso dall’art. 8 del testo di legge costituzionale, che fissa in un anno dalla sua entrata in vigore il tempo utile per adeguare alla nuova architettura costituzionale le leggi sul Csm, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare.
Sarà probabilmente riscritto l’intero statuto disciplinare dei magistrati, nel senso della ridefinizione di numerosi precetti e correlate sanzioni, perché, una volta fatta la scelta della separazione in due diverse magistrature, è logico pensare che si vorrà far leva sulle peculiarità di funzioni e ruoli per delineare modelli deontologici diversi.
E siccome il leit motiv dei riformatori è che occorra porre fine ad una deprecata quanto indimostrata giustizia domestica asseritamente praticata dal Csm, è tutt’altro che avventato il timore che si incrementeranno le fattispecie disciplinari, già oggi oggetto di progressivi rimaneggiamenti per aggiunta, che si vorrà in buona sostanza inasprire la risposta sanzionatoria.
2. Ho avuto modo già di dirlo: la creazione dell’Alta Corte disciplinare concorrerà di per sé a produrre questo risultato.
Un organo votato esclusivamente all’accertamento e quindi alla punizione di illeciti disciplinari di cui non conosce, per assoluta estraneità al circuito dell’amministrazione della giustizia, l’ambiente ove in ipotesi hanno preso corpo, finirà per incrementare la funzione repressiva.
Non potrà cogliere, o lo farà con maggiore difficoltà, gli aspetti di contesto che, per gli illeciti funzionali, sono utilissimi tasselli per ricostruire se effettivamente un comportamento sia stato in concreto violativo dei doveri del ruolo.
L’Alta Corte nasce come giudice straordinario, destinato a sostituire il Csm in una funzione, quella disciplinare, che già oggi e da tempo è riconosciuta come schiettamente giurisdizionale.
Sul punto non occorre dilungarsi e credo che non abbiano più ragione di essere coltivate le perplessità nell’inserire il Csm nel novero dei giudici speciali che la Costituzione ha espressamente voluto (e mantenuto se si ha riferimento a quegli organi che le preesistevano) nel momento stesso in cui ha posto il divieto di istituirne per il futuro altri.
Ad un giudice speciale, quindi, ne succederà un altro, si vedrà se al riparo dal divieto costituzionale di istituzione di giudici speciali dal momento che non è la legge ordinaria ma, appunto, quella costituzionale a volerlo.
Oltre che speciale, questo giudice sarà anche straordinario, perché si collocherà fuori dell’ordine fissato dalla Costituzione informato ad un principio di assoluta cogenza, appunto il divieto di avere giudici extra ordinem.
Si può discutere se il divieto abbia portata diversa a seconda che si sia di fronte a un giudice speciale o a un giudice straordinario.
Uno speciale che succeda ad un altro non altera il rapporto tra le giurisdizioni, nel senso che la sottrazione di materia a quella ordinaria è già in premessa; un giudice, invece, creato ex novo, per quanto destinato a sostituirsi ad altro speciale già esistente, altera l’ordine fissato.
La vicenda riformatrice non si ridurrà al semplice spostamento della materia tra l’uno e l’altro, ma darà vita a un altro nuovo organo, che la Costituzione oggi non conosce.
Su questo versante l’idea che, siccome è il legislatore costituzionale ad innovare, non possano invocarsi in senso preclusivo le preesistenti disposizioni costituzionali persuade assai meno.
3. Non è in discussione la potestà del legislatore costituzionale di modificare, di riformare la Costituzione: il dubbio è piuttosto se possa agire libero da ogni condizionamento derivante dalla Carta o se questa in qualche modo ne conformi il potere, ponendo implicitamente dei vincoli, funzionali a non svuotare di significato, sol che ad agire sia una maggioranza parlamentare qualificata, alcune garanzie fondamentali.
È appena il caso di ricordare che la giurisprudenza costituzionale ha teorizzato l’invalicabilità dei principi supremi dell’ordinamento e che pertanto, ove si individuasse nell’art. 102 un principio supremo, dovrebbe concludersi per la incostituzionalità della istituzione dell’Alta Corte.
Le perplessità sulla legittimità di una riforma dell’assetto delle giurisdizioni non avrebbero motivo d’essere per il caso in cui la straordinarietà del giudice, intesa come alterità integrale rispetto all’assetto voluto dal Costituente, si legasse ad una revisione complessiva dell’ordine delle giurisdizioni e dei giudici.
Altro invece il discorso ove, come nel caso che interessa, la riforma si esaurisca nella soppressione di un organo e nella creazione, al suo posto, di altro, chiamato peraltro a subentrargli senza soluzione di continuità temporale nell’esercizio di questa particolare giurisdizione.
Qui la straordinarietà è ingiustificata e quindi costituzionalmente dovrebbe essere assai discutibile, seppure voluta e introdotta per legge costituzionale.
4. Il tema è complesso e merita un grado di approfondimento che queste brevi riflessioni non possono assicurare.
Con esse intendo mettere a fuoco un aspetto di minore portata ma non certo marginale.
Ammessa la legittimità dell’operazione riformatrice, e quindi dato in premessa che l’Alta Corte non impatterà con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale e non violerà il divieto di nuovi giudici speciali e di giudici straordinari, potrà realizzarsi, con la legge attuativa, una successione immediata nell’esercizio della funzione che oggi è in capo al Csm, e in specie alla sua sezione?
I tempi di istituzione e di operatività dell’Alta Corte sono rimessi per intero alla piena discrezionalità del legislatore ordinario?
E, di conseguenza se si risponde negativamente al quesito: è costituzionalmente possibile una immediata soppressione del Csm per come oggi lo si conosce?
5. Il sistema disciplinare appartiene a buon diritto all’ordinamento sanzionatorio-punitivo. Non si tratta ovviamente di praticare un’estensione generalizzata delle garanzie proprie del diritto penale, perché le sanzioni disciplinari sono altro dalle pene in senso stretto, dalle pene criminali.
Ciò non toglie che alcuni principi valevoli per il diritto penale trovino e debbano trovare accoglimento nel sistema disciplinare.
La giurisprudenza costituzionale e di legittimità hanno sul tema espresso concordi orientamenti, che ora inducono a ritenere che anche sul terreno della responsabilità disciplinare operi quanto meno il principio dell’affidamento del destinatario del precetto, dalla cui violazione discende una sanzione, nella stabilità del corredo di garanzie assicurato dalla legge del momento in cui l’illecito è commesso.
Come non può dubitarsi che un eventuale aggravamento del carico sanzionatorio, eventualmente introdotto dalla legge di attuazione della riforma, non potrà interessare gli illeciti commessi in precedenza, così – ritengo – non può affermarsi, almeno non in termini di ragionevole certezza, che per gli illeciti commessi prima della sua istituzione l’Alta Corte potrà avere giurisdizione.
Un mutamento così radicale della fisionomia del giudice cade naturalmente nel fuoco degli interrogativi sulle successioni di leggi con modifiche in peius e sulla legittimità di una loro retroazione.
6. La legge istitutiva dell’Alta Corte può bene inscriversi nella categoria delle modifiche normative in peius, perché dalla comparazione con il Csm, siccome attualmente previsto e regolato, risalta, senza che si possa revocare in dubbio l’affermazione, un decremento delle garanzie per l’incolpato.
L’Alta Corte, nella sua articolazione in collegi giudicanti, vedrà ciascuna delle due magistrature privata della garanzia del rapporto di prevalenza numerica rispetto ai componenti laici.
Non va poi trascurato che, ancor prima dell’articolazione in collegi, l’Alta Corte si segnala inspiegabilmente per il mancato rispetto del rapporto di proporzione numerica di 2/3 di componenti togati e di 1/3 di componenti laici, che, invece, connota il Csm e anche i due Csm che verranno.
In più, i magistrati componenti, sia giudici che pubblici ministeri, saranno selezionati per sorteggio, il che costituirà un ulteriore deficit di garanzie, perché la scelta in base al caso disperderà il significato di partecipazione democratica alla strutturazione di un organo che si porrà all’evidenza in termini di maggiore estraneità rispetto alla platea dei soggetti i cui comportamenti sarà chiamato a valutare.
A presiedere l’Alta Corte non sarà il Presidente della Repubblica, la più alta figura istituzionale di garanzia; la presidenza sarà affidata ad un componente laico, ossia nominato dal Presidente della Repubblica o estratto a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune. In ogni caso, il ridimensionamento della funzione di elevata garanzia espressa dall’attuale sistema si coglie senza necessità di chiose.
A leggere la riforma secondo le indicazioni dei proponenti, come palesate in più occasioni, le sentenze dell’Alta Corte non saranno soggette al ricorso per cassazione, sfuggiranno completamente a qualunque controllo della Corte di cassazione.
Si afferma, nel testo che dovrà sostituire l’attuale art. 105 Cost., che contro le sentenze dell’Alta Corte è ammessa impugnazione, anche per motivi di merito, soltanto dinnanzi alla stessa Alta Corte, e questa disposizione dovrebbe servire ad escludere l’operatività dell’art. 111, comma 7, secondo cui contro le sentenze di qualunque giudice, sia ordinario che speciale, “è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.
Se la legge di attuazione confermerà la sottrazione delle sentenze dell’Alta Corte al ricorso per cassazione, non potranno aversi dubbi sul suo connotato di straordinarietà, ponendosi nettamente al di fuori dell’ambito giurisdizionale sia ordinario che speciale.
Ora, è pur vero che lo sbarramento alla retroazione di norme di sfavore attiene precipuamente ai precetti e alle sanzioni.
Ma quando in gioco è una tale revisione della fisionomia del giudice, sì rilevante da inerire strettamente al corredo delle garanzie che il sistema assicura ad un incolpato, sarebbe miope relegare il novum nell’area delle modiche meramente processuali per ritener sufficiente una regolazione intertemporale affidata unicamente al principio del tempus regit actum.
7. Ragioniamo ora su cosa potrà accadere per l’eventualità che il legislatore dell’attuazione costituzionale costruisca in termini nettamente diversi da quelli ora descritti il rapporto tra Csm ed Alta Corte.
Con le premesse che si sono tratteggiate sembra logico ipotizzare che prenderanno corpo questioni di costituzionalità.
Qualche veloce considerazione va allora dedicata all’individuazione dei possibili parametri in riferimento ai quali articolare le domande di scrutinio costituzionale.
Il testo di riforma non detta alcuna disciplina di natura transitoria e, nell’assegnare al legislatore ordinario un anno per l’adeguamento del sistema normativo alle nuove disposizioni, non ne orienta l’azione.
Ciò non significa che questi sarà del tutto libero di determinarsi come meglio riterrà, perché, anche a voler ragionare in termini di discrezionalità della scelta, dovrà comunque agire alla luce del principio di ragionevolezza.
Se si ritiene che nel diritto punitivo anche non penale viga il principio di irretroattività della legge di sfavore, si può ipotizzare che il trasferimento di giurisdizione in capo all’Alta Corte per gli illeciti disciplinari in precedenza compiuti si porrà in contrasto con l’art. 25, comma primo, cost., che vieta di punire sulla base di leggi entrate in vigore successivamente.
Se, invece, si esclude la riferibilità dell’art. 25, comma primo, cost. alla materia della disciplina dei magistrati, occorre comunque fare i conti con il principio generale secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e che una sua retroattività può essere ammessa a condizione che si configuri in termini di retroattività non irragionevole (Corte cost. n. 68 del 1984).
E quale potrebbe essere il tasso di ragionevolezza di una investitura di competenza per fatti anteriormente commessi in favore di un giudice vistosamente eterogeneo nei profili di garanzia oggettiva rispetto a quello soppresso e sostituito?
Più radicalmente, poi, se si muove dalla considerazione che l’Alta Corte, ove chiamata a giudicare di fatti commessi prima della sua esistenza, non possa dirsi giudice precostituito, viene in considerazione la compromissione del diritto costituzionale dell’incolpato di non esser distolto dal proprio giudice naturale precostituito per legge.
8. Uno scenario del tipo di quello appena tratteggiato potrà essere evitato in un solo modo.
L’entrata in vigore della legge istitutiva dell’Alta Corte non potrà portare alla immediata soppressione del Csm nella sua attuale configurazione, perché occorrerà mantenere l’ordinario svolgimento della giurisdizione disciplinare per tutti gli illeciti fino a quel momento commessi. E ciò esigerà che il giudice di quel sistema disciplinare continui ad esistere, perché il nuovo non sarà ad esso omogeneo e, per le ragioni già dette, condurrà ad una compressione del corredo di garanzie che il sistema assicura all’incolpato.
Non è dunque pensabile, se non a costo di rassegnarsi ad un vistoso strappo costituzionale, che all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, il legislatore ordinario sopprima con un tratto di penna l’attuale Csm e che divida la sua eredità tra i tre nuovi organi, i due Csm delle due diverse magistrature e l’Alta Corte disciplinare.
Il Csm attuale dovrà esaurire la sua missione giurisdizionale per tutti i fatti commessi fino all’entrata in vigore della legge istitutiva dell’Alta Corte, che potrà operare soltanto in riguardo ai fatti commessi successivamente.
E siccome il Csm attuale dovrà continuare ad esistere per un non breve lasso temporale, i Csm che lo sostituiranno non potranno che succedergli concretamente soltanto quando avrà esaurito i suoi compiti giurisdizionali.
Del resto, il già menzionato art. 8 del testo di riforma costituzionale impone l’adeguamento entro l’anno della legislazione ordinaria al nuovo sistema, ma non prescrive in quali tempi e a quali condizioni quel nuovo ordine giudiziario e disciplinare potrà avere concreta efficacia.
9. La sopravvivenza del Csm non potrà essere affidata alla proroga, di fatto o di diritto, per qualche tempo del Csm in funzione nel momento in cui sarà varata la legge attuativa della riforma.
Si vocifera per il vero di proroghe del Csm, per consentire al legislatore di completare il lavoro di adeguamento della disciplina ordinaria, ma non si potrà a cuor leggero aggirare la previsione dell’art. 104, comma sesto, cost., secondo cui “i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni…”.
Un’eventuale legge di proroga sarebbe inevitabilmente in contrasto con questa disposizione.
Non vi potrà essere allora altra soluzione che rinnovare il Csm nella sua attuale configurazione, secondo le attuali regole di composizione e di scelta dei componenti.
10. Mi auguro che queste poche righe, con cui ho inteso appena abbozzare lo scenario che probabilmente avremo di fronte se il referendum popolare dovesse approvare la riforma, servano a stimolare una più ampia riflessione, questa sì compiutamente informata e approfondita, in modo che il futuro, anche il più avverso, non ci travolga sgomenti in uno dei passaggi meno luminosi della storia giudiziaria della Repubblica.
