Recensione di Gaetano De Amicis a P. Gianniti, Diritti fondamentali e giudice comune. Verso un sistema europeo di tutela integrata, Aracne, 2022, pp. 793; P. Gianniti, Corti supreme e diritti fondamentali. Verso una nomofilachia europea, Aracne, 2022, pp. 880.
Un vasto affresco dedicato ai grandi ed affascinanti temi del diritto europeo nelle sue varie declinazioni, all’analisi dei rapporti fra Corti nazionali e sovranazionali e all’individuazione delle più efficaci forme di protezione dei diritti fondamentali all’interno di un sistema europeo di tutela integrata, la cui edificazione in fieri necessita di uno sforzo di crescita culturale da parte dell’intera comunità dei giuristi europei: questo il filo conduttore delle numerose questioni problematiche condensate in due volumi, fra loro strettamente collegati, che l’Autore, Consigliere della Corte di Cassazione, ha offerto, con straordinaria ricchezza di contenuti e rara limpidezza espositiva, all’attenzione non solo degli specialisti del settore, ma anche dei giovani magistrati ed avvocati che intendano avvicinarsi ad uno studio approfondito di tematiche tanto complesse, quanto attuali nell’odierna esperienza delle vicende giuridiche e delle relazioni inter-giurisdizionali sullo scenario geopolitico europeo.
Nel primo lavoro monografico, ampiamente articolato nella sua rigorosa impostazione metodologica, l’Autore affronta con nitore argomentativo e dovizia di riflessioni critiche le tematiche, di centrale rilevanza, legate alla posizione dei giudici nazionali e al loro contributo di “garanzia” quali giudici “naturali” dei diritti tutelati in sede convenzionale o euro-unitaria.
L’opera è suddivisa in una parte generale e in una parte speciale.
Nei primi due capitoli della parte generale”, dedicata all’esame dei presupposti giuridico−politici dell’integrazione europea, vengono ampiamente richiamate le basi ideali e le attività dei movimenti europeisti, unitamente alle opere delle personalità e delle organizzazioni cui è stata legata l’evoluzione storica della “grande” e della “piccola” Europa.
Nel terzo, quarto e quinto capitolo della parte generale vengono esaminati i rapporti fra i diversi ambiti dell’integrazione europea e la tutela dei diritti fondamentali nel quadro dell’attuale assetto istituzionale dell’Unione, evidenziando i nessi di collegamento con il ruolo di garanzia svolto dalle corti nazionali ed europee.
La parte speciale è dedicata ad una organica ed approfondita trattazione espositiva dei singoli livelli di tutela dei diritti fondamentali (quello nazionale, quello convenzionale e quello comunitario), con particolare attenzione al ruolo assunto oggi dal giudice comune, quale “motore” del vigente sistema europeo di tutela integrata, nell’ambito di un “costituzionalismo multilivello” che vede la compresenza negli ordinamenti interni dei singoli Paesi membri dell’Unione di tre – diversi, ma strettamente connessi - sistemi di salvaguardia dell’ormai ampio catalogo dei diritti fondamentali.
La diversa tipologia di strumenti interpretativi a disposizione del giudice comune gli permette di “collaborare” pienamente, in forma interattiva, al dialogo giudiziario intessuto nella dimensione dei rapporti euro-unitari e convenzionali, dando luogo ad una “comunità giuridica europea” orientata verso l’obiettivo della massima espansione dei livelli di garanzia del contenuto dei diritti fondamentali.
Nel secondo, ancor più ponderoso, studio monografico, dal titolo Corti supreme e diritti fondamentali. Verso una nomofilachia europea, pubblicato dall’Autore per i tipi della stessa casa editrice, si pone il tema centrale del contributo che la nomofilachia della Corte di cassazione, unitamente ad altre Corti, nazionali ed europee, potrebbe offrire alla crisi della certezza del diritto, quale elemento fondamentale dell’esperienza giuridica e principio cardine dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, con particolare riferimento al settore dei diritti fondamentali.
I due volumi, fra loro complementari, esplorano tematiche strettamente contigue, la cui analisi critica deve essere condotta necessariamente in forma incrociata, attraverso uno sguardo sinottico volto a comporne le diverse implicazioni operative in un quadro unitario.
In questo secondo lavoro monografico, in particolare, il ruolo nomofilattico della Corte di cassazione, con tutti i problemi legati alla gestione del suo enorme contenzioso, viene esaminato inquadrandone l’esercizio delle complesse funzioni – sia di definitiva risoluzione della questione oggetto del caso concreto nell’ultimo grado di giudizio (ius litigatoris), che di guida e orientamento nella elaborazione di un consolidato quadro di principii destinato ad orientare le future decisioni di merito a garanzia dell’unità del diritto nazionale (ius constitutionis) - al crocevia di un sistema multilivello di fonti, che innesca un dialogo ermeneutico circolare nel rapporto con le altre Corti supreme dei diversi ordinamenti nazionali e con le stesse Corte europee.
La parte generale viene dedicata ad un’ampia trattazione dei caratteri fondamentali e delle funzioni della moderna nomofilachia a livello nazionale, ponendone in rilievo i nessi con i grandi temi della ermeneutica contemporanea, della formazione del precedente negli ordinamenti di civil law e di common law e del mutamento del ruolo del giudice all’interno di un ordinamento multilivello a carattere, ormai, non più piramidale, bensì “reticolare”, a seguito del progressivo espandersi del diritto convenzionale e di quello euro-unitario.
Nella parte speciale, articolata in più sezioni, vengono esaminate, in particolare: a) le relazioni del giudice di legittimità con i giudici di merito e la Corte costituzionale; b) quelle con le altre Corti di ultima istanza a livello nazionale (Consiglio di Stato e Corte dei conti), evidenziando il problema della formazione di nomofilachie divergenti in materia di diritti fondamentali; c) il circuito dei rapporti con le altre Corti supreme di legittimità degli altri Paesi europei, con la Corte di giustizia e la Corte EDU, evidenziando i casi emblematici di dialogo e mancato dialogo, per mettere in luce, infine, la tensione dell’intero sistema di tutela dei diritti fondamentali verso la costruzione di una “nomofilachia europea”, con la conseguente trasformazione del contenuto delle funzioni svolte non solo dalla Corte di cassazione, ma da tutte le Corti di legittimità operanti nei diversi ordinamenti nazionali.
Utili riferimenti storici sull’unicità della Corte di cassazione nazionale e sull’evoluzione del ruolo esercitato dal supremo organo della nomofilachia si accompagnano, in una prospettiva diacronica, ad una vasta ed approfondita analisi della progressiva incidenza sul diritto interno delle Carte dei diritti fondamentali e dell’attività interpretativa delle Corti europee (Corte di giustizia e Corte EDU), nell’ambito di uno spazio territoriale europeo ove il giudice comune viene a porsi come organo giudiziario di riferimento sia per l’ordinamento euro-unitario che per quello convenzionale.
L’Autore mette in risalto la portata del fenomeno, sottolineando la possibilità che l’interpretazione della legge nel giudizio di legittimità venga rimessa in discussione, sotto vari profili, da organi giurisdizionali estranei all’assetto nazionale dell’ordine giudiziario, attraverso pronunce cui si riconosce una peculiare efficacia, non limitata all’ordinamento sovranazionale di riferimento, ma direttamente rilevante anche in quello interno, sì da determinare, in alcuni casi, l’eventuale superamento della intangibilità del giudicato, alla cui formazione anche la Corte di cassazione concorre, quale organo di vertice della giurisdizione, in conseguenza dell’esaurimento dei mezzi d’impugnazione.
Una nuova connotazione delle funzioni e del ruolo tradizionalmente assegnati alla Corte di legittimità inevitabilmente emerge, dunque, a fronte di un contesto ordinamentale esterno che in maniera pressante la sollecita ad assicurare l’uniforme interpretazione (ex art. 65 O.G) di un diritto positivo non più identificabile soltanto con le norme interne, ma anche con quelle derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 11 Cost.) e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma, Cost.), tracciando percorsi interpretativi che devono, auspicabilmente, risultare conformi alle rispettive elaborazioni giurisprudenziali, stabilmente orientati ed affidabili, nella loro oggettiva prevedibilità, pur a fronte di un accesso di massa alla giustizia che registra, ormai da tempo, un vertiginoso aumento della domanda.
La Corte di cassazione, come noto, è ormai da troppo tempo “assediata” nell’esercizio delle sue funzioni regolatrici dal quotidiano esame di centinaia di ricorsi, in presenza di un unicum rappresentato dall’adozione di oltre trentamila decisioni civili e cinquantamila decisioni penali all’anno, con il conseguente rischio di non riuscire a garantire un sufficiente livello di uniformità e coerenza, interna ed esterna, delle proprie linee di indirizzo giurisprudenziale.
La contestuale crisi della politica e della certezza del diritto si accompagna ad un profondo mutamento del rapporto fra legge e giurisdizione, la cui progressiva evoluzione tende ad affidare un ruolo centrale alle Corti supreme, per le loro ineliminabili funzioni di garanzia della prevedibilità, della coerenza e della qualità delle decisioni nel processo di integrazione europea.
Una nomofilachia sempre più declinata non come un antistorico ed inutile esercizio di autorità, ma nella diversa prospettiva della sua capacità di ricondurre ad unità la complessità del nuovo sistema multilivello, da un lato, fungendo da raccordo fra tutte le componenti della comunità dei giuristi, dall’altro, bilanciando la tutela del principio del libero convincimento del giudice con le esigenze di certezza e di stabilità delle decisioni, all’interno di una visione “unitaria”, che sappia tener conto sia dei nuovi indirizzi assunti dalla giurisprudenza di merito, sia delle “correnti” profonde che orientano le “rotte” seguite dalle elaborazioni giurisprudenziali delle Corti europee.
Un contesto, dunque, radicalmente mutato sia rispetto alla centralizzazione della giurisdizione di legittimità a seguito della proclamazione del Regno d’Italia, sia rispetto alla visione fatta propria dalla Costituzione repubblicana del 1948, che non intaccò la duplicità di prospettive emergenti dalla fondamentale disposizione contenuta nell’art. 65 dell’ordinamento giudiziario approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 10, là dove la garanzia dell’esatta osservanza delle leggi, con la cassazione dell’atto del giudice che non le avesse rispettate, si accompagnava al diverso profilo di garanzia della uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale al fine di assicurare l’unità e l’uguaglianza del diritto positivo.
Di qui l’analisi critica dell’Autore, che prende le mosse dalla pressante esigenza, sociale ancor prima che giuridica, di recupero dei valori della certezza del diritto e della prevedibilità delle decisioni giudiziarie, per valorizzare le implicazioni del necessario confronto istituzionale del sindacato di legittimità affidato alla Corte di cassazione rispetto a quello esercitato, a vario titolo, sia dalla Corte costituzionale e dagli organi apicali delle giurisdizioni speciali, che dalle Alte Corti europee, nella duplice prospettiva di una nomofilachia “dialogante”, volta ad evitare la formazione di contrasti sia nell’ambito dell’ordinamento interno, sia con riferimento alle indicazioni provenienti da quello sovranazionale.
Se la legittimazione costituzionale della Corte di cassazione deve ancor oggi rinvenirsi nella sua capacità di costruzione di un “diritto vivente”, in grado di orientare con un sufficiente grado di affidabilità i comportamenti dei cittadini e ricondurre ad unità sistematica il confuso intreccio di leggi, norme esterne e correlative elaborazioni giurisprudenziali, la nomofilachia che essa è chiamata a rendere, al pari delle altre Corti supreme nazionali, dovrebbe sempre più orientarsi nel senso della tutela dello ius constitutionis, al fine di garantire la tendenziale uniformità degli indirizzi giurisprudenziali, e sempre meno in quello della tutela dello ius litigatoris.
La natura di “vertice ambiguo” della Corte di cassazione, secondo la immaginifica definizione datane da Michele Taruffo, è rinvenibile peraltro nello stesso codice genetico del giudice della legittimità, trattandosi di funzioni coessenziali, che devono comunque trovare, come spiegato da Giorgio Lattanzi (Cassazione o terza istanza, in Cass. pen., 2007, p. 1370 ss.), un opportuno punto di equilibrio, la cui mancanza renderebbe problematica l’opera di uniforme elaborazione del diritto giurisprudenziale.
Nella prospettiva interna, se da un lato pare irrealistico, per l’Autore, ipotizzare un ritorno al sistema della giurisdizione unica ordinaria – pur teoricamente auspicabile nella dimensione evolutiva del diritto europeo –, dall’altro lato, il pericolo correlato al possibile formarsi di nomofilachie divergenti a causa dei numerosi plessi giurisdizionali che compongono a “mosaico” l’ordinamento nazionale deve spingere l’intera comunità dei giuristi e il legislatore ad interrogarsi sulle possibili soluzioni da offrire al problema.
Certamente opportuno, anche se non risolutivo, potrebbe rivelarsi, al riguardo, uno sforzo di coordinamento istituzionale volto a promuovere la ricerca di canali di costante dialogo – sul piano scientifico ed organizzativo – tra giudici ordinari, amministrativi e contabili su temi che richiedono la declinazione di forme e meccanismi di tutela di valori fondamentali comuni (ad es., attraverso una più intensa e stretta collaborazione tra l’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Corte di cassazione e gli Uffici studi delle altre Corti).
Sotto altro, ma connesso profilo, occorre tuttavia considerare che l’ordinamento costituzionale ha già individuato nella sola Corte di cassazione l’organo supremo della giustizia (ex art. 65 ord. giud.), attribuendole una funzione regolatrice della giurisdizione (art. 111, comma ottavo, Cost.) che di per sé esclude una divaricazione delle nomofilachie sulle questioni di giurisdizione, devolute unicamente al giudice di legittimità: seguendo tale linea di orientamento l’Autore suggerisce di estendere la nozione di “limite esterno della funzione giurisdizionale” per riconoscere al ruolo nomofilattico, da sempre esercitato dalla Corte di cassazione in materia di diritti soggettivi, una rilevanza esterna, non circoscritta ai soli giudici ordinari, ma estesa a tutti i giudici – nessuno escluso – in modo da valorizzare l’orientamento consolidato della Corte in tema di norme attributive di diritti soggettivi e ridurre, in caso di diverse determinazioni, l’area delle decisioni inficiate, in materia amministrativa o contabile, da un difetto di giurisdizione relativa, in quanto tale impugnabile mediante ricorso per cassazione.
Su altro versante, maggiormente legato allo sviluppo del dialogo con le Corti europee, si impone, ad avviso dell’Autore, e il rilievo non può che essere condiviso, un deciso rafforzamento del ruolo della Corte di cassazione come Corte del precedente.
Non si tratta, ovviamente, di spingersi sul piano dell’attribuzione di un’efficacia vincolante alle decisioni di legittimità, che l’inevitabile pluralismo nella elaborazione della giurisprudenza di merito e i tratti di una moderna nomofilachia – non certo piramidale, né gerarchica, ma basata su un metodo partecipativo orientato a garantire la stabilità nel cambiamento e il cambiamento nella stabilità – non consentirebbero affatto di percorrere.
Si tratta, invece, di definire un quadro di interventi normativi che affidi alla Corte il potere di stabilire, sulla base di criteri oggettivi e predefiniti, quali siano i ricorsi da ammettere e, dunque, da decidere nella prospettiva del sindacato di legittimità che la Costituzione tipicamente le affida.
Un ampio spettro di soluzioni, a tal fine, potrebbe essere oggetto di adeguato approfondimento in linea con la disposizione di cui all’art. 111, settimo comma, Cost.: dalla perimetrazione della violazione di legge come unico motivo di ricorso per cassazione nella prospettiva di una prevalente tutela della nomofilachia che l’Autore definisce “positiva” (ossia rivolta al contenuto delle future decisioni giudiziali, e non alla valutazione della decisione già emessa ed impugnata), alla previsione del vincolo della Corte di legittimità all’accertamento del fatto contenuto nella sentenza pronunciata dal giudice di merito; dalla configurazione del ricorso in cassazione come mezzo straordinario di impugnazione, volto a sindacare il solo profilo in iure della sentenza impugnata (in coerenza con il principio del doppio grado di giurisdizione e con la natura del giudizio di sola legittimità svolto dalla Corte), alla introduzione di efficaci filtri alla possibilità di impugnare la sentenza di secondo grado.
Pur prescindendo da una possibile revisione dell’assetto normativo costituzionale, già oggi la disposizione dettata nell’art. 111, settimo comma, Cost. potrebbe essere letta, secondo l’Autore, nella più razionale prospettiva della garanzia del diritto a proporre il ricorso per cassazione, non in quella che tutela il diritto all’ammissione del ricorso.
Un efficace vaglio preliminare sull’ammissibilità del ricorso risulta dunque coerente non solo con la norma costituzionale che limita la garanzia del ricorso per cassazione alla sola violazione di legge, ma anche con gli orientamenti tracciati dalla Corte EDU sulla compatibilità convenzionale dei “sistemi di filtraggio” adottati nei diversi ordinamenti europei in relazione al merito o alla tipologia delle questioni poste all’attenzione delle Corti di legittimità.
Nella medesima prospettiva, effetti “decisamente positivi” potrebbero derivare da interventi legislativi finalizzati, nell’ambito dell’attuale assetto costituzionale, a disporre una separazione categoriale tra difensori legittimati a difendere nei giudizi di merito e nel solo giudizio di legittimità, ove sono richieste una preparazione ed una esperienza particolari, in modo da limitare il numero degli abilitati a proporre ricorso per cassazione (secondo il modello francese), creando un corpo di difensori altamente specializzati, idonei pertanto a compiere un filtro esterno all’accesso alla Corte di legittimità, con l’effetto ulteriore di selezionare i ricorsi realmente meritevoli di essere trattati e di migliorarne il livello qualitativo (v. la Prefazione di E. LUPO, secondo cui l’esperienza della introduzione di filtri meramente interni alla Corte, attraverso la previsione di strumenti giuridici di volta in volta diversi, si è dimostrata sostanzialmente inutile, quando non è stata fonte di ulteriori complicazioni e difficoltà per le attività della Corte).
Del resto, non si pone in contrasto con le regole dell’equo processo, come ricordato dalla stessa Corte EDU in una pronunzia del 26 luglio 2002, la possibilità di riservare ad un ristretto numero di difensori la rappresentanza del ricorrente dinanzi ad una Corte suprema.
Una Corte del precedente, collocata in una posizione distante dalla configurazione di una Corte di terza istanza volta ad assicurare anche la giustizia del caso concreto, che si trovi in piena consonanza di poteri e funzioni con le linee di tendenza rilevabili negli altri ordinamenti nazionali europei, in grado di garantire effettivamente l’unificazione della interpretazione del diritto sul territorio dello Stato e l’eguale trattamento dei cittadini in una società democratica fondata sul principio della rule of law, senza però abbandonare la prospettiva di una nomofilachia che, in linea con le moderne acquisizioni della teoria dell’ermeneutica, sappia enunciare il principio di diritto nel contesto della concretezza della singola vicenda storica oggetto del giudizio: questo, secondo l’Autore, dovrebbe essere il modello di una Corte di legittimità al passo con i tempi, ormai lontani dalle scelte che il legislatore costituzionale ebbe ad operare – con la formulazione dell’art. 111 - in un momento storico (il 1948) in cui il numero annuale dei ricorsi – almeno quelli civili - era stato quasi sempre inferiore a 4.000, laddove dal 2002 ad oggi è risultato superiore, per lo più, ai 30.000.
Pare difficilmente giustificabile oggi, nello scenario europeo, l’anomalia di una Corte suprema come quella italiana, dinanzi alla quale possano proporre ricorso circa 50.000 difensori, sollecitandola ad esercitare - attraverso l’abnorme pianta organica di circa 400 magistrati che emettono migliaia di sentenze ed ordinanze a fronte di una sterminata massa di ricorsi - una funzione nomofilattica la cui declinazione avviene ormai all’interno di una sempre più ampia rete di rapporti sovranazionali, attraverso una voce “dialogante” il cui dictum dovrebbe essere necessariamente percepito in termini di certezza e uniformità, così da interloquire efficacemente con le altre Corti supreme nazionali e con le stesse Corti europee, in un contesto normativo sempre più eterogeneo ed articolato, che richiede un’immediata capacità di stabilizzare la formulazione del principio di diritto, garantendo la prevedibilità delle decisioni al fine di governare gli effetti magmatici di un sistema policentrico, e non solo multilivello, delle fonti di produzione del diritto.
Va ricordato, peraltro, che il legislatore non si è mostrato indifferente alle esigenze di una moderna nomofilachia, avendo rafforzato – con le novelle del 2 febbraio 2006, n. 40, e del 23 giugno 2017, n. 103 – gli obiettivi di tendenziale stabilità e uniformità dei principii di diritto espressi dall’organo di vertice della legittimità attraverso l’ampliamento della portata del vincolo di coerenza con il precedente costituito dalla decisione che le Sezioni unite civili e penali hanno pronunciato al fine di dirimere i contrasti interpretativi emersi tra le sezioni semplici o per risolvere questioni giuridiche di particolare importanza.
Sono state infatti disciplinate sia l’enunciazione del principio di diritto «nell’interesse della legge» (art. 618, comma 1-ter, c.p.p.), anche d’ufficio, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per una causa sopravvenuta, sia la regola di raccordo fra le Sezioni semplici e le Sezioni unite (comma 1-bis: «Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso»), in coerenza con quanto analogamente previsto sia per il giudizio civile di cassazione (artt. 363, comma 3, e 374, comma 3, c.p.c., sost. dagli artt. 4 e 8 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40), che per il giudizio amministrativo (art. 99, comma 3, d.lgs. n. 104 del 2010: codice del processo amministrativo) e contabile (artt. 42, comma 2, legge n. 69 del 2009 e 117 d.lgs. n. 174 del 2016: codice del processo contabile), con riguardo alle decisioni rispettivamente assunte dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato e dalle Sezioni riunite della Corte dei conti.
Ulteriori innovazioni di rilievo, anche se non decisive nella prospettiva indicata dall’Autore, vanno individuate nelle modifiche degli artt. 360, primo comma, n. 5, 360-bis, 384 e 420-bis c.p.c.
Ragioni di “pacato ottimismo” possono trarsi, soprattutto, dall’analisi degli interventi normativi operati con le recenti riforme processuali (d.lgs. nn. 149 e 150 del 2022), varate in attuazione delle leggi delega per la riforma della giustizia civile e penale (leggi nn. 134 e 206 del 2021), in vista del raggiungimento degli obiettivi fissati dal P.N.R.R.
Vanno segnalate, in tal senso, l’introduzione del rimedio finalizzato alla revocazione della sentenza civile il cui contenuto sia stato successivamente dichiarato contrario alla CEDU (legge delega n. 206 del 2021, art.1, comma 10, attuato con l’art. 3, comma 28, lett. o), d. lgs. n.149 del 2022, che ha inserito nel codice di rito civile il nuovo art.391-quater) e la previsione, all’interno del processo penale, di “un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di cassazione al fine di dare esecuzione alla sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo”, con l’attribuzione alla Corte di legittimità del “potere di adottare i provvedimenti necessari” (legge delega n.134 del 2021, art.1, comma 13, lett. o), attuato con l’art. 36 d.lgs. n. 150 del 2022, che ha inserito nel codice di rito penale la nuova disposizione dell’art. 628-bis).
Strumenti processuali nuovi, che mirano a realizzare le fondamenta di un circolo ermeneutico biunivoco rispetto agli orientamenti interpretativi assunti dalla Corte EDU, le cui implicazioni operative, tuttavia, dovrebbero essere necessariamente saggiate all’esito dell’auspicabile ratifica del Protocollo n. 16 CEDU, ponendo la Suprema Corte di cassazione e le Alte Corti nazionali nella condizione di attivare opportunamente, anche in una logica di deflazione della massa dei ricorsi, un dialogo preventivo in funzione consultiva, non certo vincolante, utile soprattutto nella fase “ascendente” della formazione del giudicato interno.
Disposizioni di analogo rilievo, ai fini che vengono qui in considerazione, sono quelle cristallizzate dal legislatore nelle nuove disposizioni di cui agli artt. 380-bis c.p.c. (procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati) e 363-bis c.p.c. (che introduce l’istituto del rinvio pregiudiziale degli atti dal giudice di merito alla Corte di cassazione per risolvere una questione di diritto, nella prospettiva di prevenire la formazione di contrasti giurisprudenziali o di contenziosi seriali).
Dati incoraggianti emergono, peraltro, dall’analisi statistica della lenta, ma costante, riduzione del contenzioso civile e penale di cui si dà conto nell’ultima Relazione del Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2022 (leggibile sul sito www.cortedicassazione.it).
Sia nel settore civile che in quello penale, infatti, il numero delle decisioni assunte dalla Corte è sensibilmente cresciuto rispetto all’inizio del 2021, consentendo di ridurre in misura sensibile il peso delle pendenze.
Analoghi risultati positivi sono registrabili con riferimento alla durata dei processi celebrati dinanzi al Giudice di legittimità, poiché rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione europea per la riduzione dei tempi di decisione entro il 2026, il criterio basato sul cd. disposition time, il cui target rispetto alla base di partenza dei dati relativi al 2019 è pari al 40% nel settore civile ed al 25% nel settore penale, consente di ritenere già raggiunto e superato il traguardo in quest’ultimo ambito (ove si è giunti al risultato di 132 giorni a fronte di un limite stimato in 166 giorni) ed in via di progressivo avvicinamento anche nel settore civile, il cui limite massimo è di 976 giorni a fronte di un baseline per il 2019 di 1302 giorni.
Linee di tendenza, quelle illustrate nella richiamata Relazione, che appaiono estremamente confortanti, specie se poste in relazione ai positivi effetti - allo stato non ancora obiettivamente verificabili nella loro entità - della prossima attuazione del quadro delle riforme normative varate dal legislatore nella seconda metà del 2022.
In definitiva, l’auspicio dell’apertura di una “nuova stagione” per il funzionamento e la realizzazione degli obiettivi costituzionali propri di un’istituzione plurisecolare e gloriosa come la Corte di cassazione si coniuga, nella prospettiva dell’Autore, alla rinnovata e condivisa consapevolezza della grave responsabilità che su di essa incombe, quella, cioè, “di tracciare la rotta dell’interprete, non con la ragione dell’autorità, ma con l’autorità della ragione”.