2023: Odissea nel Palazzaccio di Bruno Capponi
Mentre, intorno alla Cassazione civile, ferve il dibattito su temi tutto sommato immaginari (il rinvio pregiudiziale interpretativo, la revocazione “euro-unitaria”), resta pressoché in ombra il dato oggettivamente più rilevante e urgente: dal 1° gennaio 2023, con riferimento a tutti i ricorsi ancora non fissati (vale a dire la stragrande maggioranza di quelli pendenti), entra in vigore il nuovo sistema di selezione denominato “decisione accelerata”. Un giudice monocratico (presidente di sezione o, più facilmente, un consigliere delegato) potrà formulare una «sintetica proposta di definizione del giudizio» allorché ravvisi l’improcedibilità, l’inammissibilità o la manifesta infondatezza del ricorso (anche di quello incidentale, se non condizionato).
È davvero singolare che la novità non abbia sinora attirato l’attenzione dei commentatori[1]. Non soltanto per i profili ordinamentali implicati (ottimi argomenti deducibili dalla Costituzione e dalle leggi di ordinamento giudiziario portano a pensare che la Corte debba sempre essere un giudice collegiale), ma per il meccanismo stesso del nuovo sistema di selezione preliminare.
Il nuovo art. 380 bis c.p.c. usa un linguaggio reticente, e ciononostante chiaro: il giudice monocratico avanza una “proposta” che si traduce in realtà in un provvedimento di chiusura in rito del giudizio di legittimità, salvo che le parti, nei quaranta giorni dal suo ricevimento, non producano una richiesta di decisione collegiale, vale a dire un “reclamo”: ma in tal caso, ove la decisione del Collegio risulti conforme alla “proposta” del giudice monocratico[2], la parte istante incorrerà in sanzioni di varia natura (raddoppio del contributo unificato, responsabilità processuale aggravata ex comma 3 dell’art. 96 c.p.c. e sanzione pecuniaria da versare alla Cassa delle ammende ex comma 4 dello stesso art. 96 – testo novellato dal d.lgs. n. 149/2022).
Una “proposta” singolare, dunque: perché non richiede accettazione pur nel contesto formalizzato del giudizio di legittimità, ove nulla avviene per facta concludentia e vale il principio dell’impulso officioso. L’art. 390 c.p.c. richiede infatti la forma scritta per la rinuncia al ricorso principale o incidentale, che deve provenire dalla parte personalmente e dal difensore o anche soltanto da quest’ultimo se «munito di mandato speciale a tale effetto». L’adesione alla rinuncia, di cui all’art. 391, comma 4, c.p.c., presuppone anch’essa un atto scritto.
Opache sono le condizioni che legittimano l’elaborazione della “proposta”. Se infatti l’improcedibilità rimanda a figure tipiche, lo stesso non può certo dirsi per l’inammissibilità: fallite e disapplicate le previsioni dell’art. 360 bis c.p.c., la Corte notoriamente fa perno sui suoi storici cavalli di battaglia – soprattutto autosufficienza e specificità, anche del singolo motivo – cui ora potrebbero aggiungersi (è sin troppo facile preconizzarlo) i nuovi requisiti di chiarezza e sinteticità, per come saranno intesi dalla giurisprudenza della Corte. Sfuggente sopra tutte è poi la nozione di “manifesta infondatezza”: è evidente che specie qui il giudice monocratico gode di amplissima discrezionalità, spaziando del resto dal rito (improcedibilità) al rito/merito (inammissibilità, processuale e/o “meritale”) al merito vero e proprio (manifesta infondatezza). E ciò che più preoccupa è che dietro alla vaghezza di simili condizioni urge, come un meritorio mantra, la funzione strategica del filtro, che è quella di eliminare i contenziosi “zavorra”. È il caso di sperare che la Corte – vale a dire il Primo Presidente e i Presidenti di sezione – non lasci alla piena discrezionalità del singolo consigliere delegato la costruzione del nuovo modello di selezione interna del contenzioso di legittimità, perché una discrezionalità incontrollata, in una Corte suprema affollatissima ed eterogenea come la nostra, potrebbe produrre amare sorprese.
Che ci siano aspettative di selezione spietata è reso chiaro da taluni poco diplomatici passaggi della Relazione tematica dell’Ufficio del Massimario[3]: si legge in essa (punto 7) che è «necessario verificare nella applicazione concreta il successo di tale procedimento. Vi è, infatti, il rischio che la parte, giunta dinanzi alla Corte di cassazione, preferisca comunque chiedere la decisione e andare comunque avanti. Tuttavia, il nuovo rito accelerato prevede due importanti aspetti deflattivi: l’espresso richiamo dell’art. 96 c.p.c. in caso di decisione conforme alla proposta di definizione accelerata e, per altro verso, l’espressa esclusione dall’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato in caso di rinuncia della parte ad ottenere la decisione dalla Corte, successivamente alla valutazione preliminare di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza. Inoltre, l’aver previsto che l’istanza per chiedere la decisione debba essere sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale potrebbe concorrere al successo del nuovo strumento in esame. Infatti, la nuova procura speciale implica che la parte personalmente valuti i due aspetti deflattivi suindicati, tenendo conto dei vantaggi collegati alla rinuncia al ricorso (quali l’esenzione dall’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato) e le gravi conseguenze in caso di decisione conforme alla proposta preliminare (la condanna per responsabilità aggravata)» (nostro corsivo). “Rischio”, “gravi conseguenze”, “successo” ricollegato all’irrogazione delle sanzioni: le valutazioni (e le indicazioni per l’«applicazione concreta») che provengono dal Massimario non potrebbero essere più chiare.
Il preoccupante passaggio della Relazione del Massimario, sopra trascritto, porta l’attenzione su un altro elemento di novità, che in definitiva vale a ricostruire per quel che in effetti è la “motivata proposta” del delegato: ove infatti la parte non intenda accedere alla detta “proposta” (che, per quanto motivata, resta invariata nella sua funzione: il rilievo di una condizione di non decibilità del ricorso nelle forme ordinarie, che conduce direttamente all’estinzione e al passaggio in giudicato della decisione gravata) ha da presentare un’istanza – una vera e propria opposizione – rispetto alla quale il difensore deve munirsi di una nuova procura speciale[4], che, riteniamo[5], deve essere successiva alla “proposta” da reclamare. I redattori della disposizione hanno evidentemente pensato che la previsione del rilascio di una nuova procura speciale aveva il pregio di porre la “proposta” all’attenzione diretta della parte, saltando il filtro del difensore, il quale dovrà evidentemente giustificare al cliente l’errore di aver redatto un ricorso improcedibile, inammissibile o manifestamente infondato; ma non hanno all’evidenza considerato che proprio la necessità di una nuova procura svela la genuina portata del nuovo meccanismo di “filtro”: quella del consigliere delegato non è una proposta ma una decisione, di per sé idonea a definire (in rito, sia pure non sempre per motivi di rito) il giudizio di legittimità, avverso la quale è data alla parte interessata la possibilità di svolgere un’opposizione – ma serve un nuovo mandato, perché il primo si esaurisce nella fase preliminare, che è la “decisione accelerata” di cui è menzione nella rubrica della norma – all’esito della quale si ha accesso al collegio, cioè alla composizione della Corte costituzionalmente garantita. Riesce chiaro che il giudice singolo di Cassazione dialoga soltanto con le parti (non anche col PG, che resta all’oscuro del procedimento accelerato) e il suo provvedimento non ha nulla a che vedere con la “vecchia” proposta di decisione del relatore nel rito camerale perché non siamo dinanzi a un adempimento che muove verso una decisione collegiale: quel provvedimento, che bypassa il collegio così come l’Ufficio del PG, è già una decisione in sé, idonea a chiudere, senza giudicare, il giudizio di legittimità. Per presentarsi dinanzi al Collegio serve un atto d’impulso qualificato, del quale non si rinvengono precedenti nel processo di legittimità.
Riteniamo che i componenti della Sottocommissione Luiso che hanno redatto questo testo si siano assunti una gravissima responsabilità, si spera non troppo a cuor leggero. Si spera dopo aver attentamente considerato i profili di costituzionalità e di compatibilità ordinamentale.
Così come grave è la responsabilità scaricata (ancora una volta) sulla Corte, che dopo i fallimenti (e gli eccessi) dei “quesiti di diritto”, della Sezione sesta e della controversa giurisprudenza sulle inammissibilità create lavorando su concetti giuridici indeterminati, viene messa alla prova con uno strumento inedito e pericoloso, un’arma che può seriamente danneggiare l’immagine e la funzione stessa della Cassazione civile. Un “frutto avvelenato” che la nostra Cassazione non meritava, e che sta ora alla prudenza e saggezza dei Presidenti e dei Collegi (speriamo non soltanto dei singoli) manipolare con tutta la dovuta accortezza.
[1] Segnaliamo peraltro l’ottimo intervento di F.M. Giorgi, Riforma del processo civile in Cassazione: unificazione dei riti camerali e procedimento accelerato (focus sulle controversie lavoristiche), in Giust.civ.com dal 14 dicembre 2022; ci permettiamo di segnalare anche il nostro breve intervento di prossima pubblicazione in Il Foro Italiano, 2023, V, dal titolo Il giudice monocratico in Cassazione.
[2] L’esito sarà favorito dal fatto che il consigliere delegato proponente potrà far parte del Collegio decidente, e anzi con ogni probabilità farà da relatore!
[3] La n. 96 del 6 ottobre 2022, su PROCEDIMENTO CIVILE - IN GENERE. Lo schema di d.lgs. adottato in attuazione della l. n. 206 del 26 novembre 2021, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata - Il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione - Novità normative.
[4] Sulle difficoltà pratiche che questa previsione pone si rinvia al citato intervento di F.M. Giorgi, che contiene vari spunti di riflessione.
[5] Sebbene non sia espressamente richiesto, come avviene, ad es., nel caso dell’art. 35 bis, comma 13, d.lgs. n. 25 del 2008.