Sommario: 1. Treni e binari – 2. Prescrizione del reato, termini, risorse – 3. Le competenze e responsabilità costituzionali – 4.1. La successione delle discipline di prescrizione e l’organizzazione degli Uffici giudiziari di appello – 4.2. La riorganizzazione (inutile) della gestione dei ruoli di appello dopo l’art. 344-bis cod. proc. pen. – 4.3. Il problema “nuovo”: l’abbandono del 344-bis e la legge più favorevole – 5.1. Prescrizione originaria ed ex-Cirielli – 5.2. La frenesia 2017/2024 – 5.3. La nuova prescrizione – 6. Tre premesse – 7. Parentele confuse – 8. Accelerazione e risorse – 9.1. La nuova prescrizione e la legge più favorevole – 9.2. La disciplina transitoria non s’ha da fare: la lettera dei presidenti delle Corti di Appello e le accuse di intromissione – 10. La prematura morte del comma 1-ter e la grave sofferenza del comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. – 11. A cui chiedere…
1. Treni e binari
Immaginiamoci tre politici di tre partiti diversi che discutono animatamente su come devono essere le carrozze dell’alta velocità per collegare le città della Sicilia, quali fermate devono fare, il tempo massimo che il viaggio deve comunque durare. E succedendosi nel ruolo di componenti della maggioranza contingente modificano, volta per volta, le indicazioni e le decisioni su tipo di carrozze da utilizzare, durata massima del viaggio, numero e luogo delle fermate previste.
Tutto ciò mentre i binari o non esistono proprio o, quelli esistenti, non sarebbero idonei a reggere quelle carrozze e rimangono tali nel succedersi delle maggioranze contingenti. E nessuno di loro, cui compete in via esclusiva anche la decisione di fornire i binari indispensabili a reggere quelle carrozze, ovviamente contestualmente prevedendo e provvedendo in concreto le risorse per realizzare quei binari indispensabili, opera, appunto, perché binari idonei siano predisposti. Né tantomeno i tre operano insieme, mettendosi d’accordo sul realizzare comunque binari idonei, presupposto indispensabile perché possa parlarsi poi delle carrozze.
2. Prescrizione del reato, termini, risorse
Succede da anni con la problematica della prescrizione del reato.
Problematica, sia subito chiaro, che non è quella determinante per raggiungere la prospettiva costituzionale, ed europea, di una efficace giustizia giusta in tempi ragionevoli. La ricettazione di bicicletta da parte del recidivo reiterato qualificato si prescrive(va-rà) in ventidue anni due mesi venti giorni: evidente che ragionevole durata del processo e prescrizione sono temi diversi.
È d’altra parte certamente inaccettabile qualunque sistema dove l’unico evento certo che determini la fine del singolo procedimento sia la morte della persona nei cui confronti lo Stato procede (era il limite ignorato, ancorché assolutamente evidente, della legge n. 3 del 2019: giunti alla sentenza di primo grado, quale che fosse, la prescrizione si “sospendeva”, per non operare più fino alla definizione del processo, senza tempo se non la morte della persona nei cui confronti si procedeva).
Qualunque soluzione che voglia rispettare i principi costituzionali della obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale (unico che, a ben vedere, dovrebbe garantire il rispetto dell’altro fondamentale principio dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge), della giustizia giusta in tempi ragionevoli (che presuppone una decisione della singola causa nel merito delle questioni, che sia non solo tempestiva ma pure ‘giusta’, intesa come adeguata al singolo caso della singola persona, cui si sia pervenuti nel rispetto delle regole processuali e specialmente del contraddittorio efficace), della finalità risocializzante della sanzione penale (che presuppone comunque una contiguità tra fatto per cui si è proceduto e momento in cui la sanzione viene eseguita), presuppone, e pretende, che tutti i procedimenti penali possano, a fronte di una media buona organizzazione e una media diligenza degli operatori, essere definiti nei tempi massimi ritenuti di ragionevole durata.
In altri termini, qualunque indicazione di termine ultimo oltre il quale il procedimento si interrompe definitivamente (quale ne sia la storia passata e in corso) sicché l’aspirazione alla decisione nel merito (che non è pio desiderio di qualcuno ma presupposto della corretta ed efficace convivenza sociale) viene abbandonata, presuppone che chi decide quel termine ultimo fornisca le risorse ragionevoli perché, appunto con buona organizzazione e media diligenza degli operatori, effettivamente qualunque procedimento possa essere definito nel merito prima della sua consumazione.
3. Le competenze e responsabilità costituzionali
Nel nostro sistema costituzionale, l’indicazione del termine è competenza costituzionale del Parlamento, mentre la efficace utilizzazione delle risorse sufficienti allo scopo è competenza costituzionale del Ministro della Giustizia (art. 110: “spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”) che, però, ha obiettivamente a disposizione le risorse che ancora il Parlamento gli attribuisce.
Quindi, deve essere chiaro che il Parlamento che decide i termini ragionevoli per la trattazione dei procedimenti penali (dall’acquisizione della notizia di reato alla irrevocabilità della sentenza che ha deciso nel merito delle questioni) è anche l’Istituzione che deve mettere a disposizione le risorse indispensabili per ottenere il risultato. Quando poi, in ipotesi e come da tempo in Italia, la differenza della sede decisionale (Legislativo ed Esecutivo) si assottiglia (perché, ad esempio, il maggior numero delle norme sorge da conversioni di decreti legge o da voti di fiducia che inevitabilmente riducono il ruolo proprio del Parlamento, pur ovviamente in un contesto di assoluta legittimità formale), la relazione tra decisione su quali termini imporre, su quante e quali risorse mettere a disposizione per trattare tutti i procedimenti (art.3: “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”) e sulla loro modalità di utilizzazione diventa assolutamente pregnante.
Corollario banale è che l’indicare per la definizione di tutti i procedimenti pendenti, in ipotesi, termini che le risorse assegnate, pur efficacemente impiegate, oggettivamente non permettono di rispettare, porrebbe il tema, delicato ed estraneo a questo intervento, dell’ipocrisia politica. Specialmente se, in questa ipotesi, chi ha la competenza costituzionale per indicare i termini e fornire e poi efficacemente impiegare le risorse indicasse alla Collettività quali responsabili dell’inevitabile impossibilità di efficace e paritario funzionamento della Giustizia i suoi operatori (magistrati e personale amministrativo innanzitutto): operatori che, nel nostro sistema, sono appunto solo i destinatari di norme e risorse che altri stabiliscono, assegnano e organizzano.
Ovviamente, bene sarebbe invece prendersela con gli operatori della giustizia quando, messe a loro disposizione le risorse idonee ed indispensabili, questi, per loro incapacità o indolenza, non raggiungessero l’obiettivo prefissato.
4.1. La successione delle discipline di prescrizione e l’organizzazione degli Uffici giudiziari di appello
Alcune norme processuali hanno un particolare impatto sull’organizzazione degli Uffici giudiziari di appello.
Prescrizione, o improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, hanno come immediata conseguenza quella di determinare eventuali priorità nella trattazione dei procedimenti. Occorre quindi che ogni procedimento che perviene sia classificato e abbia una chiara e certa data entro la quale il processo si deve interrompere, o perché il reato si è prescritto o perché è maturato il termine di durata massima per un’utile trattazione, secondo il sistema del giorno.
In altri termini, l’organizzazione del ruolo complessivo di una corte di appello penale si orienta sulle date di prescrizione dei reati di ogni procedimento (e dal 2020 sulle date di maturazione del termine di durata massima), ovviamente valutando anche altri criteri (procedimenti con imputati in stato cautelare o con misura; gravità del reato; rilevanza sociale del fatto; altri, quantomeno quelli indicati dall’art. 132-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale).
Ogni volta che muta il regime della prescrizione/termine di durata massima occorre perciò,inevitabilmente, rivedere l’intera pendenza, fascicolo per fascicolo.
Quando il Legislatore accompagna alla modifica normativa una disciplina transitoria il lavoro, pur gravoso specialmente per le corti cha hanno una pendenza rilevante, è certamente più agevole: in tal caso e infatti il Legislatore che opera le scelte valoriali e di legalità che ritiene opportune, ovviamente tenendo conto della disciplina dell’art. 2 cod. pen. e della giurisprudenza costituzionale (è quanto accaduto, significativamente, nel 2005 con la radicale modifica introdotta dalla cd ex-Cirielli, la legge 251 del 2005). Quando manca una disciplina transitoria, il confronto fascicolo per fascicolo va operato alla luce del principio generale affermato dall’art. 2, comma 4: “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Ovviamente, secondo i casi, stabilire quale sia la disposizione più favorevole può essere esito di interpretazioni complesse e con conclusioni difformi: se decide il Legislatore (come appunto nel caso della legge 251/2005) vi è invece immediata certezza (e l’unica evenienza può essere la verifica di conformità ai principi costituzionale delle soluzioni adottate).
Nel settore penale il confronto tra la disciplina del tempo in cui fu commesso il reato e quella posteriore va operato, appunto fascicolo per fascicolo, materialmente operando sul singolo fascicolo cartaceo.
Questo per scelte pluriennali del Legislatore (la digitalizzazione solo del processo civile) e dell’Amministrazione/Esecutivo (le note carenze dell’originaria impostazione strutturale della piattaforma SICP, che attualmente accompagna la registrazione dei procedimenti penali nella fase delle indagini preliminari e nei due gradi del merito, non permettono di individuare per via informatica, con immediatezza, i dati organizzati necessari per il confronto).
4.2. La riorganizzazione (inutile) della gestione dei ruoli di appello dopo l’art. 344-bis cod. proc. pen.
Quando è stata introdotta la disciplina dell’art. 344-bis cod. proc. pen., con i termini di durata massima dei giudizi di impugnazione (operante per i reati consumati dal 01/01/2020), le corti di appello hanno dovuto organizzarsi sostanzialmente gestendo due ruoli distinti: quelli che seguivano il regime della prescrizione (meglio sarebbe dire delle varie tipologie di prescrizione: 2005 e 2017) e quelli cui si applicava il nuovo istituto della improcedibilità ex art. 344-bis (per i reati consumati dal 01/01/2020). Ruoli distinti perché i tempi entro i quali i processi dovevano essere trattati erano radicalmente diversi: per modo di calcolo e discipline di sospensione/interruzione/proroghe.
La coesistenza tra processi per cui operano le prescrizioni succedutesi e processi per i quali opera l’improcedibilità ex art. 344-bis non ha invece creato problemi di confronto ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen., perché, per efficace scelta del Legislatore, la distinzione ha operato sui tempi di consumazione del reato, operando quindi il regime della prescrizione per tutti i reati consumati fino al 31/12/2019 e il regime della improcedibilità per decorso dei termini massimi di durata per tutti i reati consumati a partire dal 01/01/2020.
Una volta che le corti di appello hanno riorganizzato tutto il ruolo della pendenza secondo una linea di spartizione comunque certa e chiara (la data di consumazione del reato), il Legislatore sta intervenendo nuovamente per tornare al solo istituto della prescrizione, ma con una disciplina diversa dalle precedenti e in grado di incidere anche su tutti i reati consumati dal 3 agosto 2017 (rientranti quindi nella cd. prescrizione Orlando: la legge 103 del 2017). Occorrerà perciò riverificare quantomeno tutti i procedimenti pendenti per reati consumati dal 3 agosto 2017 al giorno precedente l’entrata in vigore della nuova legge (approvata per ora da un solo ramo del Parlamento). Si tratta, per la maggior parte degli Uffici giudiziari di appello, di una parte consistente, se non maggioritaria, dell’intera pendenza.
Il tempo della verifica cartacea, fascicolo per fascicolo, non è a costo zero. È in verità, questo del costo zero, un tema che meriterebbe una trattazione a sé. Comunque, sarebbe auspicabile che il Legislatore avesse sempre chiaro, quando legifera, che il tempo/lavoro degli operatori della Giustizia è una risorsa economica che (quantomeno finché non saranno messi a disposizione dall’Amministrazione forse non auspicabili strumenti che permettano di essere, nello stesso spazio temporale, in due luoghi diversi per compiere due attività diverse) è limitata. O giudici e assistenti sono in udienza per trattare i processi, in cancelleria per predisporre gli atti per giungere correttamente alla trattazione, e così via, o sono a tirar giù dagli armadi, verificare e annotare, e poi a rimetter su, i fascicoli cartacei. Quando fanno l’uno e l’altro, necessariamente le previsioni organizzative degli obiettivi (anche quelli sollecitati da Legislatore ed Esecutivo per il P.N.R.R.) andrebbero probabilmente riviste al ribasso.
Ma, si dovrebbe in fondo convenire, questa è la fisiologia dell’attuale organizzazione delle risorse per la Giustizia.
4.3. Il problema “nuovo”: l’abbandono del 344-bis e la legge più favorevole
In realtà, questa volta vi è un importante problema nuovo.
Il confronto ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen., non deve avvenire solo tra due diverse prescrizioni (quella in ingresso e quella della legge 103 del 2017).
Deve riguardare (per i reati consumati dal 01/01/2020, ed è la prima volta nella storia interpretativa e giurisprudenziale sul punto) anche una disciplina ormai considerata sicuramente sostanziale (la prescrizione) e una disciplina tendenzialmente processuale (l’improcedibilità ex art. 344-bis cod. proc. pen.), per la quale dovrebbe operare il diverso principio del tempus regit actum.
Anticipando un approfondimento successivo: per gli imputati di reati consumati dal 01/01/2020 (con: una prescrizione massima di 7 anni 6 mesi per i delitti, quindi prime prescrizioni al 01/01/2026 e al 30/06/2027, salvo sospensioni, un’improcedibilità triennale, per l’appello, e di un anno sei mesi per la legittimità, poi biennale e annuale, salvo proroghe e sospensioni, diverse da quelle previste per la prescrizione) prevale la prescrizione sostanziale o l’improcedibilità processuale, e a che momento, per quest’ultima, si deve collocare il momento del confronto? Qual è la legge più favorevole ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.?
5.1. Prescrizione originaria ed ex-Cirielli
L’originaria disciplina codicistica della prescrizione, che prevedeva un tempo necessario a prescrivere per quattro classi di delitti (secondo l’entità della pena massima) e due per le contravvenzioni (secondo la natura della pena), aumentabili della metà, è stata modificata con la legge n. 251 del 2005, che ha introdotto il diverso parametro del massimo edittale per ciascun reato, con un minimo di sei anni efficace anche per i delitti con pena massima inferiore (quattro per le contravvenzioni), aumentabili in via generale di un quarto (con eccezioni).
Significativa anche l’aspetto pertinente il reato continuato: la prescrizione decorre dalla consumazione dell’ultimo reato (per la disciplina originaria); dal giorno di consumazione del singolo reato (per la legge 251/2005). E ovviamente anche questo aspetto è essenziale per lo spoglio preliminare dei fascicoli pervenuti in corte di appello e per la gestione del ruolo.
La legge n. 251 del 2005, consapevole dell’impatto della radicale innovazione ha introdotto una specifica disciplina transitoria, per la quale la fase processuale incide sull’eventuale applicazione delle nuove disposizioni quando più favorevoli: la soluzione supera il vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 236 del 2011, ordinanza 43/2012).
5.2. La frenesia 2017/2024
Nel 2017 inizia una nuova attivazione parlamentare.
La legge n. 103/2017 interviene prevedendo una nuova ipotesi di sospensione della prescrizione, collegata al fatto procedimentale della pronuncia di una sentenza di condanna. Anche in questo caso il consapevole Legislatore prevede una specifica disciplina transitoria, che applica questa nuova fattispecie di sospensione ai reati consumati dopo l’entrata in vigore.
Quando ancora non si sono verificati gli effetti di questa innovazione, anche se in realtà gli spogli dei primi fascicoli cui si applica il nuovo regime evidenziano che la doppia sospensione pare avere un effettivo impatto conservativo, interviene la legge n. 3 del 2019.
Prevede che dopo la sentenza di primo grado (quale ne sia il contenuto, quindi anche di proscioglimento) la sospensione della prescrizione operi fino alla data di esecutività della sentenza: di fatto è un’interruzione definitiva. Anche in questo caso vi è la disciplina transitoria: la sospensione opererà per i reati consumati dal 01/01/2020.
Contestualmente si torna alla regola originaria del codice per il caso della continuazione tra reati: la prescrizione (fino alla definizione del giudizio di primo grado) opera dal giorno in cui è cessata la continuazione.
La legge n. 134 del 2021 introduce l’istituto dell’improcedibilità ex art. 344-bis cod. proc. pen. per risolvere il problema del fine processo potenzialmente anche mai, determinato dalla legge n. 3 del 2019.
Ora, dopo circa due anni e mezzo (nei quali gli Uffici giudiziari di appello si sono riorganizzati i ruoli e le cancellerie secondo la contingente disciplina), si torna all’istituto della prescrizione.
5.3. La nuova prescrizione
È una prescrizione nuova, significativamente diversa da quella della legge n. 103/2017.
La Camera dei Deputati nella seduta n. 29 del 28/12/2022 aveva approvato in proposito l’ordine del giorno 9/00705/149 che “impegnava il Governo a predisporre, con una rivisitazione organica, il ripristino della prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio, rimuovendo le criticità attuali derivanti dalla legge 3 del 2019”.
Il giorno dopo, 29/12/2022, viene presentata la proposta di legge n. 745 che nella presentazione dice necessario ripristinare la precedente disciplina della prescrizione sostanziale come disciplinata dalla legge Orlando.
È fatto probabilmente significativo che in concreto il testo proposto richiama tale disciplina ma nulla dice sulla sorte dell’istituto della improcedibilità: stando a quel testo, i due istituti andrebbero a convivere, evidentemente a regime dovendo operare volta per volta il più favorevole all’imputato (prescrizione sostanziale o prescrizione processuale).
È invece un testo diverso quello approvato il 16 gennaio 2024 dalla Camera dei deputati, riunendo le proposte di legge C-893 che assorbe C-745, C-1036, C-1380, ora al Senato della Repubblica con il n. 985, assegnato il 31 gennaio.
Con il testo approvato dalla Camera occorre confrontarsi.
6. Tre premesse
6.1. Il raccordo tra la legge 3 del 2019 e la legge 134 del 2021 aveva probabilmente una significativa anomalia strutturale.
Consentiva infatti al giudizio di primo grado di consumare per intero oltre alla prescrizione ordinaria quella complessiva, comprensiva degli aumenti del quarto e degli altri speciali previsti dall’art. 161, comma 2, cod. pen., sicché il tempo di durata massima previsto autonomamente per la definizione del giudizio di impugnazione concorreva integralmente alla possibilità di utilizzare l’intero tempo di prescrizione utile entro il giudizio di primo grado.
È vero che, in realtà, i tre anni complessivi dei due giudizi di impugnazione (appello e cassazione), pur nella loro diversa declinazione (due anni, un anno; un anno sei mesi e un anno sei mesi), finivano con il corrispondere ai periodi di sospensione della prescrizione quali previsti dalla legge n. 103/2017 (cd. Orlando), sicché, in definitiva e per i contesti procedimentali non caratterizzati da peculiarità determinanti le proroghe previste dall’art. 344-bis, poco mutava.
Ma deve ritenersi che il senso complessivo del doppio regime, prescrizione e improcedibilità per superamento del termine massimo, avrebbe avuto più forza sistematica limitando alla sola prescrizione ordinaria il tempo pertinente il giudizio di primo grado. E questa modifica avrebbe potuto essere eventualmente fatta in un batter d’ali.
6.2. La dottrina e la politica hanno molto insistito sulla natura sostanziale della prescrizione e sulla natura brutalmente solo interruttiva della improcedibilità ex art. 344-bis. Si è appunto per esempio insistito sulla nozione di prescrizione processuale sganciata da qualsiasi apprezzamento di merito.
Non è questa la sede per approfondire il tema, enorme, della convivenza dei due sistemi (non dimentichiamo, imposta dalle vicende politiche delle maggioranze parlamentari dei due momenti: 2019, 2021, d’altra parte non potendosi come detto lasciare pendente una soluzione “fine processo certa solo con la morte”).
Ciò che però va osservato è che, in entrambi i casi, in concreto il processo penale si conclude per il mero decorso del tempo, con la prosecuzione del giudizio, in sede penale o in quella civile per il caso di presenza della parte civile.
Quanto all’improcedibilità ex art. 344-bis sarebbe per esempio bastato che il testo finale del decreto legislativo attuativo della legge n. 134 del 2021 accogliesse la puntuale proposta dei lavori preparatori di prevedere l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. anche per la pronuncia di improcedibilità, per giungere ad una soluzione che sostanzialmente rispondeva efficacemente alle critiche di sistema, in particolare per le sentenze di primo caso assolutorie e per il precluso pur limitato (si ricordi l’insegnamento delle Sezioni Unite Tettamanti sul concetto di “evidenza”) apprezzamento di merito.
D’altra parte, ogni approccio che esprima timore di sacrificio per i diritti dell’imputato, nei casi di cognizione contratta per la prescrizione o la deliberazione di improcedibilità, serenamente dimentica che l’una e l’altra sono sempre state rinunciabili. E incidentalmente deve osservarsi che, per sé, la prospettiva dell’agire cercando di ottenere il massimo evitando rischi pare coerente più a pur comprensibile umano atteggiarsi che a un principio costituzionale specifico, lo stesso diritto di difesa afferendo alla possibilità di efficace e vero contraddittorio e non all’interesse di ottenere il massimo senza ‘rischiare’ alcunché.
6.3. Per questo, le considerazioni che seguono esulano del tutto da una presupposta scelta pro o contro la prescrizione o l’improcedibilità per decorso del termine massimo di durata del giudizio di impugnazione.
Certa è solo la constatazione che così come la legge Bonafede del 2019 era intervenuta prima che si potessero constatare gli effetti della legge Orlando, ora si abbandona la scelta dell’improcedibilità (con le fatiche organizzative connesse, non a costo zero) prima di averne sperimentato gli effetti concreti.
7. Parentele confuse
7.1. È stato detto più volte, nel dibattito parlamentare, che questa nuova prescrizione mutuerebbe la propria soluzione dalla Commissione presieduta dal presidente Lattanzi e dalla stessa legge Orlando, quasi a cercare con i due riferimenti una sorta di legittimazione aggiuntiva a quella, assolutamente sufficiente, di scelte fatte nell’ambito della competenza responsabile di Legislatore.
La vicenda potrebbe essere un interessante caso di scuola per ragionare sull’attenzione sistematica che dovrebbe caratterizzare l’agire del Legislatore.
Perché quei richiami paiono, al confronto delle fonti, quantomeno problematici.
La soluzione approvata dalla Camera, e all’esame del Senato, abroga l’improcedibilità, reintroduce la prescrizione anche per i giudizi di impugnazione e torna alla legge Orlando quanto a calcolo della prescrizione ordinaria e complessiva (l’aumento del quarto facendo salve le deroghe in aumento intervenute nel tempo, che vengono anche incrementate) e a prescrizione del reato continuato.
Viene però radicalmente mutata la struttura della causa di sospensione costituita dalla deliberazione di una sentenza di condanna, mutuando da aspetti della legge Orlando e delle proposte della Commissione Lattanzi due novità che sono documentalmente incoerenti con le ragioni delle corrispondenti previsioni nelle due fonti richiamate.
In particolare.
Mentre la legge n. 3/2017 prevedeva che la sospensione fosse di un anno sei mesi per l’appello e di altrettanto tempo per la cassazione, salvo a venir meno nel solo caso di successiva assoluzione o annullamento con rinvio sul punto della decisione afferente l’affermazione di responsabilità, la legge in approvazione, modificando i termini di fase in due anni per l’appello e uno per il giudizio di cassazione (quindi sempre tre complessivi), prevede tuttavia che la sospensione salti anche nel caso in cui le sentenze del grado successivo siano “pubblicate” dopo la scadenza del rispettivo termine di sospensione.
Si è detto nel dibattito parlamentare che questa ipotesi di venir meno dell’effetto sospensivo era tra le proposte della Commissione Lattanzi.
Il che risponde al vero, ma in un contesto sistematico diverso.
La Commissione Lattanzi (Relazione, pp. 52 ss., paragrafo 3.2) aveva fatto due proposte alternative per superare l’impasse nel giudizio di impugnazione dopo la legge n. 3 del 2019. La prima (ipotesi B, p. 54 ss.) era la cessazione del corso della prescrizione con l’esercizio dell’azione penale e la previsione dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del processo, differenziati per i tre gradi di giudizio (da questa proposta era stata sostanzialmente presa la disciplina dell’attuale e morituro art. 344-bis).
La seconda (ipotesi A, p. 53 s.) prevedeva la sospensione del corso della prescrizione per due anni, dopo la sentenza di primo grado, e di un anno, dopo la sentenza di appello, appunto indicando che la sospensione cessava i propri effetti se la pubblicazione della sentenza non sopravveniva prima della scadenza del termine di sospensione. Però, contestualmente (p. 57, paragrafo 3.3, art. 14-bis), innanzitutto proponeva che per tutti i reati (con esclusione dei soli reati di cui agli artt. 51, commi 3-bis e 3-quater cod. proc. pen.) le interruzioni rilevassero fino ad un aumento della metà del tempo necessario a prescrivere (così tornando all’impostazione sul punto originaria del codice, modificata dalla legge 251/2005, ex-Cirielli) e, in secondo luogo, indicava la decorrenza della sospensione dalla scadenza del termine per proporre impugnazione.
È quindi evidente che questo effetto ‘condizionato’ della sospensione era proposto in un contesto di rideterminazione razionalizzante del termine massimo di efficacia delle interruzioni e, ancor più, in modo che la durata della sospensione fosse ‘effettiva’ e pertinente le attività dell’amministrazione giudiziaria e l’efficacia di questa.
7.2. Nella legge in approvazione, invece, i 24 mesi decorrono dalla scadenza dei termini di deposito della sentenza ex art. 544 cod. proc. pen. (anziché, appunto, dalla scadenza dei termini per impugnare).
Ciò innanzitutto significa, palesemente, che la durata utile della sospensione è, quantomeno, di ventidue mesi e quindici giorni, e non di ventiquattro come si assume. Va ricordato sul punto che la disciplina dell’improcedibilità ex art. 344-bis (molto attenta agli aspetti sistematici) prevede(va) che i termini (il biennio di appello e l’anno di legittimità) decorrano trascorsi novanta giorni dal termine che il giudice ha indicato per il deposito della sentenza: così il termine per provvedere è potenzialmente netto, perché i primi quarantacinque giorni sono quelli per l’impugnazione della parte interessata e i secondi quarantacinque dovrebbero assicurare le necessarie attività della cancelleria del giudice a quo e l’arrivo del fascicolo al giudice ad quem.
Al possibile rilievo che, in realtà, anche la legge Orlando prevedeva il decorso del termine di sospensione dalla scadenza del termine che il giudice si assegna per il deposito della sentenza, è agevole ribattere che la stessa però prevedeva come unica causa di vanificazione della sospensione la deliberazione assolutoria o che annullava sul punto della responsabilità. Quindi, a differenza della prossima prescrizione, se anche la sentenza del grado successivo non fosse stata pubblicata nel tempo della sospensione, quest’ultima avrebbe mantenuto la propria efficacia nel caso di deliberazione di conferma della responsabilità.
Detto in altri termini: quanto alla sospensione nella prossima prescrizione, il testo approvato alla Camera dei Deputati prende dalla proposta Lattanzi l’istituto del venir meno l’efficacia della sospensione nel caso di mancata pubblicazione della sentenza nel tempo in cui opera la sospensione, ma riduce di fatto i 24 mesi (che pur apparentemente afferma) perché il termine della sospensione decorre prima dell’inizio del termine per impugnare (normalmente di 45 giorni) e non prevede l’aumento della metà, anziché del quarto, del termine ordinario di prescrizione (che, nella proposta Lattanzi, andava in qualche modo a bilanciare la funzione acceleratoria del venir meno dell’effetto della sospensione). Prende poi dalla disciplina Orlando la decorrenza dal decorso del termine che il giudice ha indicato per la pubblicazione della sentenza, ma la sospensione della legge 103/2017 perdeva effetto solo nel caso di successivo proscioglimento o annullamento con rinvio sul punto della decisione afferente l’accertamento di responsabilità.
8. Accelerazione e risorse
In definitiva, c’è la novità della sospensione della prescrizione, ma la sua previsione è radicalmente e strutturalmente diversa dalla corrispondente disciplina prevista dalla legge Orlando e sostanzialmente abbandona il senso sistematico della proposta della Commissione Lattanzi.
E poiché l’evento che evita la sopravvenuta inefficacia della sospensione della prescrizione è la pubblicazione della sentenza, non già la sua deliberazione, nei 22 mesi e 15 giorni residui dopo il decorso del termine per impugnare dovranno verificarsi: la lavorazione del processo nella cancelleria del giudice che ha deliberato la sentenza, l’inoltro del fascicolo cartaceo al giudice dell’impugnazione, la trattazione del processo con la deliberazione del dispositivo, il deposito della sentenza.
Il che non è affatto impossibile.
Basta che chi delibererà la nuova disciplina ricordi che è suo obbligo costituzionale fornire la giustizia delle risorse di uomini e mezzi strumentali per lavorare decentemente. Che oggi difettano clamorosamente.
Rimane una probabilmente non confortante certezza: avremo ancora una prescrizione di ventidue anni due mesi e venti giorni per l’extracomunitario recidivo qualificato, processato per furto di una bicicletta.
9.1. La nuova prescrizione e la legge più favorevole
Si è già accennato che la nuova prescrizione pone evidenti problemi interpretativi per individuare, tra le leggi che vanno a succedersi, quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.
Basti pensare, e solo esemplificativamente, a due casi e un problema generale:
- per i reati consumati dal 3 agosto 2017 nella fase di appello, la durata della sospensione della legge Orlando è di diciotto mesi, ma ‘salta’ solo in caso di successivo proscioglimento o annullamento con rinvio sull’affermazione di responsabilità; la durata della prossima prescrizione è di ventiquattro mesi, ma oltre che nell’ipotesi di successivo proscioglimento o annullamento con rinvio sull’affermazione di responsabilità, ‘salta’ anche se il giudice di appello nei ventiquattro mesi non pubblica la sentenza; qual è la disciplina più favorevole?
- per i reati consumati dal 01/01/2020, oltre a rilevare la questione che precede (perché, se si ritenesse la nuova prescrizione meno favorevole, anche a questi dovrebbe applicarsi la disciplina della legge 103/2017), il termine massimo complessivo per definire i giudizi di impugnazione (appello e cassazione) è di tre anni (due appello, uno cassazione), a fronte degli almeno sette anni sei mesi previsti dalla prossima disciplina. E, comunque, la disciplina delle possibili proroghe previste dall’art. 344-bis in che modo entra nell’apprezzamento della legge più favorevole? Ancora, ma potrebbe dirsi prevalente la disciplina processuale sulla disciplina sostanziale?
- qual è il momento del confronto tra le discipline nel singolo processo: quello del giorno della effettiva trattazione o quello dell’entrata in vigore della disciplina nuova (evidente l’implicazione nella stessa possibilità di operare un efficace ri-spoglio dell’intera pendenza interessata)?
In assenza di disciplina transitoria, si tratta di risposte che debbono inevitabilmente essere date dalla giurisprudenza, ma il punto è che sono domande che ammettono risposte diverse, tutte seriamente argomentabili. E poiché l’attività di ri-spoglio della pendenza è particolarmente invasiva per la riorganizzazione dei ruoli e per il tempo/lavoro degli operatori, in particolare in periodo di obiettivi P.N.R.R. in corso e con implicazioni finanziarie europee e nazionali ben note, l’incertezza sulla risposta diviene costo non sostenibile. Se la soluzione giuridica seguita dal singolo Ufficio giudiziario risultasse poi nel tempo non condivisa dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite, occorrerebbe nuovamente ri-organizzare la pendenza.
9.2. La disciplina transitoria non s’ha da fare: la lettera dei presidenti delle Corti di Appello e le accuse di intromissione
È questa la pregnante ragione che, una volta constatato che né i testi che erano noti dai lavori parlamentari né il relativo dibattito parlamentare in corso parevano affrontare il tema di una contestuale disciplina transitoria chiarificatrice in grado di orientare tutte le Corti nella necessaria opera di riorganizzazione dei ruoli della pendenza (e ciò in discontinuità con la prassi parlamentare per tutti i precedenti interventi sulla prescrizione del reato), ha indotto i presidenti di tutte le Corti di Appello italiane a scrivere il 22 novembre 2023 al Ministro della Giustizia ed ai Presidenti delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato per rappresentare la problematica.
Nella lettera si segnalava che i problemi di diritto transitorio (che venivano specificamente indicati) questa volta erano assolutamente nuovi e peculiari, sicché l’assenza di una disciplina transitoria avrebbe condotto a un gravosissimo, poco governabile, e in definitiva inutile lavoro di rivisitazione delle pendenze, oltretutto purtroppo in un periodo di rilevantissime scoperture degli organici di magistrati e personale amministrativo e carenze di sistemi informatici efficaci.
Ovviamente la richiesta dei presidenti di Corte nulla diceva del merito della scelta prescrizione/improcedibilità e tantomeno del possibile contenuto della disciplina transitoria che si affermava indispensabile, nella consapevolmente riaffermata esclusiva competenza del Legislatore per il merito delle scelte.
Il Ministro ha dato atto dello spirito di leale collaborazione dimostrato anche in questa occasione e rimesso ogni apprezzamento alle valutazioni del Parlamento, trattandosi di iniziativa parlamentare il cui iter era in stato avanzato.
La stampa ha dato notizia delle reazioni negative di alcuni Parlamentari, dove si è parlato di boicottaggio bello e buono, di non necessità di alcun calcolo aggiuntivo per far partire la riforma, di assenza di alcun senso della norma transitoria, di ingerenza e tentativi di condizionamento del legislatore, di sufficienza dell’art. 2 cod. pen..
Una lettera dell’Unione delle Camere penali italiane dell’11 dicembre ha affermato che l’iniziativa rappresentava una “chiara e indebita intromissione da parte della magistratura nelle funzioni proprie del Parlamento, trattandosi di scelte che hanno un eminente contenuto politico”, “ulteriore passo in avanti … o indietro, verso il pericoloso superamento del principio della separazione dei poteri tipico delle democrazie liberali …”, “nuova (l’ennesima) forma di invasione degli spazi riservati al potere legislativo … veicolata … direttamente dai vertici delle Corti d’Appello d’Italia, come messaggio istituzionale”. Apparentemente la lettera non spiegava perché in realtà i problemi indicati non ci fossero o quali fossero le evidenti soluzioni sfuggite ai presidenti di Corte, né a chi avrebbero dovuto rivolgersi gli stessi per rappresentare il problema, oggettivo ed evidente, verso il quale si va, in un contesto di sofferenza pesantissima degli organici e di obiettivi P.N.R.R. da raggiungere pena gravi conseguenze finanziarie per l’intero Stato.
10.1 Dando seguito alla legge delega, il d. lgs. 150/2022 ha inserito nell’art. 581 i commi 1-ter e 1-quater, due norme funzionali alla contestuale previsione di tempi contingentati per la utile trattazione dei processi di impugnazione.
Come noto, il comma 1-ter prescrive che, a pena di inammissibilità, con l’atto di impugnazione debba essere depositata la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Chiara la ratio. La parte chiede il giudizio di impugnazione e contestualmente indica, nella forma della dichiarazione o elezione di domicilio, dove le si debba notificare l’avviso dell’udienza che tratterà l’appello che lui ha chiesto. Poiché contestualmente la nuova disciplina del giudizio di appello (incomprensibilmente differita di sei mesi in sei mesi, unica effettivamente a costo zero, disciplinante in modo analitico quel che il rito emergenziale disciplinava all’ingrosso) prevede il raddoppio dei termini per la citazione (da venti a quaranta giorni), mentre il 344-bis prevede i due anni come termine ordinario massimo, le modalità del precedente contatto imputato/ufficio di primo grado cessano di avere efficacia e l’appellante dice dove vuole essere citato, con ciò responsabilizzandosi anche in ordine alle problematiche della conoscenza effettiva del corso del giudizio.
Naturalmente, la previsione anche con la nuova prescrizione di una sospensione ‘subordinata’ alla pubblicazione della sentenza nei presunti 24 mesi (sono meno, come visto), mantiene l’attualità e significatività delle ragioni della norma.
La dichiarazione/elezione non deve essere successiva alla deliberazione della sentenza di primo grado, può quindi esserne utilizzata una rilasciata in precedenza. Non rileva la ricostruzione della successione temporali di eventuali plurime dichiarazioni/elezioni (con le pertinenti eventuali nullità): lo chiarisce inequivocamente il testo della norma: ai fini della notificazione del decreto di citazione al giudizio di appello. Ed è proprio il senso della previsione: la fase del primo giudizio è chiusa, con quella dichiarazione/elezione di domicilio (quando che sia stata rilasciata), allegata all’atto di impugnazione, si apre la fase di appello e solo quella rileva per la notifica del decreto di citazione al giudizio di secondo grado. Conoscenza certa, tempi di cancelleria celeri: arriva il fascicolo con l’atto di appello e la dichiarazione/elezione, con immediatezza si sa dove notificare il decreto. Più tempo per l’organizzazione della difesa e delle scelte di competenza (i 40 giorni), tempi celeri per la notificazione efficace.
Invece il comma 1-quater prevede che, se si è proceduto senza la presenza fisica dell’imputato in udienza, con l’atto di impugnazione il difensore sempre a pena di inammissibilità deve depositare anche lo specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza.
Ricordiamo che l’art. 571, comma 1, facoltizza l’imputato a proporre impugnazione pure a mezzo di un procuratore speciale, nominato anche prima della emissione del provvedimento. Procuratore speciale che può essere il medesimo difensore, che in tal caso esercita il potere spettante all’imputato.
Ricordiamo altresì che il codice Vassalli prevedeva, già dal testo originario, proprio lo specifico mandato per l’impugnazione della sentenza contumaciale [571, comma 3, seconda parte: “Tuttavia, contro una sentenza contumaciale, il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste]. La necessità del mandato speciale venne esclusa dopo dieci anni, dall’art. 49 della legge 479/1999. La ragione addotta nei lavori parlamentari dalla Relazione non fu un ripensamento della correttezza sistematica dell’istituto ma, solo, il consentire la possibilità dell’impugnazione della sentenza contumaciale anche al difensore d’ufficio, oltre che al difensore di fiducia, operando la soppressione dell’ultima parte del comma 3 dell’articolo 571 del codice di procedura penale, in base alla quale il difensore può proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale solo se munito di apposito mandato [sulla complessiva problematica sia consentito rinviare a https://www.giustiziainsieme.it/it/riforma-cartabia-penale/2664-limputato-del-giusto-processo-ovvero-degli-articoli-581-commi-1-bis-e-1-ter-cod-proc-pen-di-carlo-citterio ].
Norma, l’1-quater, contestata dall’Avvocatura, rivendicante sia il proprio diritto di impugnare nell’interesse dell’assistito anche quando questi inconsapevole della prosecuzione del giudizio, che le eventuali difficoltà al rintraccio dello stesso assistito.
Ora, con il nuovo giudizio in assenza è praticamente impossibile celebrare il giudizio di primo grado se non vi sia stato almeno un contatto tra imputato e difensore, occasione per rappresentare all’assistito, di ufficio o di fiducia, il tema anche dell’impugnazione (si è anche ascoltato che poiché il difensore non è collaboratore di giustizia, non compete a lui dare informazioni che, in qualche modo, finiscano con il ‘salvare’ la pretesa del mandato: se lo cerchi lo Stato, l’imputato anche se appellante; ovvero che il mandato trasformerebbe il rapporto officioso in rapporto fiduciario). Probabilmente, riflettendo sul contenuto di un originario mandato fiduciario e dell’assistenza anche con nomina di ufficio, sulle indicazioni della disciplina deontologica, sul fatto che il mandato per impugnare è atto procedimentale neutro (ai fini della qualità fiduciaria o officiosa dell’assistenza perché è atto che consente al difensore di presentare l’atto di impugnazione, anche nella permanente qualità di difensore di ufficio), le critiche sembrano fiacche.
Se poi l’imputato, ritualmente citato (si ricordi, con specifica informazione sul tema: artt. 157.8-ter, ultima parte, e 161.01, ultimo periodo) e consapevole, rifugge il contatto con il difensore, la condotta, e le sue conseguenze (mancata impugnazione) difficilmente troverebbero giustificazione e protezione nella normativa costituzionale ed europea [v. L’imputato del giusto processo, cit., par. 4/4.2].
10. La prematura morte del comma 1-ter e la grave sofferenza del comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen.
10.2 Altra norma imminente (Disegno di legge di iniziativa governativa ora n. 808-A Senato) alla lettera o) dell’art. 2, nel testo proposto dalla Commissione giustizia) abroga del tutto il comma 1-ter(dichiarazione/elezione di domicilio) e limita la previsione del mandato al solo difensore di ufficio.
Per quanto detto, sono norme funzionali ai tempi accelerati di celebrazione dei giudizi di impugnazione che anche con le soluzioni adottate per la prossima prescrizione il Legislatore ha confermato e pretende.
11. A cui chiedere…
Chissà, forse un giorno potremo incontrare un Legislatore, gestore dell’attribuzione delle risorse e del potere di creare le norme, cui chiedere cosa davvero pensa di un sistema giustizia che possa effettivamente raggiungere l’obiettivo di una giustizia giusta in tempi ragionevoli. Per tutti.