Focus sui programmi di scambio internazionale tra magistrati - 3. La magistratura rumena tra recente passato e immediato futuro
di Andrea Apollonio
[L’articolo segue a Focus sui programmi di scambio internazionale tra magistrati - 2. Il tirocinio presso il desk italiano di Eurojust “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”, I programmi di scambio internazionali tra le Autorità Giudiziarie di Marco Alma e all’Editoriale dedicato all'iniziativa]
Se è vero che la magistratura è lo specchio della società, questo vale sopratutto per quei Paesi che hanno vissuto fino a non pochi anni fa una dittatura, di qualsiasi colore essa sia stata. È vero però che, storicamente, i regimi autoritari che da ultimo sono caduti in Europa sono quelli socialisti: volendone citare i più significativi esempi, nella Germania dell'Est, in Polonia, in Bulgaria, in Romania. Proprio questo è forse il caso più interessante, essendo stato l'ultimo Paese in ordine di tempo ad approdare finalmente ad una pur embrionale democrazia, ed essendo stato l'unico ad avere bagnato nel sangue la transizione, con una rivoluzione (che è stata quasi una guerra civile) scoppiata nel dicembre del 1989 dal bilancio di oltre mille morti. Tra questi, vanno conteggiati anche Nicolae Ceausescu e sua moglie Elena, monarchi assoluti di un popolo da loro stessi ridotto alla fame, fucilati dopo un processo-farsa durato appena qualche ora, con cui è stato calato il sipario su uno dei regimi più aspri e sanguinari della galassia socialista.
Come tutti gli altri corpi sociali, anche la magistratura rumena ha dovuto ben presto fare i conti con un passato ignominioso. Essa era infatti completamente soggiogata al regime, sotto il tallone di un costante ricatto: la famigerata Securitate, il corpo speciale "di sicurezza" che rispondeva direttamente a Ceausescu e spiava sistematicamente buona parte della società rumena, non esitava a rapire, torturare e far sparire tutti coloro che esprimevano un dissenso, giudici compresi. Dissenso che, in ogni caso, nella magistratura era quasi del tutto inesistente; la dobbiamo infatti immaginare come un grigio corpo burocratico parte integrante del regime, chiamato ad applicare lo spirito (socialista) della legge, più che la legge stessa; ed era notorio che la pubblica accusa fosse espressione diretta del Partito, e che tramite i pubblici ministeri si esprimesse la volontà degli oligarchi, e da ultimo dello stesso Ceausescu (una dinamica molto ben descritta, rispetto al periodo fascista, nel romanzo di Sciascia "Porte aperte" e ancor di più nel rispettivo film di Gianni Amelio). Ma questo, in Romania, accadeva fino a ieri l'altro.
Oggi, nel 2022, tra le fila del potere giudiziario non sono più annoverati i magistrati che hanno esercitato le loro funzioni nell'ultimo scorcio del regime. In Romania si può andare in pensione dopo 25 anni di servizio (e molti lo fanno, perché pare convenga), mentre dopo i 60 anni occorrono speciali permessi concessi dal Consiglio Superiore della Magistratura per prolungare, di anno in anno, la loro attività. Oggi, a conti fatti, non rimangono nella magistratura rumena né testimonianze né scomode eredità, direttamente scaturenti da quel periodo. Anche anagraficamente, essa ha chiuso col suo passato, ed appare una magistratura europea a tutti gli effetti, forse anche "più europea" di quella dei Paesi c.d. "occidentali" o comunque fondatori della Comunità. Con poche eccezioni, le toghe conoscono approfonditamente la giurisprudenza sovranazionale (CEDU e UE), la praticano consapevolmente, e quasi a riprova vengono attivati con frequenza i rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia.
Oltre il Danubio si avverte, tuttavia, una certa distanza tra le diverse generazioni che compongono il potere giudiziario. Sopratutto la "nuova" magistratura, composta dalla classe degli Ottanta, da coloro cioè che il regime non l'hanno mai davvero conosciuto e non si trascinano le zavorre culturali di un vissuto gramo e privo di aperture all'esterno, da quei giovani che praticano le lingue, che hanno fatto l'Erasmus nelle capitali europee, che conoscono bene la storia di Falcone e Borsellino, che aderiscono in massa agli scambi promossi dall'EJTN e hanno appuntato sul bavero della giacca, molti di loro, la spilla delle bandiere europea e rumena accostate: sopratutto questa magistratura difende con tenacia la propria indipendenza da un potere politico che non esita a legiferare in senso opposto.
Sotto questo profilo, molte toghe criticano aspramente (ed apertamente) una legge del 2018 che accumula un eccessivo potere sui procuratori generali della Corte d'Appello nei meccanismi di avanzamento verso i più alti livelli della magistratura. È infatti principalmente tramite le valutazioni fornite da costoro che può essere dato corso all'avanzamento in carriera. Secondo alcuni si tratterebbe di un ritorno alla procedura con cui i "superiori gerarchici" fissano i punteggi per ciascun percorso professionale, procedura antecedente all'ingresso della Romania nell'Unione Europea. Del pari, si critica la possibilità di intervento del procuratore generale nazionale sui singoli casi investigativi.
È nel confronto su questi punti (cruciali, per un potere giudiziario inquirente) che si scorge una profonda differenza - culturale, diremmo - tra "vecchia" e "nuova" magistratura. Una spaccatura tra giovani e meno giovani, che come detto si spiega anche anagraficamente e sempre attraverso la cifratura di un buio passato socialista (di per sé estremamente conservatore), che alcuni hanno vissuto, altri no.
La stessa dinamica (lo stesso confronto, lo stesso scontro tra "alta" e "bassa" magistratura: distinzione che in Italia suona anacronistica ma che in Romania, invece, esiste e si avverte) si registra rispetto ad una previsione disciplinare certamente anomala nel contesto europeo, quella cioè che consente al Consiglio Superiore della Magistura di sanzionare una decisione presa da un organo giurisdizionale in difformità alle statuizioni della Corte Costituzionale. Su questo aspetto è intervenuta, censurandola come sostanziale limitazione all'indipendenza dei giudici, tanto la Commissione Europea quanto la Corte di Giustizia, cui è seguita una pronuncia - evidentemente autoreferenziale - della stessa Corte Costituzionale, che rispediva al mittente quei rilievi e coglieva l'occasione per mettere in discussione il primato della legge europea su quella nazionale di rango costituzionale. Un dejà vu, è vero; in molti altri ordinamenti europei (compreso quello italiano) il Giudice delle Leggi - pur con varie sfumature e diversi toni - si è soffermato sulla problematica coesistenza delle Carte, nazionali e comunitarie. Solo che in questo caso il corto circuito involge l'universale principio di indipendenza della magistratura, dal potere politico e dalle sue indirette espressioni. Perché in questo modo, senza troppi giri di parole, è vista, sopratutto dai magistrati più giovani, la Corte Costituzionale di Bucarest (i cui nove membri sono eletti dal Parlamento per due terzi e nominati dal Presidente della Repubblica per il restante terzo): una sorta di moderna evoluzione dell'incestuoso rapporto tra politica e giurisdizione che affonda le sue venefiche radici nella tormentata storia del socialismo rumeno.
Rende l'idea una immagine certamente suggestiva: sia l'intero Parlamento (Camera e Senato), sia la Corte Costituzionale, coabitano la mastodontica Casa Poporului, il mastodontico edificio (il secondo più grande al mondo per estensione, dopo il Pentagono americano) fatto elevare da Ceausescu a sua immagine e somiglianza, per dare sfogo al culto della propria persona, sulle macerie del centro storico di Bucarest.
Ma la legislazione rumena presenta anche aspetti molto evoluti. Colpisce, in particolare, il modo in cui sono stati impostati i principi di trasparenza e comunicazione delle notizie di pubblico interesse negli uffici giudiziari. Come per ogni soggetto pubblico, anche per questi è richiesta la nomina di un portavoce per garantire ai media l'accesso alle informazioni; e nella prassi si organizzano periodicamente conferenze stampa con le quali vengono presentate informazioni sui procedimenti giudiziari più rilevanti. Così, in molti uffici possono trovarsi degli angoli dedicati alla comunicazione, attrezzati in tutto e per tutto: con i podi, i microfoni e i pannelli istituzionali sullo sfondo (su cui campeggia il principio costituzionale di indipendenza: "judecātori sunt independenti si se supun numai legii"). E sempre in ossequio alla trasparenza, in tutti gli uffici pubblici vengono distribuiti all'ingresso depliant e vademecum che spiegano al cittadino il modo con cui egli può accedere alle informazioni di interesse: e la giurisdizione non fa eccezione, al punto che nelle sedi giudiziarie più grandi (es. nelle Corti d'Appello) vi sono dei totem touchscreen che forniscono con estrema facilità le informazioni di tutti i procedimenti pendenti (penali, civili, amministrativi e fiscali, questi ultimi assegnati a sezioni specializzate ma sempre coltivati dalla magistratura ordinaria), ad eccezione dei procedimenti che presentano dati sensibili (es. relativi a violenze di genere o alla sicurezza dello Stato); informazioni che pure possono essere acquisite comodamente da casa, soltanto accedendo al portale dell'ufficio giudiziario (tutti hanno il loro sito web).
Queste conquiste volte ad edificare una casa di vetro in cui il potere giudiziario possa esplicarsi nel solo interesse collettivo sono il risultato, a ben vedere, della fortemente perseguita adesione all'Europa avvenuta nel 2007, punto di arrivo (e relativo punto di partenza) di un progressivo avvicinamento agli ideali democratici che l'Occidente - anche grazie agli esempi dei numi tutelari della giustizia italiana - ha espresso nel tempo. Si è fatto cenno a Falcone e Borsellino, ebbene: nei documenti istituzionali della DIICOT (Direcția de Investigare a Infracțiunilor de Criminalitate Organizată și Terorism), ufficio inquirente specializzato nel contrasto al crimine organizzato e nella cooperazione internazionale, modellato sulla scorta dell'italiana Direzione Nazionale Antimafia ed istituito proprio al fine di rendere più concreto l'obiettivo di aderire all'Unione, si celebrano apertamente i due magistrati italiani quali "eroi" della seconda metà del ventesimo secolo. Non è, la loro, una inutile enfasi, ma la scoperta (dopo il lungo sonno di regime) di un senso di giustizia che, se contrapposto ai poteri criminali d'ogni genere e specie, può e deve essere portato avanti; condotto finanche alle sue estreme conseguenze. D'altronde, non è un mistero che i rumeni da sempre guardino all'Italia come Paese dalle comuni pietre miliari, e con una (talvolta ingiustificata) ammirazione. E dal 2007 questo sguardo si è fatto molto più ampio.
Come l'Europa ha cambiato la vita dei rumeni, essa parimenti ha forgiato, quasi ex novo, un sistema giuridico, che proprio per le sue origini ed il suo sviluppo può essere analizzato come una cartina di tornasole: quale direzione indica la modernità al diritto e ai suoi operatori? Una direzione che, comunque la si giudichi, passa attraverso le più recenti pulsioni della Storia e delle sue complessità: del rapporto tra politica e magistratura da un lato, e tra magistratura e società dall'altro.
Non è e non può essere, ovviamente, la Romania, un luogo di pellegrinaggio per i dogmatici alla ricerca dei grandi edifici concettuali (come può essere l'Italia o la Germania), né dei filosofi del diritto che ricercano il "naturale" spirito della legge (come può essere la Spagna o la Germania), né, ancora, dei pragmatici devoti al parametro aziendalista ed efficientista delle indagini e del processo (come possono essere i Paesi scandinavi): ma da tutti questi Paesi della "vecchia" o comunque dell' "attempata" Europa partono direttrici che confluiscono, oggi, nella grande centrifuga dell'Est: la nuova e più fragile frontiera europea, che da oggi assume come noto il significato di barriera nei confronti delle autocrazie, delle dittature. E il mondo del diritto, come anche l'esperienza rumena dimostra, non è certo chiamato fuori da questa sfida epocale.
*Andrea Apollonio ha frequentato, dal 7 al 18 novembre 2022, un general exchange EJTN in Romania, organizzato dagli uffici del pubblico ministero presso l'Alta Corte di Cassazione e Giustizia di Bucarest e presso la Corte d'Appello di Brasov.