GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Ancora sull'opposizione alla discussione da remoto

    Ancora sull'opposizione alla discussione da remoto[1].

    (nota a TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 22 giugno 2020, n. 2072)

    nota Redazionale.

    Con il decreto in esame, il Presidente della Sezione II bis del TAR Lazio ha rigettato l’opposizione del ricorrente alla discussione da remoto dell’udienza cautelare richiesta dal controinteressato, presentata in occasione del deposito dell’istanza di abbinamento della cautelare al merito e, dunque, motivata sulla sopravvenuta mancanza di interesse alla pronuncia cautelare.

    Il g.a., invero, nel respingere la suddetta opposizione, ha evidenziato come la stessa “perde[sse] la propria ragion d’essere, in quanto non sorretta da alcun interesse di tipo difensivo”, in quanto “ciascuna delle parti può disporre solo delle proprie facoltà processuali decidendo di liberamente sottrarsi alla discussione chiesta da altri optando per l’assenza, e potendo conseguentemente l’opposizione essere riferita alle sole modalità telematiche di discussione, con opzione per una discussione in praesentia e non da remoto”. Peraltro, sebbene la circostanza non ricorresse nella specie (trattandosi di domanda cautelare rinunciata), ha comunque ritenuto opportuno ricordare che il presidente ha il potere di valutare la necessità della discussione da remoto in alternativa al rinvio della trattazione della causa.

    Il giudice, infine, ha espressamente precisato che l’opposizione, connotandosi per la sua natura eccezionale e straordinaria, è un istituto “di stretta interpretazione e può precludere la discussione ‘da remoto’ solo se emergono insuperabili problematiche legate alla funzionalità del sistema informatico oppure eventuali esigenze difensive da intendersi ostative del contraddittorio ‘da remoto’ – in vista di una successiva discussione orale ‘in presenza’ – tanto più che le parti che non intendono intervenire alla discussione ben possono depositare note difensive ai sensi dell’art. 4, del decreto legge n. 28 del 2020”. (v. S.)

    [1] Sul tema si veda anche “L’istanza di discussione orale da remoto e la relativa opposizione. Prime applicazioni da parte del giudice amministrativo”, in questa Rivista, 22 giugno 2020.


    Covid-19, fase 2.  Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo.

    Covid-19, fase 2.  Pregi e difetti del diritto dell’emergenza per il processo amministrativo.

    Maria Alessandra Sandulli, Prof. ordinario di diritto amministrativo e di giustizia amministrativa, Università “Roma Tre”.

    Sommario: 1. Premessa: brevi cenni sulle norme emergenziali sul processo amministrativo dal d.l. n. 9 del 2 marzo al d.l. n. 28 del 30 aprile. - 2. La sospensione “mutilata” dei termini processuali disposta dal d.l. n. 23 dell’8 aprile. - 3. segue: una proposta correttiva. - 4. Ulteriori proposte correttive. - 5. L’apertura “condizionata” al contraddittorio orale nel d.l. 28 del 30 aprile.

    1.Premessa: brevi cenni sulle norme emergenziali sul processo amministrativo dal d.l. n. 9 del 2 marzo al d.l. n. 28 del 30 aprile.

    Il 4 maggio, con una settimana di anticipo rispetto agli atri processi e contestualmente all’avvio della, tanto attesa, ma per molti versi altrettanto temuta, “fase 2” (e alla conseguente riapertura degli studi professionali), il processo amministrativo esce dal periodo di sospensione straordinaria dei termini processuali avviata dalla legislazione emergenziale.

    Come noto, i termini del processo amministrativo erano stati inizialmente sospesi, analogamente a quanto disposto per gli altri processi, dall’art. 10 del d.l. n. 9 del 2 marzo 2020,  fino al 31 marzo (con espresso richiamo alla possibilità di rimessione in termini per errore scusabile dei termini scaduti nel periodo dal 23 febbraio al 2 marzo), per le sole “zone rosse” di cui all. 1 al d.P.C.M. 1 marzo 2020.

    Con l’aggravarsi della pandemia, unitamente all’immediata sospensione delle udienze, la sospensione dei termini è stata poi generalizzata (con la sola esclusione di quelli dei procedimenti cautelari) dall’art. 3 del d.l. n. 11 dell’8 marzo per il periodo dall’8 al 22 marzo, per essere ulteriormente estesa dall’art. 84, comma 1, d.l. n. 18 del 17 marzo[1], ora convertito nella l. n. 27 del 28 aprile, dal 23 febbraio al 15 aprile (ultimo giorno della prevista fase di sospensione delle udienze, camerali e pubbliche) e, da ultimo, ma limitatamente ai termini per la notificazione dei ricorsi giurisdizionali, fino al 3 maggio (ultimo giorno della “fase 1”) dall’art. 36 del d.l. n. 23 dell’8 aprile (pubblicato sulla G.U. del 9 aprile).

    L’estensione generalizzata del rimedio della tutela cautelare monocratica, chiamato ex lege a sostituire l’udienza cautelare fino al 15 aprile (salva una “apertura” straordinaria anticipata nel periodo dall’8 al 15 aprile nei casi previsti dall’art. 84, comma 2, del d.l. n. 18) e l’equilibrato utilizzo tendenzialmente fattone dagli organi giudicanti (spesso sin da subito riuniti informalmente da remoto per assumere decisioni condivise)[2] hanno peraltro consentito alla giustizia amministrativa di continuare ad offrire il suo “servizio” anche in fase di pandemia.

    Nel frattempo, il legislatore “affinava” le disposizioni per la celebrazione delle udienze, cercando faticosamente di bilanciare la temporanea sospensione della discussione orale, protratta fino al 30 giugno, con la presentazione di “brevi note” di udienza (cfr. ancora l’art. 84 del d.l. n. 18, che, abrogando l’art. 3 del d.l. n. 11, aveva, tra l’altro, soppresso la previsione dell’udienza telematica).

    Le ultime disposizioni di legge hanno tuttavia messo profondamente in crisi il principio del contraddittorio, che contraddistingue il “processo” dal “giudizio” e costituisce regola fondamentale e “naturale” di civiltà giuridica, coerentemente enunciata dall’art. 111, co. 2, Cost. (oltre che dall’art. 6 CEDU e dall’art. 47 della Carta di Nizza) e ribadita a chiare lettere dall’art. 2 del codice del processo amministrativo[3].

    Mi riferisco alla “sospensione mutilata” dei termini processuali disposta dal citato art. 36 del d.l. n. 23 e alla disciplina della discussione orale contenuta nel d.l. n. 28 del 30 aprile.

    2. La sospensione “mutilata” dei termini processuali disposta dal d.l. n. 23 dell’8 aprile.

    La protrazione fino al 3 maggio dei soli termini per la notificazione dei ricorsi disposta dall’art. 36 del d.l. n. 23 (al di là dei problemi derivanti dalla sua mancata considerazione nella legge n. 27 che, due settimane dopo, ha convertito in legge il d.l. n. 18, confermando la sospensione di tutti i termini processuali fino al 15 aprile[4]) ha sollevato serie perplessità nella parte in cui ha introdotto una inedita e irragionevole discriminazione tra la posizione dei ricorrenti (categoria nella quale, come chiarito anche dalla Relazione illustrativa al decreto e dalla Direttiva esplicativa adottata dal Presidente del Consiglio di Stato il 20 aprile 2020, rientrano evidentemente coloro che propongono/ripropongono qualsiasi tipo di azione dinanzi al giudice amministrativo: ricorsi in primo grado e in sede di impugnazione, in via principale e incidentale, introduttivi e per proporre motivi aggiunti o trasporre ricorsi straordinari, con la sola eccezione dei ricorsi meramente cautelari: azioni cautelari ante causam e appelli avverso le ordinanze cautelari di primo grado; analogamente, la sospensione dovrebbe valere per la riassunzione e la riattivazione del processo, nonché, come giustamente rilevato da autorevole dottrina, per i termini perentori previsti per la formulazione di eventuali eccezioni e per la riproposizione di eccezioni e censure in grado di appello) e quella di chi è chiamato invece a difendersi dalle altri censure, eccezioni e deduzioni.

    Come osservato in sede di primo commento alla novella[5], infatti, una volta che il Governo aveva ritenuto che, anche per il giudizio amministrativo (sia pure in termini ridotti rispetto a quelli stabiliti per i processi civile, penale, tributario e contabile), l’emergenza Covid-19 costituisse, almeno fino al 3 maggio, un oggettivo ostacolo all’effettivo esercizio del diritto di difesa, correttamente riconoscendo che essa implica indubbie difficoltà operative per la parte e per il difensore, non vi era ragione per “riservare” la “protezione” alle “azioni”, inopinatamente pretermettendo i diritti delle parti resistenti (in primo grado, quindi, connaturalmente, le amministrazioni) e controinteressate (in primo grado, il vincitore di una gara o di un concorso, il titolare di un permesso, ecc.), e, più in generale, la piena garanzia di “tutte” le parti di difendersi, “in ogni stato e grado del processo” dalle altrui azioni, eccezioni e controdeduzioni, nel richiamato doveroso rispetto del principio del contraddittorio.

    Non vi è dubbio, invero, che, pure per le attività “difensive”, anche e forse ancor più nei processi amministrativi (che hanno come parte una pubblica amministrazione e che tendenzialmente richiedono un’attenta e compiuta disamina di fascicoli documentali articolati e complessi), la straordinaria e imprevedibile emergenza Covid-19 ha creato difficoltà analoghe a quelle create per le “azioni” (si pensi, oltre alle attività di raccolta della procura, a quelle legate al reperimento, recapito, stampa e consultazione della documentazione, alle ricerche di dottrina e di giurisprudenza, alla possibilità di un adeguato confronto dialettico-documentale tra cliente/avvocato, ai limiti di utilizzabilità dei locali e delle risorse degli studi professionali, ecc.).

    La “spiegazione” data nella Relazione illustrativa, riferendosi allo “sfasamento tra la notifica del ricorso e il deposito delle correlative difese” previsto per la fase cautelare, non coglie evidentemente nel segno, in quanto tarato esclusivamente sulle attività difensive da svolgere nei ricorsi che si giovano del periodo di sospensione.

    Orbene, a parte l’eventualità (peraltro non rara) in cui lo stesso ricorrente ritenga di non giovarsi della sospensione, la discriminazione colpisce soprattutto – e seriamente – i giudizi in cui il ricorso è stato notificato prima del periodo di sospensione, e per i quali, nonostante la grave emergenza che ha giustificato la sospensione dei termini di tutti i processi fino all’11 maggio e di quelli per la notificazione dei ricorsi giurisdizionali amministrativi fino al 3 maggio, i termini per gli atti difensivi hanno continuato, autonomamente, a decorrere.

    Non può invero sicuramente dirsi “equo e imparziale” e rispettoso del principio “della parità delle parti” un processo in cui le parti (tendenzialmente quelle resistenti e controinteressate, ma non di rado anche gli stessi ricorrenti chiamati a rispondere alle altrui eccezioni e controdeduzioni) che, per mera (drammatica e assolutamente non prevedibile) (s)ventura, si sono trovate a incorrere nelle scadenze dei termini per il deposito dei documenti, memorie e repliche in vista dell’udienza nel periodo tra il 16 aprile e il 3 maggio, sono private del diritto a difendersi in modo adeguato contro le censure, le eccezioni e i rilievi che le loro controparti hanno potuto “tranquillamente” redigere e “documentare” in un periodo anteriore all’emergenza (circostanza che, evidentemente, consente a queste ultime una più agevole e limitata produzione documentale e difensiva in vista dell’udienza).

    Il pregiudizio è ancora più grave quando si consideri che, nello stesso periodo, i procedimenti amministrativi sono stati sospesi[6] (sospensione che il medesimo d.l. 23 ha peraltro protratto al 15 maggio, termine ancora diverso da entrambi quelli di sospensione processuale) proprio per la riconosciuta difficoltà di operare degli uffici pubblici, pur fondamentali per il recupero dei documenti e per la redazione delle memorie, e, che, all’epoca dell’adozione del d.l. 23, in forza dell’art. 84, co. 5, d.l. 18 del 2020, almeno fino al 30 giugno, era impossibile una trattazione orale e che tale possibilità è tuttora preclusa fino al 30 maggio e, come si dirà, resa estremamente difficile fino al 31 luglio.

    Quest’ultima circostanza dovrebbe, oggi più che mai, indurre il legislatore e i giudici ad assicurare massima garanzia di effettività al contraddittorio “scritto”. Proprio nella consapevolezza dei limiti della trattazione orale nel processo amministrativo, il codice del processo amministrativo, introducendo la memoria di replica “ai documenti e alle memorie” depositati dalle altre parti “in vista dell’udienza”, ha fermamente voluto che il giudice, prima di definire la causa nel merito, fosse “pienamente” edotto delle diverse posizioni fatte valere in giudizio. E, per questa ragione, il d.l. 18 del 17 marzo (art. 84, co. 5)[7], smentendo il parere reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sull’art. 3 del d.l. 11 dell’8 marzo[8], si era espressamente preoccupato di garantire la rimessione in termini a chi, impedito, per effetto della sospensione dei termini processuali (dall’8 marzo al 15 aprile), della possibilità di rispettare i surrichiamati termini di deposito, desiderasse comunque avvalersene, e ha conseguentemente condizionato all’accordo di tutte le parti la “rinuncia” a tale forma di contraddittorio scritto.

    La necessaria simmetria tra il diritto di azione e quello di difesa è del resto confermata dalla legge di conversione del d.l. 18 (successiva, si ricorda, di ben due settimane, al d.l. 23), nella parte in cui, aggiungendo un comma 1-bis all’art. 103 dello stesso decreto, afferma (in via retroattiva e dunque interpretativa, con valenza generale) che la sospensione temporale dal 23 febbraio al 15 aprile trova applicazione anche “ai termini (…) di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di  ricorsi giurisdizionali”.

    Come già osservato, l’asimmetria creata dal d.l. 23 (ma, come detto, già inaccettabilmente prospettata dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato in riferimento al d.l. 11 e opportunamente esclusa, almeno fino al 15 aprile, dall’art. 84 del d.l. 18) induce allora tristemente a chiedersi, soprattutto se, come chi scrive, si crede nell’importanza del ruolo del giudice amministrativo[9], perché questa gravissima e inaccettabile limitazione del diritto di difesa, con palesi effetti sperequativi per le parti “non attrici” (sofferti, si insiste, in primis, dall’amministrazione) viene introdotta proprio e soltanto nel giudizio amministrativo, chiamato dalla Costituzione a garantire, accanto alla tutela degli amministrati “nei confronti della pubblica amministrazione” (art. 103), anche, e ancor prima, “la giustizia nell’amministrazione” (art. 100). La risposta è ancora più difficile quando si confronti la scarsa considerazione riconosciuta dal d.l. 23 alle parti resistenti e controinteressate con quella che il codice del processo amministrativo ha dimostrato di voler loro, correttamente, riconoscere, quando ha ridisegnato le tempistiche e le garanzie della fase cautelare[10], proprio per assicurare che anche dette parti fossero poste “effettivamente” in grado di rappresentare al giudice le proprie ragioni e che quest’ultimo potesse “effettivamente” decidere “cognita causa”. Il riconoscimento (doveroso e corretto) di questa esigenza in fase cautelare rende ancora più gravemente irragionevole la sua assoluta pretermissione nella fase del merito.

    3. segue: una proposta correttiva.

    Un doveroso spirito costruttivo aveva pertanto indotto la scrivente a cercare possibili soluzioni per evitare prevedibili eccezioni di illegittimità costituzionale della disposizione asimmetrica e prevedibili impugnazioni (con rinvio) delle decisioni eventualmente assunte in sua applicazione, con conseguente, fondato, rischio di un allungamento della durata del processo ben maggiore di quelli, purtroppo “fisiologici”, legati all’emergenza Covid-19.

    Provando a ragionare sulle tempistiche processuali e sugli effetti dell’art. 84, comma 5, del d.l. 18 - che, come detto, riconosce, comunque, il diritto alla rimessione in termini per recuperare quelli (calcolati “a ritroso” dalla data di udienza) rientranti nel periodo “simmetrico” di sospensione dall’8 marzo al 15 aprile (e retroagiti pertanto ex lege al 7 marzo) - sono infatti comunque a rischio di rinvio:

    - per i riti abbreviati, tutte le udienze calendarizzate, fino al 6 maggio incluso (per le quali anche i “primi” termini a ritroso, ovvero quello di 20 gg liberi per il deposito dei documenti, ricadrebbe nel periodo di sospensione); e,

    - per i riti ordinari, tutte le udienze calendarizzate fino al 26 maggio incluso (per le quali anche i “primi” termini a ritroso, ovvero quello di 40 gg liberi per il deposito dei documenti, ricadrebbero nel periodo di sospensione).

    Dopo tali date, per effetto della sospensione “mutilata” prevista dall’art. 36, comma 3, del d.l. 23, sarebbero però esposte al rinvio per rimessione alla Corte costituzionale o, peggio, al rischio di nullità per violazione del giusto processo anche le udienze celebrate fino al 25 maggio per i riti abbreviati e fino al 15 giugno per quelli ordinari.

    Si era dunque proposto di “emendare” (in via di massima urgenza) il testo dell’art. 36, co. 3, d.l. 23, estendendo la sospensione fino al 3 maggio incluso anche ai termini processuali di cui all’art. 73, comma 1, del codice del processo amministrativo (deposito di documenti, memorie e repliche), “temperandola”, in ragione delle esigenze organizzative dei giudizi amministrativi, con la dimidiazione degli stessi termini anche per i riti ordinari con riferimento alle udienze fissate fino al 15 giugno, per le quali le scadenze dei termini ordinari cadevano nel periodo dall’8 marzo al 3 maggio.

    Tale sistema, ferma la possibilità delle parti di accettare comunque il passaggio della causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, d.l. n. 18, avrebbe consentito di garantire la legittimità di tutte le udienze (pubbliche o camerali diverse da quelle cautelari), anche dei riti ordinari, calendarizzate a partire dal 25 maggio (per le quali i “nuovi” termini di scadenza sarebbero tutti successivi al 4 maggio).

    4. Ulteriori proposte correttive.

    Si era altresì (vanamente) suggerito di cogliere l’occasione per stabilire che, in deroga alle regole generali del codice del processo amministrativo (che la giurisprudenza interpreta nel senso della indisponibilità dei termini “a difesa”, in quanto posti anche a garanzia di una piena cognizione della causa da parte de giudice), i depositi di cui all’art. 73, comma 1, effettuati nel periodo di sospensione, potessero ritenersi validi se le parti ne avessero fatto congiuntamente richiesta entro 6 giorni liberi (dimidiati a 3 per i riti abbreviati) dall’udienza.

    Da ultimo, si era segnalato che il Governo aveva perso un’importante occasione per risolvere la grave incertezza sulla sospensione dei termini per la presentazione dei ricorsi straordinari (e per l’opposizione agli stessi)[11] e per i giudizi pendenti dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche[12].

    Altri autorevoli commentatori avevano condivisibilmente rappresentato l’esigenza di eliminare la previsione della possibilità di decidere nel merito in sede cautelare ex art. 60 c.p.a. “omesso ogni avviso alle parti[13].

    Nessuna di queste indicazioni è stata tuttavia presa in considerazione e, anzi, il d.l. n. 28 del 30 aprile ha inferto un nuovo, durissimo, colpo al principio del contraddittorio e della parità delle armi nel processo amministrativo.

     5. L’apertura “condizionata” al contraddittorio orale nel d.l. 28 del 30 aprile.

    Come anticipato, il cd “decreto Credito o decreto Liquidità” è nuovamente intervenuto sul processo amministrativo emergenziale disegnato dall’art. 84 d.l. 18 del 17 marzo convertito nella l. 27 del 24 aprile per disciplinare le prossime modalità di svolgimento delle udienze.

    I fondati dubbi di legittimità costituzionale espressi da due “commentatissime” ordinanze gemelle del 21 aprile scorso della sesta sezione del Consiglio di Stato sul “contraddittorio cartolare coatto”[14] e l’esigenza di un sollecito ritorno alla discussione orale rappresentata – in varie sedi – anche dagli avvocati amministrativisti e dalle relative associazioni e fortemente sostenuta da autorevoli esponenti dell’accademia e della magistratura[15], in un coro unanime a favore del contraddittorio orale, inducevano a confidare nell’imminenza di una “effettiva” apertura delle udienze (camerali e pubbliche) con la partecipazione delle parti in modalità da remoto.

    Il d.l. 28, che dedica alla giustizia amministrativa l’art. 4, ha però deluso le aspettative[16].

    Le disposizioni di più immediato interesse sono contenute nel comma 1 e costituiscono purtroppo un grave esempio di confusione e di incertezza.

    La novella, perdendo un’opportuna occasione per riparare alle criticità e alle carenze sopra rappresentate, è, come anticipato,  intervenuta soltanto sulle udienze.

    L’art. 4 si apre innanzitutto con la proroga di un mese (dal 30 giugno al 31 luglio) del termine del periodo in cui le udienze dovranno essere celebrate con le modalità “emergenziali”.

    A tale proposito, giova ricordare che l’art. 84, comma 5, del d.l. n. 18, convertito nel frattempo (senza modificazioni) nella l. 27 del 24 aprile, dispone che “Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 30 giugno  2020,  in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo,  tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in  udienza  camerale sia in udienza pubblica,  passano  in  decisione,  senza  discussione orale,  sulla  base  degli  atti  depositati,   ferma   restando   la possibilità di definizione del giudizio ai  sensi  dell'articolo  60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso. Le  parti hanno facoltà di presentare brevi note  sino  a  due  giorni  liberi prima della data fissata per la trattazione. Il giudice,  su  istanza proposta entro lo stesso termine dalla parte che non si  sia  avvalsa della facoltà di  presentare  le  note,  dispone  la  rimessione  in termini in relazione a quelli che, per effetto  del  secondo  periodo del comma  1,  non  sia  stato  possibile  osservare  e  adotta  ogni conseguente  provvedimento   per   l'ulteriore   e   più  sollecito svolgimento del processo. In tal caso, i termini di cui all'articolo 73, comma 1, del codice del processo amministrativo  sono  abbreviati della metà, limitatamente al rito ordinario”.

    La riferita (mera) proroga di un mese del termine del 30 giugno (senza ulteriori modifiche del surriportato comma 5) implica dunque che, fino al 31 luglio, la discussione orale potrà essere sostituita dalle “brevi note”, da presentare entro due giorni liberi prima dell’udienza.

    A parte i dubbi (a mio avviso non condivisibili, ma comunque meritevoli di segnalazione per l’autorevolezza della loro provenienza[17]) sul carattere perentorio del termine e sulla sua dimidiabilità nei riti abbreviati, merita, al riguardo, evidenziare che, come segnalato in altra occasione[18], la coincidenza del momento per rinunciare alla rimessione in termini con quello della presentazione delle brevi note può creare un ulteriore problema di garanzia del contraddittorio, in quanto non consente repliche a tale forma “straordinaria” di difesa scritta che, proprio per la sua valenza sostitutiva della discussione, può contenere eccezioni e controdeduzioni che avrebbero indotto a chiedere il rinvio e alle quali non sembra costituzionalmente legittimo precludere a priori il diritto di replica.

    Il secondo periodo dell’art. 4, mitigando la notizia negativa della suddetta proroga, aggiunge poi che “dal 30 maggio e fino al 31 luglio 2020 può essere chiesta discussione orale con istanza depositata entro il termine per il deposito delle memorie di replica ovvero, per gli affari cautelari, fino a cinque giorni liberi prima dell’udienza in qualunque rito, mediante collegamento da remoto con modalità idonee a salvaguardare  il  contraddittorio  e  l'effettiva partecipazione dei difensori all'udienza, assicurando in ogni caso la sicurezza e la funzionalità del sistema informatico della  giustizia amministrativa e dei relativi apparati e comunque  nei  limiti  delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici”.

    La disposizione è di difficile interpretazione e lascia già avvertire le insidie che saranno meglio articolate e dettagliate nei successivi passaggi della novella.

    La prima investe lo stesso periodo della sua operatività. Dal momento che il 31 luglio è indicato anche come termine del periodo emergenziale (sicché, dal 1 agosto, almeno le udienze cautelari, dovrebbero in tesi poter essere celebrate in presenza), pare coerente pensare che le date si riferiscano alla celebrazione delle udienze e non alla presentazione delle istanze. È però a questo punto difficile comprendere il senso dell’individuazione del dies a quo nel 30 maggio, che è un sabato, invece che nel 1 giugno, che è un lunedì, e per giunta il primo giorno del mese Sembra appena il caso di osservare che, se il termine fosse riferito alla presentazione dell’istanza, la possibilità di celebrare udienze con discussione orale sarebbe ulteriormente dilazionata (di 5 giorni per le udienze cautelari e di 10 o addirittura 20 giorni per quelle di merito).

    Il generico riferimento alla presentazione di un’istanza, senza ulteriori precisazioni o condizioni, fa (falsamente) illudere quanti, di fronte alla bozza del decreto-legge, avevano immediatamente rilevato l’inaccettabilità della regola (contenuta in quella originaria versione), che subordinava la discussione orale a una “istanza congiunta”. Purtroppo l’illusione dura poco e la lettura del terzo periodo aggrava l’amarezza del risveglio di un 1° maggio in lock down. I possibili limiti all’accoglimento dell’istanza erano del resto, a ben vedere, già preconizzati nel riferimento (nella seconda parte del secondo periodo) alle “modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei difensori all’udienza”. La formula, estremamente generica, rischia invero di aprire il fianco alla possibilità di condizionare (in ogni caso) l’accoglimento dell’istanza non soltanto alla sussistenza di idonee “modalità tecniche”, ma anche all’effettiva possibilità, per varie ragioni personali, dei singoli difensori (o delle parti nei casi in cui essi non siano necessari) di connettersi da remoto. Preoccupa parimenti l’inciso “comunque nei limiti delle risorse attualmente assegnate ai singoli uffici”. Nasce a questo punto spontanea la domanda se, nel disegno del d.l. 28, la discussione orale sia, come dovrebbe essere, un diritto effettivamente esercitabile dal 30 maggio (recte, dal 1 giugno) o semplicemente un auspicio, che può realizzarsi solo all’esito del superamento di una serie di “soffocanti” ostacoli.

    Il primo, enorme, ostacolo è purtroppo svelato già dal terzo periodo: l’istanza, in realtà, deve essere accolta (sempre che sussistano le predette condizioni) soltanto se presentata “congiuntamente da tutte le parti costituite”!!.

    La disposizione solleva ictu oculi rilevanti questioni di ordine sostanziale e procedimentale.

    Sul piano sostanziale: premesso che la discussione è momento fondamentale del contraddittorio non soltanto per una interlocuzione diretta col giudice, ma anche per consentire un effettivo diritto di replica alle difese delle altre parti, come può essere effettivamente garantito un contraddittorio che vede prevalere la posizione di chi vieta alle altre parti di un loro diritto?

    Sul piano procedimentale: innanzitutto, cosa vuol dire “congiuntamente”? Al di là della facile ironia su un termine che in questa fase emergenziale sta offrendo massimo stimolo alla nostra fantasia, non si può certo pensare che la richiesta debba essere unica/contestuale (complicazione evidentemente inutile) e si deve dunque più logicamente ritenere che essa debba essere semplicemente concorde/condivisa da tutte le parti costituite.

    Un ulteriore (e tutt’altro che minimale) problema è determinato dalla scansione temporale dei termini di presentazione dell’istanza, se valutati in rapporto con i termini per i depositi in vista dell’udienza. Il tema è di massima e immediata evidenza per le udienze cautelari, per le quali le parti possono costituirsi fino al giorno dell’udienza e depositare scritti e documenti fino a due giorni liberi (ridotti a uno nei riti abbreviati) o addirittura, se autorizzati dal presidente, fino all’apertura della stessa udienza (art. 55 c.p.a.). Ne consegue che la decisione “congiunta” deve essere presa “al buio” in un momento in cui il contraddittorio è evidentemente incompleto. Il problema si pone peraltro anche per le udienze pubbliche, atteso che la coincidenza del termine per l’istanza con quello per il deposito delle repliche ripropone la questione rappresentata con riferimento alla coincidenza del termine per la richiesta di rimessione in termini e quello per la presentazione delle brevi note di cui all’art. 84, comma 5, d.l. 18.

    Sembra dunque che, ancora una volta, il legislatore abbia preso in considerazione soltanto le esigenze organizzative degli uffici della giustizia amministrativa, sicuramente fondamentali, ma evidentemente non uniche, senza tenere in debito conto la garanzia di un contraddittorio effettivo pur ampiamente curata dal codice processuale.

    La lettura degli ulteriori passaggi della novella non offre purtroppo elementi di conforto.

    Negli altri casi – si legge nel quarto periodo – il presidente del collegio valuta l’istanza, anche sulla base delle eventuali opposizioni espresse dalle altre parti alla discussione da remoto”. Si conferma dunque che le parti non interessate o contrarie alla discussione orale (le “altre parti”) possono (oltre a non presentare la relativa istanza) rappresentare la propria impossibilità di partecipare all’udienza (circostanza che, a regime, può già determinare un rinvio se il presidente lo accorda), o anche semplicemente “opporsi” a che l’istante o gli istanti discutano (!). Starà dunque ai presidenti (e alla loro sensibilità, inevitabilmente condizionata dall’affollamento dei ruoli e dalle esigenze organizzative) operare un bilanciamento dei contrapposti interessi e accogliere o meno l’istanza alla luce del comportamento (semplicemente inerte, più o meno giustificatamente, contrario, o, magari, anche tardivamente adesivo) delle “altre parti”. In assenza di un termine massimo entro il quale queste ultime possono esternare le ragioni di mancata presentazione dell’istanza, gli originari presentatori di questa saranno però lasciati nell’incertezza sul relativo accoglimento.

    L’incertezza sull’apprensione delle concrete modalità di celebrazione dell’udienza (con o senza discussione orale) è confermata dal quinto periodo, che – opportunamente – prevede la possibilità che, anche in assenza di istanza di parte, il presidente del collegio disponga, comunque, qualora lo ritenga necessario, “con decreto”, la discussione orale da remoto.

    Manca però anche in questo caso l’indicazione del termine entro il quale le parti saranno rese edotte della decisione assunta.

    Il tema è di notevole importanza dal momento che, come visto, l’art. 84 del d.l. 18 “bilancia” l’impossibilità di discussione orale con la presentazionedi “brevi note”, che le parti devono dunque avere il tempo di predisporre.

    Il sesto periodo si limita invece a prevedere che “in tutti casi in cui sia disposta la trattazione da remoto, la segreteria comunica, almeno un giorno prima della trattazione, l’avviso dell’ora e delle modalità di collegamento”. La comunicazione riguarda dunque soltanto le modalità organizzative, ma presuppone, evidentemente, una decisione già assunta e, per quanto detto, necessariamente già resa nota alle parti.

    A sua volta, la formula “almeno un giorno prima” per la comunicazione della segreteria è tutt’altro che chiara: ragionevolmente, dovrebbe essere letta come “entro le h 24 dell’antivigilia” dell’udienza (retroagenti alle h 24 del primo giorno non festivo se l’antivigilia fosse festivo).

    Il settimo e l’ottavo periodo “entrano” nella nuova “udienza”, stabilendo rispettivamente che il verbale di udienza dia atto delle modalità con cui si accerta l’identità dei partecipanti e la libera volontà delle parti (da eventuali illeciti condizionamenti) anche ai fini della disciplina sulla privacy; e che il collegamento da remoto è considerato udienza (camerale o pubblica) a tutti gli effetti.

    Gli ultimi due periodi cercano ulteriori strumenti per arginare il rischio di “appesantimento” dell’udienza nell’ipotesi in cui, nonostante gli ostacoli già disseminati sull’arduo percorso di chi intende valersi del diritto a discutere, le udienze da remoto stimolino una maggiore mole di discussioni orali.

    Il nono periodo, per “incentivare” la rinuncia in extremis alla discussione, introduce infatti la possibilità che “in alternativa alla discussione (verosimilmente nei casi diversi da quello in cui sia stata disposta in via ufficiosa dallo stesso giudice ai sensi del quinto periodo) possono essere depositate note di udienza fino alle ore 9 (del tutto ultronea, tanto più in un contesto così avaro di precisazioni, la specificazione “antimeridiane”) del giorno dell’udienza stessa o richiesta di passaggio in decisione e il difensore che deposita tali note o tale richiesta è considerato presente a ogni effetto in udienza”. La rinuncia alla discussione, come nell’udienza in presenza, non preclude evidentemente in questo caso la discussione delle altre parti.

    Si tratta peraltro di una regola che, come più volte suggerito, potrebbe essere introdotta anche a regime, ma che richiederebbe una chiara e rigorosa delimitazione dimensionale delle suddette note di udienza.

    Tanto più che la seconda misura “anti appesantimento” delle udienze prevista dal decimo e ultimo comma dell’art. 4, comma 1, d.l. 28 riguarda l’introduzione, dopo il tanto criticato contingentamento delle dimensioni degli scritti difensivi, di quello dei tempi della discussione, che la novella demanda di stabilire a un apposito decreto del Presidente del Consiglio di Stato recante misure di “digitalizzazione” che dovrebbe riguardare, inter alia, l’introduzione di modalità telematiche anche nel procedimento per ricorso straordinario[19].

    Riemerge dunque la preoccupazione, sollevata in questi giorni da molti commentatori, che le norme emergenziali possano essere uno strumento per introdurre disposizioni che possano seriamente incidere, a regime, sull’effettivo esercizio di diritti fondamentali[20].

     

     

    [1] Su cui cfr. M.A. Sandulli, “Vademecum sulle ulteriori misure anti-covid19 in materia di Giustizia Amministrativa: l’art. 84 del Decreto Cura-Italia”, in Lamministrativista.it e in federalismi.it (osservatorio emergenza COVID-19, Documentazione); F. Francario, “L’emergenza Coronavirus e la “cura” per la giustizia amministrativa: le nuove misure straordinarie per il processo amministrativo”, ibidem; C. Saltelli, “La tutela cautelare dell’art. 84 d.l. n. 18 2020”, in www.giustizia-amministrativa.it; e F. Volpe, Riflessioni dopo una prima lettura dell’art. 84, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 in materia di processo amministrativo, in www.lexitalia.it. Cfr. anche le Direttive del Presidente del Consiglio di Stato del 19 marzo, in federalismi.it (osservatorio emergenza COVID-19) cit., con commento di M.A. Sandulli, “I primi “chiarimenti” del Presidente del Consiglio di Stato sul “Decreto Cura-Italia””.

    [2] Cfr. i “monitoraggi” delle prime applicazioni del d.l. n. 84 effettuati da B. Gargari, V. Sordi e T. Cocchi, in giustamm.it e il report di G. Veltri, in www.giustizia-amministrativa.it.

    [3] Sul punto, cfr. l’intervento di M. Ramajoli nel webinar del 24 aprile 2020, su “Processo amministrativo e Covid-19”, coordinato da M.A. Sandulli, con interventi di F. Francario, M. Lipari, L. Maruotti, G. Montedoro,  G. Morbidelli, P. Portaluri, M. Ramajoli, C. Saltelli, S. Santoro, R. Savoia, G. Severini, M. Spasiano, liberamente ascoltabile su youtube, all’indirizzo .

    [4] Sulle problematiche sollevate dal mancato coordinamento tra la l.n  27 e l’art. 36 del d.l. n. 23 punto cfr. F. Volpe, Ancora sulla disciplina emergenziale del processo amministrativo, in lexitalia, 2 maggio 2020, nonché, con più specifico riferimento alla conferma del termine del 15 aprile anche nel nuovo comma 1-bis dell’art. 103, del d.l. 18, le osservazioni di G. Strazza, L’emergenza Covid-19 e la sospensione (incerta) dei termini dei procedimenti e del processo amministrativo, in lamministrativista.it, 2 maggio 2020.

    [5] M.A. Sandulli, Nei giudizi amministrativi la nuova sospensione dei termini è “riservata” alle azioni: neglette le posizioni dei resistenti e dei controinteressati e il diritto al “pieno” contraddittorio difensivo, in federalismi.it del 9 aprile 2020, con Postilla per una possibile soluzione del 10 aprile. Analogamente, in senso critico, F. Francario, Il non - processo amministrativo nel diritto dell’emergenza Covid 19, in www.giustiziainsieme.it, 14 aprile 2020; N. Paolantonio, Il processo amministrativo dell’emergenza: sempre più speciale”, in lamministrativista.it e in giustamm.it; M. Lipari, “L’art. 36, comma 3, del decreto legge n. 23/2020: la sospensione parziale dei termini processuali è giustificata? Verso una lettura ragionevole della norma”, in federalismi.it del 29 aprile. Diversamente, R. De Nictolis, Il processo amministrativo ai tempi della pandemia, in federalismi.it. 15 aprile 2020.

     [6] Sulla sospensione dei termini del procedimento, M.A. Sandulli, N. Posteraro, Procedimento amministrativo e COVID-19. Primissime considerazioni sulla sospensione dei termini procedimentali e sulla conservazione dell’efficacia degli atti amministrativi in scadenza nell’art. 103, in federalismi.it (osservatorio emergenza COVID-19), marzo 2020; L. GIANI, Alcune considerazioni sulla “stratificazione” delle previsioni di sospensione dei termini procedimentali, ivi, marzo 2020.

    [7] Su cui cfr. gli AA. citati alla nota 1.

    [8] In Laministrativista.it e federalismi.it,  (osservatorio emergenza COVID-19), con considerazioni critiche di M.A. Sandulli, Vademecum di prima lettura sulle misure urgenti per la giustizia amministrativa e comunicato ufficio stampa giustizia amministrativa,. Sull’art. 3 del d.l. n. 11 cfr. anche F. Francario, L’emergenza Coronavirus e le misure straordinarie per il processo amministrativoibidem.

    [9] Da ultimo, M.A. Sandulli, Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il Processo, 2018, 45 e ss., leggibile anche in www.giustizia-amministrativa.it, e ivi ulteriori richiami.

    [10] Cfr. le considerazioni svolte in M.A. Sandulli, La fase cautelare, in Diritto processuale amministrativo, 4/2010.

    [11] Su cui si rinvia a M.A. Sandulli, Brevissime considerazioni sulla sospensione dei termini relativi ai procedimenti sui ricorsi amministrativi (tra gli artt. 84 e 103 del d.l. n. 18 del 2020), in federalismi.it  (osservatorio emergenza COVID-19).

    [12] Per i quali, con decreto del 3 aprile 2020, il Presidente f.f. ha (autonomamente) stabilito (i) il differimento per legge dell’udienza collegiale del 22 aprile “in quanto non assicura l’integrale rispetto del termine fissato a ritroso per il deposito delle memorie” e (ii) che “le udienze ed adunanze collegiali del 13 maggio, 27 maggio, 10 giugno e 24 giugno 2020 saranno tenute a condizione che tutte le parti costituite richiedano congiuntamente che le cause in esse fissate siano chiamate e passino in decisione sulla base dei soli documenti e scritti difensivi, senza discussione orale né presenza delle parti e dei difensori”, precisando però che la suddetta richiesta “dovrà essere presentata od invita almeno 15 giorni prima del giorno fissato per l’udienza”; e (iii) ha altresì disposto il rinvio delle udienze istruttorie (nelle quali sono di norma trattate le istanze cautelari) calendarizzate tra il 6 maggio e il 17 giugno 2020 a date comprese tra il 1° luglio e l’11 novembre, con la precisazione che “le parti potranno segnalare che alcune di esse, per legge od obiettive e gravi condizioni, necessitano di trattazione urgente, nel qual caso verrà valutata la possibilità di fissarle prima e/o con particolari modalità”. In tema, cfr. amplius M. Collevecchio, Le peculiarità del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche e del suo rito nella gestione dell'attività nel corso dell'emergenza Covid-19, in federalismi.it (osservatorio emergenza COVID-19).

    [13] Cfr. ancora gli interventi al webinar del 24 aprile, cit.

    [14] Cons. St., sez. VI, 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539.

    [15] Cfr, per tutti, ancora una volta, gli interventi nel menzionato webinar del 24 aprile  e il contributo di C. Volpe, Pandemia, processo amministrativo e affinità elettive, in www.giustizia-amministrativa.it, 27 aprile 2020.

    [16] Cfr. le considerazioni critiche svolte a primissima lettura in Un brutto risveglio? L’oralità “condizionata” del processo amministrativo, in Lamministrativista.it. Analogamente, F. Volpe, Ancora sulla disciplina emergenziale, cit.

    [17] C. Saltelli, intervento al webinar del 24 aprile, cit. e M. Lipari , op. cit..

    [18] Cfr. chiusura del webinar del 24 aprile, cit.

    [19] Anche su questo punto, cfr. le perplessità espresse da F. Volpe, Ancora sulla disciplina emergenziale, cit.

    [20] In questo senso, cfr. F. Francario, Il non processo amministrativo, cit., nonché, inter alia, l’intervento di S. Cogliani nel corso del webinar del 30 aprile 2020, su “Emergenza sanitaria, diritto e (in)certezza delle regole”, coordinato da M.A. Sandulli, ascoltabile su youtube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=o8vebWv7iKw

     

     

     



    Covid-19: un’occasione per ripensare la responsabilità sanitaria

    Covid-19: un’occasione per ripensare la responsabilità sanitaria

    di Maria Alessandra Sandulli 

    Organizzato dalla Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli, in collaborazione con la Prof.ssa Alessandra Pioggia e con l’Osservatorio di diritto sanitario della rivista federalismi.it, il 22 giugno 2020 si è tenuto un webinar sull’occasione fornita dal Covid-19 per ripensare la responsabilità sanitaria: ne hanno discusso, oltre alle stesse professoresse, autorevoli esponenti del mondo accademico e professionale (giuridico e sanitario) e della magistratura. Il dibattito si è incentrato sull’esigenza di distinguere la responsabilità degli operatori sanitari da quella della struttura e sull’opportunità di ridurre i rischi di azioni giudiziarie strumentali nei confronti di quanti sono stati costretti, a seconda delle situazioni e dei compiti, a valutare, decidere, intervenire con massima urgenza, in condizioni inimmaginabili e senza risorse adeguate, contro un nemico totalmente sconosciuto e imprevedibile. 


    I servizi pubblici nel contesto pandemico. riflessioni su libertà organizzativa, affidamento in house e principio di sussidiarietà.

    I servizi pubblici nel contesto pandemico. riflessioni su libertà organizzativa, affidamento in house e principio di sussidiarietà. 

     Enrico Zampetti

    SOMMARIO: 1. Premessa. Servizi pubblici e pandemia. 2. Due questioni centrali per i servizi pubblici: libertà organizzativa e apporto dei privati. 3. Libertà organizzativa e servizi d’interesse generale nel diritto europeo.  3.1. Costituzione, libertà di iniziativa economica e servizi pubblici.  3.3. L’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016 e le recenti pronunce di Corte di giustizia e Corte costituzionale. 3.4. Considerazioni sull’onere motivazionale previsto dall’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016. 4. Servizi pubblici e apporto dei privati. Considerazioni generali sul principio di sussidiarietà. 4.1. Principio di sussidiarietà e ruolo dei privati nella definizione di bisogni e interventi. 5. Osservazioni conclusive. La via intrapresa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.  

     1.- Premessa. Servizi pubblici e pandemia. 

    Una riflessione sui servizi pubblici nel contesto pandemico deve anzitutto confrontarsi con le misure assunte per adattare l’organizzazione dei servizi al momento emergenziale. Al riguardo, numerosi sono gli interventi normativi che hanno caratterizzato i principali comparti di riferimento. Di seguito alcuni esempi, senza alcuna pretesa di completezza.

       i) Nel settore della sanità, si è registrato un incremento del livello di finanziamento del fabbisogno nazionale[1]; si è previsto un potenziamento dei reparti di terapia intensiva, consentendo a Regioni e Province autonome di stipulare accordi contrattuali con strutture private[2]; si è rafforzata l’assistenza territoriale[3]; si è prevista l’istituzione di unità speciali di continuità assistenziale per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid che non necessitano ricovero ospedaliero[4].

    ii) Nel settore dell’istruzione, si è provveduto a sospendere le attività didattiche consentendone lo svolgimento a distanza[5]; si è valorizzata l’autonomia delle istituzioni scolastiche[6]; sono stati previsti i c.d. Patti educativi di comunità tra scuole, enti locali e Terzo Settore, per garantire una più adeguata organizzazione del servizio[7].

    iii) Nell’ambito dei servizi sociali, si è incrementato il fondo per le non autosufficienze, il fondo dopo di noi, il fondo per politiche per la famiglia; si è istituito il fondo sostegno per strutture semiresidenziali per persone con disabilità[8]; si è previsto che i servizi di cui all’articolo 22 co. 4 legge 328/2000 debbano considerarsi servizi pubblici essenziali, anche se svolti in regime di concessione, accreditamento o mediante convenzione[9].

    iv) Nel settore dei servizi pubblici locali, si sono previste misure volte a ristorare gli enti locali delle minori entrate e delle maggiori spese sostenute a causa dei periodi di sospensione delle attività, nonché per sostenere l’erogazione di alcuni servizi nel rispetto delle misure di contenimento, quali il traporto scolastico[10]; si è istituito un fondo per sostenere le spese per l’erogazione di servizi fondamentali[11].

    v) Nel settore del trasporto, si sono previsti interventi conformativi delle prestazioni in funzione delle nuove esigenze dettate dalla pandemia: igienizzazione, separazione posto guida, distanziamenti; sospensione attività di bigliettazione; installazione dispenser contenenti soluzioni disinfettanti[12].

    Complessivamente, si tratta di misure che attribuiscono risorse, che potenziano specifici aspetti del servizio (si pensi al rafforzamento della medicina territoriale), che implicano il coinvolgimento dei privati nell’espletamento del servizio, che conformano le prestazioni adattandole alle richieste dell’emergenza, che valorizzano il principio di continuità nella gestione dei servizi. Queste misure non presentano particolari problemi sotto il profilo giuridico: in periodo di crisi è normale che si attribuiscano risorse; il coinvolgimento dei privati nei servizi pubblici è un fenomeno ormai pacifico e scontato; la conformazione dell’attività è una specifica caratteristica del servizio pubblico, le cui prestazioni sono erogate nel rispetto di predeterminati standard quantitativi e qualitativi.  Sicuramente, almeno nella prima fase della pandemia, si è registrata una certa disomogeneità nell’espletamento dei servizi pubblici, soprattutto con riferimento ai diversi ambiti regionali. Al di là di problemi strutturali più risalenti, talvolta ciò è dipeso da un deficit di coordinamento tra Stato e Regioni, altre volte dal ritardo dello Stato nel dettare criteri uniformi, altre volte ancora da un’azione regionale non sempre coerente con le competenze riconosciute per il periodo emergenziale. Ad ogni modo, sono criticità che in buona parte riflettono la complessità del contesto in cui l’azione amministrativa si è trovata repentinamente ad operare.

    Va, tuttavia, sottolineato che, astrattamente, il nostro ordinamento possiede gli strumenti per garantire quell’uniformità di azione che talvolta è mancata e che tanto più è necessaria in una pandemia come quella che stiamo vivendo[13]. Basti richiamare la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale, secondo quanto da ultimo evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza n 37 del 2021[14]; la competenza statale sui livelli essenziali delle prestazione concernenti i diritti civili e sociali, sulle norme generali in materia di istruzione; la competenza concorrente in materia di salute, istruzione, protezione civile; l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative in sussidiarietà, secondo quanto già a suo tempo precisato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2003[15]. Non è, pertanto, un caso che alcune delle criticità riscontrate all’inizio della pandemia successivamente si siano in parte attenuate.

     2. Due questioni centrali per i servizi pubblici: libertà organizzativa e apporto dei privati.

    Senonchè, una riflessione esclusivamente incentrata sulle misure adottate è probabilmente di scarso interesse per il giurista, in quanto si limita a descrivere l’esistente senza affrontare le questioni di fondo che caratterizzano i servizi pubblici e che assumono maggiore rilevanza in un momento di crisi come l’attuale. Tra le altre, due sono le questioni che direttamente investono i contenuti e l’organizzazione dei servizi pubblici.

    Una prima questione riguarda la libertà delle autorità pubbliche nell’individuare le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici più idonee a garantire la soddisfazione dei bisogni. In linea di principio, le amministrazioni sono libere di scegliere se autoprodurre il servizio o esternalizzarlo, come anche riconosciuto dal diritto europeo, ma in concreto l’attuale disciplina positiva sembra privilegiare l’esternalizzazione a discapito dell’autoproduzione, secondo un trend proconcorrenziale che già da tempo caratterizza il nostro ordinamento. Attualmente il riferimento è all’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016 sul quale torneremo in seguito.

    Una seconda questione riguarda l’apporto fornito dai privati nell’ambito dei servizi pubblici. Tale apporto riguarda generalmente l’esecuzione della prestazione, considerato che di norma l’esternalizzazione implica che a gestire i servizi pubblici sia un soggetto privato. Ma può riguardare anche l’individuazione a monte dei bisogni e degli interventi necessari per garantire quei bisogni, collocandosi in una fase preliminare rispetto alla concreta esecuzione della prestazione. È questo l’aspetto più interessante del coinvolgimento dei privati, poiché l’iniziativa privata viene a influenzare il contenuto e l’organizzazione del servizio, nel solco di un rinnovato significato del principio di sussidiarietà su cui avremo modo di soffermarci più avanti.

    Le due questioni toccano temi assolutamente centrali dei servizi pubblici, sulle quali si misura l’efficacia e l’idoneità del servizio a soddisfare i bisogni per il quale viene istituito. Libertà organizzativa e apporto dei privati sono tanto più rilevanti in un contesto di crisi come l’attuale, nel quale, per fronteggiare adeguatamene le nuove e mutevoli esigenze, si richiedono ampi spazi di flessibilità sia nell’organizzazione che nei contenuti delle prestazioni. Ragion per cui le due questioni verranno di seguito più a fondo esaminate, con riferimento all’attuale quadro normativo e giurisprudenziale. 

     

    3. Libertà organizzativa e servizi d’interesse generale nel diritto europeo.

    Nel diritto europeo i servizi pubblici vengono generalmente ricompresi nella nozione di servizio d’interesse generale[16], impiegata per definire le attività degli Stati membri o delle loro articolazioni territoriali preordinate al soddisfacimento di bisogni generali[17]. La nozione ha delle rilevanti implicazioni sul regime giuridico dell’attività e la decisione dello Stato membro di qualificare una determina attività come servizio d’interesse generale può essere sindacata dalla Commissione europea[18].

    La qualificazione in termini di servizio d’interesse generale rileva anzitutto sull’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 101-108 del Trattato, che riguardano la condotta che le imprese e gli Stati membri sono chiamate a rispettare quando agiscono sul mercato. Se riferite alle imprese, tali regole si risolvono nel divieto di comportamenti collusivi, quali, ad esempio, l’abuso di posizioni dominanti o intese restrittive; se riferite agli Stati, si sostanziano nel divieto di favorire le imprese attraverso la concessione di aiuti che possano creare eventuali sperequazioni. Ai sensi dell’articolo 106 del TFUE, le imprese incaricate dello svolgimento di servizi d’interesse economico generale sono soggette alle regole di concorrenza, ma soltanto nei limiti “in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, alla specifica missione loro affidata”[19]. Bisognerà concretamente verificare se la deroga è veramente necessaria per garantire le finalità implicate dalla missione[20], ma in linea di principio la deroga è ammissibile, così come previsto dall’articolo 106 TFUE.

    La qualificazione in termini di servizio d’interesse generale rileva anche sulle modalità di svolgimento del servizio. I servizi d’interesse economico generale possono, infatti, svolgersi in regime di esclusiva senza che ciò si ponga necessariamente in contrasto con i principi di parità di trattamento e non discriminazione, ovvero con le libertà di stabilimento e prestazione dei servizi, a condizione che l’esclusiva sia giustificata da motivi d’interesse generale[21]. Oltre che dall’articolo 106 TFUE[22], ciò si ricava chiaramente dal considerando 8 e dall’articolo 2 della direttiva 2006/123 CE del 12 dicembre 2006 relativa ai sevizi nel mercato interno, laddove il primo prefigura l’ “opportunità che le disposizioni della presente direttiva relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi si applichino soltanto nella misura in cui le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obblighino pertanto gli Stati membri a liberalizzare i servizi d’interesse economico generale, a privatizzare gli enti pubblici che forniscono tali servizi o ad abolire i monopoli esistenti per quanto riguarda altre attività o certi servizi di distribuzione”, e il secondo stabilisce che “la presente direttiva non riguarda la liberalizzazione dei servizi d’interesse economico generali riservati a enti pubblici o privati, né la privatizzazione di enti pubblici che forniscono servizi”. Ulteriore conferma si ricava dall’articolo 14 del Trattato, secondo cui “in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti[23].

    Sul piano generale, la possibilità di scegliere la più opportuna organizzazione dei servizi d’interesse generale va ricondotta al principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche riconosciuto dal diritto europeo, il quale, per quanto concerne l’ambito dei servizi, è attualmente codificato nell’articolo 2 della Direttiva 2014/23: “le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. Tali autorità sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici. Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni”.  Come si evince dalla previsione, la stessa libertà organizzativa consente agli Stati membri di scegliere se autoprodurre o esternalizzare i propri servizi[24]. Nelle ipotesi in cui lo Stato membro o una sua articolazione territoriale decida di rivolgersi al mercato per individuare l’esecutore del servizio, il diritto europeo impone l’espletamento di una procedura di gara, a tutela dei principi di parità di trattamento e non discriminazione, nonché delle libertà di stabilimento e prestazione dei servizi. Nelle ipotesi in cui opti per l’autoproduzione, lo stesso diritto europeo ammette l’affidamento diretto “a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato”, a condizione che il soggetto affidatario possa configurarsi come mera articolazione interna dell’amministrazione, secondo i requisiti dell’ in house a suo tempo individuati dalla giurisprudenza e successivamente  positivamente codificati[25]. Come noto, tali requisiti richiedono che i) il soggetto affidatario sia interamente partecipato dall’ente pubblico che dispone l’affidamento, fatte salve eventuali partecipazioni di capitali privati che non comportino controllo o potere di veto; ii) che l’ente pubblico che dispone l’affidamento eserciti sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi; ii) che oltre l’80% delle attività del soggetto affidatario siano effettuate nello svolgimento di compiti assegnati dall’ente controllante che dispone l’affidamento[26]. Ove si verifichino queste condizioni, non vi è necessità di espletare alcuna procedura di gara, perché l’affidamento del servizio si risolve in un affidamento interno al perimetro dell’amministrazione. Ne consegue che un siffatto affidamento non pregiudica né i principi di parità di trattamento e non discriminazione, né le libertà di stabilimento e prestazione dei servizi, poichè l’espletamento del servizio rimane un fatto interno all’amministrazione, senza coinvolgere gli operatori economici presenti sul mercato. Sotto questo profilo, la giurisprudenza europea ha sottolineato che “nel settore degli appalti pubblici e delle concessioni di pubblici servizi, il principio di parità di trattamento e le sue specifiche manifestazioni del divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità e degli articoli 43 CE e 49 CE trovano applicazione nel caso in cui un’autorità pubblica affidi la prestazione di attività economiche ad un terzo”, precisando che “al contrario non occorre applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici o di concessioni di pubblici servizi nel caso in cui un’autorità pubblica svolga i compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza far ricorso ad entità esterne”. Di conseguenza, “nel settore delle concessioni di pubblici servizi, l’applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione è esclusa se, allo stesso tempo, il controllo esercitato sull’ente concessionario dall’autorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e se il detto ente realizza la maggior parte della sua attività con l’autorità detentrice[27]. Resta inteso che, ai sensi dell’articolo 106 TFUE, l’aggiudicatario in house di un servizio d’interesse generale è tenuto a rispettare le regole di concorrenza, fatta salva la possibilità di un’eventuale deroga se necessaria per assolvere alla missione affidata.

    A chiusura di questo breve excursus, si può osservare che le modalità di svolgimento di un determinato servizio d’interesse generale non sono necessariamente condizionate dalle modalità del suo affidamento. Basti rilevare che, in linea di principio, tanto un servizio affidato in house quanto un servizio affidato in esito a procedura di gara potrebbero indifferentemente espletarsi in regime di concorrenza o in regime riservato. Ciò che conforma gli assetti generali del mercato in termini di concorrenza o di monopolio non è la prescelta modalità di affidamento, bensì la strutturazione naturale di quel mercato o un’opzione politica di fondo[28].

    Vero è che ordinariamente i servizi d’interesse generale sono gestiti in regime di esclusiva e che, a compensare l’esclusiva, soccorre la c.d. concorrenza per il mercato creata artificiosamente attraverso la gara pubblica. Ma è pur vero che, per il diritto europeo, la procedura di gara è necessaria soltanto se lo Stato membro decida per l’esternalizzazione del servizio, perché solo in tal caso vengono specificamente in rilievo i principi di parità di trattamento e non discriminazione, nonché le libertà di stabilimento e prestazione di servizi, a garanzia delle quali è appositamente preordinata la procedura di gara. Ciò non significa che tali principi e libertà non possano essere pregiudicati da un affidamento diretto ad un organismo in house. Tuttavia, un eventuale pregiudizio non deriverebbe dalla forma di affidamento in sé considerata, bensì i) dall’assenza nell’ente affidatario delle condizioni che ne ammettano la qualificazione come organismo in house; ii) dall’assenza dei requisiti che giustificano la qualificazione dell’attività in termini di servizio d’interesse generale. Se, infatti, l’ente affidatario non è qualificabile come organismo in house, deve ritenersi soggetto terzo rispetto all’amministrazione e l’eventuale affidamento diretto sarebbe in contrasto con l’obbligo della procedura di gara. Viceversa, se l’attività non è qualificabile come servizio d’interesse generale, tendenzialmente resta soggetta ai principi e alle libertà del Trattato, e sarà più difficile individuare i motivi d’interesse generale che ne giustifichino l’eventuale svolgimento in esclusiva.

       4. Costituzione, libertà d’iniziativa economica e servizi pubblici.

     Nel diritto interno, la disciplina generale dell’attività economica è recata negli artt. 41 e 43 della Costituzione. Da tali norme si desume che l’iniziativa economica è libera ma condizionata nel suo svolgimento dall’utilità sociale o dagli altri valori indicati nell’art. 41; che, al pari dei privati, i soggetti pubblici possono esercitare un’attività economica, sia pur assoggettati ai programmi e controlli stabiliti dalla legge per il perseguimento dei “fini sociali”; che ragioni di utilità generale possono giustificare la riserva allo Stato di attività relative a servizi pubblici essenziali[29].

    Nelle richiamate previsioni manca una disciplina della concorrenza, intesa come insieme di regole deputate a disciplinare i rapporti tra le imprese sul mercato[30]. Solo dal 2001 la Costituzione contiene un riferimento alla “tutela della concorrenza”, [31] ma è strumentale a individuare una materia in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva e non a chiarire i possibili contenuti della nozione di concorrenza. 

    A suo tempo, l’assenza di un esplicito riferimento alla concorrenza ha ingenerato un ampio dibattito sull’effettiva rilevanza della concorrenza in ambito costituzionale. Non è questa la sede per ripercorrere quel dibattito, esaminando le diverse posizioni che, da un lato, hanno negato una tutela costituzionale della concorrenza e, dall’altro, hanno variamente considerato la concorrenza implicata nella libertà d’iniziativa economica[32]. Si può solo osservare che, attraverso il diritto europeo, le regole di concorrenza sono ormai entrate stabilmente nel nostro ordinamento, secondo l’accezione propria della disciplina sovranazionale, ossia come regole deputate a conformare la condotta delle imprese e dello Stato nell’ambito del mercato. Tuttavia, nonostante l’accezione impressa dal diritto europeo, non sempre vi è chiarezza su cosa debba effettivamente intendersi per concorrenza: se, in linea con la prospettiva sovranazionale, vada riferita soltanto alle regole che disciplinano i comportamenti nel mercato, o se invece, in diretta connessione con il primo comma dell’articolo 41, riguardi specificamente l’accesso al mercato, a garanzia della libertà dei privati di svolgere le attività economiche senza restrizioni che non siano quelle strumentali all’utilità sociale e agli altri valori indicati dalla norma costituzionale[33]. A creare ulteriore incertezza ha contribuito in parte anche la Corte costituzionale che, almeno nella giurisprudenza più recente, ha talvolta identificato la concorrenza nelle regole che garantiscono il confronto competitivo tra le imprese in vista dell’affidamento degli appalti pubblici o dei pubblici servizi[34].

    Sebbene l’argomento necessiti un più ampio approfondimento, appare preferibile inquadrare la concorrenza nelle regole che stabiliscono i comportamenti delle imprese e dello Stato nei mercati, per la semplice ragione che è in questa accezione che il diritto europeo declina la disciplina della concorrenza applicabile negli Stati membri. Del resto, i rapporti economici tra pubblico e privato sono esaurientemente regolati dagli articoli 41 e 43 della Costituzione e non vi è necessità di operare sovrapposizioni tra ambiti diversi e non perfettamente coincidenti.

     Ad ogni modo, anche a voler considerare le altre accezioni di concorrenza a cui si è fatto riferimento, il diritto nazionale non offre soluzioni molto diverse dal diritto europeo. Per il diritto europeo, l’acceso al mercato (e quindi l’iniziativa economica generalmente intesa) può essere limitato se l’attività è configurabile come servizio d’interesse generale, dal momento che, se sussistono ragioni d’interesse generale, la gestione del servizio può avvenire anche in regime riservato. In senso analogo, l’articolo 43 della Costituzione ammette la possibilità di gestioni riservate per attività riconducibili a servizi pubblici essenziali, sempre che ciò sia giustificato da ragioni di utilità generale.

    Per il diritto europeo è irrilevante che un’attività economica sia svolta da un soggetto pubblico o da un soggetto privato[35]; analogamente, l’articolo 41, co. 3, Cost. conferma che l’attività economica può essere svolta indifferentemente da soggetti privati o soggetti pubblici, anche se, nell’attuale contesto normativo, la previsione costituzionale deve confrontarsi con la disciplina recata nel d.lgs. n. 175 del 2016, che pone severe restrizioni all’attività economica dei soggetti pubblici[36].

    Il diritto europeo impone l’obbligo di gara pubblica per tutelare il principio di non discriminazione e parità di trattamento delle imprese; in termini analoghi, il diritto nazionale ha sempre inteso l’obbligo di gara quale strumento per garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, sia a tutela della par condicio delle imprese, sia nell’ottica di adottare la scelta più idonea a soddisfare in concreto l’interesse pubblico[37].

    Da questo rapido excursus si evince come le previsioni costituzionali ammettano differenti modalità di svolgimento e affidamento dei servizi pubblici: i servizi pubblici possono astrattamente svolgersi in regime di esclusiva o di concorrenza, perché così è riconosciuto dall’articolo 43 Cost; possono essere espletati in autoproduzione o esternalizzando le prestazioni, considerato che le attività economiche, come confermato dall’articolo 41 Cost., sono esercitabili sia da soggetti pubblici che da soggetti privati. Anche per il diritto interno vale quanto già osservato per il diritto europeo, ossia che le modalità di svolgimento di un servizio pubblico non sono necessariamente condizionate dalle modalità del suo affidamento. Nei casi in cui il servizio dovesse svolgersi in regime di esclusiva, ogni ipotetica criticità non sarebbe imputabile al modello di affidamento che si è concretamente prescelto, ma all’opzione politica di fondo di consentire lo svolgimento del servizio in regime riservato.

    Tuttavia, una differenza tra diritto europeo e diritto nazionale riguarda specificamente la motivazione che deve sorreggere la scelta di ricorrere all’una o all’altra delle modalità di affidamento. Se per il diritto europeo la motivazione risulta di fatto assorbita nell’opzione prescelta, o comunque nella sussistenza dei relativi requisiti, i principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento richiedono di esplicitare le ragioni che giustificano la scelta. È pertanto il momento di soffermarsi sulle previsioni interne che riguardano la motivazione degli affidamenti, con particolare riferimento all’onere motivazionale richiesto per l’affidamento in house.

     

    4. L’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016 e le recenti pronunce della Corte di giustizia e della Corte costituzionale.

    Per quanto riguarda l’affidamento in house, l’articolo 192 co. 2, d.lgs. n. 50 del 2016 richiede un onere motivazionale particolarmente stringente, che dia conto “delle ragioni del mancato ricorso al mercato” e degli eventuali “benefici per la collettività” che il ricorso all’in house verrebbe concretamente a garantire[38]. Secondo alcune interpretazioni, l’onere motivazionale si sostanzierebbe nella dimostrazione del c.d. fallimento di mercato, con la conseguenza che l’affidamento in house risulterebbe condizionato alla circostanza che sia impossibile o inutile espletare una procedura di gara[39]. La severità dell’onere motivazionale è ancora più evidente al confronto con la motivazione richiesta per le altre forme di affidamento, quando oggetto dell’affidamento siano i servizi pubblici locali di rilevanza economica. Come meglio si dirà, l’articolo 34, co. 20, D.L. n. 179 del 2012 richiede soltanto d’indicare “le ragioni” e la “sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta”, ma non le ragioni che inducono a preferire alle altre la forma di affidamento prescelta, ovvero i benefici che la modalità prescelta dovrebbe in concreto arrecare alla collettività.

    L’articolo 192 è stato recentemente oggetto di una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia e di una questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte costituzionale[40]. La questione pregiudiziale ha investito la compatibilità della norma con il diritto europeo e, in particolare, con il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche codificato nell’articolo 2 della Direttiva 2014/23 UE[41]. Secondo l’ordinanza di rimessione, un onere motivazionale così stringente, quale quello sancito dalla norma interna, comprometterebbe la libertà organizzativa delle autorità pubbliche,  nella misura in cui, anziché porre sullo stesso piano esternalizzazione e autoproduzione, configurerebbe l’affidamento in house quale modalità eccezionale rispetto all’affidamento in esito a procedura di gara[42].

    La questione di costituzionalità ha invece prospettato la violazione del divieto di gold plating, sul presupposto che la disciplina europea non imporrebbe un onere motivazionale analogo a quello previsto dall’articolo 192[43].

    Nel dirimere la questione pregiudiziale, la Corte di giustizia ha ribadito come il diritto europeo riconosca il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche, precisando che tale libertà debba “essere esercitata nel rispetto delle regole fondamentali del trattato FUE, segnatamente della libertà di circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché dei principi che ne derivano come la parità di trattamento, il divieto di discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza[44]. Conseguentemente, la norma interna non sarebbe in contrasto con il diritto europeo, dal momento che proprio la libertà organizzativa autorizzerebbe gli Stati membri a “subordinare la conclusione di un’operazione interna all’impossibilità di indire una gara d’appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna[45].

    Dal suo canto, la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità, assumendo che le condizioni più severe previste dall’articolo 192 non determinerebbero alcuna violazione del divieto di gold plating, poiché garantirebbero soltanto una più ampia applicazione della “regola concorrenziale dell’affidamento del servizio mediante gara”. Sebbene la norma interna rechi una disciplina pro concorrenziale più rigorosa del diritto europeo, la scelta del legislatore nazionale non sarebbe in contrasto con la normativa sovranazionale, che, in quanto “diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato”, costituirebbe “solo un minimo inderogabile per gli Stati membri[46].

    Così ricostruito il percorso argomentativo delle pronunce, posso svolgersi alcune considerazioni critiche.

    Assumere che, in base al principio di libertà organizzativa, gli Stati membri possano modulare le condizioni dell’affidamento in house, anche in maniera più stringente rispetto al diritto europeo, non rappresenta di per sé un elemento di criticità, considerato che la previsione di un onere di motivazione, per quanto rafforzato, non elimina la libertà organizzativa dello Stato membro, ma le attribuisce soltanto una specifica conformazione. Tuttavia, l’assunto diventa contraddittorio nella misura in cui, dapprima, la Corte di giustizia riconosce e valorizza la libertà organizzativa degli Stati membri, salvo poi ammettere che l’affidamento in house sia concretamente condizionato dall’impossibilità di indire una gara pubblica. Il riconoscimento agli Stati membri di una libertà organizzativa dovrebbe comportare che le modalità di organizzazione dei servizi previste dall’ordinamento siano poste tutte sullo stesso piano. Diversamente, prefigurando una sorta di gerarchia tra le diverse modalità, la libertà organizzativa ne risulterebbe compromessa, perché allo Stato membro sarebbe prioritariamente imposta una determinata modalità.  Probabilmente, la Corte avrebbe dovuto precisare che l’obbligo di motivazione previsto per l’affidamento in house non possa risolversi nella dimostrazione dell’impossibilità di ricorrere al mercato, perché ciò implica una qualificazione dell’affidamento in house quale modalità eccezionale rispetto alla gara pubblica, in contrasto con il principio di libera amministrazione che pone le diverse modalità sullo stesso piano. Ciò non significa che la motivazione non debba prendere in considerazione le ragioni che inducono l’amministrazione a prediligere l’affidamento in house rispetto alla gara pubblica. Ma un conto è indicare le ragioni della preferenza, altro identificare le ragioni nell’impossibilità di procedere alla gara pubblica. Nel primo caso la motivazione coesiste con la libertà organizzativa, nel secondo la comprime imponendo un ordine obbligato di preferenza[47]

    D’altro canto, la decisione della Corte costituzionale non è pienamente condivisibile quando tende a inquadrare l’articolo 192 tra le norme che garantiscono la concorrenza. Come si è già precisato, per il diritto europeo il principio della gara pubblica non è una regola di concorrenza, annoverabile tra quelle previste negli artt. 101-108 del trattato, ma risponde ai principi di parità di trattamento, non discriminazione e libera prestazione dei servizi[48]. Esso viene specificamente in rilievo quando lo Stato decida di rivolgersi al mercato e non può essere invocato nelle ipotesi in cui sussistano le condizioni per procedere all’affidamento in house. Ne consegue che, ose si ritiene che l’onere di motivazione sia finalizzato ad ampliare l’operatività del principio di gara, l’articolo 192 non va inquadrato nelle regole concorrenziali, ma nelle previsioni di favore per la gara pubblica, a tutela del principio di parità di trattamento e della libertà di prestazione dei servizi.

    Tuttavia, anche a voler ritenere che l’affidamento diretto pregiudichi parità di trattamento e libertà di prestazione di servizi, la limitazione nell’accesso al mercato non dipenderebbe dalla sostituzione della gara pubblica con l’affidamento in house, ma sarebbe correlata a ragioni strutturali di quel determinato mercato o alla decisione a monte di riservare in esclusiva la gestione del servizio. Vero è che l’affidamento diretto elimina la concorrenza per il mercato, precludendo agli operatori economici di partecipare alla gara in vista di un possibile affidamento del servizio. Ma, come anche confermato dal diritto europeo, è l’opzione per l’autoproduzione ad escludere la procedura di gara, se e in quanto l’affidamento sia disposto in favore di un organismo qualificabile come mera articolazione interna dell’amministrazione. Si torna così a quanto già in precedenza evidenziato, ossia che ogni eventuale criticità non si annida nell’affidamento in house ma nella scelta di fondo che prefigura la gestione riservata del servizio. Per contro, nelle ipotesi in cui l’espletamento del servizio avvenga in un mercato aperto e concorrenziale, l’accesso al mercato sarebbe garantito anche ad altri operatori economici e non sarebbe precluso dall’eventuale ricorso all’affidamento diretto.

     

    3.3. Considerazioni sull’onere motivazionale previsto dall’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016

    A questo punto l’onere motivazionale previsto dall’articolo 192 deve essere più a fondo esaminato con riferimento ai principi costituzionali.

    In linea generale, la previsione di un onere motivazionale per giustificare una scelta organizzativa rappresenta la concreta applicazione dei principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, che richiedono di dimostrare la convenienza della scelta in relazione all’economicità e alla coerenza rispetto all’interesse pubblico da perseguire.

    Tuttavia, se si assume che la libertà organizzativa implichi la possibilità di più scelte poste sullo stesso piano, l’onere motivazionale non può risolversi nella creazione di una gerarchia tra le varie opzioni percorribili. Come già detto in precedenza, la libertà organizzativa rischia di essere compromessa da una motivazione che richieda la dimostrazione dell’impossibilità o inutilità di ricorrere al mercato, perché in tal modo il modello dell’autoproduzione risulta subordinato al modello dell’esternalizzazione. Piuttosto, la motivazione dovrebbe limitarsi ad individuare le ragioni della scelta sotto il profilo di convenienza economica e di coerenza con gli obiettivi da raggiungere, evidenziando gli elementi che inducono l’amministrazione a prediligere l’affidamento in house rispetto alla gara pubblica. Ciò che contrasta con la libertà organizzativa è una motivazione che presupponga un ordine obbligato di preferenza tra le diverse modalità di affidamento, senza che tale ordine preferenziale sia previsto dall’ordinamento nazionale o dall’ordinamento europeo.

    A ben vedere, la formulazione letterale della norma, nella parte in cui richiede di dare conto delle “ragioni del mancato ricorso al mercato”, non sembra di molto discostarsi dalla ricostruzione proposta, considerato che evidenziare le “ragioni del mancato al ricorso al mercato” non significa dare conto dell’impossibilità di rivolgersi al mercato, ma soltanto illustrare le ragioni per cui si preferisce affidare in house il servizio anziché attivare una procedura di gara. Andrebbero pertanto evitate interpretazioni restrittive della norma che, in contrasto con la sua formulazione letterale, dilatino l’onere motivazionale sino a imporre una compiuta dimostrazione del fallimento del mercato[49]

    Va ribadito che, attualmente, solo l’affidamento in house è assoggettato al severo onere motivazionale previsto dall’articolo 192. Nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, la motivazione a sostegno delle altre modalità di affidamento è quella prevista dal già ricordato articolo 34, co. 20 del D.l. n. 179 del 2012, secondo cui “per i servizi pubblici locali di rilevanza economica,  al  fine di assicurare il rispetto della disciplina europea,  la  parità  tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire  adeguata informazione alla collettività  di  riferimento,  l'affidamento  del servizio è effettuato sulla base di apposita  relazione,  pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma  di  affidamento  prescelta  e  che  definisce  i  contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio  universale, indicando le compensazioni economiche se previste”. Come è agevole constatare, si tratta di un onere motivazionale piuttosto blando che, diversamente da quanto previsto dall’articolo 192, richiede di dare conto soltanto “delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta”.

     Senonchè, al fine di evitare irragionevoli sperequazioni, lo stesso onere motivazionale dovrebbe riguardare tutte le modalità di affidamento riconducibili alla libertà organizzativa. Diversamente, si viene a creare una discriminazione tra modalità di affidamento che dovrebbero risultare tutte poste sullo stesso piano. La garanzia di un uguale onere motivazionale potrebbe realizzarsi o estendendo alle modalità di affidamento diverse dall’in house un onere motivazionale analogo a quello previsto dall’articolo 192, nell’interpretazione che si è ritenuta preferibile; o abrogando l’articolo 192 e riconducendo l’onere motivazionale dell’in house in quello previsto dall’articolo 34, co.20; ovvero adottando una nuova disciplina che assoggetti tutte le modalità di affidamento al medesimo onere motivazionale. Solo così sarebbe assicurata concreta e uniforme attuazione ai principi d’imparzialità e buon andamento, nell’obiettivo che tutte le scelte organizzative siano adeguatamente motivate in relazione all’economicità e alla coerenza rispetto agli obiettivi prefissati.

    Ciò è tanto più necessario in un momento particolarmente critico come l’attuale, dove si avverte più forte l’esigenza di una libertà organizzativa che consenta all’amministrazione di scegliere le più opportune modalità di affidamento, in assenza di un rigido ordine preferenziale imposto e predeterminato dalla legge. Basti osservare che, nell’attuale fase pandemica, la scelta dell’in house potrebbe meglio preservare l’esecuzione del servizio da eventuali shock esogeni ascrivibili al contesto internazionale; consentirebbe all’ente locale, in quanto proprietario della società, di imporsi agevolmente nelle scelte gestionali, anche al fine di garantire un pronto adeguamento del servizio alla realtà in continuo divenire; eliminerebbe le possibili litigiosità che generalmente caratterizzano l’espletamento di una gara ovvero il rapporto con il privato esecutore del servizio. Viceversa, l’affidamento a terzi potrebbe  assicurare soluzioni più tecnicamente qualificate, consentendo all’ente di beneficiare delle migliori capacità professionali rinvenibili sul mercato, ovvero garantire un sostegno alle imprese già fortemente colpite dalla negativa congiuntura economica determinata dalla pandemia. Come può desumersi da questi pochi esempi, la libertà organizzativa non dovrebbe risultare compromessa da oneri motivazionali eccessivamente restrittivi, piuttosto dovrebbe esprimersi in scelte adeguatamente motivate in funzione dei bisogni che l’emergenza richiede di fronteggiare.

     

    4. Servizi pubblici e apporto dei privati. Considerazioni generali sul principio di sussidiarietà.

    La disciplina restrittiva degli affidamenti in house viene talvolta giustificata  anche in base al principio di sussidiarietà orizzontale[50]. Lo stesso principio è spesso invocato per inquadrare il coinvolgimento dei privati nella gestione dei servizi pubblici, in particolare dei servizi sociali. Tuttavia, il richiamo alla sussidiarietà appare più enunciato che specificamente argomentato e non sempre è il riflesso di una chiara e univoca concettualizzazione del principio. Ragion per cui è opportuno soffermarsi sull’effettiva consistenza del principio, per verificare in che termini sia possibile accostare la sussidiarietà orizzontale ai servizi pubblici.

    Come desumibile dall’articolo 118, co. 4, Cost, il principio di sussidiarietà orizzontale implica un favor per l’iniziativa dei cittadini nell’ambito delle attività d’interesse generale[51]. Le iniziative dei cittadini devono essere prese in considerazione dal soggetto pubblico, devono essere incoraggiate, non devono essere ostacolate Tuttavia, il principio non individua in via assoluta a chi spetti assolvere una determinata attività d’interesse generale, se il soggetto privato o il soggetto pubblico, ma si limita a indicare il percorso logico e giuridico da seguire per identificare quale tra i diversi soggetti sia il più idoneo a garantire l’esercizio di quell’attività. Così, il principio di sussidiarietà si risolve in un criterio procedurale, in base al quale il soggetto pubblico è chiamato a verificare se un’attività riconosciuta (o riconoscibile) come d’interesse generale possa essere adeguatamente svolta dai privati e, in caso positivo, a non ostacolare l’autonoma iniziativa dei cittadini ovvero ad adoperarsi affinchè tale iniziativa trovi concreta attuazione[52]. Sarebbe questo il significato evincibile dall’articolo 118 Cost., nella parte in cui stabilisce che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività d’interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

    Senonchè, quando si passano a individuare più a fondo i contenuti della norma costituzionale, l’effettiva dimensione del principio si fa più incerta e problematica.  Una prima criticità deriva dalla locuzione “attività d’interesse generale” impiegata dall’articolo 118 Cost. In particolare, si tratta di chiarire cosa debba intendersi per attività d’interesse generale, se un’attività identificabile nelle funzioni amministrative propriamente intese, nei servizi pubblici in senso lato, ovvero in altre attività che, seppur d’interesse generale, non raggiungono la qualificazione delle prime due tipologie. In linea di massima, le attività d’interesse generale non possono essere le funzioni autoritative, tradizionalmente riservate al soggetto pubblico. Nei casi in cui una funzione di tal genere sia esercitata dai privati, rileva il diverso fenomeno dell’esercizio privato di pubbliche funzioni che nulla ha a che vedere con il principio di sussidiarietà. Viceversa, le attività d’interesse generale potrebbero senz’altro identificarsi nelle attività di servizio pubblico, che ben possono essere svolte da soggetti privati, ma un’attività di servizio pubblico mal si concilia con l’autonoma iniziativa dei cittadini che deve sorreggere l’attività d’interesse generale[53]. Infatti, a prescindere da chi in concreto la svolga, l’attività di servizio pubblico è tale in quanto viene assunta e organizzata dall’amministrazione, dopo aver constatato la necessità dell’intervento pubblico per garantire soddisfazione a determinati bisogni. Ciò non significa che, nell’ambito dei servizi pubblici, il principio di sussidiarietà sia privo di concreta rilevanza. Nel suo più generale significato, esso dovrebbe indurre l’amministrazione a verificare se, per soddisfare un determinato bisogno, sia effettivamente necessario istituire un servizio pubblico, o se invece quel bisogno possa essere soddisfatto attraverso le autonome iniziative di cittadini concretamente riscontrabili nel tessuto sociale di riferimento. La rilevanza è circoscritta nella fase a monte dell’individuazione del servizio, ma non si estende nella fase a valle dove l’attività resta pur sempre di pertinenza pubblica anche se svolta da un privato.

    Vi sono poi delle attività che, pur se non qualificabili come servizi pubblici perché non assunte dall’amministrazione nell’ambito dei suoi compiti istituzionali, sono pur sempre destinate a soddisfare determinati bisogni emersi nel tessuto sociale. In base alle più recenti esperienze, si possono richiamare le attività di cura del decoro dei centri abitati e dei beni comuni, le attività di riutilizzo di edifici abbandonati o degradati, l’attività di gestione degli spazi verdi, alcune iniziative culturali e di utilità sociale, ossia tutte attività variamente inquadrabili in forme di “cittadinanza attiva o praticata”[54]. In questi casi, il principio di sussidiarietà diventa lo strumento attraverso il quale gli interessi emersi nella società assumono un preciso rilievo giuridico in relazione agli apparati pubblici, oltre e al di fuori della dimensione propria dell’autonomia privata. Sono principalmente queste le attività d’interesse generale a cui si riferisce l’articolo 118 Cost. e la loro valorizzazione rappresenta uno degli elementi più significativi implicati dalla norma costituzionale[55].

     

    4.1.  Principio di sussidiarietà e ruolo dei privati nella definizione di bisogni e interventi.

    Il richiamo al principio di sussidiarietà per giustificare la disciplina restrittiva sull’affidamento in house non appare più di tanto conferente. In linea di principio, affidare un servizio pubblico sul mercato piuttosto che in via diretta ad una società pubblica è certamente coerente con il principio di sussidiarietà, in quanto la concreta esecuzione del servizio segna un arretramento del pubblico a vantaggio del privato. Tuttavia, va ribadito quanto già detto a proposito della difficoltà di inquadrare i servizi pubblici nelle attività d’interesse generale. Una volta che una determinata prestazione viene assunta come servizio pubblico, risulta complessivamente assorbita nella dimensione pubblica, a prescindere dalla natura del soggetto che in concreto esegue la prestazione. Se la prestazione è erogata da un privato, l’attività è svolta in un contesto organizzativo predisposto dall’amministrazione e non è pertanto ascrivibile all’ “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati[56]. Conseguentemente, l’eventuale affidamento del servizio a terzi ovvero a una società in house non rileva ai fini del principio di sussidiarietà, ma rientra nelle modalità organizzative a disposizione del soggetto pubblico per garantire la soddisfazione dei bisogni. Come già precisato, un’eventuale rilevanza della sussidiarietà verrebbe a collocarsi all’atto di valutare se i bisogni debbano essere soddisfatti mediante un intervento pubblico, nelle forme del servizio pubblico, ovvero se possano essere adeguatamente garantiti dall’ “autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati”. Il carattere procedurale del principio richiederebbe che il soggetto pubblico debba farsi carico di tale valutazione e che, ove riscontri un’adeguata iniziativa privata, si astenga dall’istituire il servizio pubblico.

    Considerazioni analoghe possono valere anche a proposito del coinvolgimento dei privati nell’ambito dei servizi sociali. Se, infatti, il coinvolgimento si esaurisce nell’affidamento a terzi di un determinato servizio, o nella possibilità che terzi eseguano le prestazioni di servizio pubblico, le conclusioni sarebbero le stesse di quelle raggiunte per l’affidamento in house. In quanto assunta come servizio pubblico, l’attività sarebbe inquadrabile in un’apposita iniziativa dell’amministrazione e l’esecuzione da parte del privato rifletterebbe la prescelta modalità organizzativa.  

    Senonchè, l’attuale disciplina di riferimento prevede anche delle diverse forme di coinvolgimento dei privati che, lungi dall’esaurirsi nel momento esecutivo della prestazione, riguardano a monte la fase dell’individuazione dei bisogni e degli interventi necessari per soddisfare quei bisogni.  Significativa in tal senso è la disciplina dell’articolo 55 del d.lgs. 2017, che prevede il coinvolgimento degli enti del Terzo settore nella fase di coprogrammazione e coprogettazione dei servizi sociali. Più esattamente, la norma stabilisce che “in attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all'articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona”, precisando che “la co-programmazione è finalizzata all'individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili” e che “la co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2”[57].

    Così, il coinvolgimento dei privati si estende all’individuazione dei bisogni da soddisfare e alla definizione degli interventi necessari per soddisfare quei bisogni, assumendo una diversa e più ampia dimensione oltre l’ambito meramente esecutivo.

    In questa prospettiva, non sembra erroneo invocare il principio di sussidiarietà a sostegno del più incisivo coinvolgimento dei privati riconosciuto dall’ordinamento. È pur vero che il coinvolgimento s’inquadra sempre nell’ambito di un’iniziativa pubblica finalizzata alla soddisfazione di bisogni generali, ma l’apporto dei privati rileva direttamente nell’organizzazione del servizio contribuendo a meglio individuare quei bisogni e a definire gli interventi necessari[58]. In altri termini, l’individuazione dei bisogni e la definizione degli interventi non sono il frutto dell’esclusiva iniziativa pubblica, ma dipendono e sono correlati ad una specifica iniziativa privata che giustifica l’evocazione del principio di sussidiarietà. È solo riconoscendo questo rinnovato spazio all’iniziativa privata che il principio di sussidiarietà può coniugarsi con l’organizzazione dei servizi pubblici, come anche recentemente affermato dalla Corte costituzionale proprio in relazione alla disciplina del Terzo settore. Si potrà discutere se il fenomeno, più che nel principio di sussidiarietà, sia meglio inquadrabile nelle c.d. forme di amministrazione condivisa, variamente incentrate sulla collaborazione tra privato e amministrazione nei diversi ambiti e livelli dell’azione amministrativa[59]. Tuttavia, l’inquadramento nell’articolo 118 Cost. consente una diversa valorizzazione del principio di sussidiarietà, estendendone l’applicazione ad ambiti essenzialmente già ricompresi nel perimetro pubblico. Resta inteso che, per garantire concreta attuazione al principio in questa accezione, non è sufficiente la mera previsione normativa ma occorrono adeguate forme di tutela procedimentale e giurisdizionale. Sotto questo profilo, il sindacato di ragionevolezza del giudice amministrativo e l’attuale conformazione del procedimento possono ritenersi funzionali allo scopo.  

     

    5. Osservazioni conclusive. La via intrapresa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

    Il coinvolgimento dei privati nella definizione dei bisogni e degli interventi caratterizza ormai stabilmente l’ambito dei servizi pubblici, con particolare riferimento ai servizi sociali. Oltre a prefigurare nuove implicazioni del principio di sussidiarietà, il fenomeno tende a garantire la rispondenza del servizio pubblico ai reali bisogni della comunità, assumendo un ruolo decisivo proprio nei momenti critici come l’attuale, dove le esigenze sono nuove, mutevoli e straordinarie. Il fatto che alcune delle misure adottate per fronteggiare la pandemia valorizzino questo confronto tra pubblico e privato ne conferma la rilevanza e la sua progressiva espansione[60].

    Viceversa, l’attuale quadro normativo di riferimento, così come interpretato da una parte della giurisprudenza, non sembra garantire appieno la libertà dell’amministrazione nell’organizzazione dei servizi pubblici. Un’interpretazione troppo restrittiva dell’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016, quale anche emersa nei più recenti arresti giurisprudenziali, finisce per relegare l’affidamento in house a modalità eccezionale rispetto all’affidamento in esito a procedura di gara. Si rischia così di irrigidire eccessivamente l’autonomia organizzativa dell’amministrazione, quando invece, soprattutto in un momento critico come l’attuale, le si dovrebbe riconoscere maggiore flessibilità per fronteggiare esigenze nuove, mutevoli e straordinarie. In tal senso è auspicabile un’interpretazione dell’articolo 192 più rispettosa della libertà organizzativa dell’amministrazione, che non si serva dell’onere motivazionale per creare una gerarchia tra autoproduzione ed esternalizzazione, ma che riporti l’onere motivazionale alla sua funzione naturale di giustificazione della scelta sotto il profilo della convenienza, dell’economicità e della coerenza rispetto agli obiettivi prefissati.

    In questa direzione non sembra, tuttavia, muoversi il Piano nazionale di ripresa e resilienza recentemente adottato dal Governo. Così riporta testualmente la parte dedicata ai servizi pubblici: “in materia di servizi pubblici, soprattutto locali, occorre promuovere un intervento di razionalizzazione della normativa, anche prevedendo l’approvazione di un testo unico, che in primo luogo chiarisca il concetto di servizio pubblico e che assicuri – anche nel settore del trasporto pubblico locale - un ricorso più responsabile da parte delle amministrazioni al meccanismo dell’in house providing. In questa prospettiva, pur preservandosi la libertà sancita dal diritto europeo di ricorrere a tale strumento di autoproduzione, andranno introdotte specifiche norme finalizzate a imporre all’amministrazione una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato, dei benefici della forma dell’in house, dal punto di vista finanziario e della qualità dei servizi e dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in auto-produzione, o comunque a garantire una esaustiva motivazione dell’aumento della partecipazione pubblica”.

     A parte il fatto che già oggi l’in house è assoggettato ad una disciplina particolarmente restrittiva, il Piano recepisce e fa proprio l’indirizzo prevalente che vede nell’’affidamento in house una modalità eccezionale e derogatoria delle regole concorrenziali. Lungi dall’acquisire l’auspicata flessibilità, l’autonomia organizzativa  resterà così compressa da quegli stessi limiti che tuttora gravano sull’affidamento in house.

     

    [1] cfr. d.l. 17 marzo 2020 n. 18; d.l. 19 maggio 2020 n. 34; d.l. 14 agosto 2020 n. 104.

    [2] Cfr. art. 3 D.L. 17 marzo 2020 n. 18, ai sensi del quale "le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano e le aziende sanitarie possono stipulare contratti ai sensi dell'articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502 per l'acquisto di ulteriori prestazioni sanitarie, in deroga al limite di spesa di cui all'articolo 45, comma 1-ter, del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, nel caso in cui: a) la situazione di emergenza dovuta alla diffusione del COVID-19 richieda l'attuazione nel territorio regionale e provinciale del piano di cui alla lettera b) del presente comma; b) dal piano, adottato in attuazione della circolare del Ministero della salute prot. GAB 2627 in data 1° marzo 2020, al fine di incrementare la dotazione dei posti letto in terapia intensiva e nelle unità operative di pneumologia e di malattie infettive, isolati e allestiti con la dotazione necessaria per il supporto ventilatorio e in conformità alle indicazioni fornite dal Ministro della salute con circolare prot. GAB 2619 in data 29 febbraio 2020, emerga l'impossibilità di perseguire gli obiettivi di potenziamento dell'assistenza indicati dalla menzionata circolare del 1° marzo 2020 nelle strutture pubbliche e nelle strutture private accreditate, mediante le prestazioni acquistate con i contratti in essere alla data del presente decreto".

    [3] Per rafforzare l’assistenza territoriale, la legge di bilancio 2021 (art. 1 comma 406 l. 178/2020) ha esteso parte della disciplina di cui al d.lgs. n. 502 del 1992 alle “organizzazioni pubbliche e private   autorizzate   per   l'erogazione   di   cure domiciliari»; cfr. anche art. 1 co.4, d.l. 19 maggio 2020 n. 34.

    [4] Cfr. art. 8 d.l. 9 marzo 2020 n. 14 e poi art. 4 bis, d.l. 18/2020, cit.

    [5] Cfr. decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 2020.

    [6] Cfr. decreto del Ministero dell’Istruzione 26 giugno 2020 n. 39, recante “Adozione del documento per pianificazione attività scolastiche educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di istruzione per a.s. 2020 2021”.

    [7] Cfr. decreto del Ministero dell’Istruzione 26 giugno 2020 n. 39, cit., secondo cui “per la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario, gli Enti locali, le istituzioni pubbliche private operanti sul territorio, le realtà del terzo Settore e le scuole possono sottoscrivere specifici accordi quali patti educativi di comunità. Il coinvolgimento dei vari soggetti pubblici e degli attori privati, in una logica di massima adesione al principio di sussidiarietà e corresponsabilità educativa, avviene attraverso lo strumento della conferenza di servizi prima richiamato, chiamata a valutare le singole proposte di cooperazione e le modalità di realizzazione: - favorire messa a disposizione altre strutture o spazi come parchi teatri biblioteche, cinema, musei per svolgervi attività didattiche complementari a quelle tradizionali, comunque volte a finalità educative; - sostenere autonomie scolastiche nella costruzione delle collaborazioni che possano concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa”.

    [8] Cfr. artt. 104 e 105 d.l. 34/2020, cit.

    [9] Cfr. art. 89, co. 2 bis, d.l. 34/2020, cit., secondo cui “i servizi previsti all'articolo 22, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328, sono da considerarsi servizi pubblici essenziali, anche se svolti in regime di concessione, accreditamento o mediante convenzione, in quanto volti a garantire il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati.  Allo  scopo  di assicurare l'effettivo e  continuo  godimento  di  tali  diritti,  le regioni e le province autonome di Trento e  di  Bolzano,  nell'ambito delle loro competenze e della  loro  autonomia  organizzativa,  entro sessanta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di conversione  del  presente  decreto,  definiscono  le  modalità per garantire  l'accesso  e   la   continuità   dei   servizi   sociali, socio-assistenziali e socio-sanitari essenziali di  cui  al  presente comma anche in  situazione  di  emergenza,  sulla  base  di  progetti personalizzati,  tenendo  conto  delle  specifiche   e   inderogabili esigenze di  tutela  delle  persone  più  esposte  agli  effetti  di emergenze e  calamità.  Le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione del presente comma nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. I servizi previsti dall’art. 22 co. 4 l 328 2000 riguardano il servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; il servizio pronto intervento sociale per situazioni di emergenza personale e familiari; l’assistenza domiciliare; le strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; i centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.

    [10] Cfr. art. 39 d.l. n. 104/2020, cit.

    [11] Cfr. art. 106 d.l. n. 34/2020, cit.

    [12] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 26 aprile 2020; cfr. anche art. 200, d.l. n. 34/2020, cit.; sul tema, M. CARRER, Il traporto pubblico locale nella pandemia. Annotazioni giuridiche sui primi interventi normativi, in Osservatorio costituzionale, 3/2020. 

    [13] In argomento, G. FALCON, Dall’emergenza COVID, pensando al futuro del sistema sanitario, in Le Regioni, 3/2020, 453 ss.

    [14] Corte costituzionale, 12 marzo 2021 n. 37, in www.cortecostituzionale.it.

    [15] Cfr. artt. 1-2, d.l. 25 marzo 2020 n. 19.

    [16] Come noto, nell’ambito della nozione di servizio d’interesse generale sono ricompresi i servizi d’interesse economico generale e servizi non economici d’interesse generale.

    [17] La Comunicazione della Commissione UE I servizi d’interesse generale in Europa, 2001/C 17/04, definisce i servizi d’interesse generale differenziandoli dai servizi ordinari di cui all’art. 57 TFUE. Al riguardo, precisa che “i servizi d’interesse economico generale si differenziano dai servizi ordinari per il fatto che le autorità pubbliche ritengono che debbano essere garantiti anche quando il mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo (…) se le autorità pubbliche ritengono che alcuni servizi siano d’interesse generale e che i meccanismi del mercato potrebbero non essere in grado di garantire una prestazione soddisfacente, esse possono stabilire che le richieste di taluni specifici servizi siano soddisfatte mediante obblighi di servizio d’interesse generale. Per l’esecuzione di questi obblighi possono, ma non necessariamente devono, essere concessi diritti speciali o esclusivi, o anche essere disposti specifici meccanismi di finanziamento”.

    [18] Più esattamente, la qualificazione di un’attività come servizio d’interesse generale è il frutto di una valutazione discrezionale riservata agli Stati membri, che può essere sindacata dalla Commissione solo per errore manifesto; per riferimenti giurisprudenziali, C. FRATEA, art 106 TFUE, in Commentario breve ai Trattati dell’Unione europea, Padova, 2014, 841 ss.; sui servizi d’interesse generale e relative questioni, M. MAZZAMUTO, La riduzione della sfera pubblica, Torino, 2000, 103 ss.; E. SCOTTI, Il pubblico servizio tra tradizione nazionale e prospettive europee, Padova, 2003, 147 ss.; V. CERULLI IRELLI, Impresa pubblica, fini sociali, servizi d’interesse generale, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2006, 47 ss.; F. CINTIOLI, Concorrenza, istituzioni e servizio pubblico, Milano, 2010; G. DI GASPARE, Servizi pubblici locali in trasformazione, Padova, 2010, 27 ss.; M. TRIMARCHI, I servizi di interesse economico generale nel prisma della concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2020, 53 ss.; A. DI GIOVANNI, I servizi di interesse generale tra poteri di autorganizzazione e concessione di servizi, Torino, 2018.

    [19] Cfr. articolo 106, co. 2, TFUE, ai sensi del quale “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione”.

    [20] Corte di giustizia, sentenza 10 dicembre 1991, c-179/90, Merci Convenzionali Porto di Genova, secondo cui “la deroga all’applicazione delle norme del Trattato stesso è subordinata non solo al fatto che i pubblici poteri abbiano affidato all’impresa di cui trattasi la gestione di un servizio economico d’interesse generale, ma anche al fatto che l’applicazione delle norme del Trattato osti all’adempimento della specifica missione affidatale e che non venga compromesso l’interesse della Comunità”; Tribunale, Terza Sezione ampliata, 12 febbraio 2008, causa T – 289/03.

    [21] La giurisprudenza europea non esclude che le attività economiche possano svolgersi sulla base di diritti speciali o esclusivi, a condizione che sussistano ragioni d’interesse generale e che il conferimento dei suddetti diritti speciali o esclusivi non determini una violazione delle regole di concorrenza previste dal Titolo VII, Capo II, del TFUE, artt. 101 -108 (nella giurisprudenza europea il principio viene affermato già con la sentenza della Corte, 30 aprile 1974, C. 155-73, Sacchi). Sul tema, F. TRIMARCHI BANFI, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, Sesta edizione, Torino, 2019, 27 ss.

    [22] L’articolo 106, co.1, TFUE prevede che “gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e dal 101 a 109 inclusi”.

    [23] Cfr. anche Protocollo n. 26 sui servizi d’interesse generali allegato al TFUE.

    [24] In argomento, F. FRACCHIA, Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali: tra esternalizzazione e municipalizzazione, in Federalismi.it, 13 luglio 2016; D. DE BLASI, I servizi pubblici locali tra riforma e riedizione di vecchi modelli, in Il Corriere del merito, le Rassegne, 3/2011, 5 ss.; D. SORACE, Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Riv. it., dir. pubbl. com., 1997, 51 ss.

    [25] Corte di Giustizia CE, 18.11.1999, causa C-107/98, Teckal.

    [26] Cfr. art. 17 Direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione; per approfondimenti sulla Direttiva, G. GRECO, La direttiva in materia di “concessioni”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2015, 1095 ss.; per quanto riguarda il recepimento della normativa europea nel diritto interno, cfr. art. 5, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, nonché art. 16, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175; in generale, sulla disciplina europea degli affidamenti in house, M.A. SANDULLI – F. APERIO BELLA, Le evoluzioni dell’in house providing, in Libro dell’Anno 2016, AA.VV., Roma, 2016, 228 ss.; F. CINTIOLI, La nuova disciplina europea degli affidamenti in house e i dubbi italiani, in Studi in memoria di Antonio Romano Tassone, Napoli, 2018, I, 673 ss.

    [27] Così, Corte di giustizia, 13 ottobre 2005, C-458/03, Parking Brixen Gmbh; cfr. anche Corte di giustizia UE, sez. III, 13 novembre 2008, C – 324/07, Coditel Brabant SA, secondo cui “l’applicazione delle regole enunciate agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE, nonché dei principi generali di cui esse costituiscono la specifica espressione, è tuttavia esclusa se, al tempo stesso, il controllo esercitato sull’ente concessionario dell’autorità pubblica concedente è analogo a quello che essa esercita sui propri servizi e se il detto ente realizza la parte più importante della sua attività con l’autorità o le autorità che  detengono”.

    [28] Su questi temi, M. TRIMARCHI, I servizi di interesse economico generale nel prisma della concorrenza, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2020, 53 ss.

    [29] Sulla disciplina costituzionale dell’attività economica la letteratura è estremamente ampia; senza alcuna pretesa di completezza, si rinvia, in particolare, a S. CASSESE, Legge di riserva e articolo 43 della Costituzione, in Giur. cost., 1960, 1332 ss.; C. ESPOSITO, I tre commi dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. cost., 1962, 33 ss.; M. LUCIANI, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983; Id., Economia nel diritto costituzionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 1990, vol. V, 374 ss.; Id., Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, in Rivista AIC 2011, nonché in Dir. e soc., 4/2011, 636 ss.; F.TRIMARCHI BANFI, Organizzazione economica ad iniziativa privata e organizzazione economica ad iniziativa riservata negli articoli 41 e 43 della Costituzione, in Pol. dir., 1992, 3 ss.; C. MARZUOLI, Mercato e valore dell’intervento pubblico, in Le Regioni, 1993, 1593 ss.; AA.VV., La Costituzione economica – Atti del Convegno Ferrara, 11-12 ottobre 1991, Padova, 1997; M. PELLEGRINI, a cura di, Corso di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2016; M. MANETTI, I fondamenti costituzionali della concorrenza, in Quad. cost., 2/2019, 315 ss.; E. CARDI, Mercati e Istituzioni in Italia, Torino, 2018; M. AINIS – G. PITRUZZELLA, I fondamenti costituzionali della concorrenza (Atti del Convegno di Studi – I fondamenti costituzionali della concorrenza Roma, 10 maggio 2018), Bari, 2019; C. PINELLI, L’iniziativa economica pubblica nella Costituzione italiana, in Iniziativa economica pubblica e società partecipate, a cura di V. Cerulli Irelli e M. Libertini, Napoli, 2019, 5 ss.; per una prospettiva specificamente incentrata sull’attività di regolazione, A. RIVIEZZO, Il doppio stato regolatore. Profili costituzionali, appunti di teoria generale, Napoli, 2013; con riferimento al rapporto tra libertà di iniziativa economica e servizi pubblici locali, D. SORACE, Note sui “servizi pubblici locali” dalla prospettiva della libertà di iniziativa, economica e non, dei privati, in Studi in onore di Vittorio Ottaviano, Milano, 1993, II, 1141 ss.; sull’evoluzione della c.d. “costituzione economica”, S. CASSESE, a cura di, La nuova costituzione economica, Sesta edizione riveduta e aggiornata, Bari, 2021, nonché G. DI GASPARE, Diritto dell’economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2015.

    [30] Sull’accezione di concorrenza implicata dal diritto europeo, F. TRIMARCHI BANFI, Il principio di concorrenza: proprietà e fondamento, in Dir. amm., 1-2/2013, 15 ss.; Id., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), in Riv. it. dir. pubbl. com., 2012, 723 ss.; in generale, sulla concorrenza nel diritto europeo, M. LIBERTINI, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014; G. CONTALDI, Diritto europeo dell’economia, Torino 2019; L. PACE, a cura di, Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Padova, 2020; A. CATRICALÀ, C.E. CAZZATO, F. FIMMANÒ, a cura di, Diritto antitrust, Milano, 2021, 3 ss.

    [31] Cfr. art. 117, lettera e), Cost.

    [32] Sui termini del dibattito, si rinvia ai contributi raccolti in La Costituzione economica, cit., e, in particolare, all’intervento di G. AMATO, Il mercato nella Costituzione, ivi, cit., 7 ss.; si veda anche N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2001, 93 ss.; M. LUCIANI, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, cit., 50 ss. (la numerazione si riferisce al contributo pubblicato sulla Rivista AIC).

    [33] Sulla concorrenza e le relative questioni definitorie, M. LIBERTINI, Concorrenza, in Enc. dir., Annali III, Milano, 2010, 191 ss.; sulla concorrenza nella Costituzione, oltre ai contributi citati nella nota 29, M. LIBERTINI, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., 2005, 1429 ss.; M. ZOTTA, La concorrenza nella Costituzione e nei trattati, in Diritto antitrust, a cura di A. CATRICALÀ, C.E. CAZZATO, F. FIMMANÒ, Milano, 2021, 3 ss.

    [34] Cfr., ad esempio, Corte cost., 17 novembre 2010 n. 325, che, a proposito delle restrizioni all’affidamento in house previste dall’art. 23 bis d.l. n. 112 del 2008, ha rilevato che le suddette restrizioni “si risolvono in una restrizione delle ipotesi in cui è consentito il ricorso alla gestione in house del servizio e, quindi, della possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica”; per una critica della giurisprudenza costituzionale che inquadra la regola della procedura di gara in una regola di concorrenza, F. TRIMARCHI BANFI, Il principio di concorrenza: proprietà e fondamento, cit., 41 ss.; Id., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), cit., 736 ss.; sul tema generale della concorrenza nella giurisprudenza costituzionale, M. LIBERTINI, La tutela della concorrenza nella Costituzione. Una rassegna critica della giurisprudenza costituzionale italiana dell’ultimo decennio, in Merc. conc. reg., 3/2014, 503 ss.; A. ARGENTATI, L’iniziativa economica pubblica e il mercato nella giurisprudenza costituzionale. Brevi note critiche, in Iniziativa economica pubblica e società partecipate, cit., 17 ss.

    [35] Come noto, l’articolo 345 TFUE prevede che “i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”, affermando in ciò il principio di neutralità del diritto europeo rispetto al regime di proprietà vigente negli Stati membri.

    [36] Con riferimento alle limitazioni alla capacità di agire di diritto privato previste dal d.lgs. n. 175/2016, A. MALTONI, Il testo unico sulle società a partecipazione pubblica e i limiti alla capacità di agire di diritto privato della p.a., in Il diritto amministrativo in trasformazione, a cura di N. LONGOBARDI, Torino, 2016, 189 ss.; F. MERUSI, I principi costituzionali, in Codice delle società a partecipazione pubblica, a cura di G. MORBIDELLI, Milano, 2018, 21 ss.; M. LIBERTINI, Limiti e ruolo dell’iniziativa pubblica alla luce del Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica, in Iniziativa economica pubblica e società partecipate, cit., 45 ss.

    [37] F. FRANCARIO, Requisiti speciali di capacità dei concorrenti, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, Milano, 2019, II, 953, sottolinea che le previsioni in materia di gare pubbliche sono principalmente dirette a garantire i principi di buon andamento e imparzialità: “la garanzia della libertà di concorrenza e di mercato rimane pur sempre un mezzo rispetto al fine ultimo che deve essere perseguito da una pubblica amministrazione, che è quello di garantire il rispetto del principio di buon andamento e imparzialità nella cura dell’interesse pubblico (art. 97 Cost.), ormai riconosciuto anche in ambito comunitario come diritto d una buna amministrazione (art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).”.

    [38] Testualmente, l’articolo 192, co.2, d.lgs. n. 50 del 2016, prevede che “ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonchè dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonchè di ottimale impiego delle risorse pubbliche”; per un approfondito commento della norma, M. PIZZI, Affidamenti in house, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. SANDULLI e R. DE NICTOLIS, Milano, 2019, I, 747 ss.;

    [39] cfr. Cons. St., Sez. III, 3 marzo 2020 n. 1564: “giova ricordare che l’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (d. lgs. n. 50 del 2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni): a) la prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato’ rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe; b) la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house (dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento – con particolare riguardo all’affidamento tramite gare di appalto -). Anche qui la previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese".

    [40] Per uno sguardo d’insieme sulle questioni rispettivamente sollevate innanzi alla Corte di giustizia e alla Corte costituzionale, C.P. GUARINI, Una nuova stagione per l’in house providing? L’art. 192, co.2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, tra dubbi di legittimità costituzionale e sospetti di incompatibilità comunitaria, in Federalismi.it, 17 aprile 2019.

    [41] Per l’inquadramento dell’affidamento in house nella libertà (autonomia) organizzativa dell’amministrazione, non solo con riferimento al contesto europeo ma anche a quello nazionale, D. CASALINI, L’organismo di diritto pubblico e l’organizzazione in house, Napoli, 2003; E. SCOTTI, Organizzazione pubblica e mercato: società mite, in house providing e partenariato pubblico – privato, in Dir. amm., 4/2005, 915 ss.; R. CAVALLO PERIN-D. CASALINI, L’in house providing: un’impresa dimezzata, in Dir. amm., 1/2006, 51 ss.; C. IAIONE, Le società in house. Contributo allo studio dei principi di auto-organizzazione e auto –produzione degli enti locali, Napoli, 2012; R. CAVALLO PERIN, I servizi pubblici locali: modelli gestionali e destino delle utilities, in L’integrazione degli ordinamenti giuridici in Europa (Atti del Convegno di Lecce del 23-24 maggio 2014), a cura di P.L. PORTALURI, Napoli, 2014, 23 ss.; R. CAVALLO PERIN – G. RACCA, Le modificazioni organizzative negli appalti e servizi pubblici delle pubbliche amministrazioni e l’ordinamento dell’Unione europea, in Scritti in memoria di Antonio Romano Tassone, Napoli, 2018, I, 489 ss.; C. VOLPE, Le nuove direttive sui contratti pubblici e l’in house providing: problemi vecchi e nuovi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2015, 1169 ss.; F. FRACCHIA, Pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali: tra esternalizzazione e municipalizzazione, cit.; F. FRACCHIA – S. VERNILE, Nozione, principi e fonti: in house providing e diritto U.E. (principio di autorganizzazione, affidamenti diretti, in house verticale rovesciato, in house orizzontale), in Le società in house, a cura di M. Antonioli, A. Bellavista, M. Corradino, V. Donativi, F. Fracchia, S. Glinianski, A. Maltoni, Napoli, 2020, 5 ss.; M. PIZZI, Affidamenti in house, cit., 747 ss.;  con riferimento alla disciplina del d.lgs. n. 175 del 2016, M. PASSALACQUA, Le aporie delle forme di gestione dei servizi pubblici locali nel TU partecipate: organizzazione amministrativa e tutela della concorrenza, in I servizi pubblici. Vecchi problemi e nuove regole, a cura di L. AMMANNATI e R. CAFARI PANICO, Torino, 2018, 3 ss.

    [42] Più esattamente, Cons. St., Sez. V, ord. 7 gennaio 2019 n. 138 ha rimesso alla Corte di Giustizia il quesito “se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e il principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’articolo 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto”; per un commento all’ordinanza di rimessione, L. LONGHI, L’in house providing tra libera autodeterminazione delle amministrazioni pubbliche e principio di concorrenza, in Riv. Corte dei conti, 1/2019, 280 ss.

    [43] La questione è stata sollevata dal TAR Liguria, Sez. II, 15 novembre 2018 n. 886.

    [44] Corte di giustizia UE, Sez. IX, 6 febbraio 2020 n. C-89/19 a C-91/19; per un commento alla decisione, C. CONTESSA, La Corte di Giustizia legittima i limiti nazionali agli affidamenti in house, in Urb. app., 3/2020, 354 ss.; H. BONURA – M. VILLANI, Ancora sull’eccezionalità del ricorso all’in house: una possibile rilettura alla luce della giurisprudenza più recente, in Riv. Corte dei conti, 3/2020, 18 ss.; G. SCARAFIOCCA, L’in house providing di nuovo all’attenzione delle Corti. L’occasione per uno sguardo d’insieme, in Federalismi.it, 10 febbraio 2021.

    [45] Si tratta di conclusioni analoghe a quelle di Corte di giustizia UE, IV Sezione, 3 ottobre 2019, causa C-285/18, Irgita.

    [46] Corte cost., 27 maggio 2020 n. 100; per un commento alla sentenza, M. TRIMARCHI, L’affidamento in house dei servizi pubblici locali (nota a Corte costituzionale 27 maggio 2020 n. 100), in Giustizia Insieme, 11 giugno 2020; M. PAOLELLI, Divieto di gold plating e affidmento in house providing: costituzionalmente legittima la previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di motivare le ragioni del mancato ricorso al mercato, in Riv. Corte dei conti, 3/2020, 182 ss.; H. BONURA – M. VILLANI, Ancora sull’eccezionalità del ricorso all’in house: una possibile rilettura alla luce della giurisprudenza più recente, cit., 18 ss.

    [47] Al di là della questione relativa alla motivazione, merita una precisazione l’ulteriore assunto della Corte di giustizia, secondo cui la scelta organizzativa dovrebbe essere comunque caratterizzata dal “rispetto delle regole fondamentali del Trattato FUE, segnatamente della libertà di circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché dei principi che ne derivano come la parità di trattamento, il divieto di discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza”. Negli specifici casi in cui il servizio affidato in house sia espletato in esclusiva la condizione posta dalla Corte deve ritenersi assorbita e soddisfatta dalla sussistenza dei requisiti dell’in house e di quelli richiesti per la qualificazione dell’attività in termini di servizio d’interesse generale, dal momento che, come si è visto, è solo in questi casi che è possibile ipotizzare una deroga ai richiamati principi e libertà previsti dal trattato. Diversamente, il rispetto della condizione sarebbe impossibile, poiché richiederebbe l’osservanza di principi e libertà che la sussistenza dei suddetti requisiti tende a escludere. 

    [48] F. TRIMARCHI BANFI, Il principio di concorrenza: proprietà e fondamento, cit., 15 ss.; Id., Procedure concorrenziali e regole di concorrenza nel diritto dell’Unione e nella Costituzione (all’indomani della dichiarazione di illegittimità delle norme sulla gestione dei servizi pubblici economici), cit., 723 ss.

    [49] Recentemente, Cons. St., Sez. III, 12 marzo 2021, n. 2102, ha evidenziato che l’onere motivazionale di cui all’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016 non richiede “un confronto concorrenziale preliminare tra i due modelli di gestione del servizio” e che “che la motivazione sottesa all’opzione internalizzante può assumere carattere “unitario”, siccome idonea a dare conto, ad un tempo, delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività attesi dal modello in house”; per un commento alla decisione, A. SQUAZZONI, Affidamento in house e motivazione del mancato ricorso al mercato, in Giustizia Insieme, 18 maggio 2021.

    [50]  In argomento, A. D’ATENA, Sussidiarietà orizzontale e affidamento “in house”, in Giur. cost., 2008, 5009 ss.; si vedano anche le considerazioni di F. VESSIA, La scelta di gestione in house dei servizi pubblici locali nella prospettiva comunitaria, in Le nuove società partecipate e in house providing, a cura di S. FORTUNATO E F. VESSIA, Milano, Giuffrè, 2017, 271 ss, secondo cui “il fondamento di legittimità degli affidamenti in house, ossia il principio di necessarietà e proporzionalità in applicazione della regola della sussidiarietà orizzontale, deriva dalle fonti comunitarie e costituisce il recepimento delle interpretazioni che la Corte di Giustizia ha fatto dell’articolo 1056, c.2. TFUE e che le istituzioni comunitarie hanno ribadito nelle fonti sui SIEG; Id., Vincoli europei alle partecipazioni pubbliche e riflessi societari, Napoli, 2020, 84 ss.; per una diversa prospettiva, F. TRIMARCHI BANFI, Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, in Dir. amm., 1/2020, 27, spec. nota 67, la quale ritiene che la disciplina di cui all’articolo 192 d.lgs. n. 50 del 2016 non sia attuazione del principio di sussidiarietà, ma s’inquadri nelle modalità organizzative di un’attività riconducibile alla sfera pubblica. Nella ricostruzione dell’A., la sussidiarietà non potrebbe venire in rilievo quando l’attività sia stata ormai assunta tra i compiti pubblici: “la pertinenza del servizio della cui gestione si tratta alla sfera pubblica presuppone che la questione della sussidiarietà sia superata”.

    [51] Per un inquadramento del principio di sussidiarietà, si vedano i contributi raccolti in Sussidiarietà e pubbliche amministrazioni, a cura di F. ROVERSI MONACO, Atti del Convegno per il 40° della Spisa, Bologna, 25-26 settembre 1995, Rimini, 1997; G. U. RESCIGNO, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritto sociali, in Dir. pubbl., 2002, 5 ss.; A. ALBANESE, Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Dir. pubbl., 2002, 51 ss.; I. MASSA PINTO, Il principio di sussidiarietà. Profili storici e costituzionali, Napoli, 2003; V. CERULLI IRELLI, Sussidiarietà (dir. amm.), in Enc. giur., agg. XII, Rom, Treccani, 2004; P. DURET, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus, 2000, 95 ss.; Id., Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova, Cedam, 2004; G. PASTORI, Amministrazione pubblica e sussidiarietà orizzontale, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, Jovene, II, 2005, 1752 ss.; A. RIVIEZZO, L’associazionismo economico nei rapporti coi soggetti pubblici: rappresentanza degli interessi e c.d. principio di sussidiarietà, in Riv. giur. mezz., 2-3/2006, 377 ss.; F. GIGLIONI, Il principio di sussidiarietà orizzontale nel diritto amministrativo e la sua applicazione, in Foro amm. CDS, 2009, 2909 ss.; G. ARENA, Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Riv. trim. dir. pubbl., 2017, 43 ss.; T. E. FROSINI, Sussidiarietà (principio di) (diritto costituzionale), in Enc. dir., Annali, II, Milano, 2008, 1133 ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, cit., 3 ss.; più in generale, nella prospettiva di una sovranità orizzontale, E. FREDIANI, La produzione normativa nella sovranità orizzontale, Pisa, 2010.

    [52] G. U RESCIGNO, Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, cit., 14: “come si vede si tratta di non di un principio o criterio sostanziale, ma di un principio o criterio procedurale: esso non dice a chi spetta il tipo di azione considerato, ma quale ragionamento bisogna fare per individuare il soggetto competente”.

    [53] Per queste considerazioni, si veda F. TRIMARCHI BANFI, Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, cit., 28 ss.

    [54]  Ai fini della qualificazione delle attività d’interesse generale, è utile segnalare che l’articolo 5 del d.lgs. 117 del 2017, rubricato “attività d’interesse generale”, prevede che “gli enti del Terzo settore, diversi  dalle  imprese  sociali incluse  le  cooperative  sociali,  esercitano  in  via  esclusiva  o principale una  o  più attività  di  interesse  generale  per  il perseguimento,  senza  scopo  di   lucro,   di   finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.

    [55] Su questi aspetti, sia consentito rinviare a E. ZAMPETTI, Riflessioni in tema di soggettività e attività amministrativa di diritto privato e principio di sussidiarietà orizzontale, in Persona e amministrazione, 2/2019, 339 ss.

    [56] F. TRIMARCHI BANFI, Teoria e pratica della sussidiarietà orizzontale, cit., 28 ss.

    [57] Sulla disciplina del Terzo settore, A. FICI, E. ROSSI, G. SEPIO, P. VENTURI, (a cura di), Dalla parte del Terzo settore. La riforma letta dai suoi protagonisti, Bari, 2020; per le implicazioni costituzionali del Terzo settore, E. ROSSI, Costituzione, pluralismo solidaristico e terzo settore, Modena, 2019; F. SANCHINI, Profili costituzionali del Terzo settore, Milano, 2021.

    [58] In tal senso, Corte cost., 26 giugno 2020, n. 131, in www.cortecostituzionale.it.; con specifico riferimento al richiamato art. 55 d.lgs. n. 117/2017, la Corte rileva che “in espressa attuazione, in particolare, del principio di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost.,  l’art. 55 CTS realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria – strutturando e ampliando una prospettiva che era già stata prefigurata, ma limitatamente a interventi innovativi e sperimentali in ambito sociale, nell’art. 1, comma 4, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quindi dall’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328)”, precisando che “l’art. 55 CTS, infatti, pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS”. La peculiarità del Terzo settore consentirebbe di configurare “un nuovo rapporto collaborativo con i soggetti pubblici” in quanto “agli ETS, al fine di rendere più efficace l’azione amministrativa nei settori di attività di interesse generale definiti dal CTS, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”. In altri termini – prosegue la sentenza – “si instaura,  tra i soggetti pubblici e gli ETS, in forza dell’art. 55, un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”; per un commento alla sentenza, E. ROSSI, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sent. n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Le Regioni, 5/2020, 1184 ss.

    [59] Sul tema, si rinvia per tutti a F. BENVENUTI, ll nuovo cittadino, Padova, 1994, 86 ss.

    [60] Ci si riferisce, ad esempio, ai c.d. “patti educativi di comunità” tra enti locali, istituzioni pubbliche e private operanti sul territorio, enti del Terzo settore e scuole, preordinati alla “più ampia realizzazione del servizio scolastico nel presente scenario” (cfr. Decreto del Ministero dell’Istruzione 26 giugno 2020 n. 39, cit.). 

    L’emergenza Covid-19 e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro.

    L’emergenza Covid-19 e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro.

    di Fabio francario


    L’annuale edizione delle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa si è tenuta in forma di webinar il 30 giugno – 1 luglio 2020 ed è stata dedicata al tema "L’emergenza Covid-19 e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro".

    L’intento è stato di fare un primo bilancio dell’impatto della normativa emergenziale sul processo amministrativo.

    Di seguito il video delle due sessioni in cui si è articolato il webinar.



     

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