ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Scheda n. 9 - Disciplina del dibattimento (art. 477 e ss. c.p.p.)
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
La riforma innova fortemente la disciplina del dibattimento, da un lato eliminando norme rivelatesi inapplicabili o inefficienti, dall’altro adattando il dibattimento alle altre numerose modifiche del codice di procedura. Le nuove norme riguardano il calendario delle udienze, la verbalizzazione, la disciplina quando è assente l’udienza preliminare, la richiesta e assunzione dei mezzi di prova, le nuove contestazioni.
CALENDARIO DELLE UDIENZE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 477 c.p.p. - Durata e organizzazione del dibattimento. 1. Quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente, dopo la lettura dell’ordinanza con cui provvede sulle richieste di prova, sentite le parti, stabilisce il calendario delle udienze, assicurando celerità e concentrazione e indicando per ciascuna udienza le specifiche attività da svolgere. (Omissis) |
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 145 disp. att. c.p.p. - Comparizioni dei testimoni, periti, consulenti tecnici e interpreti. (Omissis) 2. Se il dibattimento deve protrarsi per più giorni, il presidente, sentiti il pubblico ministero e i difensori, stabilisce il giorno in cui ciascuna parte deve comparire. |
L’art. 477 c.p.p. prevedeva che il dibattimento si svolgesse in una sola udienza, con eventuale rinvio al giorno seguente; l’art. 145 disp. att. c.p.p. stabiliva che in caso di prosecuzione, il presidente aveva facoltà di stabilire il giorno in cui ciascuna persona deve comparire.
Nella nuova disciplina viene modificato l’art. 477, dedicandolo alla “organizzazione del processo”, superando la anacronistica e mai applicata disciplina previgente: dopo l’ammissione delle prove, si stabilisce il calendario (ma si richiede la celerità e la concentrazione) indicando per ogni udienza l’attività prevista; in particolare stabilendo il giorno in cui ogni persona deve comparire.
Si osserva che la norma non tiene conto dei carichi e delle imprevedibili vicende del processo (basta una malattia o uno sciopero…) per cui nei processi complessi la calendarizzazione rimarrà lettera morta, al di là delle esortazioni di facciata.
REDAZIONE DEL VERBALE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 483 c.p.p. - Sottoscrizione e trascrizione del verbale. (Omissis) 1-bis. Il verbale redatto in forma di documento informatico è sottoscritto dal pubblico ufficiale che lo ha redatto secondo le modalità previste dall’articolo 111 e sottoposto al presidente per l’apposizione del visto con firma digitale o altra firma elettronica qualificata. (Omissis) |
L’art. 483 c.p.p. prevedeva che il verbale di udienza sia redatto e sottoscritto dal pubblico ufficiale, poi presentato al Presidente per il visto. Nella nuova disciplina il verbale cartaceo è sostituito da quello telematico.
Disciplina transitoria: le norme si applicano a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti da adottarsi entro il 2023 (art. 87 del D.L.vo n. 150/2022).
COSTITUZIONE DELLE PARTI
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 484 c.p.p. - Costituzione delle parti. (Omissis) 2-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 420-bis, 420-ter, 420-quater e 420-quinquies dell’articolo 420-ter e, nei casi in cui manca l’udienza preliminare, anche le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420- quater, 420-quinquies e 420-sexies. (Omissis) |
L’art. 484 c.p.p. dispone l’applicazione nel dibattimento delle norme in materia di assenza, impedimento, non reperimento, ricerche dell’imputato e sospensione del processo. Nella nuova disciplina si distingue a seconda che il procedimento sia passato attraverso l’udienza preliminare o no. Se vi è stata, il processo prosegue con la posizione processuale dichiarata nell’udienza preliminare e si applica solo l’art. 420-ter che riguarda i casi in cui ad una udienza vi sia l’impedimento a comparire dell’imputato o del difensore. È invece razionalizzata – richiamando la disciplina prevista per l’udienza preliminare - la disciplina dell’instaurazione del rapporto processuale nei casi in cui manca l’udienza preliminare.
IMPUTATO CONTRO IL QUALE SI È PROCEDUTO IN ASSENZA NELL’UDIENZA PRELIMINARE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 489 c.p.p. - Rimedi per l’imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare. 1. L'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nel corso dell'udienza preliminare può chiedere di rendere le dichiarazioni previste dall'articolo 494. Se vi è la prova che nel corso dell’udienza preliminare l’imputato è stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 420-bis, il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità del decreto di rinvio a giudizio e restituisce gli atti al giudice dell’udienza preliminare. 2. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza nel corso dell'udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall'articolo 420-bis, comma 4, è rimesso nel termine per formulare le richieste di cui agli articoli 438 e 444. La nullità prevista dal comma 1 è sanata se non è eccepita dall’imputato presente, ferma la facoltà dello stesso di essere restituito nel termine per formulare le richieste di procedimenti speciali e di esercitare le ulteriori facoltà dalle quali sia decaduto. In ogni caso la nullità non può essere rilevata o eccepita se risulta che l’imputato era nelle condizioni di comparire all’udienza preliminare. 2-bis. Fuori dai casi previsti dal comma 1, ferma restando la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l’imputato è restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto: a) se fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell’assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento senza sua colpa; b) se, nei casi previsti dai commi 2 e 3 dell’articolo 420-bis, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. |
Le nuove norme riformano radicalmente la disciplina e sostituiscono quasi integralmente la preesistente prevedendo i “Rimedi per l’imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell'udienza preliminare”; è razionalizzata la disciplina dell’instaurazione del rapporto processuale.
Nuova disciplina:
- L'imputato contro il quale si è proceduto in assenza nel corso dell'udienza preliminare può chiedere di rendere le dichiarazioni spontanee previste dall'articolo 494.
- Se vi è la prova che nel corso dell’udienza preliminare l’imputato è stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 420-bis (che rinnova profondamente la disciplina dell’assenza dell’imputato) il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità del decreto di rinvio a giudizio e restituisce gli atti al giudice dell’udienza preliminare.
- Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza nel corso dell'udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dai primi tre commi del nuovo articolo 420-bis (rinuncia espressa a comparire, scelta volontaria di non comparire, latitanza) è rimesso nel termine per formulare le richieste di abbreviato e patteggiamento.
- La nullità è sanata se non è eccepita dall’imputato presente; ma egli ha la facoltà di essere restituito nel termine per formulare le richieste di procedimenti speciali e di esercitare le ulteriori facoltà dalle quali sia decaduto.
- In ogni caso la nullità non può essere rilevata o eccepita se risulta che l’imputato era nelle condizioni di comparire all’udienza preliminare.
- Fuori dei casi di nullità, rimangono validi gli atti compiuti regolarmente; l’imputato è rimesso in termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto solo se: a) prova di essersi trovato nell’assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento; o b) fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo nei casi in cui si è proceduto per assenza volontaria e latitanza.
PROVVEDIMENTI RIGUARDANTI LE PROVE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 493 c.p.p. - Richieste di prova. 1. Il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove, illustrandone esclusivamente l’ammissibilità ai sensi degli articoli 189 e 190, comma 1. (Omissis) |
Nuova disciplina: l’ammissibilità può essere illustrata esclusivamente per le prove non disciplinate dalla legge, manifestamente superflue o irrilevanti. La modifica enfatizza l’introduzione di «un momento dialettico che accompagni le richieste di prova delle parti» al duplice fine di “evitare un ingresso incontrollato di prove nel dibattimento e, quindi, appesantire l’istruttoria o impedire una effettiva programmazione del lavoro”; e evitare che tale momento si trasformi in un modo surrettizio in un’occasione per veicolare al giudice elementi conoscitivi di valutazione.
Considerata la prassi consolidata, appare la superfluità delle norme.
MUTAMENTO DEL GIUDICE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 495 c.p.p. – Provvedimenti del giudice in ordine alla prova. (Omissis) 4-ter. Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze. (Omissis) |
La sentenza delle Sezioni unite n. 41736/19, Bajrami, aveva stabilito che «l'avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto” ma doveva in quest'ultimo caso indicare “specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa».
Con la nuova disciplina, dopo il mutamento del giudice, si deve ripartire dall’apertura del dibattimento (vige ancora l’art. 525 cod. proc. pen.); la parte può richiedere la rinnovazione delle prove assunte dal giudice precedente. Il nuovo giudice: a) può rigettare la richiesta se il precedente esame è stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva (modalità che già è disponibile nella maggioranza dei tribunali, ma solo nelle principali aule); b) in mancanza della documentazione sopra richiamata, deve disporre l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel contraddittorio con la persona imputata; c) può disporre in ogni caso la rinnovazione dell’esame quando la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze. Non è chiaro se le parti possono richiedere nuove prove ex art. 493, come prevedeva la sentenza Bajrami, ma l’interpretazione sistematica è in senso affermativo; non è chiaro quali siano le specifiche esigenze (del giudice o delle parti) che motivano la rinnovazione anche della prova documentata.
Disciplina transitoria: non è previsto un regime intertemporale per la regola della rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento del giudice (salvo videoregistrazione); di conseguenza sembrerebbe applicabile il principio tempus regit actum, con applicazione della disciplina ai processi in corso (con i limiti disegnati dalla sentenza Bajrami).Tuttavia, la legge prevede che la ripresa audiovisiva (art. 30 comma 1 lett. B) diventa obbligatoria solo decorso un anno dall’entrata in vigore del decreto (art. 94): quindi l’interpretazione razionale è quella, in mancanza della ripresa audiovisiva, di riconoscere il diritto della parte alla rinnovazione delle prove assunte solo dal momento – 30.12.2023 – in cui sorge l’obbligo di videoregistrazione.
ASSUNZIONE DELLE PROVE
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 496 c.p.p. – Ordine e modalità dell'assunzione delle prove. (Omissis) 2-bis. Salvo che una particolare disposizione di legge preveda diversamente, il giudice può disporre, con il consenso delle parti, che l’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle persone indicate nell’articolo 210 e delle parti private si svolga a distanza. |
L’art. 496 disciplina l’ordine nell'assunzione delle prove, che la riforma lascia intatta. Viene aggiunta una norma - comma 2-bis - che riguarda le modalità di assunzione. La nuova modalità rientra fra i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all’atto del procedimento o all’udienza può avvenire a distanza (Art. 1, comma 8, lett. c), della legge delega). Il nuovo art. 133-ter c.p.p. regola le modalità e garanzie della partecipazione a distanza.
ESAME DEI PERITI E CONSULENTI TECNICI
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 501 c.p.p. - Esame dei periti e dei consulenti tecnici. (Omissis) 1.bis Almeno sette giorni prima dell’udienza fissata per il suo esame, il perito autorizzato ai sensi dell’articolo 227, comma 5, deposita in cancelleria la propria relazione scritta. Nello stesso termine la parte che ha nominato un consulente tecnico deposita in cancelleria l’eventuale relazione scritta del consulente. 1-ter. Fuori dai casi previsti al comma 1-bis, la parte che ha chiesto l’esame di un consulente tecnico deposita l’eventuale relazione almeno sette giorni prima l’udienza fissata per quell’esame. 2. Il perito e il consulente tecnico hanno in ogni caso facoltà di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni, nonché le relazioni depositate ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter, che possono essere acquisite anche di ufficio. |
Nuova disciplina: si introduce il deposito preventivo delle perizie e delle consulenze tecniche (per consentire di realizzare un contraddittorio adeguatamente informato), nel termine di sette giorni prima dell’udienza. Non vi è però alcuna sanzione per il tardivo od omesso deposito della relazione tecnica. La facoltà di periti e consulenti di consultare documenti, note scritte e pubblicazioni (con la connessa possibilità di acquisirli), si estende alle relazioni depositate ai sensi dei nuovi commi 1-bis e 1-ter.
REDAZIONE DEL VERBALE DI ASSUNZIONE DEI MEZZI DI PROVA
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 510 c.p.p. - Verbale di assunzione dei mezzi di prova. (Omissis) 2-bis. L’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle parti private e delle persone indicate nell’articolo 210, nonché gli atti di ricognizione e confronto, sono documentati anche con mezzi di riproduzione audiovisiva. (Omissis) 3-bis. La trascrizione della riproduzione audiovisiva di cui al comma 2-bis è disposta solo se richiesta dalle parti. |
Nella nuova disciplina, l’art. 510 del codice diviene norma centrale del sistema di redazione del verbale, nel cui ambito si è prevista, in attuazione della delega, la necessità della registrazione audiovisiva (in aggiunta alla modalità ordinaria di documentazione). Questa la disciplina:
- comma 2 (invariato): l’ausiliario che assiste il giudice documenta nel verbale lo svolgimento dell’esame, riproducendo integralmente in forma diretta le domande e le risposte delle persone esaminate;
- comma 2-bis (nuovo): gli esami sono documentati anche con mezzi di riproduzione audiovisiva, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione odi personale tecnico;
- comma 3-bis (nuovo): la trascrizione della riproduzione audiovisiva di cui al comma 2-bis è disposta solo se richiesta dalle parti.
È fatto salvo il limite della contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico.
DIRITTI DELLE PARTI IN CASO DI NUOVE CONTESTAZIONI
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 519 c.p.p. - Diritti delle parti. 1. Nei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518 comma 2, salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva, il presidente informa l'imputato che può chiedere un termine per la difesa e formulare richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova. 2. Se l’imputato fa richiesta di un termine per la difesa, il presidente sospende il dibattimento per un tempo non inferiore al termine per comparire previsto dall’articolo 429, ma comunque non superiore a quaranta giorni. In ogni caso l’imputato può chiedere l’ammissione di nuove prove o formulare, a pena di decadenza entro l’udienza successiva, richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova. (Omissis) |
Per generalizzare il diritto dell’imputato ad accedere ai riti premiali, si prevede che, in caso di nuove contestazioni, l’imputato possa chiedere la definizione del processo ai sensi degli articoli 444 e seguenti o 458 e seguenti del medesimo codice; e che tale facoltà possa essere esercitata nell’udienza successiva a quella in cui è avvenuta la nuova contestazione. Sono perciò previsti due interventi:
- quello “informativo” all’art. 519, comma 1, norma che enuncia gli avvisi che il giudice dà all’imputato in caso di modifica dell’accusa;
- quello “attributivo” del potere all’art. 519, comma 2, norma che contiene i poteri che competono alla parte in caso di nuova contestazione (ottenere il termine a difesa, chiedere nuove prove, chiedere i procedimenti speciali).
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 520 c.p.p. - Nuove contestazioni all'imputato assente non presente. 1. Quando intende contestare i fatti o le circostanze indicati negli articoli 516 e 517 all'imputato non presente fisicamente in udienza, il pubblico ministero chiede al presidente che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e che il verbale sia notificato per estratto all'imputato, con l’avvertimento che entro l’udienza successiva può formulare richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova. 2. In tal caso il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione, osservando i termini indicati nell'articolo 519 commi 2 e 3. |
La modifica all’art. 520, comma 2, per il caso di nuove contestazioni all’imputato non presente, è conseguente alla modifica all’art. 519. La nuova garanzia si riferisce a tutte le situazioni in cui l'imputato non sia presente in udienza fisicamente o mediante collegamento a distanza, compresi i casi in cui, per espressa previsione legislativa, l'imputato debba considerarsi presente, nonché i casi in cui quest'ultimo sia evaso durante il dibattimento o sia comparso ad una precedente udienza dibattimentale (vedi modifiche apportate all’art. 420 c.p.p.).
DISCIPLINA TRANSITORIA
Quanto al momento di effettiva applicazione di questa parte della riforma, non essendovi disposizioni specifiche e/o derogatorie, per il generale principio del tempus regit actum l’entrata in vigore è alla data del 30 dicembre 2022 (in forza dell’art. 99-bis del D.L.vo n. 150/2022, come introdotto dall’art. 6 del D.L. n. 162/2022).
Solo in relazione al nuovo art. 510 c.p.p. si dispone, con la norma transitoria di cui all’art. 94 del decreto, che la disposizione avrà applicazione a decorrere da un anno dall’entrata in vigore del decreto stesso. In relazione all’art. 483 c.p.p., le norme si applicano a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti da adottarsi entro il 2023 (art. 87 del D.L.vo n. 150/2022).
Scheda n. 10 - Le notificazioni - Titolo V libro II c.p.p. (Artt. 148 ss. c.p.p.)
NORME MODIFICATE |
Riscritte in tutto o in parte: artt. 148, 149, 152, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 167, 168, 169, 170, 171.
Abrogate: artt. 150, 151, 158.
Di nuova introduzione: artt. 153-bis, 157-bis, 157-ter.
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
L’art. 10 del d. lgs. 150/2022 apporta diverse modifiche alla disciplina delle notificazioni con l’obiettivo dichiarato di «snellire e rendere più celeri i relativi adempimenti, ridurre le incombenze a carico degli uffici giudiziari e incrementare l’efficienza processuale, assicurando al contempo l’effettiva conoscenza da parte del destinatario delle stesse notifiche» (v. Dossier Camere del 7 settembre 2022).
L’art. 148 (Organi e forme delle notificazioni) rappresenta l’architrave della nuova disciplina, in quanto riassume tutte le novità introdotte dal decreto in materia di notificazioni penali.
Tale disposizione fissa, come regola generale, la notifica degli atti del procedimento penale con modalità telematica, il cui presupposto indefettibile è rappresentato dalla disponibilità da parte del destinatario di un “domicilio digitale”.
Infatti, il comma primo dell’articolo citato statuisce testualmente:
1. Salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche che, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, assicurano la identità del mittente e del destinatario, l’integrità del documento trasmesso, nonché la certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione. |
Se il destinatario non dispone di tale domicilio, tornano a operare le altre modalità previste dalla legge (notifica a mani, a mezzo posta, etc.), che assumono quindi carattere sussidiario.
Ciò è previsto dal nuovo comma 4 dell’art. 148, il quale recita:
4. In tutti i casi in cui, per espressa previsione di legge, per l’assenza o l’inidoneità di un domicilio digitale del destinatario o per la sussistenza di impedimenti tecnici, non è possibile procedere con le modalità indicate al comma 1, e non è stata effettuata la notificazione con le forme previste nei commi 2 e 3, la notificazione disposta dall’autorità giudiziaria è eseguita dagli organi e con le forme stabilite nei commi seguenti e negli ulteriori articoli del presente titolo. |
Nelle ulteriori disposizioni il legislatore, come nella vecchia disciplina, mantiene la distinzione fra situazione dell’imputato che abbia dichiarato/eletto domicilio e quella dell’imputato che non abbia mai dichiarato/eletto domicilio.
Viene, invece, introdotta una disciplina diversificata a seconda che la notifica abbia a oggetto atti introduttivi o atti successivi, specificando che l’elezione di domicilio vale solo per i primi.
Viene così risolto dal legislatore il contrasto giurisprudenziale insorto in ordine al soggetto al qual notificare gli atti successivi al primo (rinvii d’udienza, etc.): infatti, sulla corretta interpretazione dell’art. 157, comma 8-bis, c.p.p. – che la riforma abroga – erano insorti dubbi applicativi, poiché parte della giurisprudenza aveva ritenuto che l’elezione di domicilio prevalesse sempre, mentre, secondo un diverso orientamento, la notifica degli atti successivi al primo doveva sempre essere fatta al difensore di fiducia, anche nel caso in cui l’imputato avesse dichiarato o eletto domicilio.
Appare evidente come la nuova disciplina, nella sua pretesa di semplificare il sistema notificatorio attraverso l’introduzione della regola generale della notifica al domicilio digitale, si scontri con il dato (notorio) della scarsa diffusione fra i privati cittadini del sistema di posta elettronica certificata.
Stando così le cose, la riforma avrà almeno nel prossimo futuro una assai limitata applicazione pratica.
Di seguito si propone uno schema riassuntivo del regime delle notifiche all’esito delle modifiche introdotte dall’art. 10 del d. lgs. 150/2022.
NOTIFICA ALL’IMPUTATO DEGLI ATTI INTRODUTTIVI DEL GIUDIZIO
1. IMPUTATO DETENUTO
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 156 c.p.p. – Notificazioni all’imputato detenuto. 1. Le notificazioni all’imputato detenuto, anche successive alla prima, sono sempre eseguite nel luogo di detenzione mediante consegna di copia alla persona. (Omissis) 3. Le notificazioni all’imputato detenuto in luogo diverso dagli istituti penitenziari, anche successive alla prima, sono eseguite a norma dell’articolo 157, con esclusione delle modalità di cui all’articolo 148, comma 1. (Omissis). |
Si specifica, dunque, che la notifica dell’atto introduttivo all’imputato detenuto va fatta sempre a mani nel luogo di detenzione, senza eccezioni, con la precisazione che ciò vale anche per le notifiche successive alla prima.
La novella sembra recepire l’arresto delle Sezioni Unite secondo cui «Le notifiche all'imputato detenuto, anche qualora abbia dichiarato o eletto domicilio, vanno eseguite nel luogo di detenzione, con le modalità di cui all'art. 156, comma 1, cod. proc. pen., mediante consegna di copia alla persona» (sent. n. 12778/2020).
2. IMPUTATO NON DETENUTO (CHE NON HA ELETTO DOMICILIO)
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 157 c.p.p. - Prima notificazione all’imputato non detenuto. 1. Nei casi di cui all’articolo 148, comma 4, la prima notificazione all’imputato non detenuto, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, è eseguita mediante consegna di copia dell’atto in forma di documento analogico alla persona. Se non è possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione è eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa. Nella casa di abitazione la consegna è eseguita a una persona che conviva anche temporaneamente ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. In caso di notifica nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa, se non è possibile consegnare personalmente la copia, la consegna è eseguita al datore di lavoro, a persona addetta al servizio del destinatario, ad una persona addetta alla ricezione degli atti o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. (Omissis) 6. La consegna a persona diversa dal destinatario è effettuata in plico chiuso e la relazione di notificazione è effettuata nei modi previsti dall’articolo 148, comma 8. (Omissis). |
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 157-ter c.p.p. - Notifiche degli atti introduttivi del giudizio all’imputato non detenuto. 1. La notificazione all’imputato non detenuto dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, della citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna sono effettuate al domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’articolo 161, comma 1. In mancanza di un domicilio dichiarato o eletto, la notificazione è eseguita nei luoghi e con le modalità di cui all’articolo 157, con esclusione delle modalità di cui all’articolo 148, comma 1. (Omissis). |
La norma introduce la regola generale secondo cui la notifica dell’atto introduttivo del giudizio, nei casi in cui l’imputato non abbia domicilio digitale (art. 148, comma 4, c.p.p.) e non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. (cioè non sia stato avvertito dalla polizia giudiziaria in sede di identificazione del fatto che le notifiche successive alla prima saranno eseguite al difensore e che egli ha l’onere di comunicare a quest’ultimo un recapito telefonico o e-mail ove possa essere contattato) va eseguita preferibilmente con consegna di copia alla persona.
Se non è possibile consegnare personalmente l’atto al destinatario, la notifica è eseguita nella casa di abitazione (a una persona che conviva anche temporaneamente ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci) o nel luogo in cui l’imputato esercita abitualmente l’attività lavorativa (se non è possibile consegnare personalmente la copia al destinatario, la consegna è eseguita al datore di lavoro, a persona addetta al servizio del destinatario, ad una persona addetta alla ricezione degli atti o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci).
Tali disposizioni si coordinano con l’art. 157-ter c.p.p., la quale statuisce la prevalenza in ogni caso del domicilio dichiarato/eletto.
Aspetto controverso: è possibile eseguire la notifica al domicilio digitale nei confronti dell’imputato che non abbia dichiarato o eletto domicilio? No.
Il legislatore sembra escludere tale possibilità nell’art. 157-ter, comma 1, c.p.p. ove precisa che «in mancanza di domicilio dichiarato o eletto la notificazione è eseguita nei luoghi e con le modalità di cui all’art. 157, con esclusione delle modalità di cui all’art. 148 comma 1» (quest’ultima norma introduce per l’appunto la regola generale della notifica al domicilio digitale).
3. IMPUTATO NON DETENUTO CHE HA ELETTO DOMICILIO (artt. 161 e 157-ter c.p.p.)
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 161 c.p.p. - Domicilio dichiarato, eletto o determinato per le notificazioni 01. La polizia giudiziaria nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, se è nelle condizioni di indicare le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto e l’autorità giudiziaria procedente, li avverte che le successive notificazioni, diverse da quelle riguardanti l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, la citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601 e il decreto penale di condanna, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato d’ufficio. Contestualmente la persona sottoposta alle indagini o l'imputato sono avvertiti che è loro onere indicare al difensore ogni recapito, anche telefonico, o indirizzo di posta elettronica o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, nella loro disponibilità, ove il difensore possa effettuare le comunicazioni, nonché informarlo di ogni loro successivo mutamento. 1.Il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato non detenuto né internato lo invitano, a dichiarare uno dei luoghi indicati nell'articolo 157, comma 1, o un indirizzo di posta elettronica certificata ovvero a eleggere domicilio per le notificazioni dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450 comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna. Contestualmente avvertendolo che, nella sua qualità di persona sottoposta alle indagini o di imputato, ha la persona sottoposta alle indagini o l'imputato sono avvertiti che hanno l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, nonché nel caso in cui il domicilio sia o divenga inidoneo le notificazioni degli atti indicati verranno eseguite mediante consegna al difensore, già nominato o che è contestualmente nominato, anche d’ufficio. 1-bis. Della dichiarazione o della elezione di domicilio, ovvero del rifiuto di compierla, nonché degli avvertimenti indicati nei commi 1 e 2 è fatta menzione nel verbale. 2. Fuori del caso previsto dal comma 1, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio è formulato con l'informazione di garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria. L'imputato è avvertito che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in caso di mancanza, di insufficienza o di inidoneità della dichiarazione o della elezione, le successive notificazioni verranno eseguite nel luogo in cui l'atto è stato notificato. 3. L'imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento definitivo e l'imputato che deve essere dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza, all'atto della scarcerazione o della dimissione ha l'obbligo di fare la dichiarazione o l'elezione di domicilio con atto ricevuto a verbale dal direttore dell'istituto, che procede a norma del comma 1. Questi lo avverte a norma del comma 1, iscrive La dichiarazione o elezione sono iscritte nell'apposito registro e il verbale è trasmesso immediatamente il verbale all'autorità che ha disposto la scarcerazione o la dimissione. 4. Se la notificazione nel domicilio determinato a norma del comma 2 diviene impossibile, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Nei casi previsti dai commi 1 e 3, se la dichiarazione o l'elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Tuttavia, quando risulta che, per caso fortuito o forza maggiore, l'imputato non è stato nella condizione di comunicare il mutamento del luogo dichiarato o eletto, si applicano le disposizioni degli articoli 157 e 159. 4-bis. Nei casi di cui ai commi 1 e 3 l’elezione di domicilio presso il difensore è immediatamente comunicata allo stesso. |
Il legislatore mantiene la facoltà per l’indagato di dichiarare o eleggere domicilio ai fini della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, con la precisazione che il soggetto può indicare a tali fini anche un indirizzo di posta elettronica certificata.
È prevista inoltre la facoltà di eleggere domicilio presso il difensore d’ufficio, il quale, come nel previgente regime, può non accettare l’elezione: in questo caso egli deve «attestare l’avvenuta comunicazione da parte sua all’imputato della mancata accettazione della domiciliazione o le cause che hanno impedito tale comunicazione» (art. 162 comma 4-bis, ultima parte, c.p.p.).
Infine, viene fatta salva la regola secondo cui, in caso di rifiuto di indicare un domicilio o di domicilio inidoneo o inesistente la notifica va eseguita mediante consegna al difensore (art. 161, comma 4, c.p.p.).
4. NOTIFICA D’URGENZA DEGLI ATTI INTRODUTTIVI (art. 157-ter comma 2 c.p.p.)
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 157-ter c.p.p. – Notifiche degli atti introduttivi del giudizio. (Omissis) 2. Quando sia necessario per evitare la scadenza del termine di prescrizione del reato o il decorso del termine di improcedibilità di cui all’articolo 344-bis oppure sia in corso di applicazione una misura cautelare ovvero in ogni altro caso in cui sia ritenuto indispensabile sulla base di specifiche esigenze, l’autorità giudiziaria può disporre che la notificazione all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, della citazione a giudizio ai sensi degli articoli 450 comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna sia eseguita dalla polizia giudiziaria. (Omissis) |
L’autorità giudiziaria può disporre che la notificazione all’imputato dell’atto introduttivo sia eseguita dalla polizia giudiziaria in tre ipotesi:
- quando sia necessario per evitare la scadenza del termine di prescrizione del reato o il decorso del termine di improcedibilità di cui all’articolo 344-bis;
- quando sia in corso di applicazione una misura cautelare;
- in ogni altro caso in cui sia ritenuto indispensabile e improcrastinabile sulla base di specifiche esigenze.
NOTIFICHE SUCCESSIVE ALLA PRIMA (art. 157-bis c.p.p.)
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 157-bis c.p.p. - Notifiche all’imputato non detenuto successive alla prima. 1. In ogni stato e grado del procedimento, le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima, diverse dalla notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, della citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna, sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia o di ufficio. 2. Se l’imputato è assistito da un difensore di ufficio, nel caso in cui la prima notificazione sia avvenuta mediante consegna di copia dell’atto a persona diversa dallo stesso imputato o da persona che con lui conviva, anche temporaneamente, o dal portiere o da chi ne fa le veci e l’imputato non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, le notificazioni successive non possono essere effettuate al difensore. In questo caso anche le notificazioni successive alla prima sono effettuate con le modalità di cui all’articolo 157 sino a quando non si realizzano le condizioni previste nel periodo che precede. |
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 157 c.p.p. – Prima notificazione all’imputato non detenuto. (Omissis) 8-ter. Con la notifica del primo atto, anche quando effettuata con le modalità di cui all’articolo 148, comma 1, l’autorità giudiziaria avverte l’imputato, che non abbia già ricevuto gli avvertimenti di cui all’articolo 161, comma 01, che le successive notificazioni, diverse dalla notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, della citazione in giudizio ai sensi degli articoli 450, comma 2, 456, 552 e 601, nonché del decreto penale di condanna, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato d’ufficio. Avverte, inoltre, il destinatario dell’atto dell’onere di indicare al difensore ogni recapito telefonico o indirizzo di posta elettronica nella sua disponibilità, ove il difensore possa effettuare le comunicazioni, nonché di informarlo di ogni loro successivo mutamento. (Omissis) |
La regola generale è che tutte le notifiche successive alla prima all’imputato non detenuto sono eseguite mediante consegna di copia al difensore di fiducia o d’ufficio: infatti si precisa all’art. 164 c.p.p. che la dichiarazione o l’elezione di domicilio valgono solo per la notifica dell’atto introduttivo.
La nuova disciplina può essere così schematizzata:
- se si tratta di difensore di fiducia le notifiche degli atti successivi al primo sono sempre eseguite mediante consegna di copia a quest’ultimo;
- se si tratta di difensore d’ufficio e l’atto introduttivo non è stato ricevuto dall’imputato personalmente (o da persona convivente o dal portiere) e inoltre l’imputato non ha ricevuto gli avvertimenti ex art. 161 comma 01 c.p.p., le notifiche successive alla prima non possono essere eseguite con consegna di copia al difensore ma andranno effettuate ai sensi dell’art. 157 c.p.p.
- se l’imputato è detenuto, le notifiche successive alla prima andranno sempre effettuate con consegna nel luogo di detenzione.
Tale disciplina si coordina con le nuove norme in materia di avvertimenti di cui all’art. 161, comma 01, c.p.p. e all’art. 157, comma 8-ter, c.p.p. i quali prevedono espressamente che la polizia giudiziaria in sede di prima identificazione o l’autorità giudiziaria (nel caso in cui l’identificazione non abbia avuto luogo) avvertono il destinatario che le notifiche successive alla prima saranno effettuate mediante consegna di copia al difensore di fiducia o di ufficio e dell’onere di indicare al difensore ogni recapito telefonico o indirizzo e-mail ove il difensore possa contattarlo.
Aspetto critico: in sede applicativa potrebbe porsi il problema della disciplina da applicare al verbale contenente la modifica del capo di imputazione o una nuova contestazione, poiché si tratta senza dubbio di una notifica successiva all’atto introduttivo, ma l’art. 520 c.p.p. continua a prevedere che il verbale sia notificato all’imputato assente (rectius «non presente in aula» secondo la nuova dicitura dell’art. 520 c.p.p.).
LA COMUNICAZIONE DI CORTESIA
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 63-bis c.p.p. - Comunicazione di cortesia. 1. Fuori del caso di notificazione al difensore o al domiciliatario, quando la relazione della notificazione alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato attesta l’avvenuta consegna dell’atto a persona fisica diversa dal destinatario, la cancelleria o la segreteria dà avviso di cortesia al destinatario dell’avvenuta notifica dell’atto tramite comunicazione al recapito telefonico o all’indirizzo di posta elettronica dallo stesso indicato ai sensi dell’articolo 349, comma 3, del codice, annotandone l’esito. |
L’art. 63-bis c.p.p. introduce la “Comunicazione di cortesia” prevedendo che la cancelleria o la segreteria, in tutti i casi in la notificazione alla persona sottoposta alle indagini o all’imputato (fatta eccezione per il caso di notificazione al difensore o al domiciliatario) attesta l’avvenuta consegna dell’atto a persona fisica diversa dal destinatario, dà avviso di cortesia al destinatario dell’avvenuta notifica dell’atto tramite comunicazione al recapito telefonico o all’indirizzo di posta elettronica dallo stesso indicato ai sensi dell’articolo 349, comma 3, del codice.
DOMICILIO DEL QUERELANTE E NOTIFICAZIONI AL QUERELANTE (ART. 153-BIS C.P.P.)
ARTICOLO INTRODOTTO |
Art. 153-bis c.p.p. - Domicilio del querelante. Notificazioni al querelante 1. Il querelante, nella querela, dichiara o elegge domicilio per la comunicazione e la notificazione degli atti del procedimento. A tal fine, può dichiarare un indirizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato. 2. Il querelante ha comunque facoltà di dichiarare o eleggere domicilio anche successivamente alla formulazione della querela, con dichiarazione raccolta a verbale o depositata con le modalità telematiche previste dall’articolo 111-bis, ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore. La dichiarazione può essere effettuata anche presso la segreteria del pubblico ministero procedente o presso la cancelleria del giudice procedente. 3. In caso di mutamento del domicilio dichiarato o eletto, il querelante ha l’obbligo di comunicare all’autorità procedente, con le medesime modalità previste dal comma 2, il nuovo domicilio dichiarato o eletto. 4. Le notificazioni al querelante che non ha nominato un difensore sono eseguite presso il domicilio digitale e, nei casi di cui all’articolo 148, comma 4, presso il domicilio dichiarato o eletto. 5. Quando la dichiarazione o l’elezione di domicilio mancano o sono insufficienti o inidonee, le notificazioni alla persona offesa che abbia proposto querela sono eseguite mediante deposito dell’atto da notificare nella segreteria del pubblico ministero procedente o nella cancelleria del giudice procedente. |
La norma introduce l’obbligo per il querelante, in sede di querela, di dichiarare o eleggere domicilio, specificando che a tal fine può dichiarare un indirizzo di posta elettronica certificata o altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
Se non lo fa in sede di presentazione della querela, ha comunque la facoltà di dichiarare o eleggere domicilio in un secondo momento con deposito telematico (modalità previste dall’articolo 111-bis), con dichiarazione orale presso segreteria o cancelleria ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da persona autorizzata o dal difensore.
Ha poi l’obbligo di comunicare il nuovo domicilio dichiarato o eletto in caso di mutamento dello stesso.
DISCIPLINA TRANSITORIA
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 87 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico. 1. Con decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro il 31 dicembre 2023 ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono definite le regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale, anche modificando, ove necessario, il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, e, in ogni caso, assicurando la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello della certezza del compimento dell’atto. (Omissis) |
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 99-bis d.lgs. 150/2022 - Entrata in vigore (introdotto dal d.l. 162/2022) 1. Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022. |
Da una prima lettura della disciplina transitoria in materia di notificazioni sembra potersi affermare che la stessa entrerà in vigore in modo progressivo.
Infatti, l’art. 99-bis statuisce che la riforma entrerà in vigore in data 30 dicembre 2022, cosicché anche le norme sulle notifiche saranno applicabili a partire da tale data.
Viene fatta salva però dall’art. 87 la disciplina concernente «la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale», che per espressa previsione normativa entrerà in vigore dopo l’adozione di un decreto del Ministro della Giustizia contenente le regole tecniche volte a assicurare la certezza del compimento dell’atto: tale decreto dovrà essere adottato entro il 31 dicembre 2023.
In generale, trattandosi di norme di carattere processuale, vale il principio tempus regit actum, con la conseguenza che la nuova disciplina sarà applicabile solo alle notifiche effettuate dopo l’entrata in vigore della riforma.
Decreti di fissazione di udienza pubblica e di adunanze camerali in Cassazione emessi dopo il 18 ottobre 2022 e fino al 31 dicembre 2022: quali norme si applicano?
di Raffaele FRASCA
L’approssimarsi dell’entrata in vigore delle modifiche della c.d. Legge Cartabia per il processo di cassazione induce alcuni interrogativi relativi all’individuazione delle modalità regolatrici dello svolgimento dei giudizi a partire dal 1° gennaio 2023, per i quali la trattazione da parte della Corte di Cassazione sia stata fissata prima di quella data, cioè entro il 31 dicembre 2022 ed a partire dalla data di entrata in vigore della riforma, cioè dal 18 ottobre 2022.
Il legislatore delegato del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 ha dettato, nell’ambito della norma generale recante la disciplina transitoria, cioè l’art. 35, tre disposizioni espressamente concernenti il processo di cassazione, le quali, dunque dovrebbero governare – naturalmente per i profili processuali, cioè inerenti all’applicazione delle norme sul processo di cassazione – la transizione.
La prima norma, di carattere generale, si coglie nel comma 6 dell’art. 35. Essa è dettata per le modifiche recate dal decreto legislativo delegato riguardo al processo di cassazione, come emerge dal riferimento alle <<norme di cui al capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e di cui al capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificate dal presente decreto>>
Questa norma generale dispone che le novità introdotte con il decreto legislativo e, quindi, il disposto delle norme che esso ha modificato si applichino <<ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023
Prima di esaminare, il comma 7, v’è da segnalare che, ai di fuori di tale salvezza, il successivo comma 8 detta una disposizione transitoria speciale per la nuova norma dell’art. 363-bis c.p.c., quella che ha introdotto il c.d. rinvio pregiudiziale, stabilendo che essa entri in vigore solo a partire dal 30 giugno 2023 e per i procedimenti pendenti davanti al giudice di merito a quella data.
Il comma 7 dispone in questi termini:<<Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati o abrogati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio>>.
Una prima riflessione che la norma suggerisce è quella che il legislatore delegato ha assunto come oggetto di disciplina temporale la norme del giudizio di cassazione oggetto di modifiche o sostituzioni, che concernono stricto sensu il procedimento relativo allo svolgimento del giudizio di legittimità, restando così escluse le norme modificate o sostituite, inerenti ai motivi di ricorso per cassazione, ai provvedimenti impugnabili ed al contenuto-forma degli atti introduttivi del giudizio, cioè tutte quelle comprese nella Sezione I del capo del capo III, intitolata “dei provvedimenti impugnabili e dei ricorsi”, ma con la sola eccezione della norma dell’art. 372 c.p.c.
Le modifiche normative eccettuate sono tutte relative a norme contenute nella Sezione II del capo III, intitolate “del procedimento e dei provvedimenti”, con l’aggiunta del citato art. 372, che peraltro ha anch’esso carattere procedimentale.
Una seconda riflessione concerne non l’oggetto di disciplina quanto alle norme modificate o abrogate dal decreto legislativo, ma lo riguarda quanto ai giudizi cui, in evidente deroga alla disposizione generale del comma 6 dell’art. 35, esse debbono trovare applicazione. Tali giudizi sono indicati con due precisazioni, la prima relativa alla data della loro pendenza non già presso la Corte, a seguito di deposito, bensì alla data di pendenza con la notificazione; la seconda precisazione è relativa all’attività compiuta eventualmente dalla Corte riguardo ad essi.
Sotto il primo aspetto, il legislatore delegato dispone l’applicazione delle norme nuove o delle abrogazioni indicate con riferimento ai giudizi per i quali il ricorso è stato notificato alla data del 1° gennaio 2023, cioè, in effetti, fino al 31 dicembre 2022. È palese che così si considerano i ricorsi già pendenti presso la Corte prima del 1° gennaio 2023, data di entrata in vigore delle nuove norme e quelli che, anche se non depositati, saranno notificati prima di quella data.
Per essi si dispone, in deroga al comma 6, l’entrata in vigore delle norme indicate e lo si fa con riferimento a ricorsi già “pendenti” nel duplice senso indicato.
Sotto il secondo aspetto, il legislatore delegato ha ulteriormente delimitato tale applicazione di norme nuove o di abrogazioni di norme esistenti a procedimenti introdotti – nel senso indicato – prima del 1° gennaio 2023, ma lo ha fatto con una limitazione, cioè alludendo ai ricorsi <<per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio>>
In tal modo la disposizione del comma 7 dell’art. 35 contiene una prima norma, per così dire, in senso positivo, sebbene espressa paradossalmente con un’espressione negativa: essa è nel senso che per tutti i ricorsi notificati entro il 31 dicembre 2022 e, dunque, per quelli pendenti in questo senso a tale data, le nuove norme, per così dire procedimentali, e quella dell’art. 372, richiamate nello stesso comma, trovano applicazione quanto all’oggetto di disciplina – come s’è visto procedimentale – da esse indicato ad una condizione negativa, rappresentata dal “non essere” stato emesso prima del 1° gennaio 2023, cioè entro il 31 dicembre 2022 il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.
Dal comma 7 emerge, dunque, una regola positiva che è nel senso che per tutti i ricorsi notificati entro il 31 dicembre 2022 e, dunque, anche se depositati dopo, trovano applicazione le nuove norme procedimentali, cioè quelle che disciplinano il modo in cui il giudizio dev’essere trattato dalla Corte secondo le opzioni indicate rispettivamente dal nuovo art. 375 c.p.c. e dalle altre norme indicate.
La trattazione dei detti giudizi avverrà (a) o in pubblica udienza a norma del novellato art. 379 (b) o con uno dei procedimenti indicati dai novellati artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c.
Questo vuol dire che le nuove norme procedimentali troveranno applicazione per tutti i procedimenti per i quali sia disposta dal 1° gennaio 2023 la trattazione, cioè venga emesso dopo quella data: a) o il decreto di fissazione in udienza pubblica a norma dell’art. 377, primo comma, (ed a tal riguardo si segnala l’ampliamento del termine dilatorio a sessanta giorni e la previsione della comunicazione dell’avviso dell’udienza al Pubblico Ministero presso la Corte); b) o – sempre in base a tale norma - il decreto di fissazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 novellato; c) ovvero sia attivato il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.
Nel contempo, dal comma 7 dell’art. 35 emerge però anche una importante norma in senso negativo o, se si vuole, una diversa norma in senso positivo: essa è, intesa in senso negativo, nel senso che per i procedimenti pendenti al 31 dicembre 2022 nel senso indicato, non trovano applicazione le ricordate nuove norme procedimentali, ma quelle anteriori, cioè come sostituite o abrogate dalla riforma, se ed in quanto però la Corte abbia emesso entro quella stessa data i decreti di fissazione della trattazione rispettivamente ai sensi degli attuali artt. 377, primo comma, c.p.c. (per le udienze pubbliche), 380-bis c.p.c. (per le adunanze camerali ai sensi di questa norma) o dell’art. 377, primo comma, e dell’art. 380-bis.1. (per le adunanze camerali ai sensi di tale norma) o dell’art. 380-ter c.p.c. Intesa in senso positivo la norma è nel senso di dettare in senso positivo una disciplina per i casi di emissione di tali decreti di fissazione della trattazione.
E’ da rilevare che la formulazione dell’inciso <<per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio>>
Per quanto concerne la sopprimenda “apposita sezione” di cui all’attuale art. 376 c.p.c., cioè la Sesta Sezione-3, il disposto del comma 7 appena individuato comporterebbe che, se si fossero emessi decreti di fissazione dell’adunanza di cui all’art. 380-bis o 380-ter c.p.c. dal 18 ottobre 2022 per date successive al 31 dicembre 2022, ma prima di tale data, si sarebbe verificato anche una sorte di trascinamento dell’operatività della Sesta-3.
Ma, com’è noto, tale scelta non è stata effettuate, nel senso che non risulta attività di fissazione di adunanze di Sesta dopo il 31 dicembre 2022 e, quindi, è di fatto esclusa un’applicazione dopo tale data, in forza di decreti di fissazione, degli artt. 380-bis e 380-ter nel testo abrogando.
Il comma 7, quanto alla sua disposizione per così dire negativa (o in senso contrario positiva), cioè quella che esclude l’applicazione delle nuove norme che indica e dispone l’applicazione del testo vecchio di esse, concerne in pratica allora solo le udienze pubbliche e le adunanze camerali ai sensi dell’art. 380.bis.1 nel testo abrogando. I testi disciplinanti l’udienza pubblica (art. 377, 378 e 379 c.p.c.) e quello disciplinante l’adunanza camerale di Sezione Ordinaria (art. 380-bis.1 c.p.c.) troveranno applicazione ai procedimenti per i quali, con decreti di fissazione già emessi (ad oggi) dal 18 ottobre 2022 (e naturalmente a maggior ragione anche prima) o emessi entro il 31 dicembre 2022, sia stata già (ad oggi) o venga fissata un’udienza pubblica o un’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. per una data successiva al 31 dicembre 2022, cioè a far tempo dal 1° gennaio 2023.
Per quanto attiene alle adunanze camerali ai sensi dell’art. 380-bis.1. la conseguenza dell’applicazione del testo del comma 7 dell’art. 35 sarà che la fissazione dell’adunanza si sarà dovuta comunicare con i decreti già emessi ad oggi e si dovrà comunicare con i decreti emanandi fino al 31 dicembre 2022, agli avvocati delle parti ed al Pubblico Ministero presso la Corte, almeno quaranta giorni prima e che le attività di interlocuzione (rispettivamente memorie e conclusioni scritte) degli uni e dell’altro saranno regolate dal testo ancora vigente della norma, che così conserverà una sorta di ultrattività, quanto al decorso del termine per le conclusioni del Pubblico Ministero e del termine per le memoria delle parti, anche dopo il 31 dicembre 2022 (limitata, come s’è detto, ad adunanze fissate prima del 1° gennaio 2023).
Per quanto afferisce alle udienze pubbliche già fissate (sempre ad oggi, dopo il 18 ottobre 2022, ma anche prima) o fissande per date successive al 1° gennaio 2023 v’è da dire che diventa meno immediata una risposta circa le conseguenze applicative della norma del comma 7 dell’art. 35.
Occorre considerare, infatti, che le modalità di svolgimento della trattazione dei ricorsi in udienza pubblica in Cassazione attualmente non sono individuate o meglio non lo sono in via esclusiva dalla disciplina degli artt. 377, 378 e 379 del Codice, bensì da altra norma, espressa dalla legislazione sul COVID.
Sicché, la disposizione ricavabile dal comma 7 dell’art. 35 nel senso dell’applicabilità delle norme nuove indicate dal comma 7 ai procedimenti notificati entro il 31 dicembre 2022 per il caso di decreti di fissazione dell’udienza pubblica già emessi o che si emettano entro il 31 dicembre 2022 per udienze dopo fissate dal 1° gennaio 2023, non è rappresentata da quelle norme nel testo attualmente vigente, o meglio non lo è solo da quelle norme.
Essa è rappresentata, a ben vedere, oltre che dall’art. 377, primo comma, c.p.c. (dirò di seguito di tale limitazione), cioè dalla norma che prevede che il Primo Presidente per le Sezioni Unite e il Presidente Titolare della Sezione Semplice fissino l’udienza pubblica, e dagli artt. 378 e 379 (quest’ultima in via eventuale) anche da una norma speciale, che è il comma 8-bis dell’art. 23 del d.l n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, nella l. n. 176 del 2020, la quale così dispone: <
Questa norma è attualmente in vigore fino al 31 dicembre 2022, come emerge dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 228 del 2021, come modificata dalla l. di conversione n. 15 del 2022: tale norma dispone espressamente che l’art. 23, comma 8-bis sopra ricordato si debba osservare fino al 31 dicembre 2022.
Essa, come emerge dalla lettera, non si occupa direttamente della fissazione dell’udienza pubblica, ma della “decisione” dei ricorsi in udienza pubblica.
Il potere di fissazione dell’udienza pubblica, a seguito dell’introduzione della norma, rimase, in realtà, disciplinato dall’art. 377, primo comma, c.p.c. e, semmai quella introduzione, in ragione dei termini assegnati al Pubblico Ministero e alle parti per la richiesta di trattazione effettiva in pubblica udienza, determinò la inapplicabilità del secondo comma dell’art. 377 quanto al termine dilatorio e un’integrazione soggettiva al suo disposto, nel senso dell’obbligatoria comunicazione anche al Pubblico Ministero presso la Corte del decreto di fissazione dell’udienza (e ciò proprio per consentirgli quella richiesta e l’alternativa delle conclusioni scritte). L’inapplicabilità del disposto del secondo comma discendeva dalla concessione del temine di venticinque giorni a parti e pubblico ministero per la detta richiesta, il che esigeva necessariamente che il decreto fosse comunicato ben prima dei venti giorni di cui al citato secondo comma. L’obbligo di comunicazione del decreto al Pubblico Ministero, non previsto per il decreto di cui al secondo comma dell’art. 377, discendeva dalla previsione che Egli dovesse scegliere fra il presentare le conclusioni scritte e il chiedere la pubblica udienza effettiva[1].
Ora, il disposto del comma 8-bis, come ho già rilevato, regola direttamente la “decisione” e non - se non sotto il profilo appena indicato dell’ampliamento del termine per la comunicazione e della sua estensione soggettiva - il decreto di fissazione dell’udienza.
Ne consegue che, in mancanza di una norma che allo stato sia intervenuta a disciplinare le conseguenze della cessazione della vigenza del comma 8-bis indicata dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 228 del 2021, come modificata dalla l. di conversione n. 15 del 2022 alla data del 31 dicembre 2022, applicando il principio tempus regit actum[2], l’oggetto di disciplina della norma, del comma 8-bis essendo rappresentato dalla modalità di svolgimento dell’udienza pubblica e non dal decreto di fissazione della stessa, resterà regolato da essa fino alla data per la quale la norma che ne dispone circa l’applicabilità sotto il profilo temporale, cioè il citato art. 16, comma 1, dispone ch’abbia vigore, cioè fino al 31 dicembre 2022.
Si deve, dunque, ritenere che la permanente vigenza fino al 31 dicembre 2022 della norma del comma 8-bis debba essere predicata solo per le udienze pubbliche che si debbano tenere per date fino a tutto il 31 dicembre 2022, cioè fino alla data indicata dal citato art. 16, comma 1 attualmente vigente.
Poiché l’udienza davanti alla Corte di Cassazione è fissata allo stato con il decreto di cui all’art. 377, primo comma, c.p.c., ed esso deve rispettare in relazione alla data dell’udienza che fissa i termini indicati dal comma 8-bis, la vigenza di quest’ultimo, quanto a tale contenuto ed alle modalità di svolgimento dell’udienza si verificherà fino al 31 dicembre 2022, il che significa che riguarderà le udienze entro tale data per le quali il decreto di fissazione abbia potuto o possa, in ipotesi, ad oggi ancora osservare i termini indicati dallo stesso comma 8-bis.
Per i decreti di fissazione di udienze pubbliche da decidersi in date successive, sebbene già emessi dalla Corte o da emettersi sempre fino al 31 dicembre 2022, la norma del comma 8-bis risulterà invece inapplicabile, secondo il principio tempus regit actum perché la fissazione dell’udienza dopo il 31 dicembre 2022 la colloca al di fuori della vigenza stabilità per il suo oggetto di disciplina dal citato art. 16, comma 1 e perché, con riferimento all’emissione del decreto steso, del resto, l’oggetto di disciplina del suo contenuto, in quanto contemplante una udienza successiva al 31 dicembre 2022, non è regolato dal comma 8-bis ma dalla norma dell’art. 377 c.p.c. attualmente vigente.
Sarà, invece, applicabile a detti decreto la norma desumibile in senso negativo dal comma 7 dell’art. 36 del d.lgs. n. 149 del 2022 (cioè l’applicazione del regime dell’udienza pubblica anteriore al d.lgs. Cartabia), cioè il testo dell’art. 377 presente nel codice di procedura civile fino al 31 dicembre 2022, quello attualmente vigente, senza alcuna integrazione indiretta nei sensi del comma 8-bis.
L’art. 377 c.p.c. deve ricevere integrale applicazione nel senso che i decreti stessi sono sottoposti alla disposizione in esso contenuta nella sua interezza, cioè sia quanto al primo che al secondo comma dell’art. 377, con la conseguenza che non ne è necessaria la comunicazione al Pubblico Ministero (che potrà conoscere della fissazione per il tramite della comunicazione del calendario delle pubbliche udienze) e potrà osservarsi il termine dilatorio di venti giorni, di cui all’attuale secondo comma della norma, quello per il deposito di memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e la modalità di svolgimento dell’udienza ai sensi dell’art. 379 nei testi attualmente vigenti. L’udienza pubblica, dunque, fissata o fissanda con decreti emessi entro il 31 dicembre 2022 per date successive sarà da tenersi effettivamente con l’obbligatoria partecipazione del Pubblico Ministero presso la Corte e la possibilità di partecipazione dei difensori.
Non è possibile ritenere che la fissazione già avvenuta o la fissazione che avvenga prima del 31 dicembre 2022 di udienze pubbliche dal 1° gennaio 2023 sia soggetta all’art. 23, comma 8-bis, perché tale norma disciplina direttamente solo le modalità di tenuta di udienze da svolgersi fino al 31 dicembre 2022 ed il tempo del decreto di fissazione di esse è da essa regolato solo indirettamente ed esclusivamente in relazione ad udienze che debbano tenersi entro il 31 dicembre 2022, giusta la norma dell’art. 16, comma 1, del d.l. n. 228 del 2021, come modificata dalla l. di conversione n. 15 del 2022.
Poiché la norma del comma 8-bis non disciplina direttamente il potere di fissazione dell’udienza pubblica, il riferimento temporale al 31 dicembre 2022 non può essere assunto, secondo il principio tempus regit actum, come idoneo a regolare l’esercizio di quel potere, trattandosi di riferimento temporale correlato alla data di svolgimento dell’udienza e come tale solo indirettamente ed in relazione al situarsi della data entro il 31 dicembre 2022 idoneo a spiegare effetti sul decreto di fissazione dell’udienza (quanto al termine dilatorio) e conseguentemente sui poteri del Pubblico Ministero e delle parti.
Ne segue che i decreti di fissazione di udienze pubbliche da tenersi a partire dal 1° gennaio 2023 già emessi dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 149 del 2022, avvenuta in forza dell’art. 52 il giorno 18 ottobre 2022, e quelli che ancora potranno essere emessi fino al 31 dicembre 2022, saranno disciplinati dagli artt. 377, 378 e 379 attualmente vigenti e ciò in forza del disposto del comma 7 dell’art. 35 del d.lgs.
Di tali decreti non doveva o non dovrà essere fatta comunicazione al Pubblico Ministero, giusta il secondo comma dell’art. 377 attualmente vigente, da osservarsi anche per il termine dilatorio, l’udienza pubblica avrà svolgimento effettivo ai sensi dell’attuale art. 379 c.p.c. e le parti vedranno regolati i loro poteri dall’art. 378 e dallo stesso art. 379 c.p.c.
Inoltre, l’individuazione della modalità di trattazione in udienza pubblica sarà regolata dall’ancora vigente ultimo comma dell’art. 377 c.p.c.
Mette conto di rilevare che, ove i decreti di fissazione già in ipotesi emessi, lo siano stati con erronea indicazione della operatività dell’art. 23, comma, 8-bis, più volte citato, da parte della cancelleria, sarà opportuno, ai fine di evitare equivoci per il Pubblico Ministero e le parti, che si diano disposizioni alla Cancelleria di inviare un avviso di tenuta “normale”, “effettiva”, dell’udienza.
In fine, occorre ancora considerare che la ricostruzione fatta è basata su un dato: la permanenza dello stato emergenziale fino al 31 dicembre 2022. Ove lo stato emergenziale dovesse essere prorogato, sarebbe opportuno che il legislatore dettasse una regola transitoria, da applicarsi a decreti già emessi per udienze successive al 31 dicembre 2022.
[1] Sull’esegesi della norma, mi sia consentito rinviare al mio scritto su Questione Giustizia (gennaio 2021), L’udienza pubblica “eventuale” della Cassazione civile (cioè a libito di una parte e/o del Pubblico Ministero) (Considerazioni sull’art. 23, comma 8-bis del d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 176 del 2020)
[2] Su di esso si veda Cass. n. 3688 del 2011, secondo cui nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all'art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sue entrata in vigore, quand'anche la nuova disciplina sia più rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di introduzione del giudizio.
La violenza di genere e misure di prevenzione: la valutazione della pericolosità nel contesto delle relazioni familiari
Nota a Corte d’Appello di Bari n. 27405 del 01.06.2022
di Rita Russo
Sommario: 1. La violenza domestica: prevenzione e repressione. - 2. La valutazione del contesto. - 3. L'interesse del minore.
1. La violenza domestica: prevenzione e repressione.
La violenza domestica e di genere è un fenomeno complesso che si è drammaticamente imposto negli ultimi anni alla attenzione del legislatore e degli operatori del diritto. Gli interventi legislativi in materia, in continua sovrapposizione ed aggiornamento, hanno creato un quadro difficile da decifrare, ove si intrecciano misure penali e civili, preventive e riparative. Particolare attenzione è stata riservata alle misure di prevenzione, poiché la violenza all’interno di una relazione familiare di regola non si manifesta subito nelle sue forme più severe, ma segue un andamento crescente (escalation): prima degli atti violenti più severi si presentano segnali d’allarme e indicatori che possono presagire violenze più gravi.
Nel sistema penale, la violenza domestica o di genere viene ricondotta dalla recente legge n. 69 del 2019 (c.d. codice rosso) alle seguenti fattispecie: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (artt. 609-bis, 609-ter e 609-octies c.p.); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.); atti persecutori (art. 612-bis c.p.); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.); lesioni personali aggravate e deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 582 e 583-quinquies, aggravate ai sensi dell'art. 576, primo comma, nn. 2, 5 e 5.1 e ai sensi dell'art. 577, primo comma n. 1 e secondo comma.
Il sistema repressivo è strutturato con completezza e secondo parametri severi, tuttavia la Corte Edu lo ha considerato insufficiente a contrastare il fenomeno in due casi noti, di cui uno molto recente, rimproverando alle autorità italiane di non avere saputo valutare il rischio della escalation della violenza e di non aver adottato idonee misure preventive[1].
Si tratta, a ben vedere, di un rimprovero che riguarda più l'efficienza concreta del sistema che la sua struttura; ed infatti nell'ordinamento giuridico italiano gli strumenti di prevenzione della violenza domestica non solo esistono da molti anni, ma sono stati anche rafforzati ed ampliati di recente.
Per contrastare questi reati sono previste, in ambito penale, sia misure cautelari, che misure di prevenzione. In particolare, per apprestare una difesa anticipata delle potenziali vittime dei reati di questo tipo, si è fatto ricorso alle misure di prevenzione già previste per i delitti di mafia dal D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 estendendone la applicabilità anche alle persone indiziate di maltrattamenti in famiglia (2019) e di stalking (2017), ai sensi dell’art. 4 comma prima lett. i)ter. Le misure di prevenzione sono misure special-preventive, indipendenti dalla commissione di un precedente reato, e da qui la denominazione di misure ante delictum o praeter delictum. Il che comporta una marcata autonomia di queste misure rispetto alle misure cautelari penali e allo stesso processo penale: il giudice deve valutare se le condotte tenute siano sintomatiche della pericolosità sociale del proposto e anche quegli elementi che siano stati acquisiti nel corso di un processo che si è concluso con sentenza di assoluzione possono essere utilizzati ai fini di applicare la misura quando i fatti, pur ritenuti insufficienti a fondare una condanna penale, siano tuttavia in grado di giustificare un apprezzamento in termini di pericolosità[2].
Ciò ha portato la dottrina ad esprimere qualche dubbio sulla compatibilità di dette misure con l’art. 27 della Costituzione e sui presupposti scientifici della prognosi di pericolosità [3], rimarcando la differenza con la disciplina delle misure di sicurezza e delle misure cautelari personali, ove la base del giudizio di pericolosità è la commissione di un previo reato, e quindi il riferimento a una fattispecie incriminatrice determinata e tassativa.
Può di contro osservarsi che diverse sono le finalità del processo penale, che mira a irrogare la pena, e del procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, che mira invece a prevenire condotte delittuose, ma con autonoma configurazione rispetto alle misure di sicurezza.
È vero che vi è una rilevante difficoltà nell'accertamento della pericolosità e nella valutazione del rischio quando non si può muovere da un fatto storico ben definito, ma soltanto da indizi di reato: si rischia infatti di cadere in pericolosi automatismi correlati alla presentazione di una denuncia, specie quando si tratta di reati di rilevante impatto sociale, quale è la violenza domestica e di genere. Ma il rigore con il quale si deve contrastare questo fenomeno non può trasmodare in una applicazione diffusa e indiscriminata delle misure di protezione, perché è sempre necessaria una attività di giudizio, vale a dire di discernimento e distinzione sulla base di criteri oggettivi e predeterminati.
Il caso esaminato dalla Corte d’appello di Bari con il decreto n. 27405 del 01/06/2022 del 19 maggio 2022 è esemplificativo della difficoltà di rendere un simile giudizio.
Una coppia di coniugi entra in crisi e il marito assume l’iniziativa della separazione chiedendo l’addebito alla moglie; un mese dopo quest’ultima sporge denuncia per maltrattamenti familiari. Mentre il giudizio di separazione segue il suo corso, viene richiesta ed applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. La Corte d’appello di Bari, adita dall’interessato, revoca la misura escludendo la sussistenza di un livello indiziario sufficientemente elevato per giustificare la misura nonché la attualità della pericolosità, e a tal fine valuta anche il contesto familiare e la intervenuta cessazione della convivenza coniugale.
Il decreto offre diversi spunti interessanti.
La Corte più che valutare il fatto in sé e cioè la sussistenza del quadro indiziario e la sua gravità, valuta il periculum, soffermandosi su due punti specifici: esamina il contesto familiare in cui sarebbero maturate le denunciate violenze e tiene in considerazione l'interesse delle figlie minori. Particolare rilievo viene dato alla circostanza che la denuncia penale, mai preceduta da altre richieste di intervento, viene presentata dopo che il marito ha proposto il ricorso per separazione con addebito e si è allontanato dalla casa familiare e che tra le parti non sussiste un'apprezzabile disparità socio-culturale. Si tratta di elementi apparentemente marginali, ma che rivestono invece una certa importanza, poiché la violenza in ambito familiare matura generalmente in un clima di prevaricazione, favorito da una situazione di disparità socio-economica e spesso trova il suo acme quando la vittima cerca di liberarsi del legame contro la volontà del soggetto maltrattante, che invece vuole mantenerlo.
2. La valutazione del contesto.
Le ipotesi di violenza domestica non sempre sono facilmente individuabili in punto di fatto: con essa si intende ogni forma di aggressione fisica, di violenza psicologica, morale economica, sessuale o di persecuzione, attuata o tentata, all’interno di una relazione familiare, o comunque di una relazione intima, presente o passata.
La violenza non necessariamente consiste in atti di aggressioni fisica che lasciano tracce visibili, ma può anche essere psicologica, e ciò significa che per contrastarla non basta il solo allontanamento tra vittima e oppressore, ma occorre impedire che possano essere esercitate pressioni, anche indirette, sulla vittima oppure strategie dirette ad isolare l’offeso dal contesto sociale e dal resto della famiglia.
La violenza può essere economica, ed in tal caso è costituita da una pluralità di comportamenti, tutti volti ad impedire che la vittima divenga economicamente autonoma o a farle perdere l’autonomia economica e quindi ad esercitare il controllo sulla vita del partner tramite il denaro. Vendere la casa familiare, intestare i propri beni a un prestanome, sottarsi continuativamente all’adempimento degli obblighi di collaborazione al ménage familiare, pretendere che la vittima consegni i propri guadagni al soggetto abusante, oppure renda conto minuziosamente delle spese, costituiscono atti di violenza specie quando la vittima non ha alcun autonomo accesso a risorse economiche alternative o supporto da parte della famiglia di origine.
Questo genere di comportamenti può trovare -a seconda dei casi- il suo inquadramento nel delitto di maltrattamenti in famiglia, che si può realizzare, come afferma la giurisprudenza della Corte di legittimità, anche tramite comportamenti aggressivi e prevaricatori, manifestazione della pervasiva volontà prevaricatrice e di controllo, tali da incidere sulle condizioni di vita della persona offesa, costretta a vivere la quotidianità con un senso di turbamento e paura[4].
Il termine “maltrattamento” presenta invero un certo grado di indeterminatezza e per percepircene adeguatamente il significato, rispettando il principio di tassatività, è necessario ancorarlo da un lato ai presupposti di carattere soggettivo e oggettivo che qualificano la condotta, e dall'altro al contesto in cui essa si verifica, in modo da rilevarne un contenuto offensivo compatibile con i principi costituzionali e con l'intera logica del sistema di tutela della famiglia. La caratteristica del reato è quella di punire comportamenti di vessazione fisica o morale non necessariamente qualificabili, se singolarmente considerati, come reato, ma ripetuti nel tempo ed in grado di arrecare offesa, perché la vittima non è un extraneus, ma un soggetto che la relazione familiare pone in condizione di vulnerabilità. All’interno della relazione familiare esistono infatti doveri di solidarietà e protezione che impongono ai loro componenti obblighi positivi, definiti dalla legge, e di astenersi anche da quelle condotte che, di scarso rilevo se tenute nei confronti di un terzo, divengono particolarmente offensive se tenute nei confronti del partner o di un figlio. Ad esempio, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche il pubblico disprezzo, che di per sé non è un reato, ove reiterato e tale da infliggere profonde umiliazioni, può costituire reato di maltrattamenti [5]. D'altro canto, è anche vero che all'interno del nucleo familiare la solidarietà comporta necessariamente un certo grado di tolleranza nei confronti delle offese minime (non penalmente rilevanti), che in un rapporto solido e sostanzialmente sano possono essere riparate spontaneamente.
La complessità di inquadramento refluisce anche sulle modalità di accertamento del reato o del suo fumus. Ai fini del processo penale rileva la ricostruzione storica di ciò che è avvenuto. La difficoltà in questo caso consiste prevalentemente nel reperire le fonti di prova e cioè testimoni attendibili e che abbiano assistito al fatto o ne conoscano sia pure indirettamente i dettagli, e documenti affidabili che con il fatto abbiano una stretta correlazione (ad esempio i referti medici). Nei giudizi per l’applicazione di una misura di prevenzione invece – e analogo problema si pone in sede civile per l’applicazione dell’ordine di protezione – la questione non è tanto o soltanto ricostruire il fatto, ma valutare il rischio, cioè rendere un giudizio prognostico su ciò che potrebbe avvenire.
Il giudizio di pericolosità sociale è uno dei più complessi che si possa immaginare, in particolare quando muove da una base fattuale i cui contorni sono ancora incerti.
La base fattuale è comunque necessaria: le limitazioni della libertà personale non possono fondarsi su un mero “processo alle intenzioni” e cioè sull’esame di quei moti che avvengono all'interno dell'animo umano e che non trovano alcuna manifestazione all'esterno: nessun fenomeno che si risolva in interiore homine rileva per il diritto. Ogni prognosi sfavorevole deve essere fondata su elementi concreti, idonei a dimostrare la pericolosità, l’attualità e la probabile condotta futura del soggetto. Si deve quindi muovere da fatti e comportamenti e da questi desumere la probabilità che il comportamento si ripeta o anche progredisca verso forme più gravi di aggressione dei beni protetti dalla norma. In questo modo si traccia il profilo di personalità del soggetto la cui pericolosità si deve valutare; ma sarebbe un errore pensare che si tratti di un esame meramente individuale perché la valutazione del contesto in cui i comportamenti sono tenuti è altrettanto rilevante, e in particolare quando si tratta di reati che, come quello di maltrattamenti, sono definiti dal contesto e presuppongono l'esistenza di una relazione tra vittima e aggressore.
Poiché la violenza domestica si connota essenzialmente come una prevaricazione che assume di volta in volta le forme più varie – violenza fisica, psicologica, economica – occorre fare attenzione a quegli elementi che favoriscono il crescere e il progredire degli atteggiamenti prevaricatori. Tra questi – come messo in evidenza dalla Corte d’appello di Bari – la attualità della convivenza e la condizione di disparità tra le parti.
Ed è determinante la distinzione tra la mera conflittualità, che è una dinamica molto comune nelle relazioni familiari in fase di dissoluzione, e la violenza, posto che la prima presuppone una situazione interpersonale basata su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) simmetriche, e di contro la violenza si esercita e si può esercitare perché la relazione è – o divenuta per effetto della violenza – asimmetrica. L’assenza di simmetria determina uno squilibrio di relazione e, quindi, in presenza di violenza non si può parlare di mero conflitto. Per distinguere la conflittualità dalla violenza non deve guardarsi soltanto al comportamento materiale, che potrebbe essere simile nell’uno e nell’altro caso, quanto ai rapporti di forza tra le parti. Ad esempio, la circostanza che la moglie rinunci alla attività extradomestica è un atto di violenza se imposto, è un atto di autonomia privata dei coniugi, che trova il suo riconoscimento nell’art 144 c.c., se frutto di un accordo assunto su posizioni di parità.
Altro elemento di particolare rilievo è la presenza nel contesto familiare di specifici fattori di rischio, quali l’alcoldipendenza, la tossicodipendenza, la disoccupazione, pregressi episodi di maltrattamenti nei confronti dello stesso partner o di partner diverso. Di per sé nessuno di questi fattori è decisivo, poiché ogni caso è diverso dall'altro, ma la loro presenza o assenza orientano il giudizio prognostico sulla pericolosità e quindi devono essere oggetto di indagine da parte del giudice investito della richiesta di una misura di prevenzione.
3. L'interesse del minore.
Altro elemento preso in considerazione dalla Corte d'appello di Bari è l'interesse delle figlie minori della coppia. Sebbene non si tratti di un giudizio che ha per oggetto l'affidamento delle minori, tuttavia vengono presi in considerazione gli effetti che la misura di prevenzione può avere sulla relazione familiare tra il genitore e le figlie. Si fa quindi applicazione del principio secondo il quale se il giudizio riguarda, sia pure indirettamente, la vita del minore, non può prescindersi la considerazione del best interest of the child.
Anche in questo caso rileva la distinzione tra conflitto e violenza.
La violenza nelle relazioni familiari investe di regola anche il minore, spesso nella forma della violenza assistita; il che comporta la necessità di valutare attentamente l’idoneità del soggetto violento ad esercitare le funzioni genitoriali o comunque ad esercitarle senza alcuna limitazione e controllo ed, eventualmente, supporto.
Il mero conflitto tra genitori invece non deve interferire con il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi, ma soprattutto con il diritto a ricevere da entrambi, e non solo dal genitore affidatario, la "prestazione genitoriale" e cioè cura, educazione, istruzione ed assistenza materiale e morale.
Una spinta decisiva alla affermazione di questi diritti è stata data dalla adesione dell'Italia alle Convenzioni internazionali sull'infanzia e in particolare la Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, e la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli firmata a Strasburgo il 26 gennaio 1996 e ratificata con la L. 20 marzo 2003, n. 77. Il quadro si completa con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) che all'art. 24, tratta espressamente dei diritti del bambino affermando che "I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità".
Esprimendosi con le parole dall'art. 3 della Convenzione di New York del 1989, si può dire che al fanciullo devono essere assicurate le condizioni perché egli possa svilupparsi in modo sano e normale fisicamente, intellettualmente, moralmente, spiritualmente e socialmente, in condizioni di libertà e dignità e, in ogni decisione che lo riguarda il suo interesse deve essere considerato preminente.
Si esplicita così il principio della “prevalenza” dell'interesse del minore, ma senza trascurare l'importanza del diritto del genitore alla relazione familiare, diritto che pure esiste e che sarebbe irragionevole negare, a maggior ragione considerando che gli stessi diritti del minore sono attuati in chiave relazionale. È infatti da chiedersi se l'interesse del minore che il giudice deve tenere in considerazione è veramente “superiore”, cioè prevalente su qualsiasi altro interesse o soltanto il migliore, vale a dire che tra più scelte deve farsi quella che meglio garantisce il suo benessere psicofisico. A questa domanda se ne lega un'altra, sul se, quando e in che misura questo interesse vada bilanciato con ulteriori e diversi interessi di pari rango. La relazione familiare, infatti, non è un diritto solo del minore, ma anche dei genitori.
Un tempo si parlava di interesse superiore della famiglia, cui si potevano (e dovevano) sacrificare gli interessi individuali. La prospettiva si è oggi in un certo senso rovesciata, poiché si parla non più di interesse superiore della famiglia, ma di superiore o prevalente interesse del minore, perpetrando così un errore di fondo, quello di applicare alla famiglia la regola del conflitto, da dirimere individuando una parte vincente ed una soccombente, anziché promuovere la cultura della mediazione. Con la doverosa precisazione che, anche quando si parla di mediazione, è decisiva la distinzione tra violenza e conflitto. La mediazione non deve essere avviata nei casi di violenza familiare, come peraltro prevede la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia con legge 77/2013. Invece, nei casi di conflitto, la mediazione può essere particolarmente utile per riavviare il colloquio tra i genitori e aiutarli a trovare da soli la via migliore per continuare ad esercitare la responsabilità genitoriale, nell’interesse dei figli minori, nonostante la separazione.
In ogni caso, la decisone della interruzione dei rapporti tra i genitori e figli è una questione assai delicata, che non può essere regolata da automatismi, poiché la interruzione della relazione tra genitori e figli sul piano giuridico, ma anche naturalistico, si giustifica solo in funzione di tutela degli interessi del minore. In questi termini la giurisprudenza di legittimità ha affermato il giudice civile deve valutare autonomamente sia sotto il profilo materiale, sia sotto quello della potenziale dannosità per l'equilibrato sviluppo psicofisico del minore, la rilevanza dei comportamenti penalmente censurabili ascritti a un genitore ancora oggetto di accertamento in sede penale[6].
[1] Corte Edu, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, il testo in lingua italiana in www.giustizia.it; Corte Edu 7 aprile 2022, Landi c. Italia, in https://hudoc.echr.coe.int
[2] Cass. pen. sez. II, 05/04/2022, n.22732; Cass. Pen. sez. II, 18/01/2022, n.8166
[3] Cfr. anche per i riferimenti bibliografici, PETRINI, Le misure di prevenzione personali: espansioni e mutazioni in Dir. Pen. e Processo, 2019, 11, 1531
[4] Cass. pen. sez. VI, 30.05.2022, n.27166
[5] Cass. pen. Sez. VI, 12.10.2021, n. 2378
[6] Cass. civ. Sez. I Ord., 19.05.2020, n. 9143
Scheda n. 8 - Le modifiche al regime di procedibilità dei reati
NORME MODIFICATE: Artt. 582, 590-bis, 605, 610, 612, 614, 624, 634, 635, 640, 640-ter, 649-bis, 659, 660 c.p.
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
Gli artt. 2 e 3 del d. lgs. 150/2022 apportano importanti modifiche alla disciplina del regime della procedibilità di alcune fattispecie di reato di più frequente applicazione pratica, ampliando l’ambito di operatività della procedibilità a querela: nello specifico, l’art. 2 interviene su numerosi delitti contro il patrimonio e contro la persona, mentre l’art. 3 modifica il regime di procedibilità di due contravvenzioni.
Considerata la rilevante incidenza numerica delle fattispecie interessate dall’intervento legislativo, l’obiettivo della riforma è quello di conseguire in tal modo “effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti, nell’ottica di una maggiore efficienza del processo penale” (v. Dossier Camere del 7 settembre 2022).
Appare evidente che la nuova disciplina raccoglie almeno in parte le sollecitazioni giunte dalla Corte Costituzionale che, con la pronuncia n. 248/2020, in relazione alle diverse ipotesi di reato ex art. 590-bis c.p., aveva suggerito una complessiva rimeditazione circa la congruità del regime di procedibilità d’ufficio originariamente previsto.
L’estensione dell’ambito della procedibilità a querela trova però un limite generale nella necessità di tutelare alcune categorie di soggetti che non sono in grado di presidiare autonomamente i propri interessi attraverso l’esercizio del diritto di querela, in quanto incapaci, per età o per infermità: pertanto, qualora le persone offese dei reati interessati dalla modifica legislativa presentino tali caratteristiche, viene mantenuto l’originario regime di procedibilità di ufficio.
REATI CHE MUTANO REGIME DI PROCEDIBILÀ
Di seguito si propone un elenco riassuntivo delle fattispecie il cui regime di procedibilità viene modificato dagli artt. 2 e 3 del d. lgs. 150/2022.
Diventano procedibili a querela di parte:
1) le lesione personali, salvo che ricorra taluna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585 (ad eccezione di quelle contro ascendente o discendente, coniuge o unito civilmente, anche separati o divorziati, convivente, fratello, sorella, padre e madre adottivi, figli adottivi o affini in linea retta, che sono a querela), ovvero salvo che la malattia abbia una durata superiore a venti giorni e la persona offesa sia soggetto incapace, per età o per infermità;
2) le lesioni personali stradali gravi o gravissime, ad eccezione dei casi in cui ricorre una delle circostanze aggravanti previste dall’art. 590-bis c.p.;
3) il sequestro di persona, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
4) la violenza privata, ad eccezione dei fatti aggravati ai sensi del secondo comma dell’art. 610 c.p. ovvero commessi ai danni di persona incapace, per età o per infermità
5) la minaccia, salvo che sia fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, o sia grave e ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, o la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;
6) la violazione di domicilio, salvo che il fatto sia commesso con violenza alle persone, o il colpevole sia palesemente armato o il fatto sia commesso con violenza sulle cose ma nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
7) il furto, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorra taluna delle circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7 - salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede - e 7-bis) ovvero nel caso di furto di componenti metalliche di infrastrutture per l’energia o il servizio di trasporto o telecomunicazioni, gestite da soggetti pubblici o concessionari pubblici;
8) la turbativa violenta del possesso di cose immobili, salvo che la persona offesa sia incapace, per età o per infermità;
9) il danneggiamento, ad eccezione del fatto commesso in occasione del delitto di interruzione di pubblico servizio o ai danni di persona incapace, per età o per infermità;
10) la truffa, purché non aggravata ai sensi del secondo comma dell’art. 640 c.p.;
11) la frode informatica, salvo non ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma, o vi sia approfittamento di circostanze della persona, anche in riferimento all’età, che ostacolano la difesa;
12) il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, o sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità;
13) la molestia o disturbo alle persone, ad eccezione di quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.
Come evidenziato da Giuseppe Amara[1], la selezione compiuta dal Legislatore circa i reati per i quali prevedere una modifica del regime di procedibilità presenta alcune incongruenze rispetto agli obiettivi dichiarati della riforma, poiché rimangono procedibili d’ufficio ipotesi di contenuta offensività ma di frequente applicazione pratica (si pensi al caso del sequestro di persona). Inoltre, l’intervento legislativo non sembra tenere in considerazione l’offensività delle diverse fattispecie, al fine di individuare il regime di procedibilità applicabile, preferendo tracciare una linea di distinzione fondata su ragioni di carattere pratico più che teorico.
A tale proposito, va poi richiamata la presenza di alcune incongruenze nella disciplina introdotta dalla riforma, come l’aver mantenuto procedibile d’ufficio l’ipotesi delittuosa di danneggiamento aggravato dall’aver posto in essere il fatto su cose esposte alla pubblica fede, a fronte dell’esclusione della medesima aggravante dal novero di quelle idonee a rendere procedibile d’ufficio il reato di furto.
MODICHE DEL REGIME DI PROCEDIBILITÀ DEI REATI
TESTO RIFORMATO |
Art. 582 c.p. - Lesione personale. (Omissis) 2. Si procede tuttavia d’ufficio se concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli articoli 61, numero 11-octies), 583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel primo comma, numero 1, e nel secondo comma dell'articolo 577. Si procede altresì d’ufficio se la malattia ha una durata superiore a venti giorni quando il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 590-bis c.p. - Lesioni personali stradali gravi o gravissime. (Omissis) 8. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più̀ grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni sette. Il delitto è punibile a querela della persona offesa se non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 605 c.p. – Sequestro di persona. (Omissis) 6. Nell’ipotesi prevista dal primo comma, il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 610 c.p. – Violenza privata. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 612 c.p. – Minaccia. (Omissis) 3. Si procede d'ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 614 c.p. – Violazione di domicilio. (Omissis) 3. La pena è da due a sei anni se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato. 4. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato o se il fatto è commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 623-ter c.p. - Casi di procedibilità d’ufficio. Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 612, se la minaccia è grave, 615, secondo comma, 617-ter, primo comma, 617-sexies, primo comma, 619, primo comma, e 620 si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 624 c.p. – Furto. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede d’ufficio se la persona offesa è incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorrono le circostanze di cui all’articolo 625, numeri 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede, e 7-bis. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 626 c.p. – Furti minori. (Omissis) |
TESTO RIFORMATO |
Art. 634 c.p. - Turbativa violenta del possesso di cose immobili. 1. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, turba, con violenza alla persona o con minaccia, l'altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 103 a euro 309. (Omissis) 3. Si procede d’ufficio se la persona offesa è incapace per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 635 c.p. – Danneggiamento. (Omissis) 5. Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall'articolo 331 ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 640 c.p. – Truffa. (Omissis) 3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall'articolo 61, primo comma, numero 7. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 640-ter c.p. – Frode informatica. (Omissis) 4. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo e terzo comma o la circostanza prevista dall'articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all'aver approfittato di circostanze di persona, anche in riferimento all'età, e numero 7. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 649-bis. Casi di procedibilità d’ufficio. 1. Per i fatti perseguibili a querela preveduti dagli articoli 640, terzo comma, 640-ter, quarto comma, e per i fatti di cui all'articolo 646, secondo comma, o aggravati dalle circostanze di cui all'articolo 61, primo comma, numero 11, si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace per età o per infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 659 c.p. - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. 3. Nell’ipotesi prevista dal primo comma, la contravvenzione è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
TESTO RIFORMATO |
Art. 660 c.p. - Molestia o disturbo alle persone. 1. Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito, a querela della persona offesa, con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516. 2. Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità. |
DISCIPLINA TRANSITORIA
L'articolo 85 prevede una disciplina transitoria relativa alla possibilità di proporre querela da parte della persona offesa dei reati che rientrano nel catalogo di quelli sottratti all’ambito della procedibilità d’ufficio, stabilendo che, nel caso non sia ancora iscritto a registro notizie di reato un procedimento penale, il termine trimestrale per proporre querela decorra dall’entrata in vigore della riforma, ovvero dalla data del 31/12/2022.
A seguito della modifica operata dalla L. n. 199/2022 all’art. 85, co. 2 d.lgs. 150/2022, nel caso in cui sia già incardinato un procedimento penale relativo ad un reato originariamente perseguibile d’ufficio, la persona offesa non deve più essere informata dall’autorità giudiziaria della facoltà di esercitare il proprio diritto di querela, contrariamente a quanto previsto nella prima versione della norma introdotta.
Pertanto, per i reati divenuti perseguibili a querela della persona offesa e commessi prima del 30 dicembre 2022 il termine ordinario per la presentazione della querela decorre da tale data, sempre che la persona offesa abbia avuto in precedenza la conoscenza del fatto di reato a suo danno.
In forza al comma 2 dell’art. 85 d.lgs. 150/2022, come modificato dall’art. 5-bis D.L. 162/2022, convertito nella legge 199/2022, in relazione ai reati divenuti perseguibili a querela e per i quali può essere disposta misura cautelare personale, la misura in corso di esecuzione alla data del 30/12/2022 perde efficacia se entro 20 giorni, ossia entro il 19/01/2023, non viene acquisita la querela, anche attraverso l’iniziativa dell’autorità giudiziaria procedente.
Ai sensi del comma 2-ter dell’art. 85 d.lgs. 150/2022, come introdotto dall’art. 5-bis D.L. 162/2022, per i delitti di cui agli artt. 609-bis, 612-bis e 612-ter c.p. commessi prima del 30/12/2022 continua a procedersi d’ufficio, qualora il reato sia connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in forza dell’attuale disciplina.
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 85 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità. 1. Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. 2. Fermo restando il termine di cui al comma 1, le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A questi fini, l’autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del termine indicato al primo periodo i termini previsti dall’articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi. (Omissis) 2-ter. Per i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 612-bis e 612-ter del codice penale, commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto. |
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 86 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di notificazioni al querelante. 1. Per le querele presentate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, le notificazioni al querelante sono eseguite ai sensi dell’articolo 33 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271. 2.Quando il querelante non ha nominato un difensore, le notificazioni si eseguono presso il domicilio dichiarato o eletto dal querelante. In mancanza di dichiarazione o elezione di domicilio, le notificazioni sono eseguite a norma dell’articolo 157, commi 1, 2, 3, 4 e 8, del codice di procedura penale. |
[1] G. Amara, Riforma Cartabia. Principali questioni sul tappeto relative alla modifica del regime di procedibilità, in Giustizia insieme, 28.10.2022.
To install this Web App in your iPhone/iPad press icon.
And then Add to Home Screen.